venerdì, settembre 13, 2024

LE ISOLE CANARIE SONO DAVVERO UNO DEI POCHI LEMBI RIMASTI DELLA MITICA ATLANTIDE? IN BASE ALLE SCOPERTE PIÙ RECENTI...


Oristano 13 settembre 2024

Cari amici,

Che il mito di ATLANTIDE continui ad affascinare l’uomo fin dai tempi più antichi è una incontestabile realtà. Questo continente scomparso fu uno dei miti più suggestivi dell’Antica Grecia, in quanto considerato una terra paradisiaca, posizionata, secondo i greci, oltre i limiti del mondo allora conosciuto e che, misteriosamente poi scomparve, inghiottito dal mare. La leggenda di Atlantide la troviamo negli scritti del filosofo greco Platone, vissuto tra il 427 e il 347 a.C.., dove Atlantide risulta citata in ben due sue opere, il Timeo e il Crizia; Platone racconta che il famoso legislatore ateniese Solone conobbe la storia di Atlantide quando visitò l’Egitto.

Secondo l'antica leggenda l’isola di Atlantide apparteneva al dio Poseidone, che si innamorò e sposò una giovane ragazza dell’isola di nome Cleito. Poseidone, da dio innamorato, costruì una città sull’isola e su una montagna al centro della città costruì un palazzo per la sua amata Cleito. La coppia ebbe dieci figli e, col tempo, Poseidone divise l’isola tra di loro, dando a ciascuno una sezione da governare. Sempre secondo la leggenda, Atlantide era una terra meravigliosa, ritenuta un vero, mitico paradiso.

Su questa mitica isola gli abitanti non dovevano lavorare, in quanto era presente ogni tipo di cibo e abbondanza di animali. Poseidone aveva creato un flusso di acqua calda e uno di acqua fredda per l’isola. In questo luogo ameno vi erano palazzi e templi meravigliosi. L’abbondanza era luogo comune: vi era tanto oro, argento e altri metalli preziosi. Tutto cambiò quando gli dèi cominciarono a mescolarsi con gli esseri umani. Gli Atlantidei divennero avidi, rompendo l’equilibrio esistente. Si, l'ingordigia crebbe a dismisura ed essi si armarono e andarono alla conquista di altre terre nel Mediterraneo.  

A quel punto il re dell’Olimpo, Zeus, infastidito dal comportamento degli Atlantidei, fece scoppiare un terrificante terremoto, che, unitamente a potenti maremoti, fece sprofondare Atlantide nel mare, tanto che di quel grande Continente rimasero solo pochi lembi fuori dal mare. Questi lembi di terra sopravvissuti potrebbero essere proprio la Sardegna, terra degli Shardana e le Isole Canarie, l’antica patria dei Guanci. Storia o leggenda, cari amici? Sicuramente direi che quella di Atlantide è una storia romanzata, e che di questa immensa isola, grande quanto il Nord Africa e una parte dell’Oriente, quei piccoli “pezzi” sopravvissuti potrebbero essere proprio la Sardegna e le Isole Canarie. 

È proprio il riscontro a queste ipotesi che gli  studiosi continuano a  cercare: i resti della mitica Atlantide. Lasciando da parte la leggenda e quanto ipotizzato per la Sardegna e gli Shardana, di cui abbiamo già parlato, vediamo perché l’attenzione si è ora focalizzata sulle Isole Canarie. Quando su queste isole arrivarono gli spagnoli (essi sbarcarono a Tenerife nel XIII secolo), essi, dopo averle conquiste, appresero dalla popolazione locale – I GUANCI -  che essi si ritenevano i discendenti “degli unici superstiti di un’antica catastrofe che era indelebilmente custodita nella loro memoria ancestrale”.

Quando gli spagnoli spiegarono che c’era un mondo ben vasto al di fuori del loro mondo, essi restarono stupiti, in quanto erano convinti che “le isole dell’arcipelago fossero gli unici resti di una grande terra scomparsa sotto le acque”, come risultava da antichi documenti dei loro antenati. Oggi i Guanci sono scomparsi, in parte estinti oppure assorbiti dai colonizzatori spagnoli. Le perplessità degli spagnoli erano anche altre. Questo popolo non presentava le caratteristiche comuni alle popolazioni mediterranee: essi erano alti, di pelle bianchissima, con occhi celesti e capelli rossicci; portavano folte barbe e, cosa alquanto strana per degli isolani, nutrivano una profonda paura del mare! Questa paura proveniva, forse, dall’inestinguibile terrore, insito nell’inconscio, causato dal terribile cataclisma che aveva fatto scomparire ATLANTIDE?

Amici, mito e realtà si intrecciano, e, chissà, se riusciremo ad avere prove concrete! Gli antichi Guanci non sopravvissero  allo sterminio dei conquistadores europei, e in particolare del colonialismo spagnolo-cattolico. Ora di loro rimangono solo alcune statue di bronzo a ricordarli, in quella che fu la loro terra, frammentata in diverse isole. Con la loro estinzione, sicuramente, è andato perso un pezzo importante della nostra storia! Una storia che può essere considerata un puzzle con diversi tasselli mancanti!

Gli studiosi, però, continuano le loro ricerche. Il dubbio che li assilla è “come” i Guanci siano arrivati alle Canarie; una ipotesi è che siano arrivati dall'Africa, successivamente alla desertificazione del Sahara; l’ipotesi è che il popolo del Monte Atlante (Popolo dei Ma) si diresse in parte verso il Nilo e in parte verso le Canarie. Ed è curioso che i rappresentanti del Popolo dei Ma venissero chiamati Atlantidi dal grande storico Erodoto, mentre il sommo Platone definiva la zona da cui provenivano Atlantide.

Cari amici, dipanare la storia della mitica Atlantide, quando mancano fonti certe non è certo facile! Eppure, anche se manca la certezza, i Guanci potrebbero essere stati davvero una piccola parte degli ultimi superstiti della mitica Atlantide! Una piccola prova è costituita dal fatto che, al momento dell’invasione spagnola, il territorio dei Guanci risultava diviso in 10 Distretti, ciascuno governato da un Mencey. La stessa organizzazione, insomma, vigente ad Atlantide, secondo quanto raccontato dal filosofo greco nel Timeo (e nel Crizia). Non c’è dunque da stupirsi se i Guanci sono da considerarsi eredi del popolo del Grande Continente distrutto da un immane cataclisma.

A domani.

Mario

 

giovedì, settembre 12, 2024

L'INESAURIBILE BATTERIA DEL CAMPANELLO ELETTRICO DI OXFORD: FUNZIONA MISTERIOSAMENTE DA QUASI 200 ANNI! STA NELLA SUA PARTICOLARE BATTERIA IL SEGRETO DEL SUO LUNGO FUNZIONAMENTO?


Oristano 12 settembre 2024

Cari amici,

L’uomo da tempo è alla spasmodica ricerca di energia autoprodotta, ovvero di fonti energetiche autorigeneranti, possibilmente perpetue, come delle batterie che funzionino "per sempre" senza bisogno di ricariche. Oggi, anche quelle più sofisticate, seppure durino a lungo, hanno poi bisogno di essere ricaricate. Indubbiamente una soluzione alquanto difficile da trovare, anche se le speranze non mancano! Ci sono stati degli esperimenti nel passato che, forse, ci spingono verso una via da seguire. Uno di questi esempi è la “CAMPANA DI OXFORD”, un campanello elettrico sperimentale che ha iniziato a funzionale nel 1840 e che, strano ma vero, sta ancora funzionando! Vediamo insieme questa strana storia.

Siamo in Inghilterra nella prima metà del secolo scorso. All’Università di Oxford, nel 1840, insegnava, come docente di fisica, il Reverendo professor Robert Walker. Questo colto prete, nell’intento di spiegare nel modo più chiaro e pratico ai suoi studenti il funzionamento di un campanello-orologio elettrico, acquistò da certi costruttori di strumenti di precisione, i signori Watkin and Hill, una particolare campana da loro realizzata nel 1825. La portò in classe per mostrarla e spiegarne praticamente il funzionamento ai suoi allievi.

Questo dispositivo era, per l’epoca, alquanto innovativo, apparendo ai più quasi miracoloso; acquistato in un corridoio vicino all'atrio del Clarendon Laboratory presso l'Università di Oxford (Il dispositivo è noto come Oxford Electric Bell o Clarendon Dry Pile), stupì non poco i suoi studenti, che iniziarono a prendere confidenza con il felice connubio tra energia e funzionamento meccanico, dimostrato da quel campanello elettrico sperimentale, che funzionava autonomamente. Una vera rivoluzione, se pensiamo che, da allora, questo campanello non ha più smesso di funzionare!

Si, amici, questa Campana elettrica di Oxford si trova ancora oggi nel Clarendon Laboratory dell'università – da cui ha preso la prima parte del nome – protetta da ben due strati di vetro. Ma vediamo meglio come funziona in realtà questo curioso orologio. Motore di questo strumento sono le sue due batterie, che somigliano moltissimo a quelle "a muschio secco", realizzate dal prete e fisico italiano Giuseppe Zamboni. Queste batterie erano composte da almeno 2000 paia di dischi di stagnola incollati su carta impregnata di solfato di zinco e rivestiti sull'altro lato con biossido di manganese. Le pile non sono asciutte, ma contengono la giusta quantità d'acqua per fornire l'elettrolita senza causare cortocircuiti.

Le batterie della campana di Oxford risultano sigillate al loro esterno, con un rivestimento che si ritiene sia di zolfo, tanto da sembrare delle candele. Per conoscere esattamente la loro composizione bisogna aspettare che le batterie muoiano: come abbiamo scritto in precedenza, se dovessimo aprirle ora l'esperimento avrebbe fine, e gli scienziati, invece, vogliono farlo durare il più a lungo possibile. La domanda che essi in particolare si pongono è: Perché questa campana-orologio elettrica è rimasta in funzione da così tanto tempo, cosa straordinaria per una batteria?

Le ipotesi sono tante. Si pensa che, almeno in parte, il motivo per cui la campana suona da così tanto tempo sia dovuto al fatto che non richiede molta energia e che non ne spreca molta. Il dottor Robert Taylor dell'Università di Oxford ha spiegato: “Mentre si muove avanti e indietro, la piccola campana di piombo tocca le due batterie da entrambi i lati, e così facendo si carica e si scarica di continuo. Una piccola quantità di carica filtra tra le due estremità e l'unica perdita è la resistenza dell'aria”. Ora, dopo i molti anni del suo funzionamento, ci si chiede: “Durerà ancora a lungo? Quando smetterà di funzionare? La campana ha suonato per tanto tempo, ma non lo farà all'infinito, e presto o tardi smetterà di funzionare! Secondo Taylor ci vorranno tra i 5 anni o i 10 al massimo, visto che negli ultimi 40 anni ha rallentato sempre di più la sua forza. Si fermerà perché prima o poi tutte le batterie si esauriscono, e quando finirà l'energia la campana smetterà si suonare, rendendo l'Università di Oxford un po' più silenziosa. Ma sarà proprio così? Chissà!

Cari amici, l’uomo continua ad andare alla ricerca di fonti energetiche che si auto-rinnovino all’infinito, ma il traguardo sembra ancora lontano! Per ora l’osservazione continua, visto che la Oxford Electric Bell pare che, per ora, abbia suonato oltre 10 miliardi di volte! La strada per trovare l’energia che funzioni all’infinito sembra essere stata tracciata!

A domani.

Mario

mercoledì, settembre 11, 2024

SARDEGNA: NELLA NOSTRA ANTICHISSIMA ISOLA NEL LONTANO PASSATO ERA PRESENTE ANCHE IL “GERBILLINO”, PICCOLO RODITORE OGGI ANCORA PRESENTE IN AFRICA, MEDIO ORIENTE E ASIA.


Oristano 11 settembre 2024

Cari amici,

Il GERBILLINO (Gerbillinae Gray, 1825) è un piccolo roditore, appartenente ad una sottofamiglia, i Muridi, roditori che vivono nelle zone desertiche o semidesertiche dell'Africa e dell'Asia; sono comunemente noti come Gerbilli, Merioni e Ratti delle sabbie. Questi piccoli  roditori sono minuscoli, con un peso che varia da 12 g del gerbillo pigmeo a 250 g del merione marocchino. Attualmente il loro habitat è quello delle zone desertiche e sub-desertiche dell'Africa settentrionale, del Sahel, del Corno d'Africa, dell'Africa orientale e meridionale, del Vicino Oriente, della Penisola Arabica e dell'Asia centrale, fino alla Cina centro-settentrionale e all'India occidentale.

Il Gerbillino nell’aspetto è, in un certo senso, simile al criceto, ma - a differenza di quest'ultimo - è dotato di una lunga coda rigida ricoperta di pelo e di lunghe zampe posteriori che gli consentono di spiccare salti e balzi scattanti. Gli esemplari maschi hanno generalmente dimensioni maggiori rispetto agli esemplari femmine; il colore del mantello può essere variabile, dal beige al marrone, fino ad arrivare al nero, al grigio e al bianco, con tutte le sfumature possibili. Gli occhi possono essere neri oppure rossi, a seconda dei casi. I Gerbillini comunicano sia con il linguaggio del corpo che con squittii e fischi.

Questi gerbilli sono abilissimi scavatori che, in natura, costruiscono tane sotterranee decisamente elaborate. Sono animali onnivori, ma si nutrono principalmente di piante e semi, mentre il consumo di insetti è generalmente occasionale. Questo piccolo roditore è un animale socievole (tanto che oggi è considerato anche un animale da compagnia), ed è dotato di un'indole tendenzialmente curiosa. Animale alquanto selettivo, accetta la pacifica convivenza solo con gli appartenenti alla stessa famiglia, socializzando raramente con soggetti di famiglie diverse; solo nel caso che con questi si sia fatta vita insieme fin dalle prime settimane di vita.

Ebbene, amici, la nostra Sardegna, terra antichissima, fu popolata, millenni fa, da animali preistorici oggi estinti, e, fra questi, c’era anche questo particolare roditore: il GERBILLINO, che, chissà per quale ragione, poi si estinse. Tra le cause che portarono alla sua scomparsa si presume che potrebbero esserci diversi fattori, tra cui le variazioni climatiche, che probabilmente non ne consentirono la sopravvivenza. Ma come siamo arrivati a sapere che il Gerbillino era presente in passato nella nostra isola?

A scoprire la presenza di questo piccolo roditore nella nostra isola è stato il grande paleontologo Daniel Zoboli. Lo studioso, laureato in Scienze della Terra e in Scienze e Tecnologie Geologiche con tesi in paleontologia, svolge al momento le sue attività presso il Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università di Cagliari, dove ha conseguito anche il dottorato di ricerca in Scienze e Tecnologie della Terra e dell’Ambiente. Daniel Zoboli, 39 anni e un curriculum di tutto rispetto, è anche il creatore della pagina Facebook “Animali e piante fossili della Sardegna”.

Questo serio studioso è un profondo conoscitore del nostro passato, che, nelle sue lunghe ricerche, ha scoperto che in Sardegna, nel lontano passato, erano presenti diversi animali preistorici: dal mammut sardo nano al millepiedi gigante, ma anche squali, coccodrilli, antichi perissodattili simili a tapiri, marsupiali, iene, cani selvatici, lontre e testuggini giganti. Ed ecco, ora, la recente scoperta di questo grande studioso: nel Nord-Est dell’isola, precisamente sui monti di Orosei, in passato era presente anche il Gerbillino.

La scoperta è partita dal ritrovamento di un fossile (un molare superiore di Gerbillino), scovato in uno dei riempimenti carsici del Monte Tuttavista di Orosei. Fossili di questi roditori sono stati ritrovati anche in Europa e nell’Italia peninsulare, dove erano presenti sino al Pliocene Inferiore. Per ora il molare di Gerbillino ritrovato risulta essere l’unico resto fossile che testimonia la presenza di questo roditore in Sardegna; il fossile è stato ritrovato in associazione a quelli delle tipiche specie di mammiferi del Pleistocene Superiore, tuttavia, è altamente probabile che si tratti di un fossile rimaneggiato (eroso dal deposito originale e che ha successivamente trovato una “nuova casa” in un deposito più recente) e dunque riferibile a un periodo ben più antico.

Amici, il ritrovamento di Daniel Zoboli, per quanto possa considerarsi alquanto modesto,  è da ritenere un chiaro esempio di come un singolo fossile (in questo caso un piccolissimo dente) possa rappresentare, per ora, la testimonianza della presenza di una nuova particolare specie, da aggiungere al lungo registro fossile dell’antica fauna della Sardegna. Grazie professor Zoboli della sua passione e dei suoi approfonditi studi, che catapultano i lettori in quello che è uno straordinario viaggio nel tempo, fino alle epoche più remote e ricche di segreti della nostra antichissima terra sarda!

A domani, cari lettori!

Mario

martedì, settembre 10, 2024

LA MENTE UMANA TRA “CONSCIO” E “INCONSCIO”, TRA RAZIONALE E IRRAZIONALE. UN COSTANTE ALTERNARSI TRA LOGICA ED EMOTIVITÀ.


Oristano 10 settembre 2024

Cari amici,

Secondo il pensiero di Sigmund Freud, considerato il padre della psicoanalisi, nonché di altri filosofi, analisti e terapeuti, che prima e dopo di lui hanno indagato la mente umana, L’INCONSCIO nella specie umana altro non è che “un desiderio o un comportamento” che non rientra nella logica, quindi non è avvertito e condiviso dalla nostra coscienza, ma risulta derivante dalla nostra emotività. Per capire meglio il significato di “inconscio”, è giusto partire dall’etimologia: il termine, infatti, deriva dal latino inconscius, ovvero “ciò che è al di fuori della coscienza, ovvero inconsapevole”.

L’inconscio fu studiato da illustri studiosi, come Leibniz nel 1600, primo filosofo a introdurre il concetto di pensieri inconsci, parlando di pensiero inconsapevole, cioè di percezioni che possono produrre “reali cambiamenti nell’animo umano”; Schelling, filosofo dell’Idealismo tedesco, ipotizza invece che il cervello inconscio è una via per cogliere l’Assoluto: solo l’Arte, attività creatrice che connette lo Spirito (coscienza) e la Natura (inconscio), è in grado di cogliere completamente il senso dell’Assoluto.

Per Schopenhauer, invece, la mente inconscia, è “quell’impulso misterioso e oscuro”, vera causa del comportamento umano. Ogni nostra azione, anche la più etica, è frutto di una volontà cosmica irrazionale, di cui noi individui siamo solo meri esecutori; per Nietzsche, straordinario intellettuale tedesco, ecco cos’è il pensiero inconscio: “Gli uomini sono sconosciuti a se stessi e vivono tutti insieme in una nebbia di opinioni impersonali e semi personali". La ragione e l’intelletto, perciò, sono da lui considerati semplici strumenti alla mercé degli istinti inconsci.

‍Per Sigmund Freud (1856-1939), neurologo e psichiatra viennese, l’inconscio è posto al centro del suo interesse clinico e, partendo dagli studi sull’isteria (insieme ai suoi colleghi Charcot e Breuer), diede vita alla rivoluzionaria talking cure, ovvero la terapia della parola, che portò alla nascita della psicoanalisi. Freud ipotizzò che l’origine dei sintomi fosse da ricercare nei ricordi traumatici inconsci troppo disturbanti e perciò inaccettabili per la coscienza: questi ricordi, sotto forma di impulsi e desideri, premevano per uscire, generando così un conflitto nelle pazienti tra coscienza e inconscio.

Ma come funziona l’inconscio e come comunica? Il funzionamento dell’inconscio è diverso da quello delle altre istanze logiche della nostra psiche. Nel territorio dell’inconscio, ad esempio, non valgono i principi della logica, come quello di non contraddizione, né il concetto di tempo. Quanto al modo di comunicare, la parte inconscia del cervello comunica in molteplici modi, quali ad esempio il corpo, i comportamenti, la voce, la scrittura, il modo di gesticolare, gli atti mancati, le dimenticanze, i lapsus e i sogni. 

L’inconscio, sempre secondo Sigmund Freud, è la parte più profonda e irrazionale della nostra psiche, in cui vengono depositati tutti i ricordi rimossi dalla nostra coscienza e, naturalmente, le pulsioni. Freud definì la pulsione come “il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo” (La rimozione,1915: Vol. 8: 36-48). Le pulsioni inconsce possono riaffiorare attraverso sintomi che la persona non riesce a spiegarsi (come ansia e dolori psicosomatici), o, in modo meno grave, tornare alla coscienza nei sogni, nei lapsus e nei modi già precedentemente citati.

Amici, non capita spesso, ma comunque succede, che l’inconscio “prende il sopravvento” sulla nostra ordinaria razionalità. Cosa fare quando succede? Guardarsi dentro con l'introspezione e ascoltare l'inconscio non è sempre facile. La mente inconscia può condizionarci nella nostra vita relazionale, impedendoci ad esempio di creare legami significativi con gli altri. Per capire l’inconscio, può essere utile quindi guardare alla nostra quotidianità. Mania del controllo, tristezza, frustrazione, sentimento di rabbia, insonnia, cali e aumenti ponderali, attacchi di panico o attacchi di ansia apparentemente non correlati alla situazione che stiamo vivendo, possono essere delle spie che ci segnalano una lotta tra conscio e inconscio.

Cari amici, Per meglio comprendere il conflitto tra la mente conscia e quella inconscia, la psicologia può esserci d’aiuto. Conoscere l’inconscio e cogliere il significato di ciò che sta comunicando è uno degli obiettivi primari della psicoterapia, che nel cercare di rispondere al perché un sintomo si manifesti e perché lo faccia secondo quelle specifiche modalità, può ricondurre (tra le altre cose) all’io inconscio la causa di quelle manifestazioni. In casi di conflitto in atto può essere utile rivolgersi ad uno psicoterapeuta, che potrà aiutarci a scoprire cosa sta accadendo. Ecco la straordinarietà della mente umana!

A domani, amici lettori.

Mario

lunedì, settembre 09, 2024

NUOVAMENTE TUTTI PAZZI PER I "RAY-BAN”, GLI OCCHIALI DI GRAN MODA NEGLI ANNI SESSANTA DEL SECOLO SCORSO. TORNATI IN AUGE GRAZIE ALL’AGGIUNTA DI ALTA TECNOLOGIA, EVIDENZIATA NEL CASO BOCCIA-SAN GIULIANO.


Oristano 9 settembre 2024

Cari amici,

A volte basta poco, per far tornare in auge un prodotto che in passato aveva raggiunto fama e alti livelli di gradimento. Parlo degli occhiali RAY-BAN, nati nel 1920 da una particolare richiesta del Luogotenente Generale John MacCready, appassionato di traversate in pallone aerostatico. Questi, dopo aver portato a termine una traversata dell'Atlantico che gli causò danni alla vista per l'assenza di un'adatta protezione agli occhi, contattò una famosa azienda statunitense d'ottica nata nel 1853, perché realizzasse un paio di occhiali altamente protettivi, panoramici ed eleganti per gli aviatori.

Questi occhiali erano costituiti da una montatura leggerissima, circa 15 grammi, in lega placcata d'oro (Arista), con dei finali in plastica rigida trasparente e due lenti verdi in vetro minerale, più chiare delle orbite, per filtrare i raggi infrarossi e ultravioletti. Durante la Seconda guerra mondiale vennero adottati dall'United States Air Force come dotazione per i piloti, tant'è che la Bausch & Lomb diventò l'unica fornitrice dell'esercito. In seguito il modello "Ray Ban anti-glare" venne ribattezzato "Ray Ban Aviator" e il vetro delle lenti diventò più scuro; questa è ancora oggi la colorazione usata, sviluppata nel 1953.

Negli anni successivi e fino agli anni Novanta del secolo scorso, i Ray Ban continuarono ad essere considerati di gran moda, usati nei film come i "Clubmaster", indossati da Denzel Washington in Malcolm X (film) (1992) e Tim Roth in Le iene (film) (1992). Nel 1997 il modello "Predator" è l'occhiale usato nel film Men in Black (film 1997). Infine nel 1998 il modello "Shooter" fu indossato da Johnny Depp in Paura e delirio a Las Vegas. Nel 1999 la Ray Ban fu acquisita dal Gruppo Luxottica.

Insomma, questo particolare occhiale è sempre riuscito ad adattarsi al nuovo che avanzava, e a restare in auge anche nel presente millennio, ovviamente costantemente adeguato e rimodernato. Amici, di recente un fatto di cronaca ha fatto tornare all'attenzione di tanti proprio i "Ray-Ban", saliti prepotentemente sulla cresta dell’onda in relazione allo scandalo che ha fatto grande rumore in Parlamento. Mi riferisco alla diatriba che ha riguardato il Ministro San Giuliano e l’influencer campana Maria Rosaria Boccia, che - a quanto si dice - li avrebbe usati (si mormora senza autorizzazione) in Parlamento all’insaputa del Ministro della Cultura, del cui staff faceva parte.

Amici, non voglio assolutamente entrare nel merito di questa vicenda, che ha ancora tanti punti oscuri e che sicuramente (seppure in tempi magari non tanto brevi), troverà la chiarezza oggi mancante. Io con Voi oggi voglio, invece, soffermarmi sulla particolare, moderna tecnologia che è stata inserita dentro questi gloriosi occhiali, che li ha trasformati da semplice strumento per proteggere la vista, in qualcosa di molto diverso: un mezzo capace non solo di far vedere meglio, ma anche di filmare, registrare e conservare momenti, luoghi e situazioni, creando inoppugnabili documenti, frutto di registrazioni fatte in luoghi in cui, di norma, questo non è consentito. Ecco, dunque, per soddisfare la Vostra curiosità, come funzionano questi modernissimi Ray-Ban Stories.

L'accordo tra la LUXOTTICA di Leonardo Del Vecchio e il potente Mark Zuckerberg, patron di FACEBOOK, portò alla creazione di  particolari Smart Glass: i Ray-Ban Stories (tre modelli, Round, Wayfarer, and Meteor). Il primo obiettivo per cui sono stati sviluppati sta nel nome: Stories, ovvero il formato social allora più popolare. Attraverso le due telecamere da 5 megapixel poste da una parte e dall'altra della montatura - a fianco delle lenti - questi occhiali sono in grado di registrare video (fino a 30 secondi di durata) e scattare foto. Chi li indossa deve solo premere un pulsante sull'asta destra, o tenerlo premuto per avviare un filmato.

La modalità «Rec» è chiara per l'utente  grazie a un suono che lo informa a inizio e fine registrazione. Per avvisare chi potenzialmente può entrare nell'inquadratura c'è una luce Led che si accende. Tre microfoni catturano invece l'audio circostante. Oltre a foto e video - che nei piani dell'azienda sono contenuti che poi finiscono sui social - i Ray-Ban Stories sono dotati di speaker, posti sulle due aste, che permettono di ascoltare la musica o di telefonare senza tra l'altro dover tenere le orecchie «occupate» da auricolari. C'è anche un assistente vocale, che si avvia con la frase «Hey Facebook», ma che risponde a pochi comandi e solo in inglese. Amici, gli ultimi modelli di Ray-Ban Meta hanno anche una memoria interna maggiore rispetto al primo modello: 32 Giga, che permettono di conservare sul dispositivo - fino a che non si ha a portata di mano il telefono - più di 100 video da 30 secondi o più di 500 foto. Questi occhiali Smart si collegano al telefono via Bluetooth. E dialogano con l'app Meta View, che viene aggiornata e migliorata costantemente. Da qui passano gli update del software degli stessi occhiali, qui vengono «depositati» tutti i contenuti che vengono registrati dalle telecamere sulla montatura.

Indubbiamente sono occhiali straordinari che, in un futuro prossimo, saranno ulteriormente modificati con l’utilizzo dell’A.I. o di funzionalità di realtà aumentata. Al momento svolgono - molto bene - tre semplici funzioni: rispondere al telefono, riprodurre musica e catturare foto e video. Quest'ultima è la funzionalità – A QUANTO PARE -  utilizzata da Boccia per riprendere momenti che poi avrebbero potuto confermare la sua versione dei fatti. Quest'ultima è anche la funzionalità più delicata e che sin da 2021, dal debutto dei Ray-Ban Stories, ha creato non poche perplessità relative alla privacy.

Cari amici, nei piani di Luxottica questi occhiali dovranno diventare un prodotto di massa: l'obiettivo è trasformarli nel primo paio di smart glass con diffusione di massa (il costo parte da 330 euro). Negli Stati Uniti è già stata integrata Meta AI, l'intelligenza artificiale generativa di Meta che può rispondere alle domande dell'utente e aiutarlo nel gestire le proprie comunicazioni sullo smartphone. Qui in Italia, e in Europa, l'aggiornamento non è ancora arrivato (Meta AI si è scontrata con il Gdpr, il regolamento che protegge la privacy online dei cittadini europei).  Presto, comunque, c'è da star sicuri che circoleranno alla grande anche da noi!

A domani.

Mario

domenica, settembre 08, 2024

L’IMPORTANZA DELLA NUMEROLOGIA. LO SAI CHE NEL TUO ANNO DI NASCITA È NASCOSTO IL SEGRETO DELLA TUA PERSONALITÀ? ECCO, PROVA A VERIFICARLO!




Oristano 8 settembre 2024

Cari amici,

La “NUMEROLOGIA” è quella branca dell'esoterismo che attribuisce ai numeri un particolare tipo di valore; una valenza non solo matematica, quantitativa, ma anche un contenuto qualitativo che, riferito agli esseri umani, evidenzia dei particolari aspetti comportamentali insiti nell’individuo. In sintesi, partendo dalla data di nascita della persona ed elaborando le relative cifre di giorno mese e anno in cui questa è venuta al mondo, si scoprono molte cose sulla sua personalità.

Come ha avuto modo di spiegare l’astrologa TALI EDUT, titolare della Astrostyle con la sorella gemella Ophira (più note come Astro Twins), “La numerologia può essere considerata come ‘la vibrazione dei numeri’ e ‘come l'astrologia, basata su matematica e geometria’. Insomma, in astrologia c'è sempre da imparare! Ci sono i segni lunari, i segni ascendenti e il tema natale, naturalmente, ma ci sono anche pratiche correlate, come l'infinito mondo della numerologia. Amici, uno dei punti di partenza più facili per scoprire la potenza della numerologia è applicarla al proprio percorso di vita. Partendo dalle cifre del proprio anno di nascita, si riesce a scoprire la propria "personalità di base". Come ha spiegato Tali Edut: "Proprio come la comprensione del vostro segno zodiacale, il numero del vostro percorso di vita racchiude un tema che affronterete per tutta la vita". Poi aggiunge: "È molto utile per conoscere i vostri punti di forza e le aree della vita che dovete perfezionare... è solo un'altra dimensione di voi stessi da comprendere".

Amici, a sentire Tali Edut, “il numero del percorso di vita è molto simile al proprio segno solare. "È l'essenza di chi siete, la vibrazione di chi siete". Ed ecco come calcolare il proprio numero relativo al percorso di vita Per trovare questo numero bisogna fare un piccolo calcolo matematico, facendo la somma di tutti i numeri della data di nascita. Proviamo con un esempio: 29 settembre 2023. Sommando tutti i numeri (2 + 9 + 9 + 2 + 0 + 2 + 3 = 27), considerato che si deve avere a che fare solo con cifre singole, e 27 non lo è, sommiamo 2 + 7, ottenendo come numero del percorso di vita il 9.

Attenzione, se la somma di tutti i numeri è uguale a 11, 22 o 33, i cosiddetti numeri maestri, in questo caso, non si sommano le due cifre, ma ci si attiene al numero maestro, che può essere scritto come 11/2, 22/4 o 33/6 (numero maestro e somma dei due numeri). Ad esempio 22/4, perché 2 + 2 = 4. Una volta che si è in possesso del proprio numero del percorso di vita, vediamo come utilizzarlo, ricavando i dati relativi alla personalità.

Se la risultante da come numero 1 (Uno), siete un "iniziatore", come spiega Tali Edut. INSOMMA, "La persona che inizia tutto. Soggetto irrequieto, emotivo e avventuroso". Se invece si ottiene il numero 2 (Due), questo soggetto, invece, si concentra sulle relazioni. Questa persona è "colui o colei che dà, che si prende cura", come specifica l'astrologa. Se la risultante è 3 (Tre), "Il Tre riguarda il divertimento, il gioco, l'autoapprendimento, l'autoesame, la creatività", commenta sempre Tali Edut. In breve: il 3 indica una persona davvero molto sociale.

Se il numero è, invece il 4 (Quattro), questo fa pensare a quattro pilastri o a quattro pareti, dice Tali Edut. "I quattro sono le ancore, le persone orientate alla famiglia, gli stabilizzatori". Se è il 5 (Cinque), questo numero indica le persone super divertenti, che tendono ad amare le avventure, l'esplorazione, le uscite, l'apprendimento e la sperimentazione. "Sono gli amici che, se li chiami alle 2 di notte, ti vengono incontro per un drink. Sono sempre pronti a tutto. Possono sperperare soldi e risorse con la loro gioia di vivere".

Quando la risultante è il numero 6 (Sei), questi soggetti possono essere sia nutrici che amanti, commenta Tali Edut. "Vogliono che tutti si sentano al sicuro e accuditi. Sono molto creativi e visionari. Creano case molto belle e a volte possono portare il peso del mondo sulle loro spalle". Se invece si arriva al numero 7 (Sette), questi soggetti sono degli spiriti liberi nomadi. "Possono essere un po' distaccati" – come  spiega Tali Edut - "Sono molto scientifici ma anche molto spirituali. Sono un po' i filosofi della vita, che si interrogano e si chiedono il perché e vogliono sapere e capire tutto".

I possessori del numero 8 (Otto), invece, "hanno a che fare con denaro e potere", dice l'astrologa. "Sono una sorta di ricconi. Eppure a volte possono anche essere un po' tormentati dal denaro, perché sono assillati dallo status". Chi rientra nel numero 9 (Nove), invece, è un soggetto alquanto saggio. Sono queste delle persone eteree, generose, sognatrici o, come le chiama Tali Edut, gli angeli della Terra.

Arriviamo ora a chi rientra nei numeri maestro. Gli 11/2, secondo l'astrologa, "Hanno energia per due. Sono soggetti focalizzati sulle persone ma generatori di forza, come una dinamo. Molti personaggi famosi sono 11/2: Madonna, Jennifer Lopez, entrambi gli Obama. Quando si ha questo numero maestro si ha anche una missione spirituale. Potrebbe essere una vita più dura da affrontare". Invece i 22/4 possono essere molto interessanti. "A volte sono orientati alla famiglia, e formano una sorta di alleanza con le persone. Vogliono che tutti vadano d'accordo. Vogliono che tutto sia armonioso, ma a volte possono risultare un po' invadenti". Infine i 33/6, ultimo numero maestro, sono persone definite "anime un po' tormentate", spiega Tali Edut. "Pensano sempre troppo a tutto, si interrogano, si mettono in discussione. Possono preoccuparsi troppo di ciò che gli altri pensano di loro e sentono costantemente questo tiro alla fune tra il bisogno di piacere personale e la responsabilità verso gli altri".

Cari amici, credo che la numerologia sia davvero un argomento alquanto interessante, che ne dite? Mi piacerebbe la Vostra opinione!

A domani.

Mario