martedì, novembre 30, 2021

LE NOSTRE UNGHIE: SONO INDICATORI AFFIDABILI DEL NOSTRO STATO DI SALUTE. I SEGNALI CHE POSSIAMO UTILIZZARE COME CAMPANELLI D’ALLARME.


Oristano 30 novembre 2021

Cari amici,

Chiudo i post di novembre parlando di  alcuni problemi del nostro corpo. Per molti di noi l’unica preoccupazione che normalmente le nostre unghie ci danno è quella di accorciarle, in quanto crescono in continuazione. Poco, invece, ci preoccupiamo del loro stato di salute, prestando poca attenzione. Eppure il nostro è un comportamento sbagliato, in quanto esse costituiscono una grande “spia” del regolare funzionamento del nostro corpo. In realtà ci dovremmo preoccupare delle nostre unghie, sia delle mani che dei piedi, quando per qualche motivo notiamo dei cambiamenti evidenti, ovvero quando il loro aspetto inizia a cambiare.

Cambiamenti che possono riguardare il loro colore, oppure la struttura e la forma, in quanto sono davvero tanti, i disturbi che possono colpire le unghie modificandone l’aspetto; esse possono essere colpite da deformità, distrofie, infezioni, tenendo presente anche che le infezioni possono interessare qualsiasi parte dell’unghia, creando anche dolori poco sopportabili (in particolare in quelle dei piedi che devono sopportare, camminando, il peso del nostro corpo).

Sono in particolare le micosi a creare la gran parte delle infezioni alle nostre unghie, fastidi facilmente curabili con soluzioni fai da te, ma esse possono anche essere aggredite da infezioni batteriche e virali e, in questo caso, esse sono una “spia” indicante patologie anche abbastanza gravi. Ebbene, amici, oggi ho deciso di scrivere questo post dedicandolo alle unghie, quella parte abbastanza trascurata del nostro corpo, per vedere insieme cosa fare in caso di segnali particolarmente allarmanti.

Partiamo dall’aspetto che deve avere un’unghia “sana”. L’aspetto delle unghie non è solo una questione estetica; la struttura, la forma e il colore che nel tempo vanno ad assumere, sono indicatori importanti dello stato di salute del nostro organismo. Le unghie sane presentano una superficie levigata, un colore roseo e una buona resistenza. Quando le unghie diventano fragili, diventate sottili, molli e opache, che tendono a spezzarsi e a scheggiarsi facilmente, esse evidenziano una carenza nel nostro corpo di vitamine (A, B6, E) o di sali minerali (ferro, selenio, rame, zinco).

Quando, invece, le nostre unghie evidenziano un certo ingiallimento, ciò può dipendere da patologie in atto dell’apparato respiratorio (pleuriti, sinusiti croniche, bronchiti). In questo caso a diventare gialle sono anche le unghie dei piedi. Quando, invece le unghie diventano blu-violacee, ciò potrebbe indicare la presenza di problemi cardiocircolatori; se la circolazione del sangue non avviene in maniera corretta, infatti, i tessuti non sono ben ossigenati e assumono un colore blu, ben evidente nelle unghie.

Se si formano delle righe verticali sulle unghie, esse possono evidenziare il naturale processo di invecchiamento, oppure la presenza di eczemi cronici. La presenza di zone bianche e zone brune sull’unghia possono indicare la presenza di un fungo (si parla di onicomicosi); per evitare che l’infezione si estenda anche ad altre unghie è bene intervenire tempestivamente, consultando il dermatologo. Invece, le unghie bianche che presentano una striscia rosa nella parte finale, possono essere spia di una cirrosi epatica.

Le unghie così dette a cucchiaio (coilonichia), possono segnalare una carenza di ferro e quindi un’anemia. Le unghie a cucchiaio possono essere dovute anche a problemi alla tiroide o essere conseguenti a traumi professionali. Le unghie a vetrino di orologio, sono invece malformazione detta anche ippocratismo digitale; è questa un’anomalia che coinvolge tutte le unghie che si presentano convesse, proprio come un vetrino di un orologio, e vanno a ricoprire la punta dei polpastrelli. Può manifestarsi in caso di patologie dell’apparato respiratorio, del fegato e dell’intestino e in coloro che abusano di alcol o che sono forti fumatori.

Le unghie a ditale, invece, sono quelle che presentano piccole depressioni a forma di cupola sulla superficie; sono un segno evidente di patologie della pelle, come psoriasi, alopecia areata e allergia da contatto. Le unghie cosiddette “a grotta”, ovvero quando tendono a crescere verso l’alto con conseguente ispessimento delle estremità, sono dovute alla formazione di una cavità sottostante (detta grotta) che si riempie di materiale corneo. Questa anomalia può essere legata a una disfunzione della tiroide o alla psoriasi; se colpisce le unghie dei piedi invece, la causa può risiedere in scarpe troppo strette che danno vita a traumi continui.

Quando, invece, le unghie si ispessiscono al punto da assomigliare a un artiglio, si parla di onigrifosi. Questa anomalia è legata all’invecchiamento del compartimento vascolare delle unghie e infatti è una caratteristica delle persone anziane; può però anche derivare dall’uso di scarpe dalla punta troppo stretta. Quando avviene il facile distaccamento delle unghie, ciò può derivare da un’intossicazione da farmaci o dalla presenza della sindrome di Raynaud, una malattia in cui si ha un’interruzione temporanea dell’afflusso di sangue alle dita delle mani. Se avvertiamo, invece, un certo dolore quando si preme un’unghia, è possibile vi sia un glomo, una formazione vascolare del letto ungueale. È necessario consultare il dermatologo per asportarlo.

Cari Amici, termino parlandovi dell’unghia incarnita. L’unghia si incarnisce quando la parte laterale dell’unghia penetra nel derma e non scorre in avanti. Questo genera una serie di infezioni molto dolorose e la formazione di noduli reattivi. Le unghie incarnite sono spesso dovute alla forma del piede, ma l’obesità e l’uso di calzari rigidi possono favorirne la comparsa. Questo disturbo va trattato tempestivamente, per evitare brutte complicanze, in particolare nei piedi.

Amici, è probabile che nei prossimi giorni vi parli ancora di unghie: in particolare di quelle “mezzelune” che abbiamo sulle nostre unghie. Esse rivelano ancora tanto dello stretto legame tra le unghie e il nostro corpo!

A domani.

Mario

lunedì, novembre 29, 2021

VUOI INVECCHIARE BENE? TIENI COSTANTEMENTE ALLENATA LA MENTE MA ANCHE IL CORPO. INTEGRARE L’ATTIVITÀ FISICA CON QUELLA MENTALE RISULTA INDISPENSABILE.


Oristano 29 novembre 2021

Cari amici,

Una volta terminata l’attività lavorativa, in tanti pensiamo che giunti all’età della pensione sia necessario rilassarsi, smettere di muoversi, di correre di affannarsi come si è fatto per tanti anni. Il nostro pensiero è rivolto al relax, alle lettura del giornale, di qualche libro ed alle chiacchierate con gli amici. In realtà la sedentarietà che molti sognano non risulta essere salutare! Il nostro organismo è fatto per continuare a muoversi, ha necessità di essere tenuto in costante allenamento, ovviamente nei giusti modi.

Ci siamo mai chiesti qual è l’impatto che può avere l’attività fisica sul cervello? Quanto una passeggiata, una corsa in bicicletta o un allenamento in palestra possano davvero proteggere il nostro cervello? Forse no, ma dobbiamo prendere atto che la risposta a questa domanda è affermativa! Si, amici, la senilità va vissuta praticando un doppio, costante allenamento: quello del corpo e quello della mente; eppure molti di noi sono portati a pensare che sia il nostro cervello che il resto del nostro corpo, arrivati ad una certa età, debbano essere messi a riposo. Niente di più sbagliato! La salute del nostro cervello la si ottiene tenendolo allenato, sempre curioso di scoprire cose nuove, impegnato nella lettura e possibilmente nella scrittura; ma a questo allenamento dobbiamo aggiungere l’allenamento del corpo, mediante l’esercizio fisico.

La dottoressa Wendy Suzuki, una neuroscienziata che dirige un laboratorio alla New York University, con il quale ha vinto numerosi riconoscimenti per i suoi studi, tra cui il Troland Research Award dell’Accademia Nazionale di Scienze, sostiene che l'esercizio fisico sia la cosa più giusta per conservare in perfetta forma il nostro organismo, in quanto capace di influenzare positivamente, “trasformandolo”, il nostro cervello. Lei sostiene che Il cervello è la struttura più complessa del nostro corpo; l'ippocampo è la parte del cervello che permette di formare e conservare i ricordi, mentre la corteccia prefrontale è la parte del cervello responsabile del processo decisionale, della messa a fuoco, dell'attenzione e della personalità.

La dott.ssa Suzuki ha scoperto lo straordinario modo in cui l’esercizio fisico influisce sul nostro cervello mentre lavorava a un progetto legato alla memoria. Lavorando senza sosta tutti i giorni si era però allontanata dalla consueta vita sociale, e ciò, si rese conto, la stava rendendo infelice e perfino obesa. A quel punto decise di cambiare la propria vita e di iniziare a fare le lezioni non più in aula ma in palestra. La ricercatrice iniziò subito ad avvertire grandi miglioramenti sull'umore e sui livelli di energia dopo ogni lezione, cosa che la spinse a continuare, accorgendosi di essere più motivata.

Accompagnando le lezioni con l’esercizio fisico, si accorse di essere diventata più sana e forte, visti anche gli evidenti benefici ottenuti in altri settori della sua vita. Si sentiva più concentrata nel lavoro e anche la memoria di lungo termine sembrava migliorata. A quel punto cominciò a studiare gli effetti dell'esercizio fisico sul cervello ed entrò in un'area di ricerca sempre più vasta. Scoprì così che ogni singolo allenamento aumentava immediatamente i livelli di dopamina, serotonina e noradrenalina, ormoni che provocano il miglioramento dell'umore; inoltre, ogni singolo allenamento serviva ad aumentare significativamente la concentrazione e l'attenzione subito dopo. Questi effetti potevano durare fino a due ore.

Il risultato fu un netto miglioramento dei riflessi, ma anche altri furono i vantaggi immediati dell'esercizio fisico, in particolare i benefici di lunga durata, rinvenienti da un costante e regolare esercizio fisico. Questo perché un'attività fisica costante può cambiare l'anatomia, la fisiologia e il funzionamento del cervello. Ad esempio, l'esercizio fisico provoca la creazione di nuove cellule cerebrali (neuroni) nell'ippocampo! Questo contribuisce a migliorare la memoria a lungo termine, oltre i livelli di attenzione e concentrazione, con l’espandersi della corteccia prefrontale.

Il risultato più sorprendente dello studio della  dottoressa Wendy Suzuki  fu che le due aree del cervello prima citate, l'ippocampo e la corteccia prefrontale, dimostrarono di essere le più sensibili alle malattie degenerative come la demenza e il morbo di Alzheimer. L'esercizio fisico non ci rende immuni da queste malattie, ma ne ritarda e riduce gli effetti. L'attività fisica, dunque, aiuta a costruire un cervello forte, in grado di combattere i sintomi per lungo tempo.

Amici, certamente interessanti gli studi di questa neuroscienziata, ma sono certo che la domanda che tutti ci poniamo è: qual è la quantità minima di esercizio fisico che dovremo fare per ottenere questi interessanti benefici? La regola generale è che sia necessario un allenamento effettuato almeno tre o quattro volte la settimana, con un minimo di 30 minuti ogni volta. È essenziale fare esercizio aerobico, in quanto è necessario raggiungere un aumento del battito cardiaco e anche una certa sudorazione!

Cari amici, la senilità (io nato nella prima metà del secolo scorso odio chiamarla vecchiaia) va vissuta sempre con curiosità e ironia. Continuare ad allenare con letture e con lo scrivere il cervello, è più positivo se ci aggiungiamo anche la giusta dose di movimento. Uscire tutti i giorni per una passeggiata, prendere più spesso le scale anziché l'ascensore, muoversi in casa mentre la teniamo in ordine e tenere pulito il giardino, sono cose importanti da fare tutti i giorni. Crede che i due allenamenti mente/corpo massimizzeranno i benefici che possiamo ottenere, fornendoci la migliore protezione possibile. Invecchiare bene, dipende molto da noi!

A domani.

Mario

domenica, novembre 28, 2021

CUREREMO IL COVID CON LE PILLOLE? FORSE, MA MOLTI DUBBI RESTANO, IN PARTICOLARE PER LE POSSIBILI VARIANTI.



Oristano 28 novembre 2021

Cari amici,

Gli entusiasti in realtà sono tanti, ma restano sul tappeto tutta una serie di dubbi, sul fatto che il Covid-19 possa essere curato con le pillole, come l’influenza. Solo Sogni per ora. Ma vediamo i diversi pareri che circolano in queste ore, nelle quali tra l’altro le infezioni stanno aumentando, le varianti appaiono sempre più pericolose  e non si prevede certo un Natale ed un Fine Anno di serenità e tranquillità.

Intanto le società Merck e Ridgeback, produttrici del farmaco anti Covid in pillole, hanno fatto domanda alla FDA degli USA per avere l’autorizzazione alla somministrazione della pillola nel trattamento di Covid-19 da lieve a moderato negli adulti a rischio di progressione verso forme gravi e di ricovero in ospedale. La richiesta sarà discussa dagli esperti dell’Ente americano il prossimo 30 novembre, durante la riunione del Comitato consultivo FDA sui farmaci antimicrobici. La lista dei Paesi acquirenti intanto aumenta di giorno in giorno e va dalla Francia (50.000 dosi) all’Indonesia (tra 600.000 e 1 milione), passando per Malesia (150.000), Filippine (300.000), Corea del Sud e Tailandia 200.000.

Nel frattempo il Regno Unito  si è già espresso in modo favorevole per l’utilizzo del farmaco, primo Paese al mondo a concedergli il via libera (con prelazione di 480.000 dosi). Merck prevede di produrre 10 milioni di cicli di Molnupiravir (questo il nome del farmaco) entro fine 2021, e almeno 20 milioni nel 2022. Un ruolo da battistrada nella corsa a “fare scorta” di molnupiravir è degli Stati Uniti, che eserciterà due delle sue opzioni per acquistare un totale di 1,4 milioni di cicli aggiuntivi del farmaco orale, per circa 1 miliardo di dollari, se al prodotto verrà concessa l’autorizzazione all’uso di emergenza (EUA) o l’approvazione da parte della sua autorità regolatoria. Esercitando queste opzioni, il governo USA si è impegnato ad acquistare complessivamente circa 3,1 milioni di cicli di molnupiravir, per circa 2,2 miliardi di dollari. Al governo americano resta ancora la possibilità di acquistare oltre 2 milioni di cicli addizionali, attraverso ulteriori opzioni previste dal contratto.

Insomma, si è scatenata una vera corsa al vaccino, ma i dubbi sulla sua reale efficacia restano forti. A pochi giorni dall'autorizzazione concessa nel Regno Unito per l’uso del nuovo medicinale antivirale orale (sviluppato anche da Merck Sharp & Dohme), un autorevole virologo su Science ha messo in dubbio la scelta. William Haseltine, un virologo che ha lavorato all'Università di Harvard, noto per il suo lavoro sull'HIV e il progetto sul genoma umano, sostiene che l'uso di molnupiravir potrebbe scatenare nuove varianti più letali di SARS-CoV-2.

"Stiamo mettendo in circolazione un farmaco che è un potente mutageno in un momento in cui siamo profondamente preoccupati per le nuove varianti – ha detto  William Haseltine - non riesco a immaginare di fare qualcosa di più pericoloso". Anche Aris Katzourakis, virologo presso l'Università di Oxford, sul molnupiravir, ha detto: "Non credo che siamo nella posizione di trattenere un farmaco salvavita per un rischio che può o non può accadere".

Secondo i funzionari di Merck e Ridgeback, i risultati di uno studio clinico hanno messo in luce che la somministrazione del farmaco a pazienti affetti da Covid-19 all'inizio della malattia, ha ridotto del 50% (percentuale poi ridotta al 30%) il rischio di ospedalizzazione e morte. La capacità del farmaco di mutare l'RNA, però, ha sollevato timori persistenti che possa indurre mutazioni nel materiale genetico di un paziente; in sintesi che il farmaco potrebbe causare cancro o difetti alla nascita. Gli studi finora, però, non hanno confermato tali timori. Se i pazienti COVID-19 si sentono meglio dopo un paio di giorni e smettono di prendere molnupiravir, Haseltine teme che i mutanti virali sopravviveranno e forse si diffonderanno ad altri.

Cari amici, seppure non esperto in materia, sono convinto che questo virus è di una pericolosità altissima, capace di mutare in continuazione per cercare di schivare i farmaci che lo combattono. Io per ora credo che dobbiamo continuare con i vaccini, mantenere l’uso della mascherina evitando gli assembramenti e utilizzando i presìdi consigliati fin dall’inizio, ovvero sanificazione e lavaggio delle mani. Credo anche che debba essere consigliata la terza dose per tutti, da fare dopo i 5 mesi dalla seconda. E che Dio ce la mandi buona!

A domani.

Mario

sabato, novembre 27, 2021

IN SARDEGNA L'ULIVO NON ARRIVÒ PORTATO DAI FENICI O DAI ROMANI, MA RISULTAVA PRESENTE FIN DAL PERIODO NURAGICO. UNA BELLA E LUNGA STORIA.


Oristano 27 novembre 2021

Cari amici,

Olivastro di Luras

Non furono certo i numerosi conquistatori, che per secoli arrivarono in Sardegna per dominarla, a portare e coltivare l’olivo, necessario per soddisfare sia le necessità alimentari che le altre collegate. È dimostrato che questa pianta risultava già presente in Sardegna fin dal periodo nuragico e forse anche pre-nuragico. Basterebbero ad evidenziarlo, oltre i ritrovamenti archeologici di noccioli di olive in diversi villaggi nuragici, le analisi effettuate sull’olivastro di Luras, un vero, straordinario monumento vegetale, a cui la scienza attribuisce tra i 4 e i 5 mila anni. Si, amici non furono né i fenici né i romani a portare in Sardegna questa pianta insegnandoci a coltivarla, in quanto già presente ben nota!

A conferma della presenza dell’ulivo e dell’olivastro nella nostra isola, ci sono anche gli antichi toponimi di numerose località a dimostrare  che la storia dell’ulivo in Sardegna affonda le sue radici in epoche ben precedenti a quelle fenicie e latine. Toponimi sardi in cui l’accento tonico cade sull’ultima vocale, cosa che non trova riscontro, per esempio, nella lingua latina; Olevà (Buddusò), Olloè (Villagrande Strisaili), Oloè (Oliena), Olovà (Benetutti, Olbia); Ollovè, Olobò (Urzulei). Anche Massimo Pittau, un vero esperto di storia sarda, ritiene che la conoscenza degli ulivi in Sardegna risalga a due millenni prima di Cristo e che, sommati a quelli dopo Cristo, risalga dunque ad almeno 4.000 anni fa!

Macina manuale (disegno di Francesco Corni)

In Sardegna si ignora l’epoca esatta della prima apparizione dell'Olea europea, ferma restando la certezza della presenza millenaria nell’Isola dell’olivastro, la cui presenza è tutt’ora visibile; alcuni ritengono che l’olivo poteva essere già presente in Sardegna, in forme selvatiche spontanee, ben prima, dunque, dell’arrivo delle civiltà greche e fenicie. Gli esemplari di ulivi e olivastri millenari ancora presenti il Sardegna, seppure rari e isolati, fanno ipotizzare che questa pianta ed il suo prodotto, l'olio d’oliva, fossero presenti ed in uso fin dall'epoca nuragica. Questa presunzione è supportata anche dal fatto che risultano ben conosciute, in epoca nuragica, le tecniche di estrazione dell’olio di lentischio, usato anche per l’illuminazione, proveniente dalla flora spontanea che ricopriva e ancora ricopre vaste aree della nostra Isola.

Olivastro di S. M. Navarrese

L'antichissima presenza sul territorio della Sardegna di ulivi e olivastri è ben comprovata anche dall'archeologia, che ha scoperto la presenza di pollini dell'olea europea e/o di olivastro già nell'era post glaciale. La coltivazione di olivi e olivastri è poi proseguita, rinvigorendola, da parte dei monaci e degli spagnoli in epoche più recenti; consuetudine, comunque, ben radicata almeno dall'età nuragica, tanto che a dimostrarlo ci sono i “giganti verdi”, la cui età è di almeno tre o quattro millenni (ad esempio l’olivastro a Luras , e quelli di Santa Maria Navarrese e Sarule). Inoltre, anche i ritrovamenti di noccioli d’oliva in almeno in due contesti nuragici (Duos Nuraghes a Borore e nel villaggio nuragico di Su Putzu a Orroli), confermano l’utilizzo antichissimo della preziosa drupa. Inoltre, tracce della pratica dell'estrazione dell'olio nel periodo nuragico sono state scoperte in diverse località: macine, manuali e in granito, che probabilmente erano utilizzate per olive, o olivastro, e lentisco.

Amici, l'olio, che si ricava sia dall’ulivo che dall’olivastro, da tempo immemorabile fa parte a pieno titolo della “Triade sacra”, assieme al grano e alla vite. Olio, grano e vino hanno da sempre caratterizzato rituali, credenze e rappresentazioni religiose; rituali perpetuati nel tempo e arrivati fino ai giorni nostri, visto che anche nella attuale simbologia cristiana i tre elementi sono sempre presenti e complementari tra loro: il pane e il vino sono corpo e sangue del nostro Dio , mentre l’olio d’oliva e i rami della pianta sono il simbolo della pace e della purificazione.

La dimostrazione che i simbolismi che gravitano su questa sacra pianta e sul suo olio non sono di esclusiva competenza religiosa (prima ebraica e poi cristiana), ci viene dai rituali pre cristiani, praticati quando si adorava il dio sole o quello della luna; l’olio, infatti, alimentava le lampade accese in onore delle divinità. Nella tradizione popolare, poi, le preziose gocce di olio d’oliva venivano usate anche a scopo terapeutico, oppure per preparare pozioni magiche, come togliere i colpiti da energie negative (il malocchio) o addirittura per creare malefici. In alcuni rituali dell’isola, le foglie venivano usate anche come portafortuna e per predire il futuro.

Cari amici, ancora oggi l'ulivo ha un posto di primissimo piano nell’economia agricola dell’Isola. Pianta rispettata e maniacalmente curata, anche ora che il suo prodotto non è più quel simbolo di ricchezza che era sino a metà del '900. Le grandi invasioni di oli industriali, non esattamente genuini e naturali, hanno infatti portato a un grave deprezzamento dell’olio sardo, una volta orgogliosamente definito "oro liquido". Ma il sardo, però, è cocciuto e testardo, essendo rimasto molto attaccato ad usi e antiche tradizioni; caparbio e resiliente,  non si perde facilmente d'animo, e continua imperterrito a curare i suoi oliveti come da millenni hanno fatto i suoi progenitori.

A domani.

Mario

venerdì, novembre 26, 2021

INTERNET E NUOVE GENERAZIONI. LA CRESCITA CULTURALE DEI GIOVANI VA ACCOMPAGNATA DA UNA SERIA FORMAZIONE. LA CONOSCENZA DEL PASSATO PER VIVERE MEGLIO IL FUTURO.


Oristano 26 novembre 2021

Cari amici,

Non sono certo io il primo a dirlo, ma se i millennials sono oggi in gran parte poco acculturati è perché è mancata la loro formazione di base, ovvero ha predominato la convinzione che Internet fosse in grado di sostituire in toto la loro formazione culturale. L’errore lo abbiamo fatto in due: noi, parte attiva della precedente generazione, e loro, attratti e fagocitati dalla nuova tecnologia, nella convinzione di aver scoperto l’uovo di Colombo.

In quest’ottica hanno abdicato prima le famiglie, poi la scuola, col risultato che è mancato quel necessario raccordo educativo capace di portare i giovani a quella formazione culturale che integrasse passato e presente; in sintesi che accogliesse le nuove tecnologie come un efficace supporto alla consolidata cultura millenaria del passato, quale veicolo e guida per il vivere nel nostro millennio. Senza la conoscenza e lo studio del passato mancherebbe quel collante, quel raccordo tra passato e presente, capace di evitare il ripetersi degli errori già fatti.

Lasciare che i giovani si affidino totalmente ad internet è un errore madornale, perché significa avallare la loro convinzione che bastino a formare la loro cultura le notizie ricavate dal Web, e in questo modo l’ignoranza continuerà a correre, limitando enormemente la loro necessaria formazione. Si, amici, perché anche restando tutto il giorno “connessi”, i giovani non riusciranno a completare la reale conoscenza del sapere, e, in questo modo, la loro crescita culturale non aumenterà.

In un mondo ormai globalizzato è universalmente riconosciuto il valore che in ogni società riveste la cultura, intesa nelle sue innumerevoli sfaccettature. Rendere accessibili ai giovani, stimolandoli a prenderne conoscenza, arte, storia, letteratura, cinema, musica, fotografia, oltre a tramandare tradizioni, costumi e modelli di comportamento consolidati nei secoli, serve a mettere insieme passato e presente, e rappresenta il modo migliore per far crescere le nuove generazioni.

I millenials di oggi, fossilizzati nella “zona grigia del web”, dimostrano ogni giorno di più la mancanza di coesione sociale, l’aumento della solitudine interiore, che porta a mali altamente pericolosi, come la discriminazione, il razzismo e il bullismo. Ne sono chiara testimonianza le costanti aggressioni verso coetanei, soggetti fragili e anziani, mancanza di rapporti sociali corretti con i rappresentanti della scuola e delle famiglie. Isolazionismo che porta sempre più spesso alla trasgressione, come l’aumento dell’uso di droghe, dato confermato senza equivoci.

Riuscire a diffondere nei giovani la cultura costruita nei secoli e nei millenni, cari amici, significherebbe svolgere un compito fondamentale per lo sviluppo della società e la formazione delle nuove generazioni. Cultura che riuscirebbe ad integrare le nuove tecnologie, come l’uso dei “social” presso i millenials, che essi considerano una straordinaria opportunità di dialogo; questo connubio sono certo che riuscirebbe a completare quel percorso di formazione e crescita che oggi manca. Sfatiamo il mito, l’illusione, che essere sempre in connessione aiuti la crescita culturale dei giovani. Essa va completata con una seria cultura di base.

Le incongruenze e le deficienze dell’attuale monocultura di Internet appaiono ogni giorno più evidenti.   in questa “zona grigia” si diffondono delle “piante cattive” che crescono: Bullismo, discriminazione e razzismo per primi. La cronaca quotidiana ne è piena, sia con aggressioni fisiche che verbali nel web. Proprio per questo è necessario trovare soluzioni per invogliare i giovani ad acculturarsi seriamente. Perché è attingendo al passato che si può costruire un futuro migliore.

Cari amici, la cultura è l’elemento cardine per formare la società di oggi e di domani, nella quale resti centrale il concetto di umanità, tolleranza, e pacifica convivenza, al di fuori da ogni istanza identitaria. Il patrimonio culturale, materiale e immateriale, accumulato nei millenni, dall’antichità greco-romana all’età contemporanea, è sicuramente il canovaccio su cui costruire una società migliore, memore delle scoperte ma anche degli errori del passato. Cultura, dunque, come vero punto di riferimento ineludibile, per la collettività e i cittadini. Il futuro deve attingere dal passato: il patrimonio culturale è la risorsa strategica per oggi e per domani, per dare un futuro sicuro alle nuove generazioni! Dobbiamo fare ogni sforzo per trasmetterlo ai giovani di oggi.

A domani.

Mario

giovedì, novembre 25, 2021

OGGI 25 NOVEMBRE È LA GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE.


ORISTANO 25 NOVEMBRE 2021

Oggi 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Un male oscuro, frutto di un retaggio antico di dominio maschile che perdura nei secoli. È tempo di dire “no alla violenza sulle donne”, e anche Oristano lo grida a gran voce. Personalmente ho scritto e dedicato al centro antiviolenza di Oristano un libro di poesie, tra cui quella che posto qui (AMORE MALATO), il cui ricavato sarà destinato al funzionamento di questo centro. Lottiamo con coraggio per eliminare questa violenza!

Mario Virdis