mercoledì, dicembre 25, 2024

IL PANE E LA SUA STRAORDINARIA VERSATILITÀ. SEMPRE BUONO, QUANDO AVANZA, CONSENTE DI REALIZZARE NUMEROSE, GUSTOSE RICETTE!


Oristano 25 dicembre 2024

Cari amici,

Oggi è NATALE! Il mio augurio è che tutti, in ogni parte del mondo, possano quanto prima godere della gioia della PACE, dell'amicizia e della solidarietà! Un augurio che si concretizzi per tutti quell'evangelica invocazione: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano", perchè, purtroppo, anche nel Terzo Millennio il pane manca ancora a tanti! Si, IL PANE, quell'alimento base dell'alimentazione che  a me, figlio della guerra (sono nato nel 1945), da bambino a volte mancava e che in un'occasione mi fu pure negato! 

Poco tempo fa su questo blog ho riportato
LA STORIA DEL PANE, quell’importantissimo alimento base che accompagna la storia dell'uomo da almeno dodicimila anni. Il pane ci ha accompagnato per secoli e millenni, e, anche oggi, nonostante la grandissima varietà di cibi che abbiamo disponibili, il pane resta, comunque, un pilastro della nostra alimentazione. Il pane è un'alimento così prezioso che non si dovrebbe mai buttare! Ma abbiamo mai pensato, per esempio, in quanti modi può essere utilizzato il pane eventualmente avanzato nella nostra dispensa? I vari tipi di pane sono così versatili, che la pagnotta intera può diventare un guscio-contenitore da farcire, le fette possono trasformarsi in crostini e in bruschette gustose, e poi ancora…dal pangrattato a mille altri modi. Allora, vediamo insieme qualcuno di questi sistemi di riciclo.

Uno degli usi più frequenti, oltre che quello di mangiare il pane a tavola, è quello di preparare i “TRAMEZZINI, che, usati come 2 sandwich, possono essere serviti come antipasti, snack o in mille altri modi. Col pane avanzato possiamo anche realizzare  squisite “PIZZETTE”, facili e velocissime da preparare, particolarmente apprezzate dai nostri ragazzi. Basta stendere semplicemente sulle fette di pane della salsa di pomodoro e riempire con mozzarella tagliata a bocconcini e il gioco è fatto; Infornate poi a 180° C per 10 minuti, in modo che il formaggio si sciolga e il pane diventi così più croccante; una volta sfornate condite le pizzette con un filo d’olio extravergine d’oliva e qualche foglia di basilico fresco ed eccole pronte in modo perfetto. Potete variare a piacere: arricchire e colorate le pizzette con filetti d’acciuga, tocchetti di prosciutto cotto o würstel, strisce di zucchine grigliate oppure saporite olive nere.

Col pane, in particolare quello in cassetta, possiamo fare anche le “LASAGNE”! Le lasagne possono essere preparate senza pasta sfoglia ma creando gli strati semplicemente con le fette di pancarré. Come? Eliminate il bordo che si presenta leggermente più duro e intervallate il pane con salsa al pomodoro densa e tocchetti di mozzarella oppure zucchine grigliate e scamorza, con un ragù di verdure o ancora  prosciutto cotto e fontina. La ricetta vale anche per i “CANNELLONI”. Prendete i quadrati di pancarrè, farcite con prosciutto cotto e fontina a cubetti, arrotolateli e metteteli in teglia. Versate una besciamella o una salsa al formaggio densa e un cucchiaio di parmigiano. Infornate a media temperatura per circa 15 minuti o finché non si formerà una croccante crosticina in superficie. E i vostri cannelloni sono pronti.

Con il pane si può preparare anche la  MOZZARELLA IN CARROZZA”, un ottimo antipasto. Per prepararla bastano pochi semplici ingredienti: mozzarella, uova, pangrattato e pane, casareccio a fette. Basta farcire il pane con il formaggio come se doveste portare in tavola un toast. Passare poi il tutto prima in una pastella di uova e farina poi nel pangrattato e friggete! Altra ricetta è quella del “PAIN PERDU”, o pane fritto, molto usato in Francia. Basta bagnare delle fette di pane raffermo nel latte, passarlo in pastella e infine friggerlo. Un ottimo modo per dare una seconda possibilità al pane non più fresco.

In Sardegna, col pane raffermo, si preparava anche su “PANE A FITTAS”. Si usava, ai tempi della civiltà contadina e si cuoceva il pane una volta alla settimana, quindi col pane proprio raffermo. Si tagliava a fette sottili, si ammollava nel brodo (non sempre di carne di pollo o agnello) e poi, dopo averlo scolato su una teglia lo si ricopriva di sugo e di formaggio pecorino di media stagionatura. Posso dirvi che è meglio di un piatto di pasta!

Il pane, amici, è un ottimo ingrediente anche per preparare le polpette. Le “POLPETTE”, che siano di solo pane, di carne, di pesce o di verdure, poco importa. A seconda del pane che abbiamo a disposizione, basta bagnarlo (non solo nell'acqua, ma anche nel latte o nel brodo), poi, una volta ammollato, ridurlo in pastetta e aggiungerlo agli altri ingredienti scelti, sarà un ottimo componente delle polpette! Molti preferiscono usare il pangrattato, ma va bene (per me anche meglio) anche il pane ammorbidito.

Cari amici, le possibili ricette che utilizzano il pane non proprio fresco di giornata, ben più noto come pane raffermo, non sono solo queste ma molte altre (basti pensare ai crostini da dorare alla piastra e poi da utilizzare nel brodo oppure alle gustose bruschette da insaporire in mille modi e poi dorare al caminetto), in quanto, con la nostra grande fantasia, riusciamo ad utilizzare il pane a 360 gradi! Il pane, infatti, lega praticamente con tutto! Insomma il pane, almeno per quanto mi riguarda, è il miglior alimento che il Signore ci ha dato e, a casa mia, lo confermo a tutti Voi, il pane non si è mai buttato, ma sempre riciclato! Io uso il pane del giorno prima anche per fare colazione: lo taglio a cubetti che metto nel caffelatte.

A domani.

Mario

martedì, dicembre 24, 2024

GIUBILEO 2024-2025. BREVE STORIA DELLE PORTE IN BRONZO DELLA CATTEDRALE DI ORISTANO.

PORTA SANTA IN UN PASSATO GIUBILEO

Oristano 24 dicembre 2024

Cari amici,

Domani è “NATALE”, giornata di gioia, di rinnovo dell’amicizia, dell’amore e della solidarietà. In un mondo sempre più travagliato, il PAPA darà il via alla cerimonia dell'apertura della “PORTA SANTA”, nell’intento di sollecitare il mondo a ritrovare la via della pace tra i popoli. La prima “Porta Santa” fu aperta nel 1500 da Papa Alessandro VI. Oggi, alle 18.30, il Santo Padre darà il via alla solenne apertura della Porta Santa della Basilica romana di San Pietro, che sancirà l'inizio ufficiale del Giubileo ordinario 2025. Anche l’Arcivescovo Arborense aprirà la Porta Santa nella Cattedrale della nostra città.

La Cattedrale di Oristano, l'ecclesia sanctae Mariae de Orestano, ha una lunga e complessa storia, risalente almeno al VII secolo, come testimoniano le sepolture risalenti a quel periodo rinvenute nella piazza antistante l'edificio di culto. L'esistenza della cattedrale è documentata dal 1131: le sedici colonne conservate nel cortile del duomo e i capitelli custoditi nel vicino seminario, consentono di affermare che il primitivo edificio, in stile romanico, avesse tre navate. 

Diversi, successivi restauri, commissionati dall'arcivescovo Torgotorio de Muru, vennero effettuati nel 1228, anno in cui il M° Placentinus appose la sua firma sui battenti bronzei dell’allora portone ligneo (noti come PICCHIOTTI), cimeli che attualmente sono conservati nell'aula capitolare. Entro il 1348 venne edificato il transetto con le quattro cappelle in stile gotico italiano.

Numerosi furono gli interventi di manutenzione e restauro della Cattedrale, che nei secoli successivi furono commissionati e portati avanti dai diversi Arcivescovi che si alternarono alla guida della Diocesi arborense. Fra i più importanti quelli effettuati nella  prima metà del XVIII secolo, che, risparmiando poco dell'antica fabbrica romanico-gotica portarono a realizzare l’edificio attuale. I lavori, voluti dall'arcivescovo Antonio Nin e dal capitolo, iniziarono nel 1729. Il tempio venne consacrato nel 1745 ma i lavori terminarono solo nel corso della seconda metà del secolo. Tra il 1830 e il 1837 vennero costruiti i cappelloni semicircolari del transetto secondo il progetto dell'architetto piemontese Giuseppe Cominotti, su commissione dell'arcivescovo Giovanni Maria Bua, mentre al 1912 risalgono le decorazioni pittoriche che ornano le pareti interne della cattedrale.

Fra le ultime modifiche quelle apportate dall'Arcivescovo Mons. Ignazio Sanna, che nel 2015 decise di adeguare il Presbiterio secondo il nuovo ordinamento liturgico. Fu spostato l'altare settecentesco, e collocato in posizione arretrata; al suo posto venne posizionata una nuova mensa e un nuovo ambone in marmo bianco e rosso. La dedicazione avvenne il 10 gennaio 2016 con la concelebrazione eucaristica presieduta dall'Arcivescovo Sanna e concelebrata da alcuni vescovi sardi e dal presbiterio arborense. Durante il rito sono state posizionate le reliquie di Sant'Archelao e Santa Giusta.

Tornando alla storia delle porte della nostra Cattedrale, nel 2000, proprio in occasione del Giubileo, l’Arcivescovo Mons. Pier Giuliano Tiddia accolse l’idea di due sacerdoti, don Lauro Nurra e don Desogus, suoi compagni di studi, di ricevere in regalo i portoni bronzei che oggi sono collocati all’ingresso della Cattedrale di Oristano: don Desogus li ideò, don Nurra li realizzò materialmente grazie alla sua passione di artigiano. L’arcivescovo Tiddia, alcuni anni dopo, li volle omaggiare del titolo di Canonici onorari.

Amici, Don Lauro Nurra può essere considerato un vero, grande uomo di chiesa! Originario di Giave (SS), fu ordinato sacerdote a Cagliari nel 1951. Ebbe diverse esperienze da parroco, alcune delle quali anche in Germania, dove dal 1957 al 2002 fu Cappellano per gli emigrati italiani a Lörrach, nella Diocesi di Friburgo. Nel suo lungo ministero sacerdotale svolse anche il prestigioso incarico di Avvocato della Sacra Rota. Era, infatti, uomo di grande cultura: conseguì tre lauree, una in Diritto Canonico, una in Teologia e una in Scienze. Nel 1994 gli fu conferita, per il suo grande impegno sociale, anche l’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica italiana.

Tutti noi oggi possiamo osservare con gioia l’eleganza e la raffinatezza di questi straordinari portoni realizzati dal sacerdote-artigiano per la nostra cattedrale; nelle diverse scene rappresentate, ha evidenziato con grande arte e competenza storica, anche tratti e riferimenti alla Carta De Logu, emanata dalla nostra Giudicessa Eleonora. Lo straordinario sacerdote non si limitò a realizzare le porte in bronzo, ma rimase sempre molto  vicino alle esigenze dell’Arcidiocesi arborense con altre generose donazioni, tanto da essere definito un vero grande benefattore per la nostra Arcidiocesi.

Cari amici, quando anche quest'anno l’Arcivescovo aprirà in Cattedrale la PORTA SANTA,  il nostro pensiero andrà certamente a questo Sant’uomo, che della nostra “Cattedrale” era un sincero estimatore.

A domani con il mio augurio di BUON NATALE!

Mario

lunedì, dicembre 23, 2024

IL “KOSELIG”, L’ARTE SCANDINAVA DI APPREZZARE L’INVERNO. È IL SISTEMA DEI NORVEGESI PER “NON SENTIRE” IL FREDDO A -20°: IN QUESTO MODO SI SCALDANO PIÙ CHE CON UN TERMOSIFONE.


Oristano 23 dicembre 2024

Cari amici,

In un post recente ho parlato della stagione che stiamo vivendo: l'Inverno. L'ho fatto per ricordare di prepararci a vivere questa stagione rinforzando le difese immunitarie del nostro corpo. Se è pur vero che bisogna imparare a vivere ogni stagione nel modo migliore, e anche vero che “Paese che vai, usanze che trovi”, come dice un antico e saggio proverbio. In Norvegia, per esempio, vige una particolare usanza che nel tempo è stata adottata per convivere senza troppi inconvenienti col freddo che lì, al Nord, raggiunge e supera anche i 20 gradi sotto zero. Questo sistema, chiamato KOSELING”, è da tempo ben radicato nella cultura norvegese, e permette loro di trascorrere il tempo senza sentire quel grande freddo anche con delle temperature proibitive. Si, amici, il freddo invernale in Norvegia, come ben sappiamo, non scherza!

A noi un freddo così rigido creerebbe di certo non poco panico, ma per i Norvegesi è un freddo normale, che viene affrontato a viso aperto. Essi vivono il gelo con un’attitudine quasi invidiabile! La loro terra, fatta di fiordi mozzafiato e ghiacciai che sembrano eterni, diventa ancora più speciale sotto la coltre di neve; e loro, amici, non si lasciano sopraffare dall’oscurità invernale, anzi, sembra quasi che abbiano trovato il modo per trasformare ogni serata buia in un momento di magia.

Si, amici, l’inverno per i norvegesi diventa una sorta di stagione dell’intimità. Poche ore di luce? Ok, ma è perfetto per accoccolarsi davanti a un camino con una cioccolata calda, magari preparata lentamente, con il cacao amaro e il latte cremoso! Ci si raccoglie attorno a delle tavole imbandite, si parla, si ride e si scherza per ore. Insomma, l’inverno diventa quasi una scusa per stare insieme. E poi c’è la neve: che consente passeggiate, escursioni, visite ai fiordi che sembrano congelarsi nel tempo… Per i norvegesi c’è qualcosa di speciale nel respirare quell’aria gelida che quasi punge, ma che al contempo risveglia! Il tutto, ovviamente, accompagnato da una pratica molto interessante: quella, che ho accennato prima, del “KOSELIG”.

Il termine “KOSELIG” non ha una traduzione esatta nella nostra lingua; esso sta, comunque, a significare qualcosa... come sentirsi accolti, al sicuro. Diciamo che si avvicina alla sensazione che noi proviamo quando entriamo in una casa amica, dove sentiamo subito un calore, un profumo familiare. Per i norvegesi, il “koselig” è un vero e proprio stile di vita, soprattutto d’inverno. E non si tratta solo di accendere candele o avere coperte calde (anche se tutto ciò aiuta, eh), ma di creare dei momenti speciali di intimità con chi si ama.

La bellezza è che “koselig” non è solo una cosa che funziona, che vale, all’interno di una casa amica; esso vale anche all’aperto, nella natura! Una passeggiata tra la neve, una notte passata sotto il cielo stellato mentre il fiato diventa una nuvola bianca, sono tutti modi per "stare insieme", per gioire dell'amicizia, per essere sempre consapevoli che, anche nel freddo più rigido, il calore umano emanato dall'affetto, dall'amicizia, dall'amore, riscalda, quanto e più dello stare vicini al fuoco! Il Koselig è il sentirsi connessi a chi sta con noi, a chi ci ama e ci circonda di amore e affetto, sentimenti che creano quel tepore che scalda il cuore, prima del corpo!

Amici, il Koselig altro non è che quel calore umano che scaturisce dal piacere di stare insieme, quella sensazione di accoglienza, calore e comfort che va ben oltre l’ambiente fisico e include un aspetto emozionale e sociale, spesso legato al trascorrere del tempo con le persone che ci piacciono, con cui stiamo bene, gustando del buon cibo o immergendoci in un’atmosfera serena, piena di calore umano. È simile al concetto danese di HYGGE, ma il KOSELIG è più strettamente legato alla natura e allo stile di vita nordico, che enfatizza il piacere delle piccole cose, per affrontare al meglio i lunghi inverni. È quel mix, prima accennato, che parte dal semplice accendere candele per arrivare al condividere un pasto con gli amici, così come fare una passeggiata nella neve respirando l’aria gelida, ma catturando quel senso di benessere e contentezza.

Amici, se la cosa ci stuzzica, potremmo anche noi  portare un po’ di KOSELIG nella nostra vita quotidiana! Come, direte Voi? Per esempio: 1.Proviamo a creare un ambiente accogliente:  Illuminazione soffusa con uso di candele, lampade a luce calda, tenue, per creare un’atmosfera rilassante; usiamo anche coperte di lana, cuscini soffici o tappeti per rendere gli spazi più confortevoli. 2.Connettiamoci con la natura. Possiamo portare delle piante in casa, in vaso, e uscire in compagnia anche d’inverno seppure faccia molto freddo. Respiriamo aria fresca e ammiriamo la natura: ci aiuta a rilassarci. 3. Condividiamo dei momenti con chi stimiamo. Organizziamo serate tranquille con amici o familiari, magari giocando a carte o con giochi da tavolo, oppure guardando un film. Prepariamo un pasto semplice ma delizioso, da gustare insieme. La convivialità è al centro del koselig!

4. Diamo valore alle piccole cose. Godiamoci una tazza di tè caldo o cioccolata mentre leggiamo un libro o ascoltiamo musica rilassante. Facciamo una pausa per apprezzare il momento presente, magari osservando la pioggia, o, ancora meglio, una giornata di sole invernale. 5. Vestiamoci in modo comodo e caldo. Indossiamo maglioni di lana, calze spesse e vestiti che ci fanno sentire al sicuro e protetti dal freddo. Il KOSELIG, in realtà, non riguarda i possibili grandi cambiamenti, ma è l’arte di trovare gioia nelle piccole cose e nei normali momenti di vita quotidiana!

Cari amici, che ne dite della saggezza dei popoli nordici? Io Credo che abbiano davvero ragione! Proviamo ad applicare anche noi la loro filosofia!

A domani.

Mario

domenica, dicembre 22, 2024

I SARDI E LE LORO COLORITE, IRONICHE ESPRESSIONI. ECCONE UNA: “IN SU CORRU DE SA FURCA”. LE ORIGINI DI QUESTO CURIOSO MODO DI DIRE.


Oristano 22 dicembre 2024

Cari amici,

La saggezza dei sardi è ampia e antica, in quanto si è lentamente forgiata nel tempo! I lunghissimi anni di dominazioni non hanno, però, mai abbattuto i sardi, la cui resilienza è diventata nei secoli coriacea e proverbiale. Essendo un popolo saggio, la sopportazione è stata superata in mille modi, quasi sempre ironici, che a volte sono stati espressi in versi, taglienti come la lama della onnipresente “leppa”, oppure in metafore, in modi di dire e proverbi, tutti impregnati di grande, ironica saggezza. Oggi voglio riflettere con Voi su una antica espressione popolare, usata in particolare nel Sud dell’isola: “IN SU CORRU DE SA FURCA”, detto che, tradotto letteralmente, significa “Nel corno della forca”.

È questa un’espressione che per i sardi racchiude in sé, al suo interno, secoli di storia, sofferenze, dominazioni e vessazioni, un'esternazione tagliente, che però è frutto di una cultura di grande saggezza, accompagnata, come è da sempre per i sardi, da un pizzico di caustica ironia, che caratterizza da sempre l’animo del resiliente popolo sardo. A ben pensare, chi non conosce a fondo i sardi si meraviglia non poco nel sentire questo detto, non capendo cosa veramente intenda dire chi pronuncia questa espressione colorita, usata nelle occasioni più diverse, in particolare nel Sud dell’isola.

Entrando nei dettagli, la menzionata forca, sa “FURCA” (o Sa Frucca, a seconda delle zone) non è riferita a quell'attrezzo agricolo (il forcone) in auge nella civiltà contadina, ma a quel tristissimo strumento di morte col quale, nei tempi passati, venivano impiccati i sardi rivoltosi, colpevoli di non rispettare le leggi degli invasori. Ovviamente quella richiamata nel detto è una forca metaforica, seppure riferita a quel luogo terribile, tanto temuto, e purtroppo sempre presente nella memoria. Insomma la FORCA utilizzata come metafora di un luogo di pena, di condanna, insomma di un posto proprio sgradito. Vediamo alcuni esempi che aiutano a capire il reale significato di questo ironico, antico detto.

Facciamo l’esempio di due amici cagliaritani che passeggiano; ad un certo punto uno dei due dice: “Oh Tore, ma aundi mi ses portendi a fai custa passillara? In su corr’e sa furca?” Detto che, tradotto, suonerebbe più o meno così: “Oh Salvatore, ma dove mi stai portando per fare questa passeggiata? Nel corno della forca?”. Insomma, un modo per negare il gradimento ad una località poco nota, lontana, magari difficile da trovare e da raggiungere. Facendo un altro esempio, se Giorgio volesse chiedere a Osvaldo dove si trova una certa strada o una località poco nota, potrebbe scherzosamente dire: “E innui esti custu logu, in su corr’e sa furca?” (E dove si troverebbe questo posto, nel corno della forca?), sottintendendo che quel luogo, alla persona che pronuncia la frase, appare così remoto da far pensare di essere quasi impossibile da trovare. In sintesi, l’espressione “In su corru de sa furca”, ancora oggi risulta usata dai sardi per indicare un posto irraggiungibile o, comunque sgradito e difficoltoso da raggiungere.

Amici, a completamento di quanto ho detto prima sull’uso metaforico della “Forca”, strumento che racchiude in sé secoli di sofferenza, dominazioni e  vessazioni, accomunare quell’antico, terribile strumento di morte, per secoli usato senza pietà dai dominatori, è diventata per i sardi una specie reazione-liberazione. I sardi, grazie alla loro abilità espressiva, adorano le metafore: sono un modo forte di accomunare, idealmente, come in questo caso, il triste strumento di morte con ciò che fa paura, che non si conosce o che non è gradito. Mettere insieme, metaforicamente, la forca con l'ignoto che preoccupa, è un modo per esorcizzare il male di oggi rapportandolo a quello di ieri! Ecco l’accostamento ironico tra qualcosa che oggi non gradito con  l’antico strumento di morte qual era la forca!

La forte psiche dei sardi, forgiata da secoli di resilienza, ha creato nel tempo espressioni fortemente ironiche, che sono servite di certo a minimizzare il male patito. La violenza esercitata dallo strumento della forca, col suo fascino malevolo, ha creato, come abbiamo detto, accostamenti col vivere corrente. Il “corno della forca”, usato metaforicamente dai sardi, rappresenta anche il concetto di limite, di confine ultimo dello spazio conosciuto. È come se, usando l’espressione “In su corru de sa furca”, i sardi volessero dire: “Siamo andati così lontano che abbiamo raggiunto il punto dove finisce il mondo noto e inizia l’ignoto”.

Si, amici, L’ironica mente dei sardi, forgiata da anni di resilienza, riesce ad accostare, in modo poetico, seppure triste e allo stesso tempo macabro, strumenti di tortura e luoghi poco graditi e difficilmente accessibili. Nel linguaggio corrente dei sardi c’è anche il termine “Curruncoi”, che, letteralmente trasdotto, vuol dire angolo sgradito; credo che sia anch’esso un termine usato, come abbiamo detto prima, alla stessa stregua del “Corno”, ma con il concetto di confine di uno spazio. Ebbene, tornando all’espressione  “Su corru de sa furca”, i sardi usano in mille modi, anche per indicare pesanti carichi di lavoro,  situazioni complicate o imprese particolarmente difficili. Per esempio, se un impiegato stanco ed esasperato sbottasse dicendo: “Questo lavoro mi sta portando in su corru de sa furca”, potrebbe significare che il suo carico di lavoro è diventato troppo pesante, che lo sta spossando in modo tale da portarlo al limite della sopportazione.

Amici, prima di chiudere, voglio ricordare a Voi che gran parte delle espressioni sarde prima ricordate, sono sfoghi usati anche nella versione “FRASTIMU”, ovvero in maledizioni in salsa isolana. Quando qualcuno vi augura “Bai a su corru mannu  de sa furca”, vi sta praticamente dicendo, in modo poco gentile, di andare (anzi vi sta mandando…) a quel paese! Insomma, il popolo sardo ha saputo trasformare le difficoltà della sua difficile storia usando con grande ironia un linguaggio fortemente ironico, alquanto ricco e immaginifico!

Cari amici, io, da sardo verace, credo che l’espressione “IN SU CORRU DE SA FURCA” sia una perfetta sintesi della forte resilienza dei sardi, stemperata con grande ironia con queste colorite espressioni. Ironia che è frutto di anni di lotta contro i popoli che l’hanno calpestata; lotta spesso persa, ma che denota la capacità dei sardi di sorridere anche nelle avversità, trasformando il macabro in umorismo, e creando spesso versi poetici capaci di lenire la durezza della vita. I sardi sono un popolo unico, forte e resiliente, che è stato capace, da sempre, di vincere tutte le avversità!

A domani.

Mario

 

sabato, dicembre 21, 2024

IL FREDDO INVERNO è ARRIVATO: PROVVEDIAMO A RINFORZARE IL NOSTRO SISTEMA IMMUNITARIO PER AFFRONTARE I MALI DI STAGIONE. ECCO ALCUNI CONSIGLI.


Oristano 21 dicembre 2024

Cari amici,

L’estate è ormai lontana e, da un po', anche l’autunno ha lasciato il posto all’inverno. Le calde temperature che ci consentivano di muoverci liberamente, praticamente svestiti e all’aria aperta, sono solo un ricordo, tant’è che abbiamo già provveduto a fare il cambio di stagione indossando i capi più caldi. Si, ora l’importante è difendere dal freddo il nostro corpo, perché la temperatura più bassa diminuisce le nostre difese immunitarie. Durante i mesi invernali, infatti, assumiamo meno vitamina D a causa della minor esposizione al sole. Gli studi e le ricerche sull’argomento confermano l’importanza della vitamina D, in quanto essa svolge un ruolo essenziale nel mantenimento di un buon sistema immunitario.

Con l’arrivo dell’inverno, infatti, oltre alla scarsa esposizione al sole, il freddo inibisce l'attività delle cellule deputate alla difesa del nostro corpo, oltre al rallentamento della motilità delle ciglia delle vie respiratorie, quelle strutture che permettono di espellere le goccioline virali; inoltre trascorriamo molto più tempo in casa, al chiuso. Da tutto ciò ne deriva l’assoluta necessità di attrezzarci per individuare e reperire le migliori soluzioni, capaci di rafforzare il nostro sistema immunitario durante l'inverno. Per farlo possiamo utilizzare diversi strumenti, a partire dall’alimentazione.

Si, amici, nella stagione fredda il nostro sistema immunitario è messo a dura prova. Non solo con l’abbassamento delle temperature siamo più esposti a virus e batteri, capaci di costringerci a letto per settimane intere, ma anche per l'intervento di altri fattori ci indeboliscono, come ad esempio gli sbalzi di temperatura. Per combattere questo pericolo dobbiamo alimentarci in modo consono, altrimenti le nostre difese naturali ne escono alquanto indebolite. Consumiamo, dunque, cibi ricchi di vitamina C: frutta in abbondanza, come agrumi, e kiwi e una varietà di verdure, specie a foglia verde, come cavoli e peperoni, che aiutano a rafforzare le difese immunitarie e a ridurre la durata delle malattie.

Assumere adeguate quantità di vitamina C è essenziale, sia per produrre globuli bianchi che per sostenere le loro azioni, aumentando così le barriere naturali contro gli agenti esterni. Fortunatamente, in questo periodo non è difficile fare il carico di vitamina C, perché alquanto presente in numerosi tipi di frutta e di verdure. Molte verdure a foglia verde sono ricche anche di Vitamina A, anch’essa essenziale per mantenere le mucose sane, una prima linea di difesa contro i germi patogeni. Non dimentichiamo mai, inoltre, che sia la frutta che la verdura sono bel più efficaci “a crudo”, perché la vitamina C è purtroppo termolabile e, quindi, se ne perdono, in parte, le proprietà con la cottura.

Anche le Vitamine A ed E sono alquanto necessarie per combattere i radicali liberi. Questi rappresentano una fisiologica conseguenza dei processi ossidativi dovuti all’attività cellulare di tutti i tessuti dell’organismo. Il loro rilascio, tuttavia, ha conseguenze importanti sugli stessi tessuti, in quanto i radicali liberi limitano la naturale rigenerazione delle stesse cellule e accelerano i processi d’invecchiamento. Fatto non meno importante è che i radicali liberi indeboliscono anche il sistema immunitario! I radicali possono essere neutralizzati con l'assunzione di vitamina A e di vitamina E. Frutta secca, semi, verdura a foglia verde e verdure ricche di betacarotene contengono ottime quantità di vitamina C ed E. Anche in questo caso, meglio consumarle crude.

Pensiamo anche all'uso dei Probiotici, coadiuvanti nel sistema immunitario. A dare manforte al nostro organismo, in particolare nel periodo invernale, è, infatti, un apparato intestinale in perfetta forma. È quindi indispensabile mantenere un transito sempre regolare, bevendo molta acqua e seguendo una dieta ricca di fibre, ma anche scegliendo cibi dal buon contenuto di probiotici. Questi non solo stimolano la naturale flora batterica intestinale, ma sono anche degli ottimi alleati del sistema immunitario. I probiotici si trovano in abbondanza nello yogurt classico e greco, ma anche nel kefir e in molti cibi fermentati.

Amici, altro elemento straordinario, che non deve mai mancare nella nostra dispensa è il MIELE! I buonissimi prodotti dell’alveare, forniti dalle api, sono stati sempre di grande aiuto, a partire dal miele. Miele, propoli e pappa reale, sono un vero toccasana per rinforzare le difese del nostro organismo durante la stagione fredda. Ovviamente, bisogna, però, utilizzare prodotti di qualità, meglio ancora se provenienti da apicoltura biologica. A tutto questo, però, cari amici, dobbiamo aggiungere qualcosa di ugualmente importante, che non dobbiamo mai sottovalutare: uno stile di vita sano, senza il quale il sistema immunitario non raggiunge il suo meglio.

Amici, per “Stile di vita sano”, si intende una vita possibilmente serena, senza stress; ecco i suggerimenti: 1. dormire almeno 8 ore al giorno; 2.praticare regolare attività fisica; 3.dedicare qualche momento della giornata alla meditazione o, ancora, allo yoga o al pilates; 4.fare lunghe passeggiate all’aria aperta anche in inverno; 5.evitare fumo, alcol o altre sostanze eccitanti. In questo modo, tra l’adozione di uno stile di vita sano e un’alimentazione corretta, ci sarà più facile, anche in inverno, affrontare i più comuni malanni di stagione, grazie a un sistema immunitario rinvigorito e combattivo! Provare per credere!

A domani.

Mario

 

 

 

venerdì, dicembre 20, 2024

IL MAIS E I SUOI MERAVIGLIOSI FILAMENTI (STIGMI) DI SETA. ALQUANTO BENEFICI PER LA NOSTRA SALUTE.


Oristano 20 dicembre 2024

Cari amici,

La pianta del MAIS,  da noi più nota come Granoturco, è una pianta erbacea annuale della famiglia delle graminacee; vegetale coltivato dalle popolazioni indigene in Messico centrale fin dai tempi preistorici (circa 10.000 anni fa), successivamente dal Messico si diffuse prima nelle zone precolombiane e poi in tutto il Continente americano. Il viaggio del "grano delle Indie", come originariamente il Mais veniva chiamato, arrivò anche in Europa, portato in Spagna da Cristoforo Colombo nel 1493, e, nei primi decenni del Cinquecento, si diffuse dalla penisola iberica alla Francia meridionale, poi all'Italia settentrionale ed ai Balcani.

Il frutti della pianta del mais sono delle curiose pannocchie rivestite di strati avvolgenti simili a foglie che proteggono i numerosi chicchi spesso di variopinti colori. Aprendo le pannocchie troviamo dei numerosi, lunghi filamenti, simili ai nostri capelli, che, anche se molti non lo sanno sono ricchissimi di sostanze benefiche per il nostro organismo. Questi filamenti sono gli stimmi (o stigmi) del mais; in botanica sono il gineceo, l’apparato riproduttivo della pianta, pronto a ricevere il polline dal fiore maschio nel processo dell’impollinazione. Questi lunghi, curiosi filamenti, inizialmente di  colore verde, diventano successivamente rossi, gialli ed infine marroni, quando cominciano a disidratarsi. Da freschi sono croccanti e dolciastri e lunghi fino a 30 cm.

Ebbene, la cosiddetta “Seta di mais”, come fu comunemente chiamata, al giorno d’oggi, è spesso trascurata e scartata. Invece, per secoli, questi filamenti sono stati un punto fermo della medicina tradizionale, in quanto offrivano un’ampia gamma di benefici per la salute. Ricca di sostanze nutritive come il potassio, i flavonoidi e gli antiossidanti, la seta di mais anche oggi può essere utilizzata in molte forme, come tè, estratti e polveri. Agisce come diuretico, contribuendo ad aumentare la produzione di urina e a ridurre il rischio di infezioni del tratto urinario. Aiuta l’organismo ad eliminare l’acqua e il sodio in eccesso, riducendo la ritenzione idrica e il gonfiore. Alcuni studi suggeriscono che la seta di mais può migliorare la sensibilità all’insulina e abbassare i livelli di zucchero nel sangue, soprattutto nei soggetti affetti da diabete di tipo 2. Inoltre, la seta di mais contiene antiossidanti che riducono l’infiammazione, a beneficio di patologie come l’artrite e le malattie infiammatorie intestinali.

E non è tutto. La seta di mais, contribuendo a ridurre il colesterolo e la pressione sanguigna, favorisce la salute del cuore e del sistema vascolare; il potassio può aiutare a ripristinare e bilanciare gli elettroliti, il che è particolarmente importante dopo l’attività fisica. Gli effetti calmanti della seta di mais sul sistema nervoso possono contribuire ad alleviare i sintomi di ansia e depressione lieve. Uno dei modi più semplici ed efficaci per utilizzarla è proprio la preparazione di un tè con questi filamenti essiccati, mettendoli in infusione in acqua.

Amici, gli stimmi di mais essiccati si prestano a diverse preparazioni, leggere o più intense, sia sotto forma di infusioni che di decotti. Ecco alcuni modi.  Infuso di stimmi di Mais. Dosi: 1 cucchiaino di stimmi di mais, una tazza (150 - 200 ml) di acqua. Preparazione: Portare l’acqua al bollore e versare sugli stimmi, che vanno lasciati in infusione per 20 – 30 minuti. Filtrare e bere. La posologia prevede un utilizzo della tisana diverse volte al giorno. Decotto di stimmi di Mais. Dosi: 1 cucchiaio raso di stimmi di mais (3 – 5 gr), 250 ml di acqua. Preparazione: Portare l’acqua all’ebollizione e aggiungere gli stimmi, che vanno lasciati in acqua per 15 – 20 minuti, a fuoco lento. Filtrare il liquido e berlo, eventualmente dolcificato.

Come per tanti altri prodotti di origine naturale, anche Il consumo degli stimmi, pur non rappresentando particolari avversità, va fatto consultando il medico o il farmacista. La pianta appartiene ad una famiglia per la quale sono note possibili reazioni allergiche, specie durante i periodi dell’impollinazione. Sconsigliato l’uso per coloro che sono a conoscenza di un’allergia ad uno dei composti della pianta o che manifestano intolleranze ad altre Graminacee. Inoltre, non utilizzare in concomitanza con altri diuretici e nel periodo della gravidanza.

Cari amici, la natura, se ben utilizzata, è sempre una grande farmacia naturale!

A domani.

Mario