martedì, maggio 31, 2022

LA REGOLA DELLE 3 ERRE: RIDURRE, RICICLARE E RIUTILIZZARE! ECCO COME DISFARSI DI TESSUTI E VESTITI IN MODO SOSTENIBILE.


Oristano 31 maggio 2022

Cari amici,

Voglio chiudere i post del mese di maggio con una riflessione sul tema del "Riciclo", più noto come "3 ERRE, Ridurre, Riciclare, Riutilizzare". Non basta dire “consumiamo di meno”! Pur sapendo che le risorse del pianeta sono limitate, se vogliamo davvero passare dall’economia dello spreco a quella del recupero, tutti dobbiamo impegnarci a farlo, a partire dalla accorta gestione delle cose che possediamo. Il sistema economico che viviamo è un sistema complesso, fatto di risorse e di equilibri che devono essere garantiti e salvaguardati, per evitare che in un anno, per esempio, consumiamo più di quello che ciclicamente la natura è in grado di ricreare. Solo in questo modo il futuro delle nuove generazioni sarà garantito.  La corretta “Regola delle 3 R”: Ridurre, Riciclare e Riutilizzare, va applicata scrupolosamente da ciascuno di noi, nessuno escluso!

Ridurre, Riciclare e Riutilizzare sono termini importati: con il termine Ridurre, si intende la diminuzione del consumo di energia e di beni, come chiudere i rubinetti quando non si usano, o la luce quando non serve; Riciclare vuol dire separare i rifiuti con l’idea che possano essere sottoposti a un processo di trasformazione o di recupero; Riutilizzare, invece, significa usare nuovamente un apparecchio, uno strumento o un oggetto, in quanto ancora ritenuto utile per svolgere magari un altro servizio (come per esempio si fa con i sacchetti del supermercato).

In casa, amici, la “Regola delle 3 R” la possiamo applicare in mille modi diversi. Oggi voglio portare il Vostro pensiero e la Vostra attenzione su un settore particolarmente importante: quello dell’abbigliamento e del corredo, presente in abbondanza in ogni casa. Tutti, ad ogni nuovo cambio di stagione, dobbiamo mettere mano al nostro armadio; fare pulizia, togliere abiti e biancheria che ormai hanno fatto il loro tempo o semplicemente vestiti che non indossiamo più, di norma riponendogli altrove. Ebbene, quello che riteniamo non sia più di nostra utilità o gradimento non credete che possiamo ri-utilizzarlo in modo sostenibile? Come possiamo evitare di buttare via ciò che è ancora utile e in buone condizioni? Vediamo come.

Se i capi che decidiamo di non usare più sono ancora in buone condizioni un’idea interessante e sostenibile è quella di metterli in vendita su app dedicate agli oggetti di seconda mano o presso i mercatini dell’usato. Possiamo usare diverse soluzioni: nei circuiti “mercatini dell’usato”, dove ricaviamo di meno ma non occorre nessun tipo di impegno per vendere; oppure su siti di vendita online, su piattaforme come Vinted, o mediante l’uso di app o sui social network (es. Marketplace di Facebook), oppure attraverso le tante applicazioni di settore tipo Svuotaly o Greenchic, entrambe giovani startup made in Italy. Queste soluzioni ovviamente implicano un impegno maggiore da parte nostra, come fotografare, pubblicare, gestire le richieste ecc.

Possiamo anche, volendo, utilizzare il “canale della solidarietà”, ovvero donando il nostro usato nei punti di raccolta solidale. Ogni città o Comune dispone di punti di raccolta per vestiti ormai dismessi, ma ancora in buono stato; oltre l’abbigliamento sono ben accette, anche scarpe, biancheria intima e tessili rigorosamente puliti. Questo materiale sarà poi sanificato e redistribuito a chi ne ha più bisogno come nel caso dei cassonetti gialli della Caritas oppure rivenduto per una raccolta fondi, come provvede HUMANA Vintage (o HUMANA Second Hand), dove il ricavato serve a finanziare progetti umanitari a vantaggio dei Paesi del Terzo Mondo.

Invece, tutti gli abiti e la biancheria in cattive condizioni (oltre abbigliamento, coperte, lenzuola, asciugamani, etc.) possono essere donati ai rifugi per animali. Canili, gattili o centri di recupero per la fauna selvatica, saranno lieti di avere del materiale (ne hanno sempre bisogno) per far star bene i nostri amici animali. Se poi avete tempo e fantasia, potete anche pensare di ricavare voi, dalle parti buone della vostra biancheria nuovi oggetti (presine per la cucina, centri tavola, anti-spifferi per porte e finestre e quant’altro.

Cari amici, il problema dello smaltimento dei tessuti è una questione davvero seria. La moda e la sua filiera sono la terza industria più inquinante, dopo quella alimentare e quella delle costruzioni. Si tratta del 10% delle emissioni globali di gas serra, 1,2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica all’anno, più del trasporto marittimo e dell’industria aeronautica messi insieme. Imparare a riciclare e smaltire correttamente i tessuti in chiave ecologica oggi è una necessità ineludibile, se vogliamo iniziare a limitare danni ambientali ed ecologici a lungo termine e potenzialmente irreversibili, già di per sé aggravati dagli effetti del cambiamento climatico.

A domani.

Mario

lunedì, maggio 30, 2022

USARE AURICOLARI O CUFFIE? PROTEGGERE IL NOSTRO SISTEMA UDITIVO È IMPORTANTE! I PERICOLI SUBDOLI PER L’UDITO.


Oristano 30 maggio 2022

Cari amici,

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2050 nel mondo quasi 2,5 miliardi di persone soffriranno di perdita disabilitante dell’udito, mentre 700 milioni ne richiederanno la riabilitazione. Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore generale dell’OMS, ha detto: “La nostra capacità di ascoltare è preziosa. La perdita dell’udito non trattata può avere un impatto devastante sulla capacità delle persone di comunicare, studiare e guadagnarsi da vivere. Può anche avere un impatto sulla salute mentale delle persone e sulla loro capacità di sostenere le relazioni”.

L’importanza dell’udito, in realtà, è ben nota a tutti, tanto che vorremmo sentire sempre bene, sia fuori che dentro casa! Purtroppo, però, sono tante le cause che compromettono il nostro “sentire bene”: dall’avanzare dell’età all’ereditarietà, dall’esagerata esposizione alle fonti sonore alle diverse infezioni dell’orecchio, spesso dovute alla scarsa pulizia che crea fastidiosi accumuli di cerume, oppure allo svolgimento di attività che possono creare una lesione del timpano, come l’esposizione a sostanze ototossiche, oppure per abuso di farmaci, oltre ai possibili disturbi neurologici.

Si, amici, con la caotica vita moderna, l’orecchio risulta sempre più esposto a rumori molesti, tanto che anche le norme di legge parlano di inquinamento acustico, disciplinato da varie norme e definito dalla legge 447/1995 come “l’introduzione di rumore nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo o dell’ambiente esterno o tale da interferire con le legittime fruizioni degli ambienti stessi”.

Le nostre città, amici, sono sempre più fonte di “Inquinamento acustico”, una miscela di rumori insopportabili che crea ansia e stress. Cosa fare dunque per cercare di difenderci, per provare a salvaguardare se non in tutto almeno in parte, il nostro sistema uditivo? Indubbiamente coprendo le nostre orecchie con i giusti strumenti, come le cuffie antirumore, in particolare nei luoghi di lavoro, dove i rumori non mancano! In questi ambienti per poter trovare una certa pace e serenità e quindi sfuggire ai rumori, è necessario coprire le orecchie con delle apposite cuffie.

Non solo cuffie, però, perché oggi gli auricolari (con e senza fili) spopolano alla grande, in particolare durante il nostro tempo libero! Che dire poi di chi tiene in auto (o anche camminando) la musica a palla, oppure trascorre serate in discoteca senza la minima protezione per l'udito? Commettere l’errore di alzare troppo il volume, come spiega il dottor Luca Malvezzi, otorinolaringoiatra della clinica Humanitas, è sempre un grave errore! 

“Quando si è per strada o sui mezzi pubblici si usano cuffie e auricolari, oltre che per fruire meglio della musica, anche per isolarsi ed escludere dal proprio campo uditivo altri suoni e rumori esterni; facendo ciò si tende ad aumentare sconsideratamente il volume, che supera facilmente gli 80-100 decibel. Per rendere l’idea, 110-120 decibel sono la potenza di suono di una motosega in azione o di un jet al decollo; mentre il suono della voce umana raggiunge di media i 30-40 decibel e così viene anche udita; perciò, a questa stessa intensità si potrebbe anche tranquillamente ascoltare la musica”. Non per niente l’Unione Europea – continua il dottor Luca Malvezzi - ha commissionato uno studio per imporre ai produttori di apparecchi tecnologici limiti all’erogazione del suono; tuttavia, prima che queste normative raggiungano diffusamente il mercato, è consigliabile regolare il volume dei propri apparecchi di modo da non danneggiare l’udito”.

Se ci domandiamo: Ma se si vuole ascoltare musica, è meglio usare le cuffie o gli auricolari? “In generale - spiega ancora il dottor Malvezzi - “le cuffie sono comunque preferibili agli auricolari, che per fortuna sono sempre più spesso utilizzati per le conversazioni telefoniche piuttosto che per ascoltare musica. Infatti, le cuffie sono esterne alle orecchie e perciò il suono, se non troppo elevato, è meno traumatico per la membrana del timpano. Al contrario gli auricolari sono posti direttamente dentro il padiglione auricolare e questo rischia di essere più dannoso per il timpano, perché la fonte del suono è a contatto diretto o quasi con la membrana; un ulteriore rischio è quello di infezioni cutanee del padiglione, acuite dalla presenza estranea dell’auricolare dentro l’orecchio”.

Cari amici, gli auricolari (con e senza fili) da qualche anno sono entrati nella nostra quotidianità ed esistono già diversi studi sugli effetti del loro utilizzo. Una ricerca australiana condotta dalla Bond University sostiene che un utilizzo normale di questi dispositivi non provoca in genere nessun problema ma, se impiegati per un tempo prolungato, possono causare vari disturbi. Insomma, il consiglio è che, in presenza di un uso costante, è sempre meglio preferire le cuffie.

A domani.

Mario

domenica, maggio 29, 2022

L'EUROPA PER CONTENERE I CONSUMI ENERGETICI NEGLI EDIFICI SIA PUBBLICI CHE PRIVATI, IMPONE L'OBBLIGO DELL’USO DI ENERGIE RINNOVABILI ENTRO IL 2029.


Oristano 29 maggio 2022

Cari amici,

La guerra tra Russia e Ucraina, dal punto di vista energetico, sta mettendo in braghe di tela l’intera Europa. Per troppo tempo la pericolosa dipendenza energetica da Paesi Terzi è stata sottovalutata ed è ora è necessario correre, in fretta e furia, ai ripari. L’Unione Europea, con la sua reazione di natura economica, concretizzatasi con tutta una serie di “sanzioni” messe in atto per contrastare l’invasione russa dell’Ucraina, ha indebolito la portata del rubinetto del gas russo, che alimentava per importi consistenti la produzione energetica Europea. L’Italia, Paese alquanto dipendente dal gas russo, ora sta cercando disperatamente fonti energetiche alternative.

In questa direzione, l'intero piano elaborato dall’UE prevede di diminuire, entro il 2027, gli acquisti di gas russo per almeno 9 miliardi di metri cubi. Per arrivare a questo risultato ha ipotizzato che, a partire dal 2030, tutte le nuove costruzioni - comprese quelle residenziali - dovranno essere indipendenti dal punto di vista energetico. Ciò significa che ogni costruzione dovrà produrre il 100% dell’energia necessaria al suo funzionamento, utilizzando energie rinnovabili, come l’energia solare. Insomma, entro il 2029, c’è l’obbligo di installare pannelli solari su edifici pubblici, commerciali e sulle abitazioni di nuova costruzione.

Come si può leggere al punto 2.3, del piano varato dalla Commissione Europea, che  è noto come RePowerEU, questo punta a rendere le nazioni europee meno dipendenti dal gas russo; “la transizione verso la de-carbonizzazione dei consumi energetici degli edifici sarà accelerata introducendo l'obbligo graduale, tra il 2026 e il 2029, di installare apparecchiature ad energia solare su tutti gli edifici pubblici e commerciali, nuovi ed esistenti, al di sopra di una certa dimensione, e sui nuovi edifici residenziali”. La dimensione di riferimento è un'area utile di minimo 250 metri quadrati. Qualora per motivi tecnici non sia possibile l’installazione, sarà necessario acquistare energia pulita da fonti rinnovabili tramite PPA (Power Purchase Agreement).

La Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, presentando il RePowerEu, ha così commentato: “Questo è un piano ambizioso ma anche realistico". In realtà il principio che ha fatto maturare questo piano non differisce dalle opinioni espresse dal Segretario Usa Janet Yellen, che ha così commentato: "È chiaro che nessuno può controllare il sole e il vento, nemmeno Vladimir Putin. L'Europa si gioca le sue carte con le energie rinnovabili”. Una impellente necessità, dunque, quella di tagliare i ponti con la Russia al più presto, spingendo sull'acceleratore per arrivare all'obiettivo di portare il mix energetico entro il 2030 dal 40 al 45%.

Indubbiamente l’importante rivoluzione energetica in atto, ovvero l’abbandono delle fonti tradizionali di produzione, parte dallo sfruttamento dell’energia solare, e, su questa lunghezza d’onda viene ipotizzata l’installazione obbligatoria dei pannelli solari su tutti gli edifici pubblici, commerciali e privati, prevedendo anche scadenze ravvicinate: entro il 2025 per quanto riguarda gli edifici pubblici e commerciali, a seguire, entro il 2029, quelli residenziali. Insomma, entro il 2030 tutti gli edifici dovrebbero autoprodurre l’energia di cui hanno bisogno.

Questo, amici, è l’ambizioso progetto dell’Unione Europea, che per bocca di Ursula Von der Leyen, è stato ufficializzato a tutti gli Stati membri. La Presidente della Commissione Europea, ha sostenuto che il piano RePowerEU è certamente "realistico e possibile", in quanto potrà essere facilmente sostenuto, da parte degli Stati, con l’utilizzo dei fondi del PNRR, da nuove sovvenzioni e dal trasferimento di fondi comuni da PAC e Coesione. Il maxipiano RePowerEu parte dalla considerazione "più ovvia" per la Presidente della Commissione UE: "Risparmiare energia è il modo più veloce ed economico per affrontare la crisi".

In sintesi, con questa nuova mossa si prevede di innalzare l'obiettivo dell'efficienza energetica dell'Unione, sempre entro il 2030, dal 9 al 13%, oltre a cercare di snellire la burocrazia, provvedendo a tagliare in modo drastico i tempi per l'autorizzazione dei nuovi impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. I progetti per le rinnovabili, infatti, dovrebbero diventare di "prevalente interesse pubblico" per legge, con Bruxelles che chiede agli Stati membri di dare una nuova prova di unità e lavorare velocemente e insieme alla rilevazione delle aree più idonee alle nuove installazioni.

Cari amici, snellire la burocrazia nel nostro Paese non sarà certo facile: in Italia, per avere l'ok a procedere (in particolare per gli impianti eolici) servono spesso ancora tempi biblici; ma i problemi non mancano neanche per Germania, Olanda, Belgio e Danimarca, che hanno appena siglato un'alleanza per fare del Mare del Nord il più grande centro di energia sostenibile d'Europa quadruplicando la capacità eolica offshore totale entro il 2030. Insomma, gli errori del passato, che oggi pesano non poco, possono comunque trovare rimedio, ma ovviamente con il concorso di tutti noi!

A domani.

Mario

 

sabato, maggio 28, 2022

IMPARARE LE LINGUE? NON SARÀ PIU' NECESSARIO: CON I NUOVI OCCHIALI DI GOOGLE SI POTRÀ CONVERSARE IN QUALSIASI LINGUA IN TEMPO REALE.


Oristano 28 maggio 2022

Cari amici,

Che l’Intelligenza Artificiale (AI) stia raggiungendo livelli di straordinaria capacità inventiva è fuori dubbio, ma certamente alcune recenti scoperte stanno lasciando praticamente senza parole. Il mondo, lo sappiamo bene, si esprime in tante lingue diverse tra loro: un problema serio, vissuto anticamente nell’insofferenza, tanto da essere rappresentato con l’immagine della “Torre di Babele”. Ebbene, con il supporto dell’Intelligenza Artificiale, questo grosso handicap, che costringe la gran parte delle persone, che per affari o per diletto girano il mondo, a passare tante ore ad imparare le lingue, sta per essere superato.

Durante il Google I/O 2022, l'azienda di Mountain View ha presentato una serie di "Nuovi prodotti" in arrivo durante l'arco dell'anno. In questo incontro che vedeva la presenza del vertice degli sviluppatori I/O (la sigla I/O significa letteralmente Input/Output, ed è l'indicazione generica che racchiude in sé tutte le interfacce che immettono dati (input) e le interfacce che fanno uscire dati (output)), Google ha presentato non poche novità: dal nuovo Google Pixel 6a, agli auricolari Google Pixel Buds Pro (a soppressione del rumore attivo), ma anche dei futuri Google Pixel 7 e 7 Pro oltre al Google Pixel Watch, il primo smartwatch completamente creato dall'azienda.

Una particolare novità, però, ha destato curiosità più di tutte le altre: quella dei "nuovi occhiali AR con traduttore simultaneo integrato". A presentare gli straordinari occhiali è stato il Ceo di Big G, Sundar Pichai, che ha mostrato un video esplicativo. Amici, sono questi degli occhiali a dir poco straordinari, in grado di mostrare a chi li indossa, su uno schermo, una vera e propria traduzione immediata delle conversazioni tra persone. Uno strumento che in futuro potrebbe avere un successo strepitoso nel mondo, tale da consentire di far conversare in tempo reale persone che parlano lingue differenti. Ma vediamo, anche se in modo alquanto sommario, il funzionamento di questi particolari occhiali traduttori.

Il video proiettato da Sundar Pichai mostra che la persona che indossa questi occhiali (che usano la realtà aumentata) può capire cosa sta dicendo un'altra persona semplicemente leggendo i sottotitoli che vengono presentati (attraverso le lenti). L’azienda, comunque, si era già avventurata sulla strada degli occhiali intelligenti un decennio fa; allora, però, i Google Glass non erano risultati interessanti per la maggior parte dei consumatori, forse a causa del lancio limitato, dei prezzi iniziali elevati e anche dei problemi di privacy.

Tuttavia, Google non abbandonò il progetto. Nel 2020 acquistò North, un'azienda sostenuta da Amazon che produceva occhiali intelligenti, e ora ha provato a ripresentare un nuovo progetto. In questa nuova fase è stato proprio Sundar Pichai, Ceo di “Big G”, ad illustrare, durante il vertice degli sviluppatori I/O di Google, le capacità degli occhiali intelligenti, che, usando la realtà aumentata, fanno capire a chi li indossa cosa sta dicendo un’altra persona semplicemente leggendo i sottotitoli che vengono presentati attraverso le lenti degli occhiali.

Sundar Pichai, al termine del filmato che ha messo in evidenza le possibilità offerte dai nuovi occhiali ha dichiarato: “La lingua è così fondamentale per far connettere tra loro le persone, ma capire qualcuno che parla una lingua diversa o provare a seguire una conversazione se sei sordo o con problemi di udito può essere una vera sfida”. L’ingegnere di Google Eddie Chung ha aggiunto: “Ciò su cui stiamo lavorando è una tecnologia che ci consente di abbattere le barriere linguistiche, impiegando anni di ricerca in Google Translate e portandola agli occhiali”.

Le straordinarie possibilità dateci dall’Intelligenza Artificiale ci consentiranno, con i nuovi occhiali Google, di farci capire da chi parla altre lingue, oltre a far capire a noi quello che dicono gli altri; tutto questo grazie alla traduzione in tempo reale. Le barriere linguistiche potrebbero davvero cadere, diventando un ricordo del passato! Per esempio, quando andando in vacanza, bisognava arrabattarsi in mille modi per farsi capire. Questi nuovi occhiali, poi, aiuterebbero anche le persone sorde, che beneficerebbero della lettura di quanto detto da chi parla.

Cari amici, Google è sicuramente ancora nella fase sperimentale di questo innovativo progetto, tanto che non ha confermato se e quando i prototipi verranno rilasciati al grande pubblico; l’anteprima, però, è stata una buona indicazione di dove Google vuole arrivare, portando avanti la sua tecnologia di realtà aumentata!

A domani,

Mario

 

venerdì, maggio 27, 2022

IL FUTURO DEGLI ABITANTI DELLA TERRA? COLTIVARE (E FORSE ABITARE) LA LUNA! ECCO UNA SINTESI DEGLI STUDI IN CORSO.


Oristano 27 maggio 2022

Cari amici,

L’incognita se la terra sarà in grado di sfamare, fin dai prossimi 50 anni, tutti gli abitanti del pianeta (stimati in circa 11 miliardi di persone) è un dubbio amletico, per cui gli scienziati si sono già posti un insolito problema: si potrà, magari, coltivare la Luna, che noi abbiamo già raggiunto? Per alcuni scienziati questo potrebbe essere presto una realtà. A sostenerlo sono gli scienziati dell'Università della Florida, che hanno provato a coltivare delle piantine nel suolo lunare. Si, amici, l’idea è di quelle storiche: tentare di far crescere le piante sul suolo lunare!

Gli esperimenti portati avanti dagli scienziati dell’Università della Florida hanno già avuto un esito positivo, tanto che sono riusciti a far germogliare sul suolo lunare delle piccole piantine. Il team di scienziati ha usato per l’esperimento una pianta molto nota, la Arabidopsis thaliana, una parente di alcune varietà di broccoli, pianta che è in assoluto tra le più studiate al mondo. La Arabidopsis thaliana è stata piantata nella regolite (sono dei campioni di suolo lunare provenienti dai carotaggi effettuati nelle missioni Apollo, che risalgono a cinquant’anni fa. È la prima volta in assoluto che delle piante vengono coltivate nella regolite lunare, un composto notoriamente povero di nutrienti.

Come ha dichiarato Anna-Lisa Paul, primo autore di questo studio: “Ogni piantina ha avuto a disposizione soltanto un grammo di regolite, un po’ d’acqua e una soluzione nutriente aggiunta su base quotidiana. Dopo due giorni, le piantine hanno iniziato a germogliare! Non so descrivere quanto fossimo tutti meravigliati”. Ha poi aggiunto: “Tutte le piantine, quelle cresciute nel suolo lunare e quelle di controllo poste su un campione del nostro suolo, sembravano identiche, come se non ci fosse differenza tra il crescere nella regolite o nel nutriente suolo terrestre”.

Soltanto dopo sei giorni gli esemplari germogliati nella regolite hanno iniziato a manifestare delle particolarità: mostravano infatti una crescita più lenta, con foglie e radici più deboli e qualche segno di pigmentazione rossiccia. A venti giorni dalla semina, appena prima della fioritura, il team di scienziati ha proceduto al raccolto delle prime piantine lunari per esaminarle: lo studio dell’RNA ha evidenziato che effettivamente gli esemplari di Arabidopsis thaliana cresciuti nella regolite presentavano evidenti segni di stress, simili a quelli che la pianta esprime in terreni particolarmente aridi sulla Terra.

Come ha spiegato il Prof. Robert Ferl, docente presso il Dipartimento di Orticoltura dell’Università della Florida, lo studio della coltivazione sul suolo lunare aveva lo scopo di accertare se la vegetazione terrestre poteva crescere nella regolite. Studio certamente alquanto importante, tale da creare i presupposti per un eventuale futuro umano fuori dalla terra. Grande soddisfazione sull’esito dello studio è stata espressa anche dalla NASA, che ipotizza che in futuro gli astronauti possano coltivare piante nutrienti sulla Luna, oltre a prosperare nello spazio – forse come un’umanità multi-planetaria.

Amici, l’ipotesi di colonizzare il nostro satellite non è poi così campata in aria. Il professor John Grant, scienziato specializzato in Scienze del Suolo dell’Università della Croce del Sud, un ateneo australiano con sedi nel Nuovo Galles del Sud e nel Queensland, ha pubblicato uno studio che afferma che sulla Luna c'è ossigeno in quantità tale da poter soddisfare le esigenze di 8 miliardi di persone per circa 100 mila anni! Lo studio è stato pubblicato su The Conversation, dove lo scienziato ha spiegato che l’ossigeno si trova intrappolato nei minerali che compongono la superficie della Luna.

Secondo il professor Grant se è pur vero che la debole atmosfera lunare è composta principalmente da idrogeno, argon e neon, sostanze che non possono supportare la vita dei mammiferi che respirano ossigeno come gli esseri umani, sulla luna l’ossigeno c’è, anche se si trova racchiuso proprio nella regolite lunare, quell’insieme di polvere e roccia che compone lo strato superficiale del satellite. Su questa superficie, infatti, sono presenti anche un insieme di minerali come “silice, alluminio e ossidi di ferro e magnesio", derivati dall’impatto dei meteoriti, ed è proprio all’interno di questi componenti che si trova intrappolato l’ossigeno che serve agli esseri viventi per respirare.

Come estrapolare, allora, l’ossigeno rimasto intrappolato sul suolo lunare? È sempre il professor Grant a evidenziare che la regolite è composta per il 45% da ossigeno. Per poterlo estrapolare dalle rocce, dalla ghiaia e dalla polvere, però, è necessaria una procedura che richiede molta energia, l’elettrolisi. Questo significa che bisognerà portare sulla Luna degli specifici reattori che dovranno essere alimentati dall’energia solare o da altre fonti da trovare sul satellite. La società belga Space Applications Services sta già sviluppando reattori di nuova generazione che potrebbero permettere l’estrazione dell’ossigeno.

Questi strumenti potrebbero poi essere testati direttamente sulla Luna nei prossimi anni, in una missione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Sulla Luna c’è una grande abbondanza di ossigeno che, se si riuscirà a estrarre, potrebbe permettere di respirare all’intera popolazione umana. Il professor Grant ha calcolato che in ogni metro cubo di regolite lunare ci sono 630 chilogrammi di ossigeno. La Nasa ha specificato che ogni persona respira circa 800 grammi al giorno di ossigeno per vivere e, considerando i soli primi 10 metri di profondità della superficie della Luna, è quindi possibile stimare una quantità di ossigeno tale da permettere la respirazione di otto miliardi di persone per 100mila anni.

Amici, che ne dite di un ipotetico soggiorno in futuro sulla luna, magari in vacanza, seduti in un buon ristorante vegetariano, di fronte ad un piatto di verdure a chilometro zero?

A domani.

Mario

 

giovedì, maggio 26, 2022

LO SMART WORKING, TANTO UTILIZZATO NEL PERIODO DELLA PANDEMIA, AVRÀ UN FUTURO E RIVOLUZIONERÀ L’ATTUALE ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO?


Oristano 26 maggio 2022

Cari amici,

C’è un dilemma che circola con sempre maggiore insistenza: lo “Smart working”, il lavoro da remoto che rapidamente si è diffuso per necessità durante il periodo della pandemia, riuscirà davvero a insediarsi stabilmente, cambiando le attuali regole del lavoro, nel senso di azzerare la presenza fisica dei lavoratori negli uffici e nelle aziende? Il dilemma non è di poco conto, tanto che analisti e aziende stanno cercando di entrare nel cuore del problema nell’intento di risolvere, nel modo migliore, il futuro svolgimento del lavoro. Per sapere cosa succederà nel prossimo futuro, sono in corso diverse indagini, tutte orientate a risolvere il serio problema.
Un’indagine promossa da Istituto Toniolo, Università Cattolica e Acli milanesi, realizzata da IPSOS in oltre 400 aziende lombarde circa il gradimento espresso da datori di lavoro e dipendenti, ha evidenziato che nel corso del 2021 le aziende della provincia di Milano che non ritenevano possibile l’applicazione ai dipendenti del lavoro da remoto erano il 43% circa, mentre per quanto riguardava i lavoratori dipendenti lo Smart working aveva ottenuto la piena promozione da parte di oltre il 50 per cento.

Ciò sta a significare che lo Smart working prenderà sempre più piede, anche se le modalità di lavoro da remoto, per un periodo abbastanza lungo saranno ibride, ovvero con periodi da trascorrere in azienda e altri fuori, nella ricerca di un miglior equilibrio fra lavoro in sede e a distanza; nelle grandi imprese sarà possibile lavorare a distanza mediamente per tre giorni a settimana, due giorni nelle PA. In realtà gli studi in corso evidenziano che tra gli aspetti più penalizzati dal lavoro da remoto c'è la mancanza dei rapporti interpersonali; in particolar modo i lavoratori più giovani sono quelli che dichiarano di privilegiare i rapporti personali con i propri colleghi e superiori, dai quali ricercano direttamente indicazioni e direttive sul lavoro da svolgere.

Tra favorevoli e contrari, tra ricerche e sondaggi, oggi c'è un fatto nuovo. quasi all’improvviso un’azienda importante ha lanciato una specie di “guanto di sfida” a tutti, anche se diretto in particolare a quelle aziende e a quei lavoratori refrattari all’utilizzo dello Smart working. I Media hanno rilanciato con grande evidenza l’incredibile decisione presa dal CEO di AIRBNB (la grande società di intermediazione immobiliare che si occupa di affitti) che ha sorpreso innanzitutto i dipendenti. Con una apposita lettera ha comunicato a tutti i dipendenti che essi potevano lavorare (per sempre) da dove volevano, e, ovviamente, senza riduzione dello stipendio. 

Nella lunga e-mail inviata allo staff aziendale giovedì 28 aprile, il CEO di Airbnb ha dichiarato ai suoi dipendenti che potranno lavorare per sempre da remoto e che potranno, se lo vogliono, trasferirsi ovunque all’interno del Paese in cui lavorano. Ciò, ha affermato la società, non avrà conseguenze sugli stipendi. Qualora un dipendente scegliesse di lavorare per sempre da remoto, il suo contratto non subirebbe modifiche e nemmeno la sua retribuzione. Come appare ovvio, ha sottolineato che per alcuni ruoli (“un piccolo numero”, però), vi era la necessità di rimanere “in ufficio o in un luogo apposito, per svolgere le proprie mansioni lavorative principali”.

Il CEO Brian Chesky, 40 anni, amministratore delegato e cofondatore di Airbnb, nelle nuove linee guida dell’azienda sullo Smart working ha sottolineato che concedere una permanente flessibilità ai suoi dipendenti permetterà all’azienda di “assumere e trattenere le persone migliori del mondo”, piuttosto che solamente quelle che si trovano nel “raggio di pendolarismo intorno ai nostri uffici”. Airbnb ha circa 6 mila dipendenti in tutto il mondo, oltre 3mila negli Stati Uniti.

Secondo Brian Chesky, a partire da quest’anno le persone non avranno più un posto fisso dove vivere, ma si sposteranno continuamente tra città e Stati, rimanendoci per settimane, mesi o anche intere stagioni. “Più persone – ha scritto su Twitter – inizieranno a vivere all’estero, altri viaggeranno per l’intera estate e alcuni rinunceranno persino ai contratti di locazione e diventeranno nomadi digitali”. Secondo il CEO di AIRBNB le città e gli Stati “si sfideranno per attrarre questi lavoratori a distanza e ciò porterà a una redistribuzione di dove le persone viaggeranno e vivranno”. “Questa tendenza – ha concluso Chesky – è una specie di decentramento della vita e sta cambiando la stessa identità dei viaggi”.

Cari amici, è indubbio che la pandemia ha accelerato l’evoluzione di nuovi modelli di lavoro, orientati verso forme di organizzazione più flessibili e intelligenti, cambiando le aspettative di imprese e lavoratori; tuttavia nella nostra bella Italia, provare a cambiare sul serio le attuali regole non sarà certo facile, legati come siamo all’antico detto del Gattopardo “Cambiare tutto per non cambiare niente”.

A domani.

Mario