mercoledì, novembre 30, 2022

I CASTAGNI SELVATICI DELLA SARDEGNA. CON INNESTI DI PREGIO, DIVENTEREBBERO UNA GRANDE RISORSA ECONOMICA. L’INTERESSANTE PROGETTO DI “FORESTAS” NEL MONTARBU.


Oristano 30 novembre 2022

Cari amici,

Voglio chiudere i post di novembre parlando del nostro grande patrimonio arboreo, purtroppo scarsamente utilizzato. Un suo idoneo utilizzo potrebbe portare benessere economico e lavoro, ma così non è. Oggi Vi parlo in particolare del “CASTAGNO”, una pianta selvatica che da noi cresce spontaneamente in natura. Alquanto diffuso in Sardegna, in particolare nella sua parte centrale (Barbagia, Mandrolisai e nella foresta di Montarbu, nella Barbagia di Seùlo), il castagno è un albero vigoroso, ricco di frutti commestibili, tanto che nel Medioevo era addirittura noto come “l’albero del pane”, in quanto i suoi frutti erano utilizzati dai poveri come cibo; questi ultimi, infatti, non potendo permettersi di nutrirsi con il pane di grano, trovavano nelle castagne selvatiche (frutto spontaneo che poteva raccogliersi liberamente in campagna) un’alternativa alimentare, essendo un frutto ricco di amidi e carboidrati da cui si ricavava una farina molto nutriente.

Col passare del tempo l’uomo ha portato dei miglioramenti alle risorse naturali, passando, come in questo caso, dal semplice utilizzo dei frutti raccolti ad una coltivazione vera e propria. In questo modo, grazie a innesti, incroci e potature, dai primi alberi si sono create delle varietà migliorative, di qualità nettamente superiore, passando dalla semplice, piccola castagna, ai grandi e ricercati marroni. Si, amici, dalla semplice, piccola castagna selvatica, da quel frutto umile che nutriva i poveri, oggi siamo arrivati ad un frutto selezionato, che ha ottenuto riconoscimenti importanti, tra cui DOP e IGP, e le castagne e i marroni italiani sono diventati prodotti d’eccellenza della nostra gastronomia.

La Sardegna, purtroppo sempre lenta nell’innovazione, nel 2016 provò a dare un primo impulso alla castanicoltura. A tentare l’impresa fu l’agenzia LAORE (Agenzia regionale per l’attuazione dei programmi in campo agricolo e per lo sviluppo rurale), in collaborazione con alcune aziende della Barbagia-Mandrolisai. La Coldiretti regionale, col suo Presidente Battista Cualbu, allora così commentò: “la coltura del castagno nella nostra isola è rimasta troppo a lungo trascurata, anche se rappresenta un’ottima integrazione al reddito per le nostre aziende agricole delle aree montane. È una delle colture più redditizie, che richiede poche spese e non servono neppure trattamenti”.

In realtà lo sviluppo allora ipotizzato non fu quello preventivato, e, nonostante la coltura delle castagne in Sardegna potrebbe rendere oltre 16 milioni di euro a livello di produzione lorda vendibile, attualmente la situazione è ferma a poco più di 300 mila euro. “Il mercato - come sostiene ancora il Presidente di Coldiretti Cualbu - aspetta le nostre castagne. Stiamo importando la quasi totalità del prodotto, mentre la poca produzione locale va a ruba e la vendono quasi tutta nelle sagre, con un fatturato intorno ai 300 mila euro. Le prospettive sono ottime e ci consentirebbero di aumentare di oltre il 5.000 per cento il fatturato”.

Amici, ora però si riparte, perché l’argomento “castanicoltura” non è stato accantonato: L'Agenzia regionale Forestas ha avviato un progetto sperimentale nell’antica foresta di Montarbu, in Ogliastra, nella parte centro-orientale della Sardegna. È questa una delle foreste sarde più suggestive. Montarbu occupa 2800 ettari di territorio, in piccola parte, di Ussassai e prevalentemente di Seui, a est del centro abitato da cui dista dieci chilometri. Il progetto, destinato alla conservazione e moltiplicazione di cultivar selezionate di castagno da frutto, in particolare “marroni”, sta già entrando in produzione e ha dato alla luce i primi frutti.

Nei numerosi castagni selvatici utilizzati sono state innestate diverse varietà continentali, che potranno essere replicate più volte e forniranno ulteriori, nuovi innesti. Ora le piante innestate hanno dato alla luce i primi marroni delle varietà selezionate (Castel del Rio (Bologna) Chiusa Pesio (Cuneo) e Marradi (Firenze), tutte varietà particolarmente adatte e resistenti alle caratteristiche ambientali della foresta ogliastrina. Le prime analisi hanno messo in luce che la varietà più consona al nostro clima è quella del castagno di Cuneo.

Sviluppare in Ogliastra la coltura del castagno, oltre che consentire produzioni di castagne di alto livello, ben collocabili sul mercato nazionale, consentirà anche di migliorare la produzione del legno, altro importante settore produttivo. Quanto messo in atto dall’Agenzia Regionale Forestas nella grande foresta di Montarbu ha allertato e interessato anche diversi proprietari privati, anche se con modeste superfici boschive. A questi Forestas ha riservato dei particolari corsi teorico-pratici per la trasformazione dei loro castagneti.

Cari amici, riconvertire i castagneti selvatici in castagneti selezionati porterà certamente benessere alle nostre zone montane interne, dando nel contempo lavoro ai tanti giovani che lo cercano invano; inoltre, nei piccoli centri montani da tempo aleggia lo spettro dell’estinzione. Produrre castagne selezionate e avere legname di qualità, significherà dare davvero una grossa mano alla lotta intrapresa contro lo spopolamento delle aree montane dell’isola, dove numerosi sono i piccoli centri che languono in attesa di una morte certa! La speranza è che il futuro prossimo sia meno incerto di quello di oggi!

A domani.

Mario

 

 

martedì, novembre 29, 2022

LA TRANSIZIONE AL DIGITALE TERRESTRE GIUNGE AL TERMINE: LO SWITCH OFF, SARÀ DEFINITIVAMENTE COMPLETATO ENTRO L'ANNO. DAL PRIMO GENNAIO 2023 TUTTI I PROGRAMMI SARANNO IN DVB-T2.


Oristano 29 novembre 2023

Cari amici,

La transizione alla televisione digitale, in inglese switch off, sarà definitivamente completata entro l'anno: dal 1° gennaio 2023, ogni regione italiana trasmetterà i programmi in DVB-T2 (Digital Video Broadcasting – Second Generation Terrestrial), con codifica "HEVC Main 10". Ciò significa anche che dal 1° gennaio, tutti i televisori non compatibili non funzioneranno più e sarà necessario cambiare il televisore o dotarsi di un apparecchio di conversione. Come ha spiegato il MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) il cambiamento "consentirà alle emittenti di offrire servizi nuovi e accattivanti e di aumentare quindi il livello di soddisfazione (e anche di fidelizzazione) dei propri spettatori".

Per sapere se la propria tv sarà da rottamare o se continuerà a funzionare anche nel 2023, bisognerà sintonizzarsi sul canale 100: se apparirà la scritta “Test HEVC Main10” vorrà dire che il nostro dispositivo è in grado di supportare la nuova tecnologia. Allo stesso modo, un altro canale per effettuare il test è il 200. Qualora non apparisse alcuna scritta, evidentemente, bisognerà pensare di acquistare un nuovo dispositivo oppure un decoder in grado di tenere in vita la vecchia tv.

La fase di passaggio al digitale terrestre di seconda generazione ebbe inizio un anno fa, precisamente il 20 ottobre 2021, quando alcune tra le principali reti televisive nazionali (Rai e Mediaset) passarono alla codifica in Mpeg-4. Pian piano, le Regioni italiane hanno proceduto in ordine sparso a dare inizio al cambiamento, con l'inizio della fase due che prese il via il 15 novembre 2021 in Sardegna e che si concluse lo scorso 30 giugno con le aree tirreniche, tra le quali Lazio, Campania e Liguria. Infine, il percorso totale si concluderà, come accennato il 31 dicembre 2022.

Amici, come spiega il MISE nella sezione FAQ, se il televisore è stato acquistato a partire dal 22 dicembre 2018 sarà sicuramente compatibile con il nuovo digitale terrestre "poiché da quella data i negozianti sono obbligati a vendere apparati che supportano il nuovo standard DVB-T2 e il relativo sistema di codifica HEVC Main10". Si può dare un'occhiata a quanto riportato sul manuale e/o nella scheda tecnica della televisione se è presente l’indicazione "DVB-T2 HEVC Main10".

In ogni caso c’è da dire che ci possiamo trovare di fronte a problemi di visualizzazione anche con televisori e decoder compatibili; per esempio per queste tre ragioni: una non corretta (ma temporanea) ricezione del canale, la momentanea presenza di un’altra emittente sul canale o perché il proprio televisore non riesce ad agganciarsi alle frequenze più recenti. Il consiglio è di verificare per bene la compatibilità della TV che si possiede, risintonizzando i canali, prima di arrivare all’acquisto di un nuovo apparecchio.

Cari amici, indubbiamente il progresso impone cambiamenti, a volte anche sofferti, ma in cambio ne guadagna la qualità. Con il passaggio al DVB-T2 (Digital Video Broadcasting – Second Generation Terrestrial), con codifica "HEVC Main 10, l’utente potrà usufruire di servizi fino a poco tempo fa impensabili, dalla qualità della visione ai numerosi servizi e programmi aggiuntivi, che gli daranno indubbiamente piena soddisfazione e gradimento.

A domani amici.

Mario

lunedì, novembre 28, 2022

MOHENJO-DARO: FORSE LA “HIROSHIMA” DELL’ANTICHITÀ. LA CITTÀ DELLA VALLE DELL’INDO (OGGI PAKISTAN) CONTINUA AD APPASSIONALE GLI ARCHEOLOGI PER UN ENIGMA TERRIBILE: DISTRUTTA DA UN’ESPLOSIONE NUCLEARE?


Oristano 28 novembre 2022

Cari amici,

La civiltà umana, come confermano anche gli studi più recenti, si è sviluppata quasi sempre lungo il corso dei grandi fiumi. Ne è esempio eclatante la civiltà egizia sul Nilo e quella sumera sul Tigri e l’Eufrate. Anche nella Valle del fiume Indo si sviluppò una civiltà importante, durata almeno 2mila anni (dal 3.300 al 1.300 A.C.), che operò su un vasto territorio esteso dall'Afghanistan al Pakistan e all’India nord-occidentale. Di quest’ultima civiltà, però, poco si sapeva fino ai primi del Novecento, quando tornarono alla luce i resti delle città di Harappa e di Mohenjo-Daro.

Mohenjo-Daro era una città dalla cultura molto avanzata per l’epoca, che commerciava con Sumeri e Cinesi. Una civiltà che era dotata di uno sviluppo incredibile, se pensiamo che aveva migliaia di villaggi collegati da strade pavimentate, con case costruite su pianta quadrata e vie che si intersecavano ad angolo retto; immaginate cinque milioni di persone dotate di case di due o tre piani, con una distribuzione di acqua potabile efficiente, con condutture idriche formate da tubi di argilla e una rete fognaria in ogni appartamento, con tanto di gabinetti in muratura e sciacquoni. Roba da non credere!

Immaginate una civiltà che si sviluppò in India occidentale, l’odierno Pakistan, intorno al 2500 A.C., composta da svariate migliaia di cittadelle e due piccole metropoli di 40mila abitanti (le più grandi del tempo sul pianeta), che però, ad un certo punto, scomparve, presumibilmente distrutta da un incendio di proporzioni colossali; un fuoco così caldo da essere capace di vetrificare il terreno, i mattoni e le ceramiche; immaginate infine che gli scheletri degli abitanti di quelle sfortunate città sono stati trovati ancora altamente radioattivi a cinquemila anni di distanza, ovvero cinquanta volte quella normale. Tutti dati che fanno presumere una distruzione avvenuta per un’esplosione nucleare, per noi inconcepibile a quei tempi! Indubbiamente un autentico mistero, sia per gli storici che per gli archeologi.

Eppure, il grande dubbio rimane. I resti carbonizzati rinvenuti sono simili a quelli a noi tristemente noti, quelli delle uniche bombe atomiche lanciate su un bersaglio abitato: Hiroshima e Nagasaki. In entrambe le città giapponesi sono stati rinvenuti gli stessi segni della devastazione di Mohenjo-Daro, con le case distrutte fino alle fondamenta come schiacciate da un’immane onda d’urto a cui è seguita una letterale pioggia di fuoco. Se è probabile, data anche la radioattività, che la “collina dei morti” (questo significa Mohenjo-Daro) sia stata distrutta da un simile ordigno atomico, resta un principale, quasi insormontabile quesito: chi, nel 2000 A.C., possedeva un’arma nucleare?

C’è anche da dire che la particolare distruzione di Mohenjo-Daro si verificò anche Harappa, Kot Diji, Kalibangan, Lothal, e quasi tutti i 140 centri abitati principali di quel regno indiano risultarono distrutti in brevissimo tempo. Tutti devastati da un’arma calorifica estremamente intensa, tutti in un certo senso attaccati alla sprovvista. Amici, il mistero è certamente difficile da sbrogliare, anche se particolarmente inquietante appare il significato del nome della città: Mohenjo-Daro, che significa monte dei morti, nome forse dato dai superstiti dopo la tragica fine della città, e parrebbe evocare eventi di una certa tragicità. Di preciso non si conosce l’antico e vero nome della città, che si estendeva per 300 ettari, con una popolazione giunta, durante il massimo splendore, a 70.000 abitanti.

Oltre all’enigma della possibile devastazione nucleare, si aggiunge anche quello di come questa città abbia potuto raggiungere un così alto livello organizzativo e tecnologico in quel lontanissimo periodo. I ritrovamenti hanno evidenziato una società civile molto ben organizzata e ordinata, con un collaudato ordinamento burocratico. Tra i reperti emersi dagli scavi ci sono alcune statuette caratteristiche come quella di un religioso scolpita nella steatite, oppure quella del barbuto re-sacerdote in oro o quella della ballerina in bronzo che richiama qualche danza sicuramente di successo in quel periodo. Molti i materiali scritti ritrovati, anche se la scrittura della Valle dell’Indo aspetta ancora di essere decifrata.

Cari amici, una civiltà che 5mila anni fa era così evoluta, organizzata in modo moderno e successivamente distrutta all’improvviso da un fuoco di probabile origine nucleare, fa certo pensare non poco: per esempio anche a possibili contatti di quella civiltà con extraterrestri più evoluti! Ma questo incontro sarà stato possibile? Difficile dirlo, anche se i dubbi che gli studiosi si sono posti restano tutti!

A domani.

Mario

domenica, novembre 27, 2022

NEL TUO BAGNO NON C’È QUEL BUON ODORE CHE VORRESTI? PROVA A METTERE UNA CIOTOLA DI RISO SU UNA MENSOLA E... VEDRAI IL CAMBIAMENTO!


Oristano 27 novembre 2022

Cari amici,

Se c’è una cosa davvero fastidiosa quando entriamo in bagno è sentire uno sgradevole odore di umidità e muffa. Un locale dove il vapore creato dall’acqua è presente in continuazione, va incontro inequivocabilmente, pur lavando il bagno ogni giorno, alla formazione di cattivi odori. Indubbiamente non è un buon biglietto da visita, quando il nostro bagno è usato da amici o conoscenti, tanto che la padrona di casa deve costantemente ricorrere alla sua fantasia per cercare di rimediare.

Evitando di usare i prodotti chimici sofisticati che la pubblicità consiglia (anche se poi la loro efficacia non è quella reclamizzata), la soluzione per eliminare l’odore sgradevole di umidità in bagno può essere trovata anche a livello casalingo, considerato anche il fatto che le donne, con la loro esperienza e fantasia, sono capaci di risolvere una miriade di problemi. Si, amici, a volte la soluzione è più semplice di quello che appare! Una di queste soluzioni, davvero semplici e soprattutto poco costose, è utilizzare il RISO, un prodotto, tra l’altro praticamente sempre presente in casa.

Il bagno, amici, è un locale che definiamo “intimo”, per cui gli dedichiamo cure particolari, superiori a quelle degli altri ambienti. Il bagno è una delle stanze della casa che, oltre che averla sempre pulita e senza odori sgradevoli, vogliamo che sia anche regolarmente ben profumata. Ebbene, utilizzando il prodotto che ho appena menzionato, il riso, possiamo facilmente raggiungere entrambi gli scopi: eliminare i cattivi odori e profumare allo stesso tempo l’ambiente con le essenze da noi preferite.

Possiamo procedere in questo modo: posizioniamo in bagno una ciotola carina, oppure un bel bicchiere o un vaso di vetro e, dopo averlo riempito di riso, aggiungiamo qualche goccia di olio essenziale dell’essenza da noi più gradita: di eucalipto, per esempio o di lavanda; anche l’olio essenziale di melaleuca, chiodi di garofano, cannella o limone sono fragranze altrettanto efficaci. Usando questo accorgimento il bagno sarà presto piacevolmente profumato e i cattivi odori che sentivamo totalmente scomparsi!

Il riso, cari amici, grazie all'amido, ha un grande potere essiccante, per cui in poco tempo è in grado di assorbire l’umidità e i cattivi odori. Questo suo potere assorbente risulta molto utile per risolvere diversi altri problemi casalinghi, come, ad esempio, togliere l’umidità dai cassetti, dagli armadi e dagli scaffali pieni di libri della nostra biblioteca. Ma col riso possiamo anche risolvere qualche altro curioso problema casalingo che ora voglio raccontarvi.

Ormai siamo tutti con il cellulare in mano, telefonino considerato la nostra mano aggiuntiva! Ebbene, proprio perché il suo uso è costante, può capitare che ci cada in acqua. Se a quel punto pensiamo di averlo perduto, non dobbiamo disperare: basta mettere il nostro cellulare in un contenitore riempito di riso crudo, (ovviamente dopo averlo preventivamente asciugato ed estratta la SIM e la batteria) e aspettare. Dopo averlo lasciato riposare immerso nel riso per mezza giornata, controlliamo se ha ripreso a funzionare: 9 volte su 10 il pericolo è passato e riprenderà a funzionare normalmente!

Passiamo al caffè. Che il caffè, per gli italiani in particolare, sia una bevanda che appassiona è una realtà incontestabile. Per gli appassionati del caffè macinato in casa, che vogliono che il loro macinino mantenga sempre perfettamente il profumo del caffè preferito, anche essi possono usare sempre il nostro riso! Grazie ai chicchi di riso, infatti, sarà possibile pulire efficacemente il macinacaffè. Per farlo, bisogna azionare il macinino da caffè, versandoci però i chicchi di riso; basta, poi, con una spazzola pulite per bene il tutto. Questo lavoro consentirà di eliminare dal macinino qualsiasi odore di rancido lasciato in precedenza dall’olio che emanano i chicchi di caffè. Questo metodo si può eventualmente applicare anche ad un macina spezie.

E non è ancora tutto, cari amici. Ecco alcuni altri “metodi alternativi” all’utilizzo del nostro beneamato riso. Se la frutta non è ancora matura al punto giusto, possiamo provare a metterla dentro un contenitore con un po’ di riso: la sua maturazione avverrà in modo molto più veloce! Col riso possiamo trarre anche dei benefici fisici: riempiendo un calzino con dentro del riso, ad esempio, possiamo creare un cuscino per la cervicale. Se utilizzato tutti i giorni, possiamo sentire dei cambiamenti in pochissimo tempo!

Cari amici, il riso è davvero un prodotto utile a 360 gradi! Chiudo questo post ricordandovi che per un bagno rilassante o un pediluvio benefico, potete versare in vasca o nella bacinella qualche cucchiaio di amido di riso, unito a qualche goccia dell'olio essenziale da voi preferito: ne ricaverete un benefico effetto calmante e lenitivo. Provare per credere!

A domani.

Mario

sabato, novembre 26, 2022

COME RISCALDARSI NEL PROSSIMO INVERNO E IN QUELLI SUCCESSIVI: DIFFICOLTÀ E COSTI. LE SERIE PROBLEMATICHE SUL RISCALDAMENTO DOMESTICO, A PRESCINDERE DALLE FONTI UTILIZZATE.


Oristano 26 novembre 2022

Cari amici,

L’inverno si avvicina a grandi passi. Dopo una lunga estate, durata praticamente fino alla prima metà di novembre, il brusco cambiamento della temperatura ci sta riportando all’inverno, con tutte le sue problematiche, aggravate quest’anno dal rincaro dei combustibili tradizionalmente utilizzati dagli italiani per riscaldare la propria abitazione. L'allarme è stato di recente lanciato dal Codacons, che ha realizzato uno studio sui costi dei combustibili utilizzati nelle abitazioni per il riscaldamento domestico, in modo da comprendere meglio quanto potrebbero pesare concretamente tali aumenti sulle tasche degli italiani.

Il caro bollette ha spinto un numero sempre più consistente di famiglie a ricorrere a modalità di riscaldamento che non prevedano un netto incremento del consumo di gas o energia elettrica. Una tendenza peraltro confermata dal Codacons anche sulla base dei dati registrati dall'Associazione Italiana Energie agroforestali (Aiel). Solo nei primi 5 mesi dell'anno in corso, infatti, si è registrato un aumento del numero di stufe vendute piuttosto netto (+ 28%) rispetto al medesimo periodo del 2021. Complessivamente nel nostro Paese si contano all'incirca 8,3 milioni di caminetti e stufe: il 75,8% è alimentato a legna, il restante 24,2% a pellet.

La conseguenza immediata di questa impennata di richieste è stata l'incremento dei prezzi dei combustibili utilizzati in stufe e caminetti. Le sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Russia hanno fatto il resto, portando a una forte riduzione della disponibilità sia di legna che di pellet, che hanno visto incrementare conseguentemente i loro costi al dettaglio. Per il pellet si registrano aumenti fino al 175% rispetto al 2021, spiega il Codacons: il sacco da 15 chilogrammi, che lo scorso anno aveva un costo medio di 4,35 euro, infatti, è salito ora fino a 12 euro. La legna ha subito invece rincari del 43,7%: lo scorso anno una tonnellata costava mediamente 167 euro, contro gli attuali 240 euro. Il bioetanolo destinato a bruciatori e camini ha registrato rincari del 57%. Il gasolio per il riscaldamento si è assestato sul +32%, passando a 1,849 euro per litro (contro 1,398 euro per litro del 2021).

La pesante conseguenza è una vera e propria batosta per quanto concerne i costi relativi al riscaldamento di casa! Per riscaldare un appartamento di 100 metri quadri, si evince dallo studio del Codacons, occorreranno mediamente 2.145 euro in caso di uso del pellet, 1.800 euro se si dispone di impianto a gasolio, 1.180 euro circa per alimentare una caldaia a gas naturale e 750 euro per la legna, che resta ancora il combustibile più economico nonostante tutto.

Amici, il problema è alquanto serio, sia dal punto di vista della carenza delle fonti di energia che del gravoso prezzo a cui quest’energia è lievitata. L’Unione Europea, all’interno del piano REPowerEU si è posto un obiettivo: installare 30 milioni di unità di pompe di calore ad alta efficienza energetica entro il 2030, in modo da risparmiare 35 miliardi di metri cubi di gas all’anno (sui 155 importati dalla Russia). Saranno, dunque, queste pompe di calore quelle destinate a stravolgere il settore del riscaldamento domestico?

Ecco come l'esperto dell'Enea Nicolandrea Calabrese si è espresso circa i possibili sistemi meno costosi da utilizzare per riscaldare le abitazioni nella situazione attuale, puntando ovviamente su quelli più efficienti dal punto di vista energetico. "Dal punto di vista dell'efficienza energetica i condizionatori sono sicuramente la soluzione migliore", afferma Calabrese. Dunque, se in casa si ha un inverter, un condizionatore che oltre a rinfrescare può anche generare aria calda, si può usare quello per non stare al freddo il prossimo inverno. "Il principio su cui si basano le pompe di calore, è di gran lunga il più efficiente in circolazione", ha confermato l’esperto.

Calabrese ha inoltre detto: "Per ottenere 4 kWh termici si ha un consumo di 2,18 kWh in termini di energia primaria: si tratta quindi di un dispositivo 4 volte più efficiente di una stufetta elettrica". Forse però non altrettanto pratico: le pompe hanno bisogno di un motore esterno collegato attraverso delle tubazioni all'unità interna installata nella stanza da climatizzare. Ci sono anche dei modelli su ruote, che tuttavia hanno bisogno di una apertura nella finestra. "È proprio la comunicazione con l'esterno che rende le pompe di calore tanto efficienti", spiega Calabrese. "La macchina per funzionare usa quei pochi gradi di temperatura dell'aria esterna che costituisce la quota parte di fonte rinnovabile di energia utilizzata dalla pompa di calore stessa, oltre all'energia elettrica che innesca il funzionamento della macchina stessa".

Cari amici, indubbiamente l’inverno che ci sta precipitando addosso non sarà certo facile, ma sta a noi cercare di evitare gli sprechi facendoci consigliare per il meglio circa il mezzo riscaldante da utilizzare. Risulta evidente che si fa ogni giorno più concreta la necessità di una maggiore produzione di energia rinnovabile, in quanto principalmente con quella sarà possibile soddisfare i nostri bisogni riuscendo contemporaneamente a salvare anche il pianeta.

A domani.

Mario

 

 

venerdì, novembre 25, 2022

LE MINIERE D’ORO DELL’ETÀ MODERNA? I CELLULARI DISMESSI E GETTATI IN DISCARICA! IN QUESTI APPARECCHI L’ORO È PRESENTE 100 VOLTE DI PIÙ CHE IN MINIERA.


Oristano 25 novembre 2022

Cari amici,

Una volta uno dei lavori più difficili è pericolosi era quello svolto nelle miniere, spesso a centinaia di metri sottoterra. Ora, invece, grazie alle macchine questo lavoro è di certo meno pericoloso e usurante, anche se, applicando con saggezza il riciclo di certi materiali, in primis l’oro, questo può essere BEN recuperato dagli oggetti tecnologici dismessi, come i cellulari. Giacomo Vigna, coordinatore del Tavolo materie prime del Mise, ha affermato con convinzione che l’uomo, se effettua correttamente il riciclo, ha a disposizione, in modo alquanto più semplice che scavando le montagne, delle preziose “miniere urbane” ben più redditizie, dalle quali ricavare buoni metalli preziosi.

"Da una tonnellata di terra possiamo estrarre 3 grammi d'oro, da una tonnellata di cellulari 300 grammi d'oro" dice apertamente il dottor Giacomo Vigna, esperto in materie economiche, reclamizzando con forza le “nuove miniere urbane”, ovvero quelle aree in cui si concentrano i materiali di scarto provenienti dal circuito urbano, agricolo o industriale. Il valore di questi depositi è dimostrato dalla crescente domanda di nuovi materiali come le terre rare, come il rame e l’oro, ben presente in questi depositi apparentemente di materiali di scarto.

Materiali davvero preziosi, custoditi all’interno di queste miniere urbane necessarie per le esigenze sempre più pressanti di un'industria non solo normale ma soprattutto quella digitale e smart. La Commissione europea ha individuato 30 materiali critici da cui dipende il nostro futuro: dal litio al tungsteno, dalla bauxite al nickel, dal cobalto alle terre rare. Proiettata nel picco di consumi dei prossimi anni, l’assenza o la carenza di questi materiali rischiano di diventare un problema serio, un tappo alla transizione ecologica.

Con l’avanzare delle tecnologia la domanda di molti di questi materiali raddoppierà entro il 2030, trainata dall'uso di monitor, celle fotovoltaiche, telefoni, impianti eolici, auto elettriche, reti cablate. Per alcuni sarà ancora più veloce: ad esempio si prevede che il bisogno di litio crescerà di 35 volte in 8 anni. Per l’Europa il problema è abbastanza serio, in quanto molti di questi materiali provengono in larga parte dalla Cina. Una dipendenza alquanto pericolosa, che rischia di replicare quella che stiamo vivendo ora con la crisi degli approvvigionamenti energetici.

Ecco, dunque, l’importanza crescente delle ‘miniere urbane’, veicolo per evitare la trappola della dipendenza. Stefano Soro, responsabile della Green and circular economy della Commissione europea, ne ha confermato la necessità e l’urgenza del loro utilizzo all'incontro organizzato dal Circular Economy Network agli Stati generali della green economy, a Rimini. Gli interventi possibili per diminuire la dipendenza dall’estero sono tre. Si potrebbero utilizzare alcuni giacimenti presenti soprattutto nell'Europa del Nord e in Portogallo (facendo i conti con l'impatto ambientale delle miniere), spingere sulla ricerca per trovare materiali alternativi, ma soprattutto recuperare queste materie prime dai depositi degli oggetti dismessi.

L'Unione Europea ha presentato nel marzo del 2020 un aggiornamento del Piano per l'economia circolare del 2015. Bisogna spingere sul pedale dell'economia circolare perché le difficoltà di ripartenza dell'economia globale dopo lo stop legato al Covid, sommate a quelle prodotte dalla guerra in Ucraina, stanno moltiplicando i problemi. Ormai per creare beni e servizi vengono consumati ogni anno oltre 100 miliardi di tonnellate di materie prime (erano 27 miliardi nel 1970) e più della metà di questa enorme massa di materiali è impiegata per creare prodotti di breve durata.

Indubbiamente una spinta al cambiamento verrà dal PNRR che ha messo a disposizione dell'economia circolare 2,1 miliardi di euro. Tre le proposte contenute nella Strategia nazionale per l'economia circolare: rafforzare il credito di imposta Transizione 4.0 a sostegno degli investimenti per l'economia circolare; estendere gli incentivi fiscali per l'utilizzo di materiali riciclati; incentivare la raccolta differenziata e il riciclo disincentivando lo smaltimento in discarica, in modo da fare pagare meno ai cittadini e ai Comuni virtuosi.

"L'Italia occupa una buona posizione in Europa sul fronte dell'economia circolare, ma le sue performance non le consentono al momento di raggiungere gli obiettivi che il quadro economico attuale, con la forte crescita dei prezzi delle materie prime e l'incertezza delle forniture richiede", ricorda Edo Ronchi, Presidente del Circular Economy Network: "Occorre accelerare il disaccoppiamento della crescita economica dal consumo di materie prime vergini, che è l'obiettivo strategico dell'economia circolare e del Green Deal europeo. La conversione verso modelli di produzione e di consumo circolari è sempre più una necessità non solo per garantire la sostenibilità dal punto di vista ecologico, ma per la solidità della ripresa economica, la stabilità dello sviluppo e la competitività delle imprese".

Amici, se son rose…fioriranno!

A domani.

Mario