lunedì, ottobre 31, 2022

RISCOPERTA IN TURCHIA UN'ANTICA VARIETA' DI FERULA CHE SI RITENEVA ESTINTA: È L’ANTICO SILPHION (O SILFIO), PIANTA RITENUTA UNA PANACEA PER TUTTI I MALI.


Oristano 31 ottobre 2022

Cari amici,

Ho voluto terminare i post di ottobre parlando di un lontano parente della nostra FERULA, un vegetale di cui ebbi occasione di parlare su questo blog nel 2014 (per chi volesse leggere il post ecco il link http://amicomario.blogspot.com/2014/02/la-ferula-croce-e-delizia-della-nostra.html). La natura, sia vegetale che animale, è davvero qualcosa di unico, di straordinario! Presente nel mondo da milioni di anni la troviamo in numerosissime varietà, e, come spesso capita, certe varietà per le ragioni più disparate arrivano a estinzione. Ciò è avvenuto in entrambi i regni: quello animale e quello vegetale. Oggi voglio parlare con Voi di un’antica pianta che si riteneva fosse andata perduta e che cresceva un tempo in una ristretta zona costiera, di circa 200 per 60 km, precisamente in Cirenaica (attuale Libia): parlo del “SILPHION” (o anche Silphium o Silfio). Il Silfio era addirittura la maggiore risorsa commerciale dell'antica città di Cirene (600 a. C.), per il suo grande utilizzo come spezia e medicinale. La pianta era così importante per l'economia cirenaica che divenne il simbolo della città ed era rappresentata addirittura in molte delle sue monete.

Questa pianta fu ampiamente descritta dagli autori antichi (in particolare da Teofrasto, padre della botanica), e gli studiosi ne dedussero che la pianta poteva appartenere alla famiglia delle Ombrellifere e forse al genere Ferula (ferula drudeana); o  anche che fosse imparentata con altre piante a noi ben più note, come il finocchio e il sedano. Facendo un teorico confronto con i “parenti più stretti” prima citati, si ipotizza che il silfio potesse essere molto simile alla nostra ferula, con delle infiorescenze dalla forma ad ombrello o a palla, che il suo tronco fosse solcato da righe all’esterno e cavo all’interno. Ma la caratteristica più importante era che dall’incisione della pianta si poteva ottenere una pregiata sostanza (il succus cyrenaicus) dall’odore acre e dal colore rossastro traslucido, che veniva anche pagata a peso d’oro.

Del Silfio nel mondo antico se ne faceva un uso quasi spropositato, tanto che era diventato anche oggetto di contrabbando. Il silfio, infatti, era considerato unico, una vera panacea per tutti i mali: presso gli Egizi veniva usato soprattutto per il sollievo della pelle e per la cura dei capelli, presso i Greci (testimonianze famose sono quelle del medico Ippocrate e del farmacologo Dioscoride) era usato anche per la cura contro disturbi di varia natura, come quelli della respirazione o della digestione o della circolazione e così via. Ma questa pianta era in particolare legata alla sfera della femminilità e alla sterilità/fecondità, altro motivo per cui divenne ben presto una pianta famosa e tanto richiesta.

Del Silfio si faceva largo uso anche nell'alimentazione, tanto che le ricette tramandateci nel De re coquinaria di Apicio, sono ben 67, e ancora oggi ricette ricavate da piante simili sono presenti nella cucina nordafricana. Il silfio divenne la spezia per eccellenza, sinonimo di opulenza e ricchezza, considerato il suo valore. Il sapore? Sembra che avesse un sapore simile a quello dell’anice, anche se non potremo mai dirlo con certezza. Prova tangibile della sua preziosità era il fatto che il silfio entrò a far parte anche del Tesoro di Roma: addirittura, Cesare nel 49 a.C. ne sottrasse quasi 500 kg per far fronte alle spese belliche. Le antiche fonti dicono anche che si poté fare dono all’imperatore Nerone solamente di una pianta!

Ebbene, dopo tanto interesse, come spesso avviene, verso il II secolo d.C. questa pianta, seppure ricercata iniziò a mancare, e la sua assenza fece sì che il Silfio lentamente scomparve. Si pensò, infatti, che si fosse estinto, magari per l’uso indiscriminato che se ne faceva, oppure per essere stato mangiato dalle greggi affamate o addirittura distrutto dai popoli nomadi in guerra che devastavano il territorio. La sua fama però perdurò a lungo, tanto che veniva ancora nominata verso il V secolo d.C., e il suo ricordo rimase ancora vivo per molto tempo.

Agli studiosi e ricercatori, però, rimase il dubbio, circa la sua estinzione. Essi non smisero mai di pensare che la pianta poteva essere ancora presente, magari in qualche remoto e sperduto luogo della terra. Ci basti pensare che nel 1800 la Società Francese di Geografia istituì un premio per chiunque fosse riuscito a ritrovare la mitica pianta scomparsa; il tempo però passava, senza che nessuno riuscisse nell’impresa. Di recente, però, ecco la novità: gli esperti credono di aver ritrovato, finalmente, l’antico Silphion. 

Il ricercatore Mahmut Miski, operativo presso l’Università di Istanbul  ritiene di averlo individuato nella "Ferula drudeana" che cresce sul Monte Hasan, convinto che questa sia proprio l’elusiva pianta antica. Miski ha scoperto che ha numerose somiglianze con la pianta del silphion che si allineano con i vecchi testi botanici e le immagini delle piante utilizzate sulle antiche monete greche. Entrambe le piante, infatti, hanno le stesse radici spesse e ramificate, fiori gialli ed entrambe dotate di sostanze usate come potenti medicinali.

La Ferula drudeana, infatti, ha composti antitumorali e proprietà antinfiammatorie, così come quelle note per essere state presenti nel Silfio. Sebbene la ferula drudeana si trovi a centinaia di miglia da dove ha avuto origine, Miski afferma che è stata trovata in due località della Turchia, entrambe le quali ospitarono antichi greci migliaia di anni fa. Le uniche immagini dell’antico silfio sono state trovate incise su monete greche antiche trovate a Cirene, che gli esperti ritengono fosse dovuto al valore della pianta: pensate, aveva lo stesso valore dell’argento!

Ferula sarda

Cari amici, a noi Sardi credo che la scoperta non crei troppa meraviglia, vista la quantità di ferula che alberga sui nostri terreni! Certo, la varietà drudeana e forse il Silfio differiscono in diverse parti, ma la famiglia di appartenenza è certamente la stessa! Chissà se la recente scoperta del ritrovamento di questa pianta “Miracolosa” usata dagli antichi sia una concreta realtà o solo un'ipotesi! Ulteriori studi vengono portati avanti e serviranno per confermare se il Silfio sia davvero sopravvissuto.  La natura, lo ripeterò sempre, è qualcosa di straordinario e ha rimedi per tutti i mali. Sta a noi scoprire le sue nascoste proprietà!

A domani.

Mario

domenica, ottobre 30, 2022

IL PIACERE DI SCOPRIRE IL "FAI DA TE". ECCO ALCUNI USI ALTERNATIVI DELLE MOLLETTE DI LEGNO PER PANNI, CONSIGLIATI DALLE NOSTRE NONNE.


Oristano 30 ottobre 2022

Cari amici,

Una volta il "Fai da te" era molto più in uso di oggi! Le nostre nonne hanno operato in un periodo dove l’economia era alquanto latente, e questo le obbligava ad utilizzare tutto quanto era disponibile, e ad usare ogni possibile idea ingegnosa per realizzare i bisogno di allora, in quanto la tecnologia, allora, non era certo di casa! Oggi, per esempio, voglio raccontarvi i “curiosi”, particolari utilizzi che le nostre nonne facevano delle nostre mollette per i panni: quelle dei legno, con la molletta al centro, che servivano a tenere fermo il bucato. Si, amici, una molletta da bucato poteva e può, ancora oggi, aiutarci a risolvere molti problemi spiccioli del nostro quotidiano! E le nostre antiche nonne, che erano esperte in questo, ce lo ricordano anche oggi! Vediamo alcuni utilizzi curiosi delle mollette.

Una tecnica ingegnosa, pensate, ci permette di profumare il nostro bagno quando, per esempio andiamo ad utilizzare la doccia. Questa tecnica insolita potrebbe addirittura stupirci! Si tratta di usare una molletta da bucato e posizionarla nel soffione della doccia. Presa dal cassetto una molletta di legno e anche una bottiglia di olio essenziale di eucalipto (o un altro olio a vostra scelta come limone o mandarino), entriamo in doccia. Dopo aver bagnato abbondantemente la molletta con delle gocce di olio essenziale, appendiamo la clip al   soffione della doccia. Mentre ci laviamo lo scorrere dell’acqua calda, cadendo sulla molletta profumata, riempirà il bagno di un delicato profumo!

Ebbene. amici, oltre il trucco prima descritto che ci aiuta a diffondere un ottimo odore nella doccia, la molletta ci dà una mano in diversi altri modi in casa. In cucina, per esempio, la molletta di legno può essere usata per fissare il cucchiaio di legno nella padella, evitando che questo cada dentro il preparato! Certo, se sei preoccupato che il tuo cucchiaio di legno cada nella padella, la molletta di legno è la soluzione perfetta: devi solo appendere la molletta al manico del cucchiaio o della spatola e il gioco è fatto!

L’uso delle mollette in cucina è davvero ancora molto più ampio! Per mantenere la cucina in ordine possiamo utilizzare le mollette come porta canovacci: basta un rettangolo di legno dove incollare il numero di mollette che ci servono, e i canovacci saranno sempre a disposizione e in ordine!  Inoltre, per conservare per bene i pacchetti di cereali, patatine o i pacchi di farina, la molletta è ideale per proteggere dall’aria, rendendoli in questo modo più ermetici. Le mollette di legno sono anche l’ideale per decorare la nostra casa. Se non disponiamo di una cornice o non vogliamo attaccare le foto al muro, questo trucco è geniale. Per questo, avrai bisogno di uno spago e mollette con cui appendere i tuoi bei ricordi. Puoi anche appendere alle mollette i tuoi appunti o   la tua lista della spesa!

In casa, che sia in cantina, in cucina o in soggiorno, la molletta ci aiuta in altri mille modi. Per evitare di aggrovigliare i cavi, per esempio, (che si tratti di caricabatterie o altri fili, può essere difficile tenerli in ordine), per cui le mollette da bucato possono venire in nostro soccorso, fissando i gruppi di cavi ed evitando così che si aggroviglino. E nello studio? Certo, anche lì le nostre mollette ci sono utili. Si possono usare, per esempio, come segnalibro! Se per un motivo qualsiasi devi lasciare il libro che stai leggendo per aprire la porta, la molletta svolge la funzione di segnalibro in modo eccellente!

Anche se devi parlare in una conferenza e non puoi o non ritieni utile segnalare o evidenziare certi punti importanti del tuo discorso, puoi usare le mollette per individuare ed evidenziare i passaggi importanti. Un’abitudine originale come vedete, semplice e pratica! Le mollette sono davvero geniali: quando la molletta di legno si rompe, puoi riutilizzare pure la molla di ferro! Questa può essere riciclata per tenere insieme due stecche, sullo stile delle “bacchette cinesi” per prendere il cibo! Infatti, posizionando la molla al centro e inserendo le bacchette nelle due estremità, queste si trasformeranno in una pinza molto comoda per riuscire a gustare tutto senza far cadere dalle mani questo tipo di posate.

Ecco per Voi, amici, un altro pratico utilizzo. Se amate il “fai da te”, potete usare la molletta per panni addirittura come ferma chiodi o viti per non colpire le dita con il martello! Se temete, oppure vi è già capitato, di non prendere bene la mira e colpire inevitabilmente le vostre dita, questo è il trucco che fa per voi. Infatti, pinzando le viti o i chiodi con la molletta e tenendo quest’ultima tra le mani, non si correrà più il rischio di farsi del male. Geniale vero?

Cari amici, sicuramente avete a portata di mano delle mollette di legno, ebbene, ora sapete anche come usarle in modo diverso dal solito a casa Vostra!

A domani.

Mario

sabato, ottobre 29, 2022

LO STRESS CI STA TRASFORMANDO IN ROBOT SENZA GIOIA E VITA PRIVATA! POSSIAMO, TUTTAVIA, ANCHE RALLENTARE, CALMARCI, USANDO IL “QUIET QUITTING”.


Oristano 29 ottobre 2022

Cari amici,

La vita lavorativa moderna sta diventando ogni giorno più stressante. Oramai si lavora a ritmi incessanti, senza pause, con orari altamente flessibili, che comprendono festivi e ore notturne, oltre a reperibilità sette giorni su sette. Da anni ormai ci hanno convinto che il futuro passa dal progresso, e la realizzazione di questo comporta sacrifici che dobbiamo affrontare sacrificando tutto: famiglia, hobby e tempo libero, diventando in questo modo schiavi del lavoro senza alternative, ovvero, come dei robot: esseri umani che vivono per lavorare, anziché lavorare per vivere. Ma, se non vogliamo continuare su questa strada alienante, un rimedio c’è.

Un nuovo, particolare approccio al lavoro, è quello raccomandato dai Paesi anglosassoni, dove quella che pareva una semplice tendenza social, si è presto trasformata in realtà: un nuovo approccio al lavoro che è stato definito “Zeitgeist”, ovvero spirito dei tempi.  è un nuovo approccio al lavoro che insegna a disinnescare, lasciar correre l’impegno stressante, a non sovraccaricare, a respirare senza affanno. La risultante di questo nuovo comportamento nel lavoro è stata chiamata “QUIET QUITTING”.

Questo Quiet quitting, termine inglese che tradotto in italiano significa “abbandono silenzioso”, altro non è che l'antidoto al “BURNOUT” (altro termine inglese che tradotto in italiano significa “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”), ovvero colpito da esaurimento professionale. il nuovo approccio al lavoro suggerito, il Quiet Quitting, sta rivoluzionando la precedente cultura del lavoro. Ora, dopo due anni di pandemia, una guerra, il caro vita, l'inflazione e i venti di burrasca che la crisi energetica promette di scatenare già da questo inverno, la cultura del lavoro e del sacrificio a tutti i costi non esercita più quell'irresistibile fascino di un tempo.

Dopo decenni in cui pareva che il futuro dovesse coincidere necessariamente con il progresso, ora che anche la globalizzazione ha dimostrato la propria fallibilità e si preparano nuovi equilibri mondiali, la sensazione di imponderabilità prevale su tutto. Che fare allora? Riflettere sulla nuova situazione e cercare di ridimensionare il proprio impegno. Ridimensionarlo correggendo il convincimento che il nostro lavoro sia l’unico elemento che stabilisce il nostro valore personale. Allora che fare? Dare corpo al “QUIET QUITTING”, iniziando a ritirarci lentamente dal superlavoro.

Insomma, in parole povere, "Non certo abbandonare completamente il lavoro”, ma "quel di più", che sta diventando sempre più pesante, sempre più coinvolgente, allontanandoci da affetti, hobby e impegno sociale. Insomma, ridare valore a sé stessi, come persone e non come macchine di produzione! Arrivare a questa consapevolezza significa aver raggiunto la convinzione che nessuno dovrebbe spingersi al burnout per un salario, di qualsiasi importo sia, che causa stress o preoccupazione personale, riducendoci a semplici macchine produttive. Capire, insomma che il gioco non vale la candela!

Il fenomeno del Quiet quitting, come spiega il professor Anthony Klotz, docente associato presso la School of Management dell'Università del College di Londra, in realtà è sempre esistito, con la differenza che un tempo si chiamava coasting e consisteva nel limitarsi a timbrare il cartellino, facendo dentro-fuori dal lavoro all'esatto orario di entrata e uscita, niente straordinari, niente preoccupazioni. "Sebbene il problema attuale riguardi una generazione alquanto diversa - sostiene il professore – le nuove dinamiche, le recenti tendenze si ricollegano, seppure con nomi diversi, alle precedenti forme di disimpegno, abbandono, ritiro".

"Stiamo assistendo a un momento di ridefinizione delle priorità con l'abbandono silenzioso: la riduzione del lavoro nella vita delle persone per fare spazio alla famiglia, agli amici e agli hobby” - afferma con convinzione il professor Klotz; “le persone vogliono una carriera, ma vogliono (anche) una vita ricca e sana anche al di fuori del lavoro".

Cari amici, personalmente posso dirvi che ho provato sulla mia pelle il “BURNOUT”, e la mia vera fortuna è derivata dal fatto che, quando il mio malessere era arrivato al top, avendo già maturato il diritto a pensione, ho deciso, senza indugi di sorta, di riacquistare immediatamente la mia libertà! Sappiate che, dopo, ho fatto ancora tante cose belle nella mia vita, portando avanti progetti di vita straordinari!

A domani.

Mario

venerdì, ottobre 28, 2022

SAI CON COSA È FATTO IL TESSUTO PIÙ RARO E PREZIOSO AL MONDO? CON LA SETA A UN PARTICOLARISSIMO TIPO DI RAGNO, IL NEPHILA PILIPES, MEGLIO CONOSCIUTO COME RAGNO TIGRE.


Oristano 28 ottobre 2022

Cari amici,

Luigi XVI di Francia

In passato, quando nelle grandiose corti imperiali e reali si esibiva al pubblico un abbigliamento più unico che raro, Re e Regine, unitamente all’alta società di allora, sfoggiavano abiti confezionati con i migliori e rari tessuti dell’epoca. La grandezza, la potenza dei nobili, erano allora rappresentate anche dall’abbigliamento, che veniva esibito al popolo (spesso povero e affamato) in pompa magna. Erano indubbiamente capi d’abbigliamento composti da materiale pregiato, costoso e raro. Insomma, qualcosa di molto raro, difficile da trovare e fabbricare. Col passare del tempo, seppure Re e Imperatori non facciano più parte della storia moderna, il concetto di “raro” e prezioso è rimasto, ovviamente portato avanti dai super ricchi del Millennio. Ed è a questo proposito che oggi il mio blog riporta a Voi la curiosa storia di un tessuto di una rarità unica al mondo, ottenuto, pensate, dal filo di seta di un grandioso numero di ragni: ben 1milione e duecentomila! Un certosino lavoro di precisione e infinita pazienza, in quanto si è estratta questa particolare seta da 24 ragni alla volta.

Il filo di seta è stato fornito dal “Ragno Tigre”, uno dei ragni dalle dimensioni generose (sono gli esemplari femmine a fornire il filo), non certo ottenuto dal classico ragnetto che si nasconde dietro i mobili! I ragni tigre impiegati sono stati quelli del Madagascar, impiegati e poi rimessi tutti in libertà. Il filo che essi producono è talmente resistente che potrebbero prevedersi usi anche nel campo medico in futuro. Per realizzare il mantello dorato in seta di ragno tigre, però, ci sono voluti ben cinque anni! Ma vediamo insieme la curiosa storia di questo particolarissimo tessuto.

Questo tessuto, più unico che raro, nel 2009 fu realizzato grazie ad un progetto guidato congiuntamente da Simon Peers, uno storico dell’arte britannico specializzato in tessuti, e Nicholas Godley, il suo socio in affari americano. Il progetto ha richiesto ben cinque anni per essere completato ed è costato oltre £ 300.000. Il risultato di questo sforzo è stato un pezzo di tessuto di 3,4 metri per 1,2 metri; quello che si ritiene essere il pezzo di stoffa più grande e raro del mondo realizzato interamente con la seta del tessitore di sfere di seta dorata è stato esposto all’American Museum of Natural History di New York. Si dice che sia “l’unico grande pezzo di stoffa realizzato con seta di ragno naturale esistente oggi nel mondo”. È un tessuto mozzafiato e la storia della sua creazione è affascinante.

Il tessuto prodotto da Peers e Godley è uno scialle/mantello in broccato color oro. L’ispirazione per questo capolavoro è venuta a Peers grazie ad un racconto francese risalente al XIX secolo. Il racconto descrive il tentativo di un missionario gesuita francese di nome padre Paul Camboué di estrarre e fabbricare tessuti dalla seta di ragno. Sebbene in passato siano stati fatti vari tentativi per trasformare la seta di ragno in tessuto, padre Camboué è considerato la prima persona che ci è riuscita. Tuttavia, la ragnatela era già stata raccolta e utilizzata in tempi antichi, seppure per scopi diversi. Gli antichi greci, ad esempio, usavano la ragnatela per fermare l’emorragia delle ferite.

Amici, usare il filo di seta di questo ragno non è compito facile. I ragni catturati, quando alloggiati insieme, ad esempio, tendono a trasformarsi in cannibali. La seta di ragno ottenuta, però, è risultata estremamente resistente, ma anche leggera e flessibile, una proprietà che incuriosisce molti scienziati. Pertanto, i ricercatori hanno cercato di ottenere questa seta con altri mezzi.

Uno, ad esempio, è quello di inserire i geni del ragno in altri organismi (come i batteri, anche se alcuni lo hanno provato su mucche e capre), e quindi raccogliere la seta da loro. Tali tentativi, però, hanno avuto solo un modesto successo. Sembra che per il momento si debba ancora catturare un gran numero di ragni se si desidera ricavare un meraviglioso tessuto dalla sua seta!

A domani.

Mario

 

giovedì, ottobre 27, 2022

TEMPO DI OLIVE, TEMPO DI OLIO: L’ANTICA STORIA DELLE OLIVE ASCOLANE. NELL’ANTICA ROMA, GRAZIE AL LORO APPORTO NUTRITIVO, ERANO IL PASTO QUOTIDIANO DEI LEGIONARI.


Oristano 27 ottobre 2022

Cari amici,

Ad introdurre la coltivazione dell’olivo nella penisola italica furono gli antichi Greci ed i Fenici. Questa pianta vi trovò un habitat ideale, assumendo nel tempo, in ogni regione, particolari, preziose caratteristiche. Tra le zone maggiormente vocate alla coltivazione dell'olivo ci fu quella del Piceno. In questo territorio ascolano le olive, per la loro qualità, raggiunsero una lavorazione alquanto gradita, che poi si diffuse ben oltre i confini. Si, amici, le “olive ascolane” hanno una storia antica e curiosa, intrisa, forse, anche di leggenda.

Nell’antica Roma queste olive, preparate in salamoia, grazie al loro apporto nutritivo, erano il pasto quotidiano dei legionari romani. Oltre alla loro bontà, la loro forma e trasportabilità, le rese un alimento ideale durante i lunghi viaggi. Con questi presupposti, in primis la loro bontà, queste olive furono apprezzate e venerate, tanto che molti autori scrissero magnificando la loro bontà, e, tra questi, Catone, Varrone, Marziale e Petronio; quest'ultimo, nel Satyricon, le colloca sulle famose tavolate di Trimalcione.

Un gradimento che proseguì nei secoli, tanto che negli archivi dei monaci benedettini dell’ascolano, che risalgono al XVI secolo circa (documenti ancora oggi conservati), vengono riportate con dovizia di particolari le tecniche di coltivazione dell’olivo, la modalità di raccolta dei suoi frutti e i trattamenti cui questi ultimi venivano sottoposti: è interessante ricordarne uno in particolare, che prevedeva l’estrazione del nocciolo, per cui l’oliva era soprannominata giudea, ovvero ‘senz’anima’. Sempre nel XVI secolo, anche Papa Sisto V riconobbe la prelibatezza delle olive ascolane in una lettera inviata agli Anziani di Ascoli.

Per assistere, però, alla nascita delle olive ascolane ripiene, così come ancora oggi le conosciamo, fu necessario attendere diversi secoli: un lungo periodo in cui la fama di quelle in salamoia non venne mai meno. Le origini di questa specialità vanno collocate in un momento non ben precisato dell’Ottocento. Sappiamo per certo che la sua invenzione fu legata all’esigenza dei cuochi delle famiglie nobili di utilizzare la carne in eccedenza prima che andasse a male, motivo per cui essi decisero di impiegarla come imbottitura per le olive locali, già note senza nocciolo.

Il manicaretto ebbe un successo pressoché immediato anche se, a causa del costo e della difficoltà della preparazione, inizialmente fu accessibile solo al ceto più abbiente, che lo offriva ai propri ospiti nelle grandi occasioni. Si dice che tra i suoi maggiori estimatori ci furono i grandi compositori Gioacchino Rossini (noto buongustaio), Giacomo Puccini e perfino il generale Giuseppe Garibaldi, che, dopo averle assaggiate e apprezzate il 25 gennaio del 1849 ad Ascoli, decise di coltivare alcune piantine di quest’olivo a Caprera, così da poter riprodurre la Ricetta delle Olive Ascolane da sé!

Ma vediamo come si prepara questa speciale oliva ascolana ripiena di carne. Farcire un’oliva come l’Ascolana, molto tenera e fragile, oltre che di dimensioni ridotte, è un’operazione che richiede grande perizia e manualità; con un coltellino si pratica un taglio a spirale, cercando di includere quanta più polpa possibile. Il risultato finale è una striscia elicoidale che viene avvolta intorno al ripieno. Seguono un passaggio nella farina, quindi nell’uovo, nel pan grattato e infine la frittura in abbondante olio di oliva o di semi. Un procedimento complesso che richiede la cura di un vero e proprio artigiano: del resto il risultato è, a suo modo, una forma d’arte.

Per completezza occorre ricordare che la farcitura è composta in primis da carne magra di manzo, cui vengono aggiunte, in percentuale minore, quella di maiale ed infine quella di pollo e/o tacchino. Questo mix viene cotto, insaporito con spezie (chiodi di garofano, noce moscata, pepe, etc.), sfumato col vino ed infine macinato. Amici, sebbene al giorno d’oggi le olive ascolane servite in Italia e nel mondo vengono generalmente abbinate ad aperitivi, nella tradizione gastronomica marchigiana (ed in particolare ascolana) sono parte di un fritto misto servito come secondo piatto, che include (tra l’altro) verdure, costolette d’agnello e gli squisiti cremini (mini-porzioni di crema panata e fritta).

Cari amici, plaudo a questa interessante iniziativa che la Regione Marche continua a portare avanti e che ricorda i molti anni di storia di questa ricetta. Credo che anche la nostra Regione Sardegna debba cercare, in ogni modo possibile, di valorizzare le proprie ricette culinarie, che, come ben sappiamo, affondano anch'esse la loro storia nei secoli e anche nei millenni! Dovremo valorizzare di più il nostro patrimonio gastronomico!

A domani.

Mario

mercoledì, ottobre 26, 2022

SICCOME CI SONO CIBI CHE NON SCADONO, ALLORA PERCHÉ METTERE LA DATA DI SCADENZA? ECCO QUALI SONO I "DUREVOLI" PIÙ NOTI.


Oristano 26 ottobre 2022

Cari amici,

Su questo blog ho già parlato ampiamente delle scadenze dei cibi. Un mio post del 5 ottobre 2020 (chi vuole può, cliccando sul seguente link, andare a leggerlo: http://amicomario.blogspot.com/2020/10/facciamo-chiarezza-sulla-scadenza-degli.html), faceva una panoramica sulle attuali normative che regolano la durata della conservazione dei cibi, con l’obbligo di indicare sulle confezioni la data di scadenza, distinguendo tra i cibi “da consumarsi preferibilmente entro il…, a quelli che, invece, vanno consumati “entro una precisa data di scadenza”. Ciò nonostante, tanto cibo continua ancora ad essere gettato nella spazzatura, con un doppio danno: il primo in quanto sottrae al consumo un prodotto ancora buono, il secondo perché danneggia l’ambiente con una inutile sovra produzione.

Lo spreco di cibo anche in Italia è notevole: secondo l'ultima indagine dell'Osservatorio nazionale sugli sprechi alimentari Waste Watcher ogni cittadino italiano butta una media di 529,3 grammi di cibo a settimana, pari quindi a poco meno di 30 chilogrammi l'anno. Uno spreco che si potrebbe ridurre facilmente iniziando a conoscere i cibi che non scadono mai (o quasi) e che hanno una scadenza che va ben oltre quella data riportata sulla confezione.

Si, amici, siamo in tanti a non conoscere la reale durata di tutta una serie dei cibi che in realtà “Non scadono mai!”. Per quanto sembri incredibile i cibi “immortali” esistono e sono anche numerosi, e, tra l’altro, in gran parte sono di consumo corrente, usati nelle nostre cucine con regolarità. Ecco, dunque una bella dozzina di cibi che possiamo utilizzare con tranquillità senza pensare mai alla scadenza, se conservati a dovere.

Partiamo dalla pasta secca. La pasta per gli italiani è piatto corrente, ed è giusto sapere che ha una durabilità lunghissima; anche se viene indicata sulle confezioni la durata di 24/36 mesi, può essere mangiata anche dopo anni se ben conservata (in luogo fresco e asciutto, lontano da fonti di calore). Questo perché, essendo un prodotto secco, appunto, ha un'umidità bassissima e quindi non ha carica microbica.

Il riso. Per il riso vale stesso discorso fatto per la pasta. Se ben conservato può durare anni. Temete lo svilupparsi di farfalline o altri insetti? Quello non dipende dalla data di scadenza ma dalla cattiva conservazione. Se l'ambiente è umido, poco pulito (bastano piccolissime briciole di altri prodotti) e/o il prodotto è conservato in una confezione non ermetica, e le farfalline possono penetrare nella confezione forandola e proliferando. Anche il farro rientra tra i cibi a lunghissima durata perché si comporta esattamente come la pasta e il riso. Anche in questo caso, valgono le regole di buona conservazione.

L'orzo. L'orzo essiccato è un altro alimento che non scade praticamente mai, come pasta, riso e farro essiccato. Le confezioni di orzo sono generalmente le stesse di pasta o riso: per una migliore conservazione, una volta aperto il prodotto, meglio travasarlo in contenitori ermetici perfettamente puliti. Anche i legumi secchi, essendo privi di acqua, non sviluppano carica microbica: sono inattaccabili dai batteri. L'unica accortezza da adottare, se vengono cucinati dopo lunghissimo tempo, è quella di lasciarli in ammollo per un tempo leggermente più lungo, in modo che si reidratino correttamente.

Anche il tonno in scatola è un alimento che già di per sé ha una data di conservazione lunghissima. Ma anche dopo la data riportata sulla confezione può essere ugualmente mangiato, perché rimane commestibile per diversi mesi ancora. Questo perché il processo di inscatolamento del tonno prevede, oltre alla sterilizzazione, che venga tolto completamente l'ossigeno dall'interno della confezione. E senza ossigeno i batteri non possono proliferare.

Il sale. È già di per sé un conservante naturale, se pensiamo che già i nostri avi lo utilizzavano per conservare alimenti molto deperibili come la carne. Praticamente non ha data di scadenza, ma bisogna evitare che prenda umidità: spesso infatti viene tenuto per praticità vicino ai fornelli, e l'umidità che si sprigiona con la cottura dei cibi viene assorbita dal nostro sale. Utilizzatelo e richiudetelo subito in una confezione ermetica. Anche lo zucchero è un conservante naturale e ha la stessa capacità igroscopica del sale, ovvero la capacità di eliminare acqua dagli alimenti. Questo significa che muffe e batteri non hanno la possibilità di proliferare.

Il caffè. Il caffè macinato ha una scadenza di circa due anni. Ma se correttamente conservato nella confezione originale, non aperta si può utilizzare anche fino a un anno dopo la data di scadenza: le confezioni di caffè, infatti, sono solitamente sottovuoto. Anche l'aceto sostanzialmente non scade mai perché è un liquido acido che nasce dall'azione di alcuni batteri che a loro volta non consentono ad eventuali altri batteri di moltiplicarsi. Vale per tutti i tipi di aceto.

Il miele. Il miele è ricco di sostanze antibiotiche naturali, che fanno bene al corpo umano ma che impediscono anche la proliferazione batterica. Nel tempo potrebbe cambiare di consistenza, diventando più liquido o più solido, per via della cristallizzazione: questi processi naturali non compromettono la possibilità di consumarlo in sicurezza. Anche il cioccolato fondente è un alimento non deperibile se correttamente conservato. Può essere mangiato anche a distanza di anni, ma probabilmente noterete che avrà perso una buona parte delle sue note aromatiche.

Infine, amici, i liquori. Avete mai fatto caso che i liquori o i superalcolici non hanno data di scadenza? Questo è perché l'alcol è un conservante naturale e non scade. Ovviamente molto dipende dalla quantità di alcol presente nel prodotto. Sicuramente, però, il liquore conservato a lungo, pur rimanendo commestibile, potrebbe perdere cerche caratteristiche organolettiche col passare degli anni.

Questo promemoria, amici, dovrebbe servirci per evitare gli sprechi, che, purtroppo, sono sempre molto alti!

A domani.

Mario