martedì, gennaio 31, 2023

LE CITTA' DEL FUTURO? SARANNO AUTOSUFFICIENTI PER ENERGIA, CIBO E ACQUA, GRAZIE ALLE ENERGIE RINNOVABILI.


Oristano 31 gennaio 2023

Cari amici,

Chiudo i post di gennaio parlando con Voi (e anche sognando...) di un futuro energetico rispettoso per l'ambiente, purtroppo sempre più inquinato. Si, che il mondo manifesti pericolose derive capaci di distruggerlo, credo che non sia, ormai, un segreto per nessuno. I cambiamenti del clima, l'aumento della temperatura, stanno portando il mondo intero verso una consapevolezza non più ignorabile o rinviabile: l'energia in futuro dovrà necessariamente essere fornita solo da fonti rinnovabili. Su questo versante, stante la crescente fame di energia prodotta con le fonti rinnovabili, l’ingegno degli studiosi, sta cercando di trovare il sistema per salvare il pianeta. Una delle soluzioni possibili appare quella di strutturare, in modo totalmente autosufficiente, le necessità energetiche delle future città del nuovo millennio.  Queste, infatti, dovranno essere concepite “Carbon Neutral”, ovvero alimentate totalmente da energia rinnovabile, in grado di produrre quanto necessario per i suoi abitanti. L’energia, il cibo e le aziende della produzione dovranno essere in grado di essere autosufficienti, e i residenti potranno, in questo modo, vivere sereni, immersi nel verde e senza inquinamenti.

Utopia, direte Voi? Un sogno irraggiungibile? No, se i progetti in corso per “costruire in modo più consono” le nuove città andranno a buon fine. La URB, una società con sede a Dubai, ritiene infatti che sia giunto il tempo per l’umanità di evolversi in maniera concretamente sostenibile. Per farlo servirà innanzitutto riprogettare i centri urbani, così che diventino loro stessi luoghi rispettosi dell’ambiente, e dove l’integrazione, la cultura ed il benessere siano elemento chiave dello sviluppo. Il progetto portato avanti da URB si chiama “The Parks”, che prevede la costruzione della prima citta in Africa, che sarà un centro urbano concepito nel totale rispetto dell'ambiente, capace di garantire un futuro sostenibile anche per le generazioni future.

Il progetto prevede un’avveniristica “città green” che, a detta degli stessi sviluppatori, è destinata a segnare nuovi standard per la vita urbana ecologica. La cittadina green, che sarà completamente autosufficiente, ospiterà circa 150mila residenti su un'area di 1700 ettari (4.200 acri). Le unità abitative saranno circa 40mila unità e saranno in grado di auto-produrre sia l’energia rinnovabile, che il cibo e l'acqua. La popolazione sarà in grado di muoversi all’interno della città senza l’ausilio di automobili, e questo consentirà di azzerare completamente le emissioni di carbonio.

I servizi di mobilità da una parte all’altra della città, infatti, saranno affidati a piccole navette elettriche che collegheranno i vari quartieri. Tutto ciò che serve a sostenere la popolazione verrà prodotto con metodi innovativi come l'agricoltura idroponica, quella verticale indoor, gli alveari, l'allevamento di pollame sostenibile e l'agricoltura biosalina. Ogni infrastruttura, a partire dalle abitazioni, avrà tutto ciò che serve per la produzione di energia. I pannelli solari saranno disseminati ovunque e alimenteranno la città attraverso una rete condivisa che gestirà la distribuzione dell'energia a seconda delle esigenze. I raggi solari serviranno anche per la produzione di acqua calda.

Amici, gli studi attuali intendono accertare se globalmente il progetto portato avanti da URB possa ritenersi economicamente sostenibile; di certo, comunque, gli attuali modelli di città sono ormai superati e insufficienti a garantire il futuro di una popolazione mondiale in continua crescita. Secondo gli esperti entro questo secolo l’80 per cento circa delle persone si trasferirà nei centri urbani, per cui il sovraffollamento colpirà tutti i Continenti, Africa compresa. Questo costringerà il mondo a cercare e trovare nuove soluzioni urbanistiche, che dovranno mettere tra le priorità la tutela dell’ambiente e quella della salute dell’uomo.

Cari amici, "THE PARKS" è un progetto che promette di essere un'oasi sostenibile da tutti i punti di vista: alimentare, energetico, produttivo e di salvaguardia del pianeta. La produzione alimentare urbana sostituirà le importazioni, mentre l'energia solare sosterrà i bisogni energetici, compresa la produzione dell'acqua necessaria nella città e nei campi, sfruttando la tecnologia aria-acqua. La pianificazione, la costruzione e la manutenzione della città creeranno più di 40.000 posti di lavoro, prevalentemente nel settore della tecnologia sostenibile. Che ne dite amici lettori? Una cosa per me è certa: soluzioni di questo tipo come The Parks, ci regaleranno davvero un futuro più tranquillo.

A domani.

Mario

lunedì, gennaio 30, 2023

CONOSCIAMO LA VERA STORIA DELL’OMBRELLO? PENSATE CHE IL PIÙ ANTICO ESEMPIO DI OMBRELLO RISALE ADDIRITTURA AL 2310 A.C.


Oristano 30 gennaio 2023

Cari amici,

Oggi l’ombrello è un oggetto alquanto tecnologico, costruito in tessuto speciale, antimacchia e antipioggia, con apertura a scatto, capace, quasi, di darti anche le previsioni del tempo! L’ombrello è diventato un oggetto elegante e ricercato, ma è anche giusto sapere che la sua invenzione non è certo avvenuta in epoca moderna, ai nostri tempi. L’ombrello fu costruito dall’uomo in un periodo lontanissimo, concepito in primis per ripararsi dalla pioggia o dal sole, diventato poi, anche un simbolo regale, usato per proteggere i sovrani o i sacerdoti.

Il più antico esemplare di ombrello, addirittura pieghevole, si trova nella documentazione archeologica risalente al 2310 a.C., che mostra il Re Sargon di Akkad protetto da un ombrello. In una stele (lastra di pietra) ben lavorata, è rappresentato il sovrano Sargon che guida una processione e, dietro di lui, un attendente stringe un ombrello semiaperto, in deferente protezione. Sargon è stato il primo sovrano dell'Impero accadico (l'Impero di Akkad fu un regno mesopotamico, esistito nella seconda metà del III millennio a.C. Ebbe vita breve (circa 140 anni, dal 2334 al 2193 a.C. circa).

Col passare dei secoli l’uso dell’ombrello non andò mai in declino: fu usato dai Cinesi già nel XII secolo a.C. e, sia gli Egizi che i Babilonesi, sfoggiavano l’ombrello parasole; nell’Estremo Oriente l’ombrello divenne presto segno di nobiltà, tanto che veniva usato per rendere onore a reali e dignitari di corte. In Egitto e India veniva associato alle dee della fertilità e del raccolto, mentre più tardi in Grecia fu legato al culto di Pallade Athena e di Persefone, divinità venerate principalmente da donne, durante le cerimonie religiose che si tenevano per molte ore all’aperto.

Sin dal III secolo a.C., l’ombrello con la funzione di ripararsi dal sole era usato dalle donne romane, le quali, come conferma Ovidio, se ne servivano anche come strumento di seduzione. D’estate, a Roma, sopra l’arena veniva steso il velario, una tenda leggera che proteggeva gli spettatori dal sole. Tuttavia, nelle giornate ventose, quando non poteva essere steso il velario, le signore romane assistevano agli spettacoli proteggendosi dai raggi del sole usando ombrelli di seta, decorati con perle e conchiglie.

Nel 1176 il Doge di Venezia chiese al Papa il permesso per apparire in pubblico protetto da un ombrello in broccato e tessuto con fili d’oro, quale ulteriore manifestazione di potenza e nobiltà. Sembra da attribuire a Caterina de’ Medici, nel Cinquecento, l’arrivo in Francia del parasole. Da qui giunse nel secolo successivo in Inghilterra, e forse proprio Oltremanica iniziò ad essere usato per ripararsi dalla pioggia: è questa una notizia di cui non possiamo essere certi, ma, se pensiamo al clima britannico, appare verosimile.

Verso la fine del Settecento, in Francia, l’ombrello in funzione parapioggia era già diventato un oggetto di uso comune. Nell’Ottocento e fino ai primi anni del Novecento l’ombrello, che da parasole era diventato ormai da parapioggia, si diffuse in Italia, patria del design e della moda: e si riempì di colori e di disegni, almeno se portato dal gentil sesso. Per la donna, da allora, l’ombrello, sia con la funzione di parapioggia che di parasole, entrò a pieno titolo nella storia della moda: fu, insieme al cappello e alla borsa, il primo segno di emancipazione femminile, in quanto accessorio legato alla vita all’aperto, non domestica, della donna.

Fu l'industriale e uomo d'affari britannico Samuel Fox ad inventare nel 1852 l'ombrello a coste d'acciaio. Alla fine del XIX secolo, la seta fu sostituita dal cotone. Nel XX secolo, la pellicola di plastica e il nylon diventarono di uso comune tra i produttori di ombrelli di tutto il mondo. La sua evoluzione è continuata imperterrita e oggi, nonostante tutta la tecnologia che ci avvolge, la funzione dell’ombrello resta perenne: il suo compito è proteggere dalla pioggia o dal sole.

Cari amici, per i più curiosi, quelli che come me amano sempre scoprire le cose e la loro origine, c’è da sapere, per quanto riguarda la storia dell’ombrello, che esiste un Museo del Parasole e dell’Ombrello unico al mondo: si trova a Gignese, in Piemonte, sulla costa settentrionale del lago Maggiore, una zona che ebbe un ruolo chiave nella sua produzione. In questo museo si possono ammirare le fogge, le caratteristiche estetiche, le rarità a cui pervenne l’ombrello nel corso del tempo, dall’Ottocento fino ai giorni nostri. E anche ombrelli appartenuti a personaggi storici. Nel museo, oltre le numerose produzioni italiane di ombrelli, si può ammirare anche un’esposizione di bastoni da passeggio che copre un periodo di duecento anni, il Sette e l’Ottocento.

Curiosa la storia dell’ombrello, vero amici lettori?

A domani.

Mario

domenica, gennaio 29, 2023

COSA FARE PER TENERE EFFICIENTE E IN FORMA LA MEMORIA? ECCO COSA HANNO SCOPERTO GLI SCIENZIATI DI PECHINO.


Oristano 29 gennaio 2023

Cari amici,

Cos’è la MEMORIA? Volendo potremo usare queste parole: "la memoria è quella parte del nostro corpo che serve a conservare le informazioni nel tempo, contribuendo alla nostra sopravvivenza". La memoria è praticamente il nostro computer, deputato ad immagazzinare quello che, fin da quando veniamo al mondo, ogni giorno apprendiamo e che viene, attraverso la nostra “memoria”. utilizzato per tutte le nostre necessità.  Apprendimento e Memoria, dunque, sono due fenomeni strettamente connessi tra loro, tali da consentire a tutti noi di acquisire nuove conoscenze, di conservarle e di rievocarle quando è necessario.

In particolare, la memoria è il processo continuo di conservazione delle informazioni nel tempo. Essa è parte integrante della cognizione umana, poiché consente agli individui di ricordare e attingere ad eventi passati per perfezionare la loro comprensione di ciò che accade nel presente, guidandone i comportamenti. Tuttavia, col passare del tempo la memoria a furia di caricarsi di dati nuovi, oltre anche per l’obsolescenza dei neuroni deputati a conservare i ricordi, inizia a non rispondere più come vorremmo, iniziando a crearci difficoltà nel recuperare i dati immagazzinati.

La memoria, dunque, funzione fondamentale della nostra vita quotidiana, tanto che, la sua diminuzione con l’avanzare l'età, compromette la qualità della vita e la produttività, oltre ad aumentare il rischio di demenza. Che fare allora per poter mettere un freno a questa perdita di memoria? Ci sono rimedi possibili? Una risposta importante ce la danno i ricercatori del “Centro nazionale per i disturbi neurologici di Pechino”, in Cina. Per migliorare lo stato della nostra memoria, secondo loro serve usare «Una combinazione di comportamenti sani positivi, che consentono di rallentare il naturale declino della memoria negli adulti più anziani cognitivamente normali». Insomma, il segreto sta nel fare scelte di vita sane che diminuiscono la probabilità di progressione della normale obsolescenza che il tempo crea.

Amici, lo studio portato avanti dai ricercatori ha analizzato 29.000 adulti di età superiore ai 60 anni con funzione cognitiva normale, che hanno partecipato allo studio China Cognition and Aging Study. All’inizio dello studio, nel 2009, la funzione della memoria è stata misurata con test e le persone sono state studiate per il loro gene Apoe (il gene che influenza la comparsa del morbo di Alzheimer, N.d.R..). I soggetti sono stati poi monitorati per 10 anni con valutazioni periodiche. Le persone con il gene Apoe, che hanno avuto una vita sana nel complesso, hanno riscontrato un tasso di declino della memoria più lento.

La risultante dello studio è che uno stile di vita sano combina sei fattori: una dieta sana, esercizio fisico regolare, contatto sociale attivo, attività cognitiva, non fumare e non bere alcolici. Per una dieta sana bisogna mangiare almeno 7 dei 12 gruppi alimentari: frutta, verdura, pesce, carne, latticini, sale, olio, uova, cereali, legumi, noci e tè. Poi, scrivere, leggere, giocare a carte o altri giochi almeno due volte alla settimana. Altre linee guida includono il non bere alcolici, l'attività fisica per più di 150 minuti a settimana a intensità moderata o più di 75 a intensità alta.

Anche non fumare aiuta a non perdere la memoria, così come avere contatti sociali almeno due volte alla settimana. visitare la famiglia, incontrare gli amici, partecipare a eventi o andare alle feste. La dott.ssa Susan Mitchell, responsabile della politica presso l’Alzheimer’s Research Uk, ha dichiarato: «Si tratta di uno studio ben condotto, che ha seguito le persone per un lungo periodo di tempo e aggiunge prove sostanziali che uno stile di vita sano può aiutare a sostenere la memoria e le capacità di pensiero con l’avanzare dell’età».

Cari amici, Il cervello umano è costituito da svariate decine di miliardi di cellule nervose (neuroni), che comunicano tra loro inviandosi segnali elettrici e chimici attraverso delle connessioni neuronali dette sinapsi. Ebbene, se noi, anche dopo una certa età, teniamo questi neuroni allenati, continuando ad essere curiosi, scrivendo e leggendo, mantenendo diversi contatti sociali, facendo regolare esercizio fisico e sorridendo alla vita anche se non siamo più giovani, la nostra memoria ne beneficerà non poco! Provare per credere.

A domani.

Mario

 

sabato, gennaio 28, 2023

LA CURIOSA STORIA DELL'ISOLA GIAPPONESE DI HASHIMA, OGGI ABBANDONATA MA IN PASSATO LA PIÙ POPOLATA AL MONDO.


Oristano 28 gennaio 2023

Cari amici,

Al largo delle coste giapponesi esiste un'isola, chiamata “HASHIMA”, alquanto piccola essendo lunga solo 400 metri e larga 150. In questo piccolissimo territorio, però, in passato abitò un numero impressionante di persone, tanto da essere definito, allora, uno dei luoghi più densamente popolati del pianeta. Poi, come spesso accade nel mondo, la popolazione svanì e oggi l’isola è totalmente disabitata, mostrando ai visitatori un aspetto apocalittico. Perché successe tutto questo? Ecco l’interessante storia di questa piccola isola.

La storia di quest'isoletta inizia nel 1887 quando fu scoperto un giacimento di carbone nel sottosuolo marino, a circa 200 metri proprio sotto l'isola. Ipotizzando un buon affare nello sfruttamento del giacimento, la piccola isola fu acquistata dalla Mitsubishi. Per proteggere Hashima e la sua popolazione dai tifoni, i nuovi proprietari recintarono l’isola con un grosso muro, che la fece assomigliare ad una corazzata! E, infatti, Hashima è anche chiamata Gunkanjima, che significa proprio corazzata. Già nel 1889 iniziarono i lavori di estrazione del carbone, con la perforazione di due tunnel verticali per arrivare al fondale.

La miniera di carbone scoperta sull’isola si rivelò alquanto produttiva, se pensiamo che nel 1916 venivano prodotte 150.000 tonnellate di carbone, e, di conseguenza, la popolazione di Hashima aumentò considerevolmente, così come il numero degli edifici. Nel 1915, allo scoppio della Prima guerra mondiale, la domanda di carbone aumentò e crebbe anche l’estrazione in quest’isola. In superficie vivevano già circa 3.000 persone e molte altre eraso disposte a trasferirsi, nonostante le pesanti condizioni di lavoro, perché le paghe erano buone. Mitsubishi iniziò a costruire i primi edifici in cemento armato per gli operai, costruzioni essenziali prive di ogni lusso: appartamenti spartani con una stanza con una finestra, una porta e il vestibolo. I bagni e le cucine erano condivisi, anche se non per i dipendenti Mitsubishi o il personale senior.

Nel 1917 fu costruito al centro dell'isola quello che allora fu definito l'edificio più alto del Giappone, con nove piani, e da allora l'isola si guadagnò il soprannome di "isola senza verde" perché non c'era spazio nemmeno per la natura. Furono costruiti anche una scuola, negozi, un cinema, un ospedale, casinò, un santuario, campi da tennis, bar e persino una piscina pubblica. Non c'erano automobili poiché, a causa delle ridotte dimensioni del terreno e della sua elevata popolazione, era impossibile circolare.

L'anno dell'attacco a Pearl Harbor, nel 1941, la produzione annuale di carbone aveva raggiunto le 410.000 tonnellate: una follia. Poiché non c'era lavoro, perché quasi tutti gli uomini erano in prima linea a causa della Seconda guerra mondiale, vennero usati i prigionieri come minatori per continuare a estrarre carbone. Nel 1945, più di 1.300 lavoratori sull'isola erano morti a causa delle condizioni estreme nella miniera dell'isola.

All'inizio degli anni '60 Hashima raggiunse una popolazione di 5.000 persone: fu il suo massimo, poiché poi iniziò il suo declino, in coincidenza con la nascita dell'OPEC, l'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio. Il greggio iniziò a sostituire il carbone e le miniere iniziarono a chiudere: Mitsubishi dovette trasferire i lavoratori in altre aree e la chiusura ufficiale della miniera avvenne nel 1974. Con la chiusura della miniera l’isola si spopolò totalmente, e, con l’abbandono, iniziò ad andare in rovina, diventando spettrale.

Solo nel 2002 la società Mitsubishi donò l'isola a Nagasaki, che nel 2009 la riaprì ai turisti. Nel 2015 l'isola, per il suo storico passato, fu considerata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO e oggi è alquanto visitata come meta di pellegrinaggio. I turisti dal porto di Nagasaki viaggiano in crociere private per vedere da vicino gli scheletri degli edifici che sono ancora in piedi. La visita dura circa un'ora, anche se i curiosi, per ragioni di sicurezza, non possono accedere a tutte le aree.

Cari amici, In passato l’isola fu anche utilizzata come set cinematografico: se siete fan della saga di James Bond sicuramente ricorderete l'incontro tra l'agente 007 interpretato da Daniel Craig e il suo nemico Raoul Silva (Javier Bardem); i due nel film si incontrarono proprio ad Hashima, dove fu girato Skyfall, e nella pellicola si possono vedere le imponenti rovine di quelle che erano state le case dei minatori! Quante cose riesce a cambiare il tempo!

A domani cari lettori!

Mario

venerdì, gennaio 27, 2023

LA NATURA E IL GRANDE MISTERO DELLA RIGENERAZIONE DEGLI ORGANI ANDATI PERDUTI. DALLA SALAMANDRA ALLA STELLA MARINA, DAI VERMI ALLE MEDUSE, ANCHE L’UOMO IN FUTURO POTRÀ RIGENERARSI?


Oristano 27 gennaio 2023

Cari amici,

Dopo un’infinità di studi, gli scienziati sono riusciti a trovare alcune soluzioni per sostituire, nel corpo umano, degli organi che, logorati dall’uso e dalle malattie, avrebbero potuto mandarci anteprima al Creatore. I trapianti da tempo un po’ risolvono alcune disfunzioni, ma a ben pensare la natura pare abbia voluto fare figli e figliastri, in quanto in alcune specie animali, quando un organo, magari in modo cruento, viene tagliato, l’organismo si attrezza per ricostruirlo! Si, possono essere code, zampe, corna e quant’altro, ma succede.  Ma vediamo meglio questo straordinario fenomeno.

I cervi, per esempio, perdono le loro corna di cui hanno bisogno per difendersi e combattere contro altri cervi, ma quando si staccano, per le ragioni più varie, in tempi brevi l’organismo fa in modo di ricostruirle; se poi pensiamo che le loro corna sono fatte di osso, ma anche coperte da un sottile strato di pelle, soni diversi i tessuti che l'organismo naturalmente ricostruisce. Che dire poi delle lucertole e dei ramarri? Questi rettili possiedono una capacità unica: la rigenerazione di un intero arto del loro corpo. È noto che lucertole, ramarri e salamandre possono liberarsi della coda quando sono in pericolo, ma ciò che è impressionante è che, in circa 60 giorni, attraverso un processo di riutilizzo delle cellule staminali, questi rettili mettono al lavoro il loro intero meccanismo cellulare per ripristinare sé stessi. Una meraviglia!

Che dire, poi della Planaria, un verme che vive nelle acque dolci, che ha la capacità di rigenerarsi all’infinito, a partire dalle cellule staminali, motivo per cui gli scienziati affermano che è “teoricamente immortale”? Attraverso l’utilizzo delle cellule staminali la planaria, anche se tagliata in pezzi, può generare da ogni pezzo un nuovo individuo. Se osserviamo il campo dei pesci, c’è da dire che nel Zebrafish o Danio zebrato, un piccolo pesce d'acqua dolce che appartiene alla famiglia Cyprinidae, in caso subisca un attacco cardiaco, quando come conseguenza milioni di cellule muoiono e non si riprendono lasciando l’organo parzialmente indebolito e danneggiato, per lui questo non vale, in quanto il suo cuore può funzionare indipendentemente dal numero di cellule che sono andate perdute. Gli scienziati stanno già studiando come questa capacità possa essere utilizzata negli esseri umani.

Restando in campo marino, le stelle marine, che possono essere di molte specie diverse (alcune hanno fino a 50 braccia) esse non hanno un cervello o una testa, ma tutto il loro corpo ha cellule che raccolgono informazioni su dove sono e memorizzano i loro movimenti. Questo animale, pensate, è in grado di rigenerare non solo la sua parte recisa, ma anche un pezzo reciso può addirittura generare un nuovo individuo! Che dire, poi dell’Axolotl, uno strano animale, che ora può essere visto più negli acquari che nel suo habitat naturale, che può ricostruire tessuti, organi e persino la sua intera testa in pochi giorni o settimane! Il suo potere rigenerativo è davvero impressionante e, a patto che non gli si tagli la testa, può rigenerare completamente fino a metà del suo cervello.

Amici, potrei fare un altro lungo elenco (dal cetriolo di mare al granchio, dal lombrico alle meduse), ma la sostanza non cambia: in molte specie c’è qualcosa che gli umani non hanno: la capacità di ricostruire i pezzi guasti o mancanti! Uno studio della Duke University School of Medicine e della Lund University, pubblicato sulla rivista Sciences Advances, ha dimostrato che il corpo degli esseri umani, forse, una volta possedeva maggiori capacità riparative. Si, lo studio ha rivelato che noi umani abbiamo mantenuto, seppure scarsa, la “capacità di riparare” certi tessuti per ferite o danni, sicuramente grazie a un residuo evolutivo del nostro passato, come la cartilagine danneggiata o sovraccaricata delle articolazioni.

Cari amici, gli studi hanno accertato che il processo rigenerativo negli animali è regolato da una molecola nota come microRNA. Questa molecola ha dimostrato di essere molto utile nel corso dell'evoluzione. MiRNA controlla un gruppo di geni centrali per la rigenerazione dei tessuti ed è più attivo negli animali, con la straordinaria capacità di rigenerare interamente i propri arti. Il MiRNA è presente anche nell'uomo: anche se è solo un piccolo residuo del nostro passato evolutivo. Non lo usiamo più per rigenerare gli arti, ma aiuta a riparare i nostri tessuti e la nostra cartilagine danneggiata, secondo il nuovo studio. Saremo capaci, in futuro, di ripristinare anche nell’uomo queste antiche capacità rigenerative? Sarebbe, davvero, una cosa straordinaria!

A domani.

Mario

giovedì, gennaio 26, 2023

LA LEGGENDA DEL “CODEX GIGAS”, OVVERO LA BIBBIA DEL DIAVOLO. L’INQUIETANTE STORIA DEL MONACO-AMANUENSE CHE LA SCRISSE, MA CHE VENDETTE L’ANIMA AL DIAVOLO.


Oristano 26 gennaio 2023

Cari amici,

Che la storia culturale medioevale sia inframezzata anche da oscure leggende, è un fatto noto un po’ a tutti, e anche la storia che voglio riportare a Voi oggi certamente ne fa parte. Indubbiamente è una storia inquietante, che parla di un sacro libro come LA BIBBIA, ma di dimensioni gigantesche (per questo noto come CODEX GIGAS), se pensiamo che il libro è alto 92 centimetri, largo 50 e pesante più di 70 chilogrammi. È composto da 320 pagine, anche se ne risultano mancanti 8, andate misteriosamente perdute nel corso dei secoli. Si dice che le pagine mancanti fossero realizzate con una pergamena molto rara (il Vellum), ottenuta utilizzando pelle di vitello, oppure di animali nati morti o feti. Una carta speciale alquanto preziosa, dunque, rara e costosa, che veniva chiamata anche pergamena uterina.

Questo gigantesco e raro libro dovrebbe essere stato scritto in data antecedente il 1229, come risulta dalla registrazione effettuata nel monastero di SEDLEC, il più antico monastero di monaci cistercensi della Repubblica Ceca, fondato nell'anno 1142. La data dovrebbe essere abbastanza certa perché alcuni dati contenuti nel Codex offrono dei punti certi quanto alla sua datazione. Si parla, per esempio, della canonizzazione di San Procopio di Sazava, patrono dell’attuale repubblica Ceca. Il libro passò poi al monastero di Břevnov. Tra il 1477 e il 1593 fu custodito, invece, nel monastero di Broumov e poi a Praga.

Dopo la Guerra dei Trent’anni questa Bibbia finì a Stoccolma, quale bottino di guerra, e, da allora, si trova nella Biblioteca Reale di Svezia. Anche in questa sede il libro rischiò di andare perduto: nel 1697 un incendio scoppiato nel palazzo del re interessò anche la biblioteca reale, ma il pesante manoscritto fu salvato da qualcuno che opportunamente lo lanciò dalla finestra. Probabilmente fu in quell’occasione che le 8 pagine andarono perdute.

Un libro indubbiamente carico di mistero, considerato che attorno ad esso aleggia una oscura leggenda e, non per nulla, il libro viene chiamato “Libro del diavolo”. Un’antica tradizione vuole infatti che l’imponente volume, caratterizzato anche da scritti con particolari affermazioni e simbolismi, sarebbe stato scritto da un unico amanuense, un monaco dallo strano nome: Hernan il Recluso. Il fatto singolare è che esso sarebbe stato redatto in una sola notte da un monaco che per salvare la vita si rivolse a Satana.

La leggenda racconta che il religioso-amanuense, imputato di aver violato drasticamente i voti monastici, fosse stato condannato ad una orribile morte: essere murato vivo. L’unica condizione che lo avrebbe potuto salvare era quella di scrivere in una sola notte un libro magnifico, capace di glorificare nei secoli il suo monastero. Disperato, per evitare la terribile punizione, Hernan avrebbe evocato il principe dei demoni, Lucifero, che alla fine gli sarebbe apparso facendogli una proposta. Quella per cui, in cambio dell’aiuto delle forze del male per scrivere il libro, avrebbe dovuto cedere la sua anima a Satana. Solo così avrebbe avuta salva la vita. Nonostante le terribili conseguenze, il monaco accettò stipulando il patto col diavolo.

L’aiuto satanico arrivò, e il prezioso manoscritto fu completato, come richiesto, in una sola notte. A comprova dell’opera del maligno, nella pagina 290 del libro, è presente una grande immagine di Lucifero alta circa 50 centimetri, quasi ad indicare un segno di gratitudine per l’aiuto dato. Hernan salvò così la sua vita, ma non la sua anima, che ovviamente fu condannata alla dannazione eterna. Che questo libro, a parte la leggenda, risulti alquanto misterioso è vero, come asseriscono gli studiosi.

Analizzando le ricche pagine del libro, gli studiosi hanno rilevato che la grafia e la grafica appaiono uniformi in tutte le 320 pagine. Una cosa difficilissima in un testo che, per la sua vastità, avrebbe richiesto almeno 20 anni per essere realizzato. Effettivamente gli esperti faticano a capire come il testo sia stato scritto in un periodo di tempo evidentemente lungo senza aver risentito dei cambiamenti di umore e di età dell’autore! Certamente la realtà è che il libro fu certamente scritto in circa un ventennio dallo stesso Hernan, che veniva chiamato il recluso perché aveva scelto, per scriverlo, di isolarsi nella pace della sua cella. Il termine più opportuno sarebbe infatti inclusus, termine legato a una persona che, in un monastero, viveva in isolamento in una cella per motivi religiosi o a causa di una penitenza. Non si trattava quindi di un carcerato, perché la sua reclusione era volontaria.

Cari amici, sta di fatto che “La Bibbia del diavolo” è un libro che trasmette mistero, che fa supporre, considerato il periodo in cui è stato scritto, anche interventi che esulano dalla nostra umana condizione. Ma di cosa parla nelle numerose, magnifiche pagine, questo libro? In primo luogo, contiene i noti contenuti biblici, ma parla anche di storia, etimologia e vite dei santi. Vi compaiono inoltre certe formule magiche e scritti sull’alfabeto greco, cirillico ed ebraico. Insomma, la storia del libro è abbastanza variegata, intrisa com’è di retaggi e misteri del periodo medievale; per questo esso continua ad affascinare anche in quest’epoca moderna.

A domani, amici lettori.

Mario

mercoledì, gennaio 25, 2023

IL POMODORO DI MARE, LA CURIOSA ATTINIA URTICANTE, CHE PERÒ MANGIAMO VOLENTIERI: MOLTO BUONA, ACCOMPAGNA OTTIMI, SAPIDI PIATTI.


Oristano 25 gennaio 2023

Cari amici,

Il “POMODORO DI MARE”, seppure non sia un vegetale, nel nome ricorda il nostro amato prodotto vegetale. Appartiene, invece, al mondo animale marino e il sua vero nome è Actinia equina e fa parte della famiglia delle Attinie (che raggruppa 7 generi con 10 specie e polipi solitari, questi ultimi privi di struttura scheletrica che si fissano alle rocce del fondale con il proprio disco pedale). La denominazione corrente di ‘pomodoro di mare’ gli deriva dal fatto che quando questa attinia è chiusa, considerata la rotondità e il colore rosso vivo, assomiglia effettivamente ad un bel pomodoro maturo.

Tra tutte le attinie è la più facile da incontrare, visto che spesso si attacca a scogli e rocce vicinissime alla superficie. Anche i più sbadati possono notarlo facendo un minimo di attenzione a ciò che c’è appena sotto il livello dell’acqua in cui si stanno tuffando, visto il suo colore rosso vivo. Quando poi si apre, spuntano i tentacoli, che sono più chiari, ma in generale permane il colore rosso porpora, rosso bruno e a volte anche marrone; ciò dipende dalle condizioni ambientali e dalla sua salute. L’Actinia equina è un anemone di piccole dimensioni ma di notevole pericolosità per i bagnanti, in quanto dotata di tentacoli urticanti che vengono utilizzati per stordire le prede necessarie alla sua alimentazione, costituita da crostacei, molluschi e piccoli pesci.

Sono proprio questi tentacoli urticanti (ne ha circa 200) a creare non pochi problemi se si viene punti. Può infatti capitare di sfiorarne uno passeggiando tra le rocce o nuotando in mare: il contatto genera immediato prurito e dolore, con una dinamica simile a quella del contatto con una medusa, animale forse più familiare ai bagnanti. Se si viene punti è molto importante non sfregare la parte del corpo irritata dal contatto, ma procedere in maniera attenta a rimuovere con una pinzetta i residui dei tentacoli rimasti attaccati al nostro corpo. In genere il dolore scompare dopo qualche ora e può essere lenito con impacchi di acqua calda: tuttavia il consiglio più importante è sempre quello di rivolgersi a uno specialista o alla guardia medica più vicina.

Amici, nonostante questa sua pericolosità, questa piccola attinia non solo è commestibile, ma viene molto apprezzata in cucina, in quanto da particolare prelibatezza a diverse pietanze a base di pesce. Per quanto ovvio, prima di utilizzarlo, il pomodoro di mare deve essere accuratamente ripulito, in modo da eliminare totalmente la sostanza velenosa contenuta, oltre ai residui del mare come sabbia e sassolini che potrebbero trovarsi negli incavi del corpo. Amici, pericolosa ma buonissima questa attinia, se pensiamo che la bontà delle sue carni è così apprezzata da spuntare prezzi molto alti: il costo si aggira attorno ai 60 euro al kg; ne vale però la pena, in quanto per preparare un buon piatto ne serve poco, circa duecento/trecento grammi.

Ma quali sono i piatti più gustosi che vengono arricchiti con questo straordinario pomodoro di mare? La ricetta più famosa ed usata è quella di servire il pomodoro di mare fritto: basterà prendere la quantità necessaria di pomodori di mare, tagliarli a fettine o tocchetti e infarinarli con la farina di semola. Successivamente basta immergeteli in una padella con dell’olio di semi di girasole bollente e poi scolarli nel momento in cui la panatura diventerà dorata. Sono da servire ben caldi in modo che il sapore sia più vivo che mai.

Altra ricetta molto apprezzata è quella dei pomodori di mare con gli spaghettoni, la cui ricetta per quattro persone prevede i seguenti ingredienti: 400 gr di spaghettoni, 250 gr di pomodori di mare, 80 gr di pomodori datterini, Olio extra vergine d’oliva, sale e peperoncino quanto basta. Fate rosolare l’aglio e il peperoncino nell’olio e aggiungete gli anemoni a fiamma bassa finché non iniziano a sciogliersi; a questo punto aggiungete un mestolo d’acqua calda e frullate il tutto. Nella stessa padella che state usando aggiungete altro aglio e olio, mettendo a rosolare i datterini tagliati a metà. Infine, cuocete la pasta e saltatela in padella, aggiungendo come tocco finale l’emulsione di pomodori di mare.

Cari amici, come ben sapete i prodotti del mare si prestano a ricette fantasiose e straordinariamente gradite. Quanto al pomodoro di mare, oltre le ricette prima descritte ce ne sono tante altre. Quella degli spaghettoni, per esempio, può essere applicata anche al riso che lega anch’esso in maniere eccellente. In Toscana, invece, è famosa “La pappa al pomodoro di mare”, una esplicita e gustosa variante marina della pappa al pomodoro toscana. Si cucina anche con pesce misto, soprattutto gamberi e calamari, pane sciocco toscano raffermo, polpa di pomodoro o pomodori pelati, qualche pomodorino fresco, aglio, peperoncino, basilico, olio extravergine d’oliva e aromi se graditi. Provare per credere!

Amici lettori curiosi delle ricette di mare, volete provare a cimentarvi? Io direi di sì!

A domani.

Mario