giovedì, novembre 23, 2006

ESISTE OGGI LA FIDUCIA?


SASSARI 23 NOVEMBRE 2006


FIDUCIA E MODERNITA’ - (Giddens).


Le “relazioni sociali” tra gli individui sono sempre state caratterizzate da un elemento determinante: la Fiducia.
Fin dagli albori dell’esistenza l’uomo ha creato relazioni stabili, con i suoi simili: da quelle familiari a quelle del clan, del gruppo di appartenenza.
Fiducia accordata e ricevuta, verificata, fatta di legami sociali reciproci, in sintesi “ fiducia condivisa”.
L’allargarsi delle relazioni sociali, il passaggio dall’economia locale a quella globale, hanno profondamente cambiato questo rapporto fiduciario. E’, soprattutto, “l’ambiente di rischio” che ha subito le maggiori variazioni. I pericoli maggiori oggi non sono i disastri naturali come uragani e terremoti, ma quelli ecologici, creati dall’impatto dell’industrializzazione sull’ambiente naturale, quelli derivanti dagli effetti dell’economia globalizzata, dalle nuove armi nucleari e dalle violenze della guerra tecnologica. La maggiore ampiezza dei problemi ha trasformato anche il rapporto fiduciario.
La fiducia, in precedenza accordata a persone conosciute e sperimentate, si ? trasformata da “ Fiducia personale” in “ Fiducia anonima”. Da fiducia ad personam, precedentemente sostenuta da legami sociali sperimentati, a fiducia in un nuovo sistema, dove la fiducia ? concessa per presunzione non per precedente verifica.

Come dice Giddens “…sempre pi? persone vivono in circostanze in cui gli aspetti primari della vita quotidiana sono organizzati da istituzioni disaggregate che collegano le pratiche locali con relazioni sociali globalizzate…”.
Il passaggio da Sistema personale in Sistema astratto ha profondamente modificato il nostro agire. Per buona parte della giornata tutti noi interagiamo con degli “estranei”. A piedi, in autobus, in piazza o al ristorante, nei contesti urbani soprattutto, abbiamo continuamente a che fare con persone che conosciamo poco o che non conosciamo affatto. Ciascuno di noi, in questi incontri, applica, in primo luogo, quella tecnica che Goffman definisce “disattenzione civile”. Questo comportamento, nei confronti degli sconosciuti che incontriamo, ? fatto di piccoli dettagli, segnali impercettibili che durano una frazione di secondo ma che ci consentono di ricavare un dato pi? o meno confortante sulle loro intenzionalit?: di accettazione o di ostilit?.
La fiducia nei sistemi astratti, in particolare la fiducia sui sistemi esperti, fa parte, quindi del nostro vivere quotidiano. Questi “sistemi” hanno consentito di dare alla nostra vita quotidiana una dose di sicurezza prima sconosciuta. I viaggiatori dell’800 affrontavano certo pi? pericoli dei viaggiatori di oggi. Andare e tornare da una parte all’altra del mondo non ha solo tempi pi? brevi ma anche pericoli nettamente inferiori. Maggiore sicurezza,quindi, ma a differenza di prima, minore intimit? di quella offerta dalla relazione fiduciaria, personale. Il sistema astratto pu? fornire affidabilit? quotidiana ma non pu? fornire ne reciprocit? ne intimit?.
Questa fiducia in qualcosa di intangibile ha, comunque, dei riferimenti di natura personale. Anche il “Sistema astratto” ? governato da persone. Sono gli individui che lo rappresentano l’interfaccia tra noi e il sistema. Il portamento del comandante di un aereo, la studiata naturalezza ed il buonumore del personale di bordo, come le solenni deliberazioni di un Giudice o la severa professionalit? del medico, costituiscono la nostra tranquillit? pi? dell’accertamento dell’affidabilit? dell’aereo o della struttura ospedaliera. Fiducia mediata, quindi, attraverso l’uomo, come dice Gidmann: “...per cui gli individui che occupano i nodi di accesso si sforzano di mostrarsi degni di fiducia: essi rappresentano l’anello di congiunzione tra la fiducia personale e la fiducia del sistema..”.
Che succede invece, in caso contrario, se per una qualsiasi ragione non accordiamo la nostra fiducia ? Il termine opposto, sfiducia, ? riduttivo. Nel “Sistema astratto” l’assenza di fiducia ha un valore nettamente pi? alto, pi? profondo, come afferma Giddens “…Nel suo significato pi? profondo, l’antitesi della fiducia ? quindi uno stato mentale che potremo meglio definire come angoscia o paura esistenziale...”.
Giddens precisa, anche, che “ con lo sviluppo delle moderne istituzioni sociali persiste una sorta di equilibrio tra fiducia e rischio, sicurezza e pericolo”. Equilibrio che, per?, non sempre convince l’uomo. Le angosce e le paure esistenziali hanno aggiunto una variabile al precario equilibrio: la fortuna. Questa, oggi, tende a ricomparire proprio dove i rischi sono maggiori. E’ forse un desiderio di ritorno al passato ? Forse l’uomo cerca un antidoto, una mitigazione, alla disaggregazione. Come?
Attraverso la “ riaggregazione”.
Giddens con questo termine intende “..la riappropriazione o la rimodellazione di relazioni sociali disaggregate in modo da vincolarle (anche se parzialmente o in via transitoria) alle condizioni locali di spazio e di tempo..”.
Recupero se vogliamo di intimit? mancante, di identit? perduta o appannata, attraverso un processo nuovo, pi? personalizzato, di concessione della fiducia.
Fiducia che, per?, deve continuare ad esistere anche nella seconda modernit?. Come sostiene Giddens: “...viviamo in un mondo di persone non in un mondo di facce anonime e vuote, e l’interpolazione dei sistemi astratti nelle nostre attivit? ? in questo senso determinante…”.



Mario Virdis

virdismario@tiscali.it

mercoledì, novembre 15, 2006

IL LIBRO " FUMETTI SUSCETTIBILI" DI FABIO DI PIETRO



FUMETTI SUSCETTIBILI
LA PROFANAZIONE DEL TEMPIO !

Ci voleva il coraggio di un dissacratore come Fabio Di Pietro, novello Indiana Jones, a portare nell’austera Aula Magna del Liceo AZUNI la forte carica espressiva e comunicativa del Medium Fumetto.

E’ proprio in questa antica e severa aula che il libro del prof. Fabio Di Pietro, FUMETTI SUSCETTIBILI, ? stato presentato al pubblico. L’incontro, che ha visto la partecipazione del Preside dell’Azuni, Prof. Luigi Gallucci, come moderatore e gli interventi del Prof. Stefano Boffo e del Prof. Marco Colonna, si ? chiuso con la replica dell’autore ed un successivo interessante dibattito.

Ad un osservatore attento non sfuggiva il forte contrasto tra gli antichi stucchi, il busto in bronzo dell’Azuni, le magnifiche pitture di Delitala (il tutto datato 1933) ed il continuum delle proiezioni sullo schermo bianco, dove si avvicendavano i coloratissimi personaggi dei fumetti, oggetto del libro presentato.Perché provocatoriamente nel titolo ho usato il termine “profanazione del Tempio” ?

Il titolo me lo ha suggerito il prof. Gallucci che ricordando la sua giovinezza ha riportato un episodio allora usuale: il forte suggerimento della Scuola a non leggere i fumetti. Il suo Preside, allora, impose ai ragazzi la costituzione di un “fondo” scolastico, frutto dei denari risparmiati evitando l’acquisto dei fumetti, per l’acquisizione di una piccola biblioteca. Gli autori consigliati quelli allora in auge: Verne, De Amicis, ed altri a noi, non pi? giovanissimi, ben noti.

Chi l’avrebbe mai detto che quel Tempio austero avrebbe ospitato la presentazione di ben altre narrazioni? Le marachelle di Tom Soyer credo che avrebbero fatto sorridere Diabolik ed i suoi lettori, come le fantasiose avventure di Ventimila leghe sotti i mari, o del Giro del mondo in ottanta giorni avrebbero acceso meno la fantasia dei lettori di Cannibale. Sembra che siano passati secoli, da allora, e non solo pochi anni. Contenuto nuovo (Narrazioni/fumetti…susceittibili) in un contenitore antico (la severa Aula Magna). Un gioco di uso e riuso, di trasformazione senza distruzione, di profanazione, oserei dire di Cannibalismo, quindi, non solo della comunicazione ma anche del veicolo che la trasporta o del luogo dove essa viene realizzata. Potremo scomodare anche qui il nostro McLuhan.

Dice nel suo libro il prof. Di Pietro: “ Narrazione Suscettibile dunque alla Societ? ed al Sistema del media che si trasformano in un grande calderone in cui dare e da cui prendere immagini, modi, mode, in un frullato spesso psichedelico, che poi ritorna indietro per narrare una socielit? compromessa e catastrofica di soggetti mutati, resi irritabili dalle alterazioni subite” (pag.11 del libro).Costante mutazione, quindi, quella vissuta nei fumetti e che spesso non solo raccoglie le ansie del momento ma anticipa le trasformazioni ed i cambiamenti che verranno.Comunicare attraverso il fumetto, soprattutto in questo attuale periodo della “seconda moderit?”, significa anche condividere, sdramatizzare, le ansie e le preoccupazioni per il nostro futuro.

Come dice il prof. Di Pietro, chiudendo il suo libro, : “.. media che si danno un’immagine tramite il medium del fumetto che si fa mondo..”.

Auguri prof. Di Pietro da parte di tutti isuoi studenti.

Sassari 15 Novembre 2006

Mario Virdis

virdismario@tiscali.it

martedì, novembre 07, 2006

MASSIMO MATTIOLI E LA "NARRAZIONE IMPAZZITA"

MASSIMO MATTIOLI E LA NARRAZIONE IMPAZZITA

- Saturday, 28 October 2006, 22:35

Il famoso caso del Ciclamino di Massimo Mattioli

Mario Virdis (GattoMario) del gruppo Gatto Gattivo.

L’analisi fatta sul fumetto di Mattioli evidenzia l’importante funzione che svolge il fumetto nella costruzione di quell’immaginario di cui l’uomo ha bisogno. Il Medium fumetto, lungi dall’essere staccato, autonomo, dagli altri strumenti di comunicazione, prima assorbe le stimolazioni ricevute dagli altri Media poi le trasforma nel nuovo immaginario richiesto. Immaginario che ? allo stesso tempo mezzo e prodotto(personaggio) insieme. L’esame che poi andiamo a fare del fumetto in questione evidenzia proprio questa metafora di equivalenza: circuito espressivo ed espressione sono in effetti la stessa cosa. Equazione che riporta al gi? conosciuto“ Il medium ? il messaggio” di Marshall McLuhan.
Mattioli gi? a partire da titolo “ il famoso caso del ciclamino” ci fa intendere che trattasi di un non-titolo, che pu? essere tutto e nulla: pu? essere “Peperoni” o, se volete, qualsiasi altra cosa, nella logica che anche il cambiamento passa attraverso un immaginario incerto, indefinito, frutto di mille contraddizioni. Il futuro ? un mix “meticciato” di presente e di passato: fatto di ansia e di desiderio di cambiamento, di rifiuto dell’esistente, visto come piatto e non stimolante, e di un forte bisogno di nuovo, condito per? di paure e di incertezze.
L’esame delle tavole a partire dalla prima evidenzia quest’ansia: desiderio di evasione( “ ndo vado in vacanza?) e paura della repressione della contestazione (bagno contro lo Stato? mi segua senza tante storie..), ma anche bisogno del passato (immagine di Tex) e della forza del mezzo di comunicazione( presente e futuro) evidenziato da una enorme penna.
Ma ?, soprattutto, nella seconda tavola che la contraddizione del nuovo e del vecchio sono maggiormente evidenziati: l’accostamento dell’impiegato secchione, terrorizzato dal capoufficio, al mezzo televisivo, nuova arma di forte impatto sulle masse, sia attuale che futuro. Contraddizione che porta alla maturazione dell’idea del “rifiuto”, della fuga da un presente non accettato: “ me ne vado all’estero!”
Cavalcando questa necessit? di cambiamento il “fumetto”, si veste di panni nuovi, cresce e si trasforma, diventa “adulto”. Come? Cannibalizzandosi, nutrendosi delle sue stesse carni, fagocitando il fumetto preesistente. Operazione da alchimista-stregone, che utilizzando un medium esistente, conosciuto, lo frulla, con l’aggiunta dei nuovi ingredienti e lo mette a bollire nel crogiuolo. Cosi trasformato, il fumetto non ? pi? lo stesso: magari rivisitato, ? un prodotto nuovo, diverso. Un cannibalismo dell’immaginario che pur non distruggendo il medium fagocitato lo rende diverso, modificato e adattato ai bisogni del nuovo lettore/fruitore.
In questo contesto possiamo osservare i personaggi, disneiani e non, rivestiti di nuovi panni, spesso sporchi e laceri, con atteggiamenti sconosciuti, inconsueti, volgari e irrispettosi, tutto il contrario del loro originario ruolo educativo: personaggi noti trasformati da eroi positivi in elementi negativi.
Le tavole osservate evidenziano infatti situazioni e luoghi “sporchi”: il water, il linguaggio scurrile, il cantare sguaiato, le espressioni “ubriache” e le allusioni volgari al sesso nudo e libero, altro “sporco” tab?, unito alla contestazione e alla ricerca di nuovi piaceri. Il forte desiderio del libero amore ? meglio evidenziato nelle vignette a seguire dove GattoGattivo non solo ammazza l’autore, ma mette in atto un’azione di rapina e stupro. Il seguito di queste bravate del Gatto mette in evidenza il piacere dell’ “ebbrezza” della velocit?, che si conclude, come spesso ben sappiamo, con lo scontro e l’ipotesi di morte del protagonista.
Un ulteriore commento a queste tavole. Oltre agli eccessi giovanili ben noti ? evidente nelle tavole un atteggiamento “ particolare” della coppia rapinata: il mancato dolore per la violenza subita ( “arrivederci! Torni a trovarci!” di lui, accompagnato dallo sventolio dello slip e dal sorriso di lei), dove si pu? ravvisare la tolleranza dei genitori, dei benpensanti, sui comportamenti anche molto negativi delle nuove generazioni.
Nelle ultime vignette si intravedono i nuovi sintomi di “noia” che attanagliano i giovani fin dalla pi? tenera et? (“ che palle giocare sempre con lo stesso giocattolo”) e la mancata comprensione anche delle lezioni pi? dure (“ me la sono vista brutta, gente”, dice il gatto riprendendo la corsa sfrenata) . Anche il finale vede la fragilit? della volont? del gatto (che incarna quella dei giovani di oggi) che, al primo incontro con i balordi di vecchie marachelle non resiste alla tentazione e ci si ributta a capofitto.
Massimo Mattioli anche il questo fumetto racconta, a modo suo, il forte cambiamento in atto nella Societ? dell’epoca. Il mondo giovanile era, allora, impegnato su tre fronti: la contestazione ( accompagnata dalla forte repressione poliziesca) di un mondo piatto, ipocrita e perbenista, la ricerca di una nuova libert? sessuale, ed, a seguire, una maggiore apertura della famiglia alle nuove esigenze della societ? dei consumi: libert? di svago, moto, auto, etc.
L’ultima vignetta le riassume tutte: Il gatto, solo sul palcoscenico, ? Medium e Messaggio insieme.
Il passato ( chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quello che lascia) ed il futuro (sa quello che trova) si incontrano e si fondono insieme.

GattoMario.


Mario Virdis

virdismario@tiscali.it


"BLADE RUNNER". ANALISI DI UN MEDIUM UTILIZZATO: LA LUCE.

1 November 2006, 08:09 - - Wednesday.

di Mario virdis



Esercitazione universitaria (Scienze Politiche).

Ridley Scott, “ Blade Runner”, analisi di un Medium utilizzato per la realizzazione.

La trasmissione dei messaggi dal trasmittente al ricevente utilizza Medium diversissimi. Nel film esaminato, Blade Runner, ho focalizzato l’attenzione su uno dei Medium pi? importanti del cinema l’utilizzo della Luce.
Nella realizzazione di un film la luce, pi? della costruzione delle scene, della gestualit? dei personaggi, della voce e delle particolari caratteristiche dei personaggi stessi, assume un ruolo essenziale, determinante, conferma, se mai ce ne fosse bisogno, della validit? della teoria di M. McLuhan, che il Medium ? il messaggio.
In Blade Runner il ruolo della luce ? fondamentale. Nelle scene la luce fatica a farsi strada, filtra in lame sottilissime attraverso le finestre, viene distribuita dalle pale rotanti dei ventilatori a soffitto, sciabola dall’alto dalle luci delle astronavi che osservano la caotica citt? sottostante, o dal basso attraverso i fari delle auto della polizia che illuminano in maniera spettrale replicanti, poliziotti e abitanti della citt?.
La poca lucentezza, la trasparenza sono proprie degli oggetti (vetri, specchi, asfalto lucido di pioggia della strada) pi? che dello spazio, in cui, invece domina una luce opaca, viscida, crepuscolare. Nei primi piani i personaggi sono spesso perfettamente immobili per permettere a sottili fasci luminosi rossi di riflettersi sulle loro pupille e dare cosi all’occhio una metallica luminosit?. Il risultato ? un effetto particolare, direi innaturale, quasi a creare nello spettatore un’immagine subdola dei replicanti, di “diversi”. La luce cosi utilizzata realizza, pi? della scena o delle parole, proprio quel senso di “ diverso”, di “sporco”e di “contaminazione” che gli essere innaturali, pur frutto dell’intelligenza umana, portano con se.
Questo perfetto gioco in chiaroscuro, di luci sussurrate e ombre cupe trasporta lo spettatore in uno spazio quasi irreale; sapientemente miscelata all’aria, alla polvere, al fiato, all’umidit?, ai vapori di una citt? allucinante e decrepita, la luce crea effetti che catapultano lo spettatore in un mondo futuro temuto ed angosciante, quasi simile al primordiale Big Bang, o, osservando la scena finale della morte di Roy con il chiodo nella mano e la colomba in volo in un’atmosfera livida, alla morte di Cristo sul Calvario.


Mario Virdis

virdismario@tiscali.it

IL MIO LAVORO NELLA LAUREA SPECIALISTICA DI EDITORIA, COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE E GIORNALISMO

SCRITTO SUL BLOG " NARRAZIONISUSCETTIBILI.BLOGSPOT.COM
MARTEDI 17.OTTOBRE 2006

CORSI E ...RICORSI DELLA STORIA!

Quando i miei anni erano meno di quelli di oggi, 16 anziche 61, oltre che leggere i fumetti dell'epoca (capitan Mik, Tex, Topolino) avevo un altro appuntamento settimanale: LA DOMENICA DEL CORRIERE, inserto domenicale del Corriere della Sera.Nonostante di anni ne siano passati diversi quelle vignette sono ancora impresse nella mia mente, registrate per sempre. Nella loro essenzialit?, con tratti semplici ma decisi, il " il signor Bonaventura" guadagnava sempre con le sue buone azioni il fantomatico milione, mentre il " signor Pier Lambricchi", con la sua arcivernice, dava vita alle immagini cartacee, come un novello genio della lampada. Personaggi diversi da quelli di oggi, come diversi erano in quegli anni i primi spot pubblicitari, allora relegati, "a parte", su CAROSELLO: dalla caffettiera "Carmencita" della Bialetti ai personaggi come l'ispettore Rok che reclamizzava la brillantina Linetti (....anch'io ho commesso un errore: non ho mai usato la brillantina Linetti!),a "Calimero", il pulcino nero che conquistava le massaie ai nuovi prodotti, come "Ava bucato" per lavare...bianco che abbaglia. Mezzi diversi ma fine unico: conquistare l'immaginario collettivo.L'industria culturale ha fatto in circa 50 anni passi giganteschi. La Mass-mediologia, termine coniato da R. Debray per definire lo studio del fenomeno dell'intrattenimento, concepito in termini industriali, ha effettivamente verificato come i nuovi mezzi di comunicazione abbiano modificato la nostra vita quotidiana, la nostra cultura. Il percorso dell'uomo ? lungo: dall'"invenzione" delle mani, alla "liberazione della bocca", che da strumento di sopravvivenza diventa il primo strumento intelligente per comunicare prima con i suoni poi con le parole; a seguire con la scrittura,che ha reso immortali le sue conquiste perpetuandole e rendendole disponibili per i posteri, per arrivare, infine, agli attuali mezzi della multimedialit?, necessari in un mondo divenuto ormai un unico "villaggio globale".Industria culturale, nata per fare da collante tra lavoro e intrattenimento, per riempire quello spazio tra impegno e svago, tra dovere e piacere, tra realt? e finzione; per addolcire, per mitigare, il peso dell'umana esistenza, che dal passaggio dal villaggio alla metropoli ha dovuto pagare un prezzo molto alto.Oggi realt? e finzione si toccano, si compenetrano in un groviglio inscindibile ( non ? poi cosi assurdo pensare che la televisione ha ucciso la realt?), essere o apparire, mito e realt?, rappresentazione scenica (mito) che fagocita e sostituisce la realt?.Ma l'uomo nel suo cammino ha sempre preso il giusto sentiero ? Tutto questo sforzo..." FU VERA GLORIA" ? Ai posteri l'ardua sentenza.

lunedì, novembre 06, 2006

LA MIA TESI DI LAUREA



UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SASSARI
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE E GIORNALISMO



IL ROTARY INTERNATIONAL :
studio sociologico di un’associazione non-profit di professionisti


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RELATORE:
Prof. Elisabetta Cioni

TESI DI LAUREA di Mario Virdis

ANNO ACCADEMICO 2005.2006
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PROLOGO


Se vuoi correggere il tuo regno, devi correggere prima la tua provincia; se vuoi correggere la tua provincia, devi correggere prima la tua città; se vuoi correggere la tua città, devi correggere prima la tua tribù; per correggere la tua tribù, devi correggere prima la tua famiglia; per correggere la tua famiglia, devi correggere prima te stesso; poi…

( detto orientale attribuito a Confucio)



INDICE

Prologo 2
Indice 3
Premessa 5
Capitolo Primo – Associazionismo e democrazia nella società
americana di fine Ottocento
1.1 La società americana a cavallo tra due secoli 13
1.2 La società americana agli occhi di un europeo: l’analisi di A.
de Tocqueville 15
1.3 Gli Stati Uniti d’America patria delle libere associazioni 17

Capitolo Secondo – La nascita del Rotary International

2.1 Paul Harris e la fondazione del Rotary 21
2.2 I valori del Rotary 25
2.2.1 Amicizia 27
2.2.2 Etica negli affari e nelle professioni 30
2.2.3 Servire l’interesse generale 33
2.2.4 Tolleranza e comprensione reciproca 35
2.2.5 Cooperazione e ricerca della pace mondiale 36
2.2.6 Associazioni di servizio e associazioni di volontariato
due realtà a confronto 37

Capitolo Terzo – La diffusione del Rotary nel mondo

3.1 Lo sbarco in Europa e l’internazionalizzazione del Rotary 47
3.2 La diffusione nel resto del mondo 50
3.3 La filosofia rotariana: una religiosità laica 55

Capitolo Quarto- L’organizzazione ed i programmi del Rotary

4.1 La struttura centrale 58
4.2 La struttura operativa: i club ed il distretto 60
4.3 Gli incontri internazionali 63
4.4 Le attività di servizio: ieri e oggi 64
4.5 La Fondazione Rotary (RF) 67
4.6 Le altre attività internazionali 71

Capitolo Quinto – Breve storia del Rotary italiano
Il Rotary arriva in Italia negli anni Venti 74
5.1 Il primo club del Rotary in Italia 75
5.2 Il Rotary si diffonde in Italia: nasce il primo distretto italiano 76
5.3 Il Rotary e il Fascismo: un rapporto tormentato 78
5.4 Il Rotary si autoscioglie 80
5.5 Il Rotary e la Chiesa cattolica 81
5.6 La rinascita dopo la guerra 84
5.7 Il Rotary italiano oggi 85

Capitolo Sesto – Il futuro del Rotary

6.1 Quale futuro per il Rotary? 90
6.2 La comunicazione nel futuro del Rotary 91
6.3 I giovani, i protagonisti di domani 96 6.4 I prossimi obiettivi del Rotary 98
6.5 Una sfida globale 100

Considerazioni finali 102
Note e riferimenti 105

Bibliografia 109


PREMESSA



L’idea di completare questa mia esperienza universitaria con una tesi sul Rotary International mi aveva attratto fin dal primo anno. Tuttavia il fatto di essere rotariano mi creava una serie di condizionamenti. Da un lato poteva costituire per me, membro dell’associazione, motivo di orgoglio e soddisfazione, dall’altra, invece, proprio questo fatto poteva impedirmi di essere obiettivo e di operare con la necessaria serenità ed imparzialità. La mia decisione è stata quella di accettarne, comunque, il rischio.
Sono tornato sui banchi dell’Università a distanza di quasi quarant’anni dalla mia prima iscrizione. Era il 1964 e scelsi l’Università di Cagliari, facoltà di Economia e Commercio. Non completai gli studi perché non riuscii a conciliare lo studio con il lavoro. Vincitore di concorso, entrai in banca, ma l’impegno lavorativo non mi consentiva anche di studiare. Per me il lavoro era più importante e rinunciai alla laurea. Tre anni fa, dopo trentasei anni di attività lavorativa e un’età anagrafica di cinquantasette anni, decisi di lasciare l’azienda bancaria per andare in pensione. Non mi sentivo allora e non mi sento oggi un pensionato, nel significato pieno del termine. La visione che ho del mondo è organicistica, credo in un sistema sociale armonico, dove ciascuno di noi è parte di una macchina complessa. Siamo parti di una grande macchina dove ciascuno di noi ha una funzione e a nessuno è consentito di uscire di scena, ma solo di cambiare ruolo. Oggi, dopo essere stato manager bancario, ruolo molto vincolante e costrittivo, sono maturo per interpretare un ruolo più libero, meno legato ad orari, decisioni indifferibili e vincolanti. Da non pochi anni faccio parte di una grande organizzazione di servizio, il Rotary International. L’Associazione, nata nel 1905 a Chicago ed oggi diffusa in oltre centosessanta Paesi del mondo, ha festeggiato nell’anno appena trascorso i suoi primi cento anni di vita. Di questa associazione condivido gli ideali e gli scopi che si possono sintetizzare nell’amicizia, la tolleranza ed il servizio. Ora posso occuparmene più a fondo ed appagare anche un mio forte desiderio: quello di analizzarla meglio, trovare risposte ai tanti perché che, strada facendo, mi sono posto. È anche per questa ragione che ho deciso di tornare sui banchi dell’Università. Con il desiderio, non di completare gli studi interrotti in Economia e Commercio, ma di intraprendere un percorso nuovo, capace, oltre che di allargare i miei orizzonti culturali, di approfondire la conoscenza dell’associazione di cui facevo parte. Partendo dall’inizio, dalle origini, di quell’idea che diede vita al Rotary. Solo partendo dalle origini, dalle radici, si può scoprire la vera natura dell’albero. In questa mia ricerca ho trovato fondamentali gli studi di Alexis de Tocqueville sulla società americana di fine Ottocento, contesto in cui è maturata l’idea dell’associazione che prenderà il nome di Rotary. De Tocqueville fa una lucida analisi politica e sociale dell’America, la confronta, senza pregiudizi, con la vecchia Europa e, soprattutto, effettua uno studio approfondito delle associazioni, che in America coinvolgono i cittadini in ogni campo della vita sociale.
Approfondendo la ricerca ho non solo appagato le mie curiosità, ma anche trovato la maggior parte delle risposte che mi mancavano. Mi chiedevo, soprattutto, come era stato possibile, attraverso la semplice e spontanea amicizia, coinvolgere un numero di persone cosi grande. Cosa poteva spingere tante persone impegnate ai massimi livelli professionali a stare insieme per rendersi utili a se stessi e agli altri. Volevo sapere se il Rotary di ieri era uguale o diverso da quello di oggi. Inoltre, mi incuriosiva capire perché una struttura associativa frutto della cultura occidentale, fosse accettata e condivisa nel mondo anche in Paesi molto diversi per cultura e tradizioni. Erano forse i suoi valori e la sua filosofia a costituire quel legame, quella accettazione e condivisione? Altra mia curiosità era quella di approfondire la conoscenza del Rotary italiano. Volevo confrontare la nostra realtà con quella d’origine, capire perché la nostra cultura aveva trasformato in elitaria una associazione nata più democratica. Chissà se le sensibili differenze erano da attribuirsi alle severe norme di accesso ai club, o, invece, alla diversa nostra matrice socio-culturale. Non dimentichiamo, infatti, che l’Italia annoverava già antiche tradizioni di associazionismo sia laico che cattolico.
Nel mondo esistono tante associazioni che operano in campo sociale e sopperiscono alle più svariate necessità. Il gruppo più numeroso raccoglie le associazioni impegnate nel volontariato sociale vero e proprio, che, in Italia, è oggi regolamentato dalla legge 266/91. Queste associazioni operano in tantissimi campi della pubblica assistenza, a stretto contatto ed a supporto delle strutture pubbliche. Altre associazioni si occupano, invece, del miglioramento del vivere civile: dalla protezione ambientale alla musica, dallo sport alla fotografia. In tutte queste associazioni, nella stragrande maggioranza dei casi, l’adesione è libera a tutti senza condizionamenti di età, pensiero, classe sociale di appartenenza o professione. L’associazione oggetto di questo studio, il Rotary International, è, invece, diversa. Capostipite di una particolare forma associativa, denominata associazione di servizio, comprende poche ma grandi organizzazioni di spessore internazionale come Rotary, Lions, Kiwanis, Zonta, Soroptimist e poche altre. I particolari modi di funzionamento ( cooptazione, ingresso riservato a specifiche categorie, gradimento, ed altre) ne fanno una categoria a parte. Pur essendo il mio lavoro focalizzato su una di queste ultime, il Rotary, ho voluto, comunque, mettere a confronto, ove possibile, punti d’incontro o di divergenza con le altre associazioni.
Questo lavoro è diviso in sei capitoli. Il primo fa un’analisi della società americana di fine ottocento, multietnica e multirazziale, che opera in un regime democratico di uguaglianza, dove convivono liberalismo, individualismo ed egualitarismo. Condizioni, queste, nettamente differenti dalle realtà europea fatta di regimi monarchici, di aristocrazia e borghesia dominante, di società divisa in classi. In questo contesto democratico nasce e si diffonde in tutti i campi l’associazionismo, che riempie il vuoto tra la famiglia ed il potere politico centrale, in Europa coperto dalla nobiltà e dalla borghesia. De Tocqueville così lo definisce:
…Gli Americani di qualsiasi età condizione ed ingegno si associano di continuo. Non soltanto creano associazioni commerciali e industriali di cui tutti fanno parte, ma ne hanno anche di mille altri generi: religiose, morali, gravi, futili […] Laddove a capo di una nuova iniziativa, vedete in Francia il governo, e in Inghilterra un grande signore, state certi che negli Stati Uniti troverete un’associazione…[1]

Il secondo capitolo esamina la fase costitutiva e i primi anni di vita del Rotary, fondato a Chicago nel febbraio del 1905. La lettura degli scritti del fondatore, il giovane avvocato Paul Harris, consente di scoprire molte delle ragioni che furono alla base della costituzione dell’associazione. Tra i cardini della filosofia rotariana: l’amicizia, l’etica, la tolleranza ed il servizio sociale. Alla base di tutto, il fondamentale bisogno di amicizia che, coniugato con l’etica negli affari, con la tolleranza ed il servizio nei confronti degli altri, consente di superare l’innato egoismo dell’uomo. Il fine è conciliare l’egoismo con l’altruismo, il profitto con il dono.
Nel terzo capitolo viene ricostruita la diffusione del Rotary nel mondo. Nonostante le perplessità iniziali l’associazione cresce rapidamente. Uomini d’affari di tutte le categorie sono affascinati dalla novità e fondano in ogni importante città americana club Rotary. Pochi anni dopo (nel 1912) nascono i primi club fuori dagli Stati Uniti, il primo in Canada ed i due successivi in Europa: a Londra e Dublino. L’associazione è già diventata internazionale. Lo stare insieme in amicizia, apparentemente senza egoismo e cercando, insieme, di contribuire al miglioramento del contesto sociale, sotto il motto Service above self, servire oltre gli interessi personali, trova sempre più largo consenso e nuove adesioni, nuovi soci, anche in Paesi molto diversi per cultura e tradizioni. La filosofia rotariana supera i confini territoriali della cultura occidentale.
Il quarto capitolo illustra l’attuale struttura del Rotary, ancora oggi piramidale come nel passato. I soci sono sempre ammessi nei club per cooptazione, debbono rappresentare il vertice di una professione e nelle riunioni è sempre bandita la politica e la religione per non turbare il clima di amicizia. L’associazione, che oggi ha superato il secolo di vita, man mano che cresceva allargava anche i propri orizzonti e, seppure senza stravolgimenti, modificava anche la propria mission. All’iniziale bisogno di stare insieme in amicizia, darsi aiuto e conforto reciproco, contribuendo al massimo a sviluppare le necessità del proprio territorio, si aggiungono altre esigenze. La rapida espansione, sia in America che fuori dai confini nazionali, mette a fuoco altri bisogni, altre necessità da soddisfare. Una delle chiavi di volta, subito dopo la morte del fondatore Paul Harris, è la costituzione, al suo interno, della Rotary Foundation, braccio finanziario operativo dell’associazione, costituito per operare direttamente o in supporto alle grandi strutture assistenziali mondiali. La Rotary Foundation annovera oggi, tra le iniziative più importanti, la realizzazione della campagna per l’eradicazione della Poliomielite nel mondo. L’ambizioso progetto, durato molti anni e che ha comportato sforzi finanziari notevoli, può ormai considerarsi orgogliosamente completato. La sua importanza è tale da essere considerata, nel mondo, la più grande organizzazione umanitaria non governativa (ONG). Questo riconoscimento è frutto della sempre esistita collaborazione del Rotary con le Nazioni Unite: quando fu adottata la carta dell’ONU, nel 1945 a S. Francisco, le delegazioni dei 29 Paesi coinvolti includevano, fra i delegati, ben 49 rotariani. Oggi il Rotary è l’unica ONG ad essere presente, come membro consultivo, al tavolo dei quattro Enti sopranazionali dell’ONU: Ecosog, Unesco, Oms e Unicef. Altre modifiche hanno riguardato, nel tempo, la costituzione di club junior riservati ai giovani (Rotaract e Interact), l’ingresso delle donne (il club era nato con accesso ai soli uomini), concesso dopo oltre 50 anni dalla costituzione, ed altre minori.
Il capitolo quinto fa una breve storia del Rotary italiano. L’Italia è una delle prime nazioni europee a costituire club Rotary dopo l’Inghilterra e l’Irlanda. Il contesto italiano è, tuttavia, profondamente diverso da quello americano: diversa la struttura politica, diverso il potere religioso della Chiesa cattolica. In Italia esiste già una forte tradizione associazionistica sia laica che cattolica. Il Rotary italiano dovendosi necessariamente adattare al contesto sociale esistente sarà, da subito, meno aperto e meno democratico di quello americano. I club italiani, a partire dal primo club, quello di Milano, costituito nel 1923 dalla elite economica della città, saranno più classisti e selettivi Nel capitolo vengono, inoltre, evidenziati due importanti avvenimenti nella storia del Rotary italiano: l’autoscioglimento durante il Fascismo (1938) ed i contrasti e la successiva riconciliazione con la Chiesa di Roma.
Il capitolo sesto chiude questa mia analisi formulando le ipotesi più probabili sul futuro del Rotary dopo il primo centenario. In un paragrafo finale espongo le mie conclusioni.
Per la stesura di questo lavoro, oltre ai libri evidenziati nella bibliografia, ho utilizzato le pubblicazioni interne del Rotary, sia su carta stampata ( Rotary, Voce del Rotary e Realtà Nuova) che disponibile in rete nei vari siti Web del Rotary International, che hanno costituito una base di analisi critica.
Tutto questo, però, non sarebbe stato sufficiente senza il sostegno morale e materiale (con consigli e pubblicazioni) degli amici rotariani del mio distretto. Voglio ricordare, in particolare: Ruggero De Zuani, Tony Lico, Filippo M. Pirisi, Antonio Arcese, Lucio Artizzu, Giorgio di Raimondo, Roberto Ivaldi e Franco Arzano, Governatori del Distretto 2080 ROMA – LAZIO – SARDEGNA, che mi hanno incoraggiato e sostenuto.
Li ringrazio di cuore. Spero di non deluderli.

Un ringraziamento particolare a due persone speciali, il cui contributo è stato determinante: alla prof.ssa Cioni, relatrice di questa tesi, per aver accolto e sostenuto il mio forte desiderio di realizzare questo studio sociologico sull’associazione a cui appartengo; alla prof.ssa Gaia Peruzzi per avermi aiutato nel non facile compito di concretizzare questo lavoro, soprattutto nel mettere a confronto il mondo rotariano con quello delle altre associazioni, quelle del volontariato sociale.




CAPITOLO PRIMO
Associazionismo e democrazia nella società americana di fine Ottocento


1.1 La società americana a cavallo tra due secoli
Gli Stati Uniti d’America, patria del Rotary International, alle soglie del Novecento erano un Paese ancora profondamente diviso. Nel Sud ancora non si erano rimarginate le ferite subite nella guerra contro l’Unione ed enormi erano i danni causati dalla sanguinosa Guerra Civile. La ricostruzione, avviata per riparare i gravi danni causati dalla distruttività dell’invasione, si rivelava più difficile del previsto e con costi enormi. Ad Ovest, invece, il Paese si espandeva rapidamente, alimentato da un flusso migratorio senza precedenti. Tra il 1840 ed il 1920 gli Stati Uniti furono raggiunti da un impressionante e variegato numero di immigrati per un totale di circa 37 milioni di individui. Provenivano dai luoghi più diversi: Germania, Italia, Irlanda, Inghilterra, Scozia, Galles, Austria, Ungheria, Scandinavia, Russia, etc. Il maggior flusso migratorio dell’Europa verso l’America proveniva dalle regioni dell’Europa settentrionale dove forti erano i valori apportati dalla riforma luterana. Questi valori culturali arrivano in America con gli immigrati. Alcuni aspetti di questa matrice culturale europea nella formazione della nuova democrazia americana, meritano di essere messi in luce. Uno degli aspetti più significativi è il primato dell’individuo rispetto all’autorità. Nel suo contrasto con il papato, il luteranesimo aveva fortemente rivendicato la libertà di esame dell’individuo; in un certo qual modo aveva imposto la priorità del singolo sull’istituzione. Fra le tante cose derivate dal primato dell’individuo la propensione all’individualismo. Un rapporto bilanciato tra il singolo e lo stato è la prima conseguenza di questa cultura. La rivendicazione luterana del libero esame individuale costituì, difatti, un implicito riconoscimento che esistono ambiti e problemi in cui l’autorità non può interferire e in cui il valore del singolo è prioritario. La sensibilità per un’area intangibile di diritti personali consentirà di maturare in America la filosofia jeffersoniana dello Stato (1801-1809), che professava non solo la democraticità del governo ma anche che la presenza dello stato doveva essere la minore possibile. Il riconoscimento della libertà ad associarsi ed il rispetto dell’autonomia delle associazioni derivano direttamente da questa filosofia.
Accanto al primato dell’individuo, la cultura europea riformata esportò anche l’etica del lavoro. Il calvinismo (i cui profughi si rifugiarono dalla Vecchia Inghilterra nella Nuova Inghilterra) contribuì in modo determinante a formare lo spirito etico nel mondo della produzione e del commercio. Tra vecchia e nuova emigrazione, tra antichi stati come il Vermont (questo era uno degli States di più antica fondazione e, agli inizi del novecento, le sue comunità erano presenti da oltre 200 anni), che aveva già elaborato e consolidato i valori culturali e sociali dell’Europa, trasformandoli nei valori umanistici della democrazia e della solidarietà sociale, e l’Illinois, proiettato verso l’Ovest e caratterizzato da una espansione esplosiva e caotica, unita allo spirito d’avventura, vi erano differenze abissali. Tra l’attaccamento al passato ed il mito dell’Ovest si combatteva tra tradizione e innovazione, immobilismo e vocazione alla conquista. L’inurbamento eterogeneo, formato sopratutto dagli emigrati dell’ultima generazione, provenienti da zone diversissime, socialmente e culturalmente, portava ad obbligate ed inaccettabili aggregazioni socio-culturali, un forzato melting pot di difficile accettazione.


1.2 La società americana agli occhi di un europeo: l’analisi di A. de Tocqueville

L’analisi più lucida, il confronto più concreto tra la realtà americana e quella europea, è stata fatta da A. de Tocqueville nelle sue opere Democrazia in America [2] e Scritti politici.[3]
Alexis de Tocqueville, nato in Francia nel 1805 nel castello di Verneuil presso Parigi, era il terzogenito di una famiglia aristocratica, educato quindi al culto dell’antico regime. Compiuti gli studi di diritto entrò in magistratura quale giudice istruttore. Si accorse, però, ben presto che le sue convinzioni politiche erano in netto contrasto con il legittimismo dell’ambiente sociale a cui apparteneva. Nel 1831 chiese un congedo dal suo Ufficio per recarsi in America con lo scopo di studiare il sistema penitenziario degli Stati Uniti. Si fermò in America per quasi due anni. Al suo rientro in Francia, dimessosi da magistrato, lavorò alla stesura del primo libro sulla sua esperienza americana, Democrazia in America, che gli diede fama e notorietà. L’interesse di Tocqueville verso il sistema democratico che si era consolidato in America scaturiva dalla convinzione che la democrazia era il fine ultimo cui tendeva il processo storico; era il movimento sociale che aveva caratterizzato la storia moderna contribuendo a dissolvere l’ordinamento aristocratico-feudale e messo le basi per l’eliminazione delle monarchie, ancora ben presenti e radicate in Europa. Democrazia, quindi, come punto d’arrivo, come ordine politico in cui si realizza il principio dell’uguaglianza. In Europa, invece, i governi continuavano ad opporre un netto rifiuto, prevenuto, alla democrazia e cercavano in tutti i modi di tenerla lontana dall’amministrazione della cosa pubblica. Essi rifiutavano la rivoluzione democratica ignorando gli aspetti positivi e cogliendone solo quelli negativi. Mentre l’Europa faticava a sviluppare il seme democratico, gli emigrati lo esportarono e trapiantarono nel Nuovo Mondo, dove si sviluppò e consolidò. Queste le grandi differenze tra la vecchia Europa e la nuova America.
La democrazia ha anche, però, i suoi aspetti negativi. La regola fondamentale del governo della maggioranza può anche portare, sotto la spinta di passioni incontrollate, ad atteggiamenti ostili nei confronti della minoranza perdente.
Scrive de Tocqueville:

… Negli Stati Uniti, una volta che un partito è diventato dominante, tutto il potere politico si concentra nelle sue mani; i suoi uomini occupano tutti gli impieghi pubblici e dispongono di tutte le forze organizzate. Gli uomini più eminenti del partito contrario, non potendo oltrepassare lo sbarramento che li separa dal potere, devono potersi organizzare al di fuori; bisogna che la minoranza opponga tutta la sua forza morale al potere immateriale che la opprime… [4]

Sull’onda di queste necessità nacquero, praticamente spontanee, associazioni di ogni tipo.

1.3 Gli Stati Uniti d’America patria delle libere associazioni

In assenza di diversità di classi sociali, a differenza dell’Europa, la società americana sviluppò, alla fine dell’Ottocento, una miriade di associazioni. L’America fu il paese nel quale l’associazione si diffuse in tutti i campi e fu applicata alla più grande varietà di oggetti. Scrive ancora de Tocqueville:

… L’abitante degli Stati Uniti impara fin dalla nascita che bisogna contare su se stessi per lottare contro i mali e le difficoltà della vita; egli rivolge all’autorità sociale uno sguardo diffidente e inquieto, e fa appello al suo potere solo quando non ne può fare a meno. Si comincia a notare questo fin dalla scuola, dove i bambini si sottomettono, persino nei loro giochi, a regole che essi hanno stabilito e puniscono fra loro colpe da essi stessi definite. Lo stesso spirito si ritrova in tutti gli atti della vita sociale. Si crea un ostacolo sulla pubblica via, il passaggio è interrotto, la circolazione bloccata; i vicini si costituiscono subito in corpo deliberante; da questa assemblea improvvisata uscirà un potere esecutivo che rimedierà al male, ancor prima che l’idea di un’autorità preesistente a quella degli interessati sia venuta in mente a qualcuno. Se si tratta di divertimenti ci si assocerà per dare più splendore e organizzazione alla festa.[….] Negli Stati Uniti ci si associa per scopi di sicurezza pubblica, di commercio, di industria, di morale e di religione. Non vi è nulla che la volontà umana non creda di poter ottenere grazie alla libera azione del potere collettivo degli individui… [5]

Proprio l’assenza di classi favorì questo modo di confrontarsi sullo stesso piano. Era l’inizio di un nuovo sistema di vita più democratico che consentiva un confronto alla pari, senza differenziazione tra classi sociali come, invece, avveniva in Europa. Qui, infatti, nonostante le pressioni della classe lavoratrice ed anche di quella borghese, le monarchie e l’aristocrazia lottavano disperatamente per il mantenimento dei vecchi privilegi.
Il diritto di associazione era, ed è, in America un pilastro del sistema sociale, parte integrante della Costituzione. All’interno del primo emendamento, datato 1791, leggiamo:
…Il Congresso non potrà fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione, o per proibirne il libero culto; o per limitare la libertà di parola o di stampa; o il diritto che hanno i cittadini di riunirsi in forma pacifica e di inoltrare petizioni al governo per la riparazione di torti subiti…[6]

La società americana dei primi del Novecento visse questo clima di libera crescita in un contesto multietnico e multirazziale unico al mondo, considerata la diversissima composizione. Dal 1865 al 1900 gli Stati Uniti crebbero fino a diventare la nazione più industrializzata del mondo. La tecnologia e i trasporti statunitensi permisero alla nazione di diventare pioniera nell’espansione, organizzazione e coordinazione industriale, trasformando le imprese artigiane in grosse realtà industriali. Le ferrovie permisero l’apertura di nuovi mercati e l’accesso a terre in precedenza irraggiungibili. Inoltre i progressi tecnologici quali il telegrafo ed il telefono consentirono di raggiungere in tempi brevi tutti i mercati. Tutto questo modificò, anche fortemente, l’organizzazione del lavoro. L’innovazione era costantemente in evoluzione in tutti i campi: fra le novità più importanti e discusse dell’epoca l’applicazione della catena di montaggio nelle industrie di Henry Ford che sconvolse i vecchi ritmi arcaici di produzione. Gli agglomerati industriali crebbero a dismisura, spesso a ridosso delle città che diventavano sempre più grandi ma a scapito della qualità della vita. In tante città si viveva già con ritmi frenetici prima sconosciuti. Una moltitudine di uomini, provenienti dalle parti più diverse del vecchio continente, di usi, costumi e tradizioni differenti, cercava di ricostruire la propria vita nel nuovo mondo, affrontando le difficoltà derivanti dalla diversità, soprattutto solitudine e carenza di relazioni sociali. La necessità di intervenire per risolvere queste drammatiche problematiche sociali nei ceti più deboli incentivò la nascita di diverse associazioni filantropiche, che oggi definiamo no profit. In città come Boston, New York, Filadelfia queste associazioni si svilupparono più rapidamente, estendendosi successivamente anche a molte altre città. La maggior parte di esse però non raggiunse dimensioni notevoli, restando circoscritta nella comunità di appartenenza. Solo alcune avevano una portata più ampia come ad esempio La Salvation Army, L’American Sunday School e L’American Home Mission Society.
De Tocqueville, che trovò già consistentemente operative queste associazioni, le studiò a fondo, affermando che se era pur vero che si erano formate per la spontanea cooperazione dei cittadini, successivamente furono prima notate e poi influenzate dagli ambienti politici. Molti Stati, infatti, iniziando a legiferare in materia di organizzazioni no profit, consentirono a queste la possibilità di dotarsi di personalità giuridica, come le imprese e le banche, trasformandole da libere associazioni in aziende da loro controllate. A livello locale, però, tante restarono libere e continuano, anche oggi, la loro missione di impegno sociale.
Ma non è questo, però, il tema principale di questo studio. Non è l’associazionismo benefico, quello del volontariato sociale, l’oggetto di questo lavoro ma quello dei Club di servizio, nati proprio in America ai primi del Novecento, strutturati in maniera differente e organizzati in Club. Il Rotary International è il primo esempio di questo tipo di associazione. Altri club si svilupparono successivamente (Lions, Kiwanis, Zonta, Soroptimist, etc.), mantenendo praticamente la stessa struttura e le stesse regole del Rotary. Per meglio comprendere affinità e differenze, in considerazione dell’unico filo che le accomuna, quello del servizio sociale, verranno esaminate nel prossimo capitolo, analizzando le origini del Rotary, convergenze e divergenze tra i club di servizio e le associazioni di volontariato sociale.



CAPITOLO SECONDO
La nascita del Rotary International

2.1 Paul Harris e la fondazione del Rotary

Paul Percy Harris nacque il 19 aprile 1868 a Racine, nel Wisconsin, U.S.A. A soli tre anni, a seguito di difficoltà economiche familiari, venne affidato dal padre ai nonni paterni, insieme al fratello maggiore, Cecil. Iniziò cosí la sua vita a Wellingford, nel Vermont, sempre negli Stati Uniti. L’infanzia vissuta forzatamente fuori dal contesto familiare ordinario, con i nonni e non con i genitori, risulterà condizionante nella sua futura formazione. Poco tempo dopo il suo arrivo a Wellingford gli mancò anche la compagnia del fratello Cecil, che andò ad abitare da una zia. Ecco come egli stesso descrisse questo distacco:
... Un giorno in casa Harris arrivò la zia Sue, la sorella maggiore di nostra madre, la quale, essendo rimasta vedova durante la guerra civile e non avendo figli, si era affezionata molto a noi figli della sorella. Per questa devozione aveva ottenuto il permesso di portare Cecil con se. La separazione da Cecil che sarebbe dovuta essere solo temporanea in effetti si rivelò praticamente definitiva. Da allora restai solo nella casa dei nonni ad Wallingford, in quel delizioso villaggio circondato da montagne da scalare e da colline che in inverno ostentavano distese immacolate invitanti per le slitte dei bimbi felici e in estate risuonavano delle voci di rapidi ruscelli, dove, tra grida e risate, noi ragazzi ci divertivamo un mondo a nuotare. In quel villaggio la mia casa sarebbe stata accompagnata dall’ordine, dalla pulizia, dalla cortesia, dalla premura e dal quieto vivere, tipici del New England. Dopo la partenza di mio fratello, iniziò a farsi strada nel mio cuore un ragazzo dai capelli rosso fuoco. Quando ero in disgrazia per una qualche punizione, il mio amico pel di carota, Fay Stafford, soffriva insieme a me; eravamo sempre uniti negli alti e bassi della vita. Avevamo la stessa età ed eravamo ben assortiti. L’amicizia di Fay è stata molto importante in quel primo periodo di formazione della mi vita. È stato il primo di una lunga serie di amici che hanno arricchito e reso più dolce la mia vita e, tra tutti, mai nessuno è stato più caro e sincero del mio amichetto dai capelli rossi. Insieme abbiamo scalato montagne piene di fango o neve. Nel corso di una di queste scalate ci siamo trovati in mezzo ad una bufera di neve, ci siamo persi ed abbiamo vissuto con terrore una disavventura che per fortuna abbiamo superato.. [7]


Dal racconto della sua fanciullezza, vissuta senza l’affetto dei genitori, traumatizzata anche dalla mancanza quotidiana del fratello Cecil, risulta l’immenso bisogno di compagnia di quest’uomo. Gli amici saranno, oltre ai nonni, il suo bisogno costante che lo accompagnerà tutta la vita. Il colpo finale a questa sua grande solitudine lo darà la caotica città di Chicago, sede scelta per l’esercizio della professione di avvocato. Paul Harris scrive nelle sue memorie:
... Ovunque c’era gente, sulle spiagge, nei parchi, nei giardini, nelle strade, ovunque c’era gente, ma non c’era alcun viso familiare. Compresi in quei giorni che mi mancava una cosa essenziale: gli amici. Emerson disse: <>… [8]

La solitudine espressa da Paul Harris ricorda quella descritta da David Riesman nel suo famosissimo libro del 1950 La folla solitaria. Ė la solitudine dell’uomo moderno. Riesman vede l’uomo moderno eterodiretto, guidato dall’esterno; In un’America che sta diventando civiltà dei consumi e di organizzazioni di massa, emerge l’uomo che cerca l’approvazione degli altri, che cerca di essere “come gli altri”. Un uomo inseguito dal senso di solitudine e di ansia e di paura di non essere accettato. Un uomo schiacciato, che ha bisogno di approvazione e di successo, abitante in un mondo governato dalle apparenze, spogliato della propria individualità, solo e disarmato nella moltitudine che gli si affolla intorno.[9] Come scrive Serena Zoli nel Corriere della Sera del 12 maggio 2002 “La folla solitaria” di Riesman viene già messa da molti in ideale sequenza con la democrazia americana di Tocqueville. La solitudine in mezzo alla folla è il prezzo che l’uomo moderno paga al progresso e che Paul Harris non è disposto a sopportare.
La crescita presso i nonni insegnò al giovane Paul uno stile di vita austero, misurato, rispettoso e tollerante.
... Nessuno sapeva meglio di me perché il nonno faceva durare i suoi abiti cosi a lungo. Nessuno sapeva meglio di me che vi era uno scopo dietro la frugalità che ha caratterizzato la sua vita, cioè servire coloro a cui voleva bene… [10]

Il nonno oltre che preoccuparsi del suo mantenimento più che lasciargli beni materiali volle insegnargli uno stile di vita: rispetto verso le persone e le cose, tolleranza sia politica che religiosa e, soprattutto, credere nei valori dell’amicizia e della lealtà. Inoltre volle dargli una adeguata istruzione e lo avviò agli studi in legge all’Università di Iowa City, dove nel luglio del 1891 si laureò. Ormai i nonni erano deceduti e Paul pur potendo iniziare la carriera di avvocato era combattuto e attratto da un nuovo interesse che sentiva crescere in lui: conoscere meglio l’uomo e le sue abitudini. Forse era temerario seguire questo nuovo impulso, mentre i compagni erano già pronti ad iniziare l’esercizio della professione forense. Alla fine la decisione: prendersi una vacanza per cinque anni, dedicarsi per questo tempo solo a se stesso. Ma non stando fermo in una località: girando il mondo per conoscerlo meglio; solo alla fine di questo periodo si sarebbe fermato, e avrebbe iniziato a lavorare. Iniziò cosi la sua avventura e, per poterla realizzare, si adattò a fare qualsiasi tipo di lavoro, i mestieri più disparati. Girò l’America, poi sbarcò in Europa. Visitò l’Inghilterra, la Francia, l’Irlanda il Belgio, l’Italia, l’Austria. Alla fine dei cinque anni rientrò in America. La città da lui scelta per lavorare e sistemarsi fu Chicago. Una Chicago convulsa, brutale, violenta, incredibilmente diversa da Wellingford, nel New England, che restava con la sua pace indelebilmente incisa nel suo cuore. Ecco come Paul Harris ricorda quel periodo:

… Ritornato a Chicago fu necessario mandar giù, ancora, qualche boccone amaro. Nei giorni lavorativi, anche se ricevevo delusioni, avevo il vantaggio di essere occupato e di non aver tempo per pensare ai miei guai, ma la domenica ed i giorni di festa erano giorni tristi per me. La domenica mattina potevo recarmi in qualche chiesa in centro, ma la domenica pomeriggio ero disperatamente solo. Quanto avrei desiderato poter correre per i verdi prati della mia valle nel New England e sentire la voce di qualche amico! Le passeggiate nei parchi cittadini non erano di grande soddisfazione, erano troppo artificiali e tra le migliaia di passanti non c’era nessuna faccia conosciuta…[11]

La presenza di tante facce sconosciute non faceva che aumentare la sua solitudine. Tornò prepotentemente in lui un bisogno essenziale: quello degli amici. Pensò che certamente non era il solo, in una città come Chicago, ad avere queste esigenze. Iniziò cosi a delinearsi nella sua mente un disegno capace di soddisfare queste necessità: gli uomini avevano bisogno dei loro simili, di dividere le stesse emozioni, di mettere insieme esperienze, problemi, aspettative. L’idea che avrebbe dato vita all’oggetto del nostro studio arrivò una sera a cena a casa di un collega.
… Una sera andai con un mio collega nella sua casa, in periferia. Dopo cena, mentre passeggiavamo lì intorno, il mio amico salutò per nome diversi commercianti intenti al loro lavoro. Mi tornò allora alla mente il mio villaggio nel New England. Mi chiesi perché non creare nella grande Chicago una associazione che raggruppasse persone di diversa professione, senza restrizioni di fede religiosa o politica, con un assoluto rispetto delle opinioni altrui? Senz’altro in questo tipo di associazione ci sarebbe potuto essere sostegno reciproco…[12]

Passò del tempo. Paul Harris meditava prima di agire, la sua forte educazione gli aveva insegnato a non agire d’impulso. Ma ormai il traguardo era vicino. Continua Harris:
… alla fine, nel febbraio del 1905, organizzai un incontro con tre giovani uomini d’affari ed in quella occasione proposi loro un piano molto semplice di cooperazione reciproca e di amicizia informale, come quella che noi tutti avevamo vissuto nei nostri villaggi di origine. Furono d’accordo con me Silvester Schiele, il mio amico più caro e uno dei tre giovani presenti al primo incontro fu nominato presidente e rimase da allora membro del gruppo.[…..] Il gruppo crebbe, in numero, ma anche nell’amicizia e nello spirito di solidarietà degli uni verso gli altri e anche verso la nostra città. Il banchiere ed il panettiere, il pastore e l’idraulico, l’avvocato ed il commerciante, scoprirono che, in fondo, le loro ambizioni, i loro problemi, i loro successi ed i loro fallimenti erano simili. Tutti capimmo quanto avevamo in comune e tutti scoprimmo la gioia di essere l’uno al servizio dell’altro…[13]


L’associazione era ormai nata. Al terzo incontro, venne stabilito il nome: Rotary, in quanto le riunioni si svolgevano a rotazione negli uffici dei soci o in ristoranti. La diffusione del neonato club fu rapida. Alla fine del 1905 il club di Chicago contava trenta soci. Tre anni dopo, nel 1908, nacque il club di San Francisco in California. Nel 1910 i club rotariani erano già sedici con 1.500 soci. Nel 1912 con la costituzione di club in Canada, Gran Bretagna e Irlanda il Rotary diventa internazionale.
Oggi, ad un secolo dalla sua nascita, il Rotary conta oltre 1.200.000 soci operanti in 32.000 club in 168 Paesi del mondo.
Questa in sintesi la storia dell’associazione che verrà meglio descritta nei capitoli terzo e quarto.

2.2 I valori del Rotary

Il Rotary non è una corrente filosofica o un movimento ideologico, quindi il termine filosofia rotariana è certamente improprio. Tuttavia il termine filosofia rotariana è usato per meglio definire i suoi principi ispiratori, i concetti sull’uomo e sui suoi comportamenti sociali, auspicati e sostenuti. Valori fondamentali, validi ieri come oggi e domani, e sui quali il Rotary è costruito. Ma cos’è in effetti il Rotary? La definizione ufficiale la ricaviamo dal manuale di procedura dell’organizzazione stessa:
... Il Rotary è un’organizzazione di imprenditori, dirigenti e professionisti che si dedicano ad attività umanitarie, lavorano perché tutte le professioni siano improntate ad alti principi etici e cercano di costruire un mondo in cui regnino la pace e la buona volontà…[14]

Quali gli scopi del Rotary? Sempre dal manuale di proceduta rileviamo:
... Lo scopo del Rotary è di diffondere il valore del servizio, motore e propulsore ideale di ogni attività. In particolare, esso si propone di :
Primo. Promuovere e sviluppare relazioni amichevoli fra i propri soci per renderli meglio atti a servire l’interesse generale;
Secondo. Informare ai principi della più alta rettitudine l’attività professionale e imprenditoriale, riconoscendo la dignità di ogni occupazione utile e facendo sì che venga esercitata nella maniera più nobile, quale mezzo per servire la collettività;
Terzo. Orientare l’attività privata, professionale e pubblica di ogni socio del club secondo l’ideale del servizio;
Quarto. Propagare la comprensione reciproca, la cooperazione e la pace a livello internazionale mediante il diffondersi nel mondo di relazioni amichevoli fra persone esercitanti diverse attività economiche e professionali, unite nel comune proposito e nella volontà di servire…[15]

I cardini su cui si basa la filosofia rotariana possono essere cosi sintetizzati:
- Amicizia
- Etica negli affari e nelle professioni
- Servire l’interesse generale
- Tolleranza e comprensione reciproca
- Cooperazione e ricerca della pace mondiale
L’amicizia, dunque, come punto centrale e unificatore dell’intera associazione. Ho voluto analizzare, in questo capitolo, uno per uno questi punti focali della filosofia del Rotary, aggiungendo poi, in chiusura, un punto di raccordo con le associazioni di volontariato, dove è preminente, invece, il concetto altruistico, la filosofia del Dono. Questo confronto lo ritengo molto importante perché analizza due diverse vie di impegno sociale: quella rotariana improntata all’etica economica e sociale, che si muove nella logica dell’homo oeconomicus e quella del volontariato, animata dalla filosofia del dono, che si muove, invece, nella logica dell’homo donator.



2.2.1 AMICIZIA

Il cammino dell’uomo è una continua ricerca di luoghi comuni di incontro. Luoghi dove incontrarsi, discutere, ascoltare, agire; dove accogliere e stringere amicizie. L’amicizia è un sentimento che ha sempre destato l’interesse di studiosi e pensatori, di poeti e filosofi, di tutte le culture e religioni. Il termine amicizia corrisponde al termine greco philía e si incontra nella filosofia greca dapprima come concetto fisico in Empedocle, poi come concetto etico che, fino a Platone, veniva ancora non nettamente distinto dall’eros, dall’amore. Ma cosa intende il Rotary per amicizia? Partiamo dalle definizione di amicizia. Nel lessico corrente la parola amicizia viene usata molto spesso in modo improprio. Spesso viene equivocata con la conoscenza, con la benevolenza, con la simpatia e l’amichevolezza. Scrive F. Alberoni ne L’amicizia (ediz.Garzanti 2002):
… Vediamo, allora, brevemente quali sono i significati più comuni di questa parola. Ci accorgeremo che, nella maggioranza dei casi, la parola amicizia ha ben poco a che fare con quello che noi intendiamo quando pensiamo ad un vero amico. Primo significato: i conoscenti [….] secondo significato: solidarietà collettiva […] terzo significato: relazioni di ruolo […] quarto significato:simpatia e amichevolezza […] Cosa dobbiamo intendere, allora, per amicizia? Intuitivamente questa parola ci fa venire in mente un sentimento sereno, limpido, fatto di fiducia, di confidenza […] In un libro recente J. M. Reisman, dopo aver esaminato tutta l’immensa letteratura sull’argomento, ha dato la seguente definizione dell’amicizia: " Amico è colui a cui piace e che desidera fare del bene ad un altro e che ritiene che i suoi sentimenti siano ricambiati ". Con questa definizione Reisman colloca l’amicizia nel mondo dei sentimenti altruistici e sinceri. … [16]

La definizione data da Reisman è quella che più si avvicina al concetto di amicizia rotariana, anche se non lo esaurisce. L’amicizia non è data dalla semplice frequentazione, dal trascorrere parte del tempo negli stessi luoghi. Vi sono persone che conoscono tutti, danno del tu a tutti, hanno il numero di telefono e dichiarano di essere amici di tutti, ma non sono amici di nessuno. Ė uno dei tanti modi di millantare l’amicizia. Si può essere colleghi, vicini di casa, soci, compagni di lotta e di ideologia, ma non amici nel senso rotariano del termine. Perché l’amicizia è qualcosa di più forte ed importante del semplice interesse a stare insieme. Già Aristotele nell’Etica nicomachea distingueva quella “fondata sull’utile” da quella vera “fondata sulla virtù”. Non siamo, però, ancora arrivati all’esatta definizione del concetto di amicizia che stiamo cercando. L’amicizia che cerchiamo è più complessa: gli ingredienti sono tanti e tutti di estrema importanza. Questa amicizia è costituita da reciprocità, simpatia, affetto, stima, educazione, affinità, rispetto della diversità, lealtà. Ognuno di questi elementi concorre a determinare e completare quel sentimento gioioso, che Alberoni definisce di grande “intensità vitale”, qual è la vera amicizia. L’amicizia, questa amicizia, è nel Rotary di importanza assoluta, vitale; anima dibattiti ed è oggetto di discussione anche nelle assise annuali di incontro e confronto.
Anche il congresso dell’anno 2005-06 del distretto 2080 (comprende il Lazio, la Sardegna e la capitale, Roma) era prevalentemente dedicato all’amicizia, con il tema: l’amicizia nel Rotary, l’amicizia del Rotary. [17] Fra le relazioni, tutte interessanti, una in particolare, quella Di Mario Morcellini, preside della facoltà di scienze della comunicazione dell’Università di Roma La Sapienza, ha messo a fuoco un aspetto particolarmente importante dell’amicizia: quello inteso come “Amicizia come scoperta e valorizzazione dell’altro: va dove ti porta l’amicizia”. Amicizia, quindi, sostiene Morcellini, come scambievole scoperta reciproca, affetto disinteressato, che matura con la frequentazione, si arricchisce continuamente nella scambio di stima reciproca, poggia le sue fondamenta sulle affinità di sentimenti, di educazione e di cultura.
L’amicizia, però, non è eros, non è amore che può nascere a prima vista. Nell’amicizia non c’è colpo di fulmine. L’amicizia ha bisogno di lunga ricerca. L’amicizia è un sentimento complesso che si sviluppa attraverso un lungo cammino. L’amicizia, come dice Alberoni, si costituisce attraverso una successione di incontri; è una “filigrana di incontri”.
… Osservata dall’esterno, da una prospettiva sociologica, l’amicizia è una solidarietà seriale. Gli individui non sono posti in cerchio, ma uno di seguito all’altro, in fila indiana […]che si incontrano e si lasciano per ritrovarsi di nuovo...[18]

La filosofia rotariana, che pone l’amicizia alla base della propria esistenza, la concepisce proprio come forma etica dell’amore in cui la stima si antepone all’affetto ed il rapporto relazionale coinvolge più persone. Una delle finalità del Rotary è proprio quella, già citata alla nota 13, di:

… Promuovere e sviluppare relazioni amichevoli tra i propri soci per renderli meglio atti al servire… e ancora … propagare la comprensione reciproca, la buona volontà e la pace tra Nazione e Nazione mediante il diffondersi nel mondo di relazioni amichevoli…

L’amicizia per il rotariano non è solo un fine, ma anche un mezzo per meglio servire l’uomo e i suoi bisogni . L’amicizia nel Rotary, però, non è un obbligo, una imposizione. Il Rotary non ha titolo per imporre l’amicizia. Il Rotary può raccomandare la tolleranza, la comprensione, l’indulgenza e incoraggiare comportamenti etici ed impegno sociale. L’amicizia non è una semplice conseguenza dell’appartenenza al Rotary. Esiste, invece, l’amicizia vera, con tutte le sue implicazioni, che nasce in virtù delle regole del Rotary e che il Rotary prepara e favorisce. Amicizia necessaria per realizzare i suoi scopi: comportamento etico all’interno ed all’esterno, tolleranza e cooperazione. Perché nell’associazione non si entra a domanda, ma mediante la cooptazione? Ma perché gli amici si scelgono! Solo con la scelta, chi è già rotariano, individua un altro soggetto con le caratteristiche e le capacità necessarie per condividere in libertà i fini e gli scopi dell’associazione. Questa, in sintesi, l’amicizia rotariana.


2.2.2.Etica negli affari e nelle professioni

L’etica, nella sua definizione, è quella parte della filosofia che si occupa del comportamento umano in quanto giudicabile come buono o cattivo. L’etica o filosofia della morale viene perciò considerata come la dottrina che, ponendo giudizi di valore, consente di distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Il termine, dal greco ethos (consuetudine, costume) fu introdotto da Aristotele per indicare le sue trattazioni di filosofia della pratica.
L’applicazione dell’etica al mondo degli affari e delle professioni ha origini lontane. L’uomo è un animale sociale che opera, vive, ricava quanto gli necessita per vivere, unendosi in gruppo con gli altri suoi simili. A differenza degli animali, che in larga misura cacciano da soli e provvedono singolarmente ai loro bisogni, l’uomo svolge queste attività unendosi ad altri suoi simili. Scrive Adam Smith nel suo libro Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, (Isedi, Mi 1973) :
... L’uomo ha invece quasi sempre bisogno dell’aiuto dei suoi simili e lo aspetterebbe invano dalla sola benevolenza; avrà molta più probabilità di ottenerlo volgendo a suo favore l’egoismo altrui e dimostrando il vantaggio che gli altri otterrebbero facendo ciò che egli chiede. Chiunque offra a un altro un contratto, avanza una proposta di questo tipo: dammi la tal cosa, di cui ho bisogno, e te ne darò un’altra, di cui hai bisogno tu… [19]


L’interazione, lo scambio, la relazione economica e sociale con gli altri individui esiste fin dagli albori dell’umanità. Nel tempo tanti gli strumenti e le regole applicate e successivamente modificate per armonizzare la vita sociale e tenerla al passo coi tempi . Regole, però, con un fine ultimo preciso: far convivere l’innato egoismo dell’uomo con l’altruismo; conciliare l’interesse personale con l’interesse collettivo, il profitto con il dono. Creare quelle regole di convivenza civile dove ciascuno soddisfi i propri bisogni senza prevaricare quelli degli altri. Cosa intende, oggi, il Rotary per comportamento etico negli affari e nelle professioni? Qual è il senso, il valore, del Business ethic, cioè dell’etica negli affari? Franco Arzano, ingegnere, dirigente industriale di livello europeo, consulente ed esperto di telecomunicazioni, governatore designato del nostro distretto rotariano, ha scritto in un suo recente articolo (2004) intitolato Etica e affari:
… Cominciamo allora da un punto di vista strettamente “economico”. Amartya Sen, l’economista-filosofo di origine indiana, professore ad Harward e premio Nobel sostiene che – dopo un lungo periodo in cui gli economisti hanno trascurato la dimensione etica, appare oggi chiaro che il successo economico non può essere disgiunto da una base etica. E del resto, continua Sen, la tendenza della teoria economica a ignorare gli aspetti etici non era condivisa neppure da Adam Smith, il quale riteneva che il perseguimento del profitto non fosse possibile se non all’interno di un ampio spettro di motivazioni morali che investono sia lo scambio commerciale (dove la fiducia reciproca degli operatori gioca un ruolo importantissimo) sia la redistribuzione della ricchezza (con il principio secondo il quale il modo in cui si divide la torta sociale influisce sugli incentivi al business e dunque sulla dimensione della torta stessa), come ha recentemente ribadito lo stesso Segretario Generale dell’ONU. Una prima riflessione è quindi che il “senso economico” della Business ethic non va identificato con il semplice perseguimento del profitto, ma comprende un’idea più generale: quella della costituzione di una “buona società in cui vivere”, dove il “fare affari” in modo corretto gioca un ruolo importantissimo: l’impresa che funziona, l’impresa che ha successo è di per se stessa “un bene pubblico”, specie se all’interno delle imprese sia pubbliche che private si riescono ad introdurre elementi non-profit con forte valenza sociale…[20]

Questa concezione etica è alla base della cultura e della filosofia del Rotary. L’associazione, rappresentata oggi più di ieri, da imprenditori, dirigenti e professionisti ai massimi livelli nelle categorie, esige che i suoi soci applichino, in tutte le professioni, i più alti principi etici, come del resto prescritto dal manuale di procedura già richiamato, (note 12 e 13). Corre, qui, l’obbligo di alcune precisazioni. La regola di ingresso ad un club Rotary, che prevede un solo rappresentante per ogni professione, stabilisce, per qualsiasi attività professionale, dalla più alta alla più modesta, che venga cooptato un rappresentante al vertice di quella professione. In America, nell’associazione, sono rappresentate praticamente tutte le professioni: dall’industriale al negoziante, dal banchiere al meccanico, dal finanziere al piccolo artigiano. In alcune nazioni, tra cui l’Italia, l’accesso al Rotary, come precisato nella parte dedicata al Rotary italiano, si è volutamente limitato solo ad alcune professioni cosi dette nobili. Virgilio Gaito, civilista di chiara fama, già direttore della rivista giuridica Foro romano, socio del club di Roma, in un suo recente saggio (1993), dal titolo Etica e professioni, pubblicato da Realtà Nuova, cosi scrive:
… Senza lasciarci prendere la mano dalla retorica, possiamo con orgoglio affermare che il professionista è chiamato ad adempiere una missione, anzitutto nell’interesse di chi a lui si affida, poi nel proprio, ma tenendo ben presente che l’interesse pubblico, siccome ispirato alla tutela del bene comune, sia sempre prevalente, atteso che il professionista è e deve essere un buono e leale cittadino chiamato a servire con coscienza e preparazione una collettività in continua evoluzione e perciò bisognosa di valori guida. Ed ecco ritrovato l’anello di congiunzione tra etica e professione: questa e inconcepibile senza quella...[21]

È una chiara dimostrazione del significato del motto Service above self, servire al di sopra dell’interesse personale.

2.2.3 Servire l’interesse generale

Servire è un verbo che presuppone subordinazione. Il dizionario della lingua italiana Garzanti, edizione 1965, nella sua forma transitiva lo definisce, tra l’altro, essere al servizio di qualcuno, oppure nella sua forma intransitiva giovare, essere utile, essere strumenti di.
L’ideale del servire è presente nel Rotary fin dalla sua costituzione. Servire in che modo? A favore di chi? Il servire, nel Rotary è inteso come prestazione spontanea, libera, sia all’interno del club, che all’esterno, a favore della propria Comunità. Tutti i club sono attenti osservatori della realtà che li circonda. Direttamente o unitamente alle Istituzioni provvedono a realizzare possibili interventi in campo sociale: dall’aiuto ai bisognosi, all’istruzione ai meno abbienti, dagli interventi in campo culturale ed artistico alle conferenze sui problemi sociali e quant’altro necessario a migliorare il contesto socio-economico del territorio. Inoltre, per il tramite della struttura centrale, il Rotary International e la Fondazione Rotary, vengono effettuate importanti operazioni socio-sanitarie di respiro internazionale.
Nel 1908 viene coniato il primo motto: He profits most who serves best , guadagna di più chi serve meglio. L’epigramma, come ricorda P. Harris nelle sue memorie, fu opera di Arthur Frederick Sheldon, entrato a far parte del club di Chicago nel gennaio del 1908, quando il club contava già più di cento soci. Il motto fu oggetto di molte critiche in quanto sembrava troppo materialista ed anche fonte di perplessità circa quel che Sheldon intendeva dire. È certamente utile riportare il pensiero diretto di P.Harris:
... L’epigramma è stato oggetto di molte critiche in quanto sembrava troppo materialista ed anche fonte di perplessità circa quel che Sheldon avesse in mente: un guadagno pecuniario o spirituale? L’autore ritiene che Sheldon fosse soprattutto interessato a quel che potrebbe definirsi una ricompensa spirituale, ma il suo scopo era di recare il maggior bene possibile al maggior numero di persone possibile. Era consapevole del fatto che moltissimi erano attratti dai guadagni monetari e perciò la schiera di coloro che a questo miravano era la schiera che egli desidera raggiungere. Non tentò di eliminare l’elemento del profitto ma cercò piuttosto quel che secondo la sua opinione era più pratico, vale a dire, sublimarlo e regolamentarlo cosi che si risolvesse in un vantaggio per la società in generale, ed anche per se stessi, in quanto si rendeva un servizio…[22]

In seguito il motto fu convertito in quello attuale Service above self, servire oltre il proprio interesse. La prima operazione a favore della comunità fu fatta dal club di Chicago nel 1907. Ecco come la ricorda Paul Harris nelle sue memorie:
… Ancora prima della nascita del secondo club, essendomi reso conto dell’importanza del servizio alla comunità, persuasi i soci rotariani di Chicago a promuovere l’iniziativa di far installare in città delle toilettes pubbliche, invitando l’amministrazione cittadina e le organizzazioni civiche a partecipare in tal senso insieme al nostro club… [23]

Come scrisse, sempre nelle sue memorie, il fondatore del Rotary “ La cosa più importante consisteva nel fatto che quello fu il precursore di migliaia di servizi similari resi nel mondo dai rotariani”.
Il concetto di servizio, tanto accreditato nella società americana dei primi del novecento, e che costituisce lo scopo prevalente nella miriade di associazioni nate in tutti i campi, non ha, invece, riscontro nella società europea dello stesso periodo. Scrive Salvatore Casentino, docente di Scienza delle relazioni pubbliche, scrittore e giornalista, in un suo articolo sul concetto di servizio apparso su Realtà Nuova, periodico del Rotary italiano nel 1993:
… si può dire che la cultura europea di un vasto arco storico si sia smarrita nella strada degli ideali e degli ideologismi strutturati come religioni. La ricerca formale fece dimenticare la validità del fine e della sostanza…” […] per riaprire con occhio nuovo il discorso dei valori eterni dell’uomo, bisogna attendere il clima sociale venutosi a creare, al principio di questo secolo, negli Stati Uniti. Il miracolo fu compiuto dallo stato di necessità esistenziale di molteplici gruppi etnici, dall’incontro di diverse stratificazioni culturali che provenivano da tutto il pianeta, dalla convergenza di forze giovani e volitive, segnate dalla spregiudicatezza dettata dal bisogno di sopravvivenza. Insomma un nuovo popolo che aveva tagliato col proprio passato e che guardava con fiducia il futuro in una terra ricca di risorse. La visione realistica dell’uomo, con tutti i suoi limiti e con tutte le sue potenzialità, la sua valorizzazione per quello che è capace di dare, direi quasi con la ferrea legge dei talenti evangelici, finalmente trovano una logica e una collocazione storica. In Europa, analoghe scuole di pensiero erano rimaste a livello di intuizione, sia pure autorevoli, sino alla fine del dell’ottocento…[24]

Servire, quindi, l’interesse generale nell’ottica che, servendo gli altri l’uomo serve anche se stesso. È in questa prospettiva che può essere considerata essenziale la funzione del Rotary e dell’uomo rotariano.


2.2.4 Tolleranza e comprensione reciproca

Scrive Harris nel suo libro La mia strada verso il Rotary:
... L’amicizia è stata la roccia sulla quale è stato costruito il Rotary e la tolleranza è ciò che lo tiene unito! In ogni Rotary club ci sarebbe abbastanza energia atomica da farlo esplodere in mille pezzi se non fosse per lo spirito di tolleranza, quella stessa tolleranza che ha segnato la vita di mio nonno e da cui poi è scaturita la mia fede…[25]

I principi inculcatigli dai nonni, scrive P. Harris nelle sue memorie, “erano stati espressi in modo chiarissimo; non avrebbero potuto essere più chiari se sulla nuda parete di White Rocks fossero state incise a grandi lettere le parole: integrità, frugalità, tolleranza e altruismo.”
La tolleranza è fondamentale nel Rotary. Proprio per questo, sin dall’origine, sono state bandite dall’associazione la religione e la politica, entrambe causa, spesso, di intolleranze. Proprio la capacità di astenersi dal penalizzare, anche con un semplice giudizio di valore sfavorevole, opinioni e comportamenti diversi dai propri è uno dei principali requisiti di un buon rotariano.


2.2.5 Cooperazione e ricerca della pace mondiale

Agli obiettivi locali, costituiti da reciproco aiuto e supporto alle varie iniziative riguardanti la comunità del territorio (servizi pubblici, assistenza ai meno abbienti, istruzione etc.), che caratterizzarono i primi anni di vita dell’associazione, se ne aggiunsero ben presto altri più importanti, nazionali ed internazionali, conseguenti alla rapida crescita: nel 1930, a 25 anni dalla fondazione, il Rotary aveva già più di 150.000 soci, distribuiti in 3.349 club aperti in 62 Paesi di tutti i Continenti. Scrive Paul Harris:
... Se fra gli obiettivi del Rotary ve ne fosse uno che potesse apparire particolarmente retorico sarebbe quello secondo il quale . Eppure nonostante tutto uomini d’affari di successo, di buon senso e di gran senno, appartenenti a ottanta nazioni nutrono profonda fede in esso. Pedagogisti di molte nazioni diverse condividono lo stesso ottimismo…[26]

Continua P. Harris:

... Sono molti gli ostacoli che l’amicizia deve superare: differenza di idiomi, di religioni, di razze, di costumi, l’eterno provincialismo, l’intolleranza ed il complesso di superiorità. Per fortuna questi ostacoli non sono insormontabili; in un modo o nell’altro vengono gradatamente superati. Grazie all’esistenza di navi veloci, di aeroplani, del telegrafo, del telefono, della radio, gli estremi si toccano. Le scienze fisiche stanno svolgendo il loro ruolo. Quando le scienze sociali avranno compiuto maggiori progressi scompariranno molte avvisaglie di guerra e le energie delle nazioni si concentreranno verso indirizzi produttivi e culturali. Voglia Dio affrettare l’avvento di tale giorno! Il Rotary nel suo sforzo di promuovere la comprensione fra i popoli, fa ricorso agli stessi mezzi che ebbero successo agli inizi del movimento: i rapporti di amicizia…[27]

Rapporti amichevoli che si rafforzano, ogni anno, durante le varie manifestazioni ed incontri in tutte le parti del mondo. Ogni anno il Rotary riunisce per la convention, l’assise mondiale del movimento, rotariani di tutte le lingue, razze e religioni. Essi si incontrano, discutono, migliorano la loro amicizia. È un modo efficace, proprio attraverso l’amicizia, di rafforzare i legami e scongiurare l’odio e l’intolleranza. Il Rotary fa e può fare ancora molto per favorire la pace mondiale. Soprattutto attraverso, come si vedrà più avanti, un considerevole numero di scambi culturali, tra nazioni anche lontane, riservati a giovani studenti e giovani professionisti e con soggiorni e borse di studio a carico del Rotary, che consentono a tanti di maturare esperienze significative e alimentano la fratellanza e la pace mondiale.



2.2.6 Associazioni di servizio ed associazioni di volontariato: due realtà a confronto

Il Rotary nasce proprio con lo scopo di dare servizio. Anche oggi all’articolo IV dello statuto di ogni Rotary club si legge che lo scopo è quello di “diffondere l’ideale del servire, inteso come motore e propulsore di ogni attività”. L’invito ad operare nella società, improntando la propria attività a un’etica economica e professionale, era ai primi del Novecento da considerarsi assolutamente rivoluzionario. In quell’epoca, infatti, tutto era finalizzato a ottenere il massimo profitto e a raggiungere esclusivamente l’interesse personale. La Chicago patria del Rotary , non dimentichiamolo, era in quegli stessi anni la città violenta, aggressiva e criminale diventata famosa per le gesta di Al Capone. Operare eticamente in questo contesto non era facile: la filosofia rotariana ammetteva il profitto, certamente lecito, ma solo se ottenuto nel pieno rispetto dei diritti degli altri. Ecco perché il service verso gli altri era da considerarsi rivoluzionario; obbedire a questa regola significava raggiungere quel supplemento di intima felicità espresso nel motto He profits most who serves best, già richiamato in precedenza. Significava, soprattutto, arrivare al superamento del semplice vantaggio personale, bene individuale, per elevarlo e armonizzarlo con il bene comune.
Raffaele Pallotta d’Acquapendente, docente universitario, giornalista, già direttore delle riviste Rotary e Realtà Nuova ebbe occasione di scrivere (nel 2000) nel saggio Rotary e Università, per una società più giusta ed equilibrata:
… John Mac Murray era solito affermare che:<> Tra le idee di Mac Murray e quelle di Paul Harris non vi era nessuna differenza, avendo ambedue il bene comune come soggetto…[28]

L’educazione dell’individuo al superamento dell’egoismo individuale per incanalarlo in una dimensione sociale non è esclusiva prerogativa del Rotary o delle altre associazioni di servizio, nate sulla sua scia. Per l’uomo, credente o non credente donare tempo, affetto, ascolto, fiducia, denaro a coloro che fanno parte della sua famiglia o della sfera dei suoi affetti è una cosa normale, umana. Per donare agli estranei, invece, ha bisogno di superare le barriere dell’egoismo. Chi è cristiano conosce la parabola evangelica del Buon samaritano, altri sono cresciuti alla luce di insegnamenti diversi nella forma ma equivalenti nella sostanza. L’impegno sociale, negli ultimi anni è notevolmente cresciuto: il 2001 è stato decretato dall’ONU Anno Internazionale del volontariato, in considerazione della sempre maggiore importanza rivestita.
Come ho avuto modo di accennare all’inizio il Rotary non è un’associazione di volontariato ma un club di servizio. Ma allora quali le differenze tra il Rotary, associazione di servizio, e le associazioni cosi dette di volontariato? Si occupano entrambe di servire la comunità ma da posizioni, da angolazioni e motivazioni certamente diverse. Credo sia utile confrontarle per capire le diversità di un percorso che porta, comunque, al risultato finale del servizio.
In Italia l’attuale normativa sul volontariato è regolata dalla l. 266/91. È un punto di riferimento importante tra il variegato mondo del volontariato e le pubbliche amministrazioni. Dall’esame, anche sommario, degli articoli della legge, e dal confronto con i regolamenti del Rotary, si ravvisano importanti e sostanziali differenze. Innanzitutto le norme di ingresso: vincolate da una professione esercitata ai vertici della categoria e dalla cooptazione nel Rotary, libere e aperte a tutti nelle strutture del volontariato. Inoltre, le associazioni di volontariato sono regolamentate da norme di legge, con obbligo di formazione di bilanci, assoluta gratuità delle prestazioni dei soci, finalità espressamente indicate nello statuto. I club Rotary, invece, pur selettivi nell’ammissione dei soci, sono liberi di esercitare nella forma più opportuna le attività di servizio. La risultante è che il Rotary non è una associazione di volontariato. Il Rotary è un’associazione, nata dall’idea di un uomo libero, che ha scelto liberamente altri uomini liberi per portare avanti, insieme ed in amicizia, aiuto e sostegno sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione. Il Rotary per il suo organico non ha scelto la quantità ma la qualità: non uomini-qualunque ma uomini-leader. Fin dalla sua costituzione le norme di ingresso hanno previsto un rappresentante per ogni professione, ma soprattutto, in quella professione, il prescelto è la persona più rappresentativa, quella al vertice.
Il meccanismo di ingresso nella associazione per cooptazione riporta al principio della selezione delle élite. In un recente contributo sul tema delle élite e della classe politica, Paolo Turi (2006) evidenzia come il termine ‘élite’ sia presente in varie lingue, fra cui l’italiano, per significare una parte selezionata, scelta, la migliore. Un eccellente Dizionario della lingua italiana riporta la seguente definizione: «ristretto gruppo di persone che si distingue per superiorità culturale, posizione economica o sociale» (De Mauro, 1999).
Secondo una accezione più tipicamente sociologica, «In senso lato si dice élite un qualunque strato di individui, costituenti una frazione numericamente ristretta della popolazione totale di un sistema sociale, i quali posseggono in misura segnatamente più elevata del resto della popolazione una o più caratteristiche che questa valuta positivamente» (Gallino, [1978] 2004).
Una prima connotazione del termine élite è quindi relativa ad una superiorità dei suoi componenti comunque attribuita o basata. Ad essa si associano, quasi automaticamente, caratteristiche di distinzione e riconoscimento sociale. In questa prospettiva quindi l’élite non è solo una minoranza diversa dalla media per un particolare carattere, ma viene anche ad essere valutata positivamente a livello societario. Anziché in un’accezione neutra (sia positiva che negativa), il concetto di élite mantiene, in altri termini, il valore positivo che aveva originariamente nel linguaggio comune, e quindi è riferito (per lo più) ai casi in cui la superiorità e la posizione relativamente sovraordinata implica un riconoscimento di valore socialmente positivo.
Mi sembra questo il caso dell’Associazione del Rotary, anche se indubbiamente si possono riconoscere in essa molte delle caratteristiche di ceto che Weber attribuisce ai gruppi che si distinguono nella sfera sociale della cultura (Bagnasco, Barbagli, Cavalli Sociologia vol.I e II – Il Mulino 1997).
Scrive Harris:
… Spesso mi è stato chiesto perché i club rotariani limitino l’appartenenza ad un solo rappresentante di ogni mestiere o professione ed io ho risposto: perché il nostro esperimento ha dimostrato, nella pratica, che ciò contribuisce a formare una comunanza congeniale tra i vari appartenenti, non suscita gelosie professionali, incoraggia l’assistenza reciproca, stimola l’orgoglio per la propria occupazione e, infine, allarga la propria mente e la solidarietà nei confronti della realtà, dei successi e dei problemi di altre occupazioni. L’appartenenza al Rotary consente anche di godere dell’amicizia di uomini di ogni professione, allargando cosi i propri confini. Non bisogna sottovalutare il fatto che l’essere rotariano impone a ciascuno l’obbligo di farsi portavoce degli ideali e dei principi del Rotary all’interno della propria associazione professionale…[29]

Un’associazione nata, quindi, per condividere l’amicizia, la tolleranza, l’etica professionale ma con precise regole di appartenenza, rappresentanza, gradimento. Un’organizzazione, comunque, che tramite i propri servizi ed i propri soci può, da sola o di concerto con altre realtà volontaristiche e ONG (Organizzazioni Non Governative), svolgere operazioni di rilevante importanza per fini di solidarietà, di umanità e di fratellanza.
Il paragrafo precedente nella sua fredda esposizione, burocratica e amministrativa, non esaurisce i confronti fra i due differenti modi di prestare servizio nella società. Credo che oltre una differenza pratica, materiale, ve ne sia una altrettanto importante e decisiva: quella spirituale, derivante dal senso che ciascun uomo vuole dare alla propria vita.
Ci si interroga, spesso senza trovare risposte, sul perché è importante solo possedere, dominare, fare del potere quasi l’unico significato dell’umana esistenza. Qual è il motivo del ripudio, dell’abbandono dei grandi valori, come la condivisione del sacrificio quotidiano, dell’aiuto nei confronti degli sfortunati che hanno più bisogno, dei gesti spontanei di solidarietà? Certamente l’egoismo. Macigno, questo, non facile da rimuovere.
...Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederglielo[…]Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande…[30]. Per i cristiani questo precetto, tratto dal Vangelo di Luca (6, 30-35), è molto oneroso. Chiede di donare, addirittura ai nemici, a color che chiedono sempre qualcosa senza restituire niente. “ Il vostro premio sarà grande”, nel regno dei cieli, ma su questa terra il dare, il dono, è gratuito. Per tutti gli altri, credenti o non credenti, donare senza contropartita, senza un ritorno utilitaristico è incomprensibile. Nella attuale società questa logica mercantile, del calcolo razionale, rappresenta la ratio dell’ homo oeconomicus, che guida il suo comportamento in tutti gli ambiti, eccetto la sfera del privato, dove, invece, è condizionato dagli affetti. Ma al di là dei precetti di fede, a livello laico, aconfessionale, è così difficile agire al di fuori della logica dello scambio mercantile, della partita doppia, per entrare in una logica più ampia, quella del dono, in cui scegliamo di dare spontaneamente stringendo legami umani e sociali profondi? Questa logica del dono è possibile, come gli studiosi del MAUSS (Mouvement Anti-Utilitariste dans les Sciences Sociales) hanno ampiamente osservato e riscontrato. Il MAUSS è stato fondato in Francia agli inizi degli anni Ottanta da un gruppo di studiosi, tra cui Alain Caillé, G.Berthoud, J.T. Goudbout, A.Salsano, S.Latouche, e si ispira al pensiero del celebre antropologo e sociologo francese Marcel Mauss, allievo di Durkheim. Questo gruppo, riprendendo gli studi sull’universalità del dono, messa in evidenza con molta cautela da M.Mauss, afferma che il valore del dono, parte integrante del rituale delle società arcaiche, può valere anche per la società contemporanea. Oltre al mercato, che funziona in base al contratto, ed all’economia pubblica, che funziona con la redistribuzione, il dono si trova al centro di una terza rete di circolazione di beni e servizi, mai molto evidente, ma essenziale quanto le prime due: la rete della socialità. In questa terza rete i beni sono messi al servizio comune per creare o consolidare il legame sociale. In questa logica non è tanto importante il valore intrinseco del bene quanto quel che si potrebbe chiamare valore di legame [31].
Questa rete della socialità è studiata dal MAUSS all’interno della logica dei tre paradigmi, che Alain Caillé definisce “un modo condiviso da molti di interrogare la realtà sociale e di immaginare risposte significative sul piano positivo e normativo a tali domande”.[32] Più semplicemente un modo largamente condiviso di leggere la realtà sociale.
Il primo paradigma è quello denominato individualismo metodologico o paradigma utilitaristico, secondo il quale gli individui sono gli unici soggetti della società e l’azione individuale risponde a calcoli razionali e interessati dei singoli individui. L’immagine è quella dell’homo oeconomicus.
Il secondo paradigma è quello olistico, denominato anche culturalismo, funzionalismo, istituzionalismo. Al contrario del precedente cerca di spiegare le azioni degli individui in quanto influenzate dal contesto sociale. I fenomeni sociali sono, quindi, non calcoli razionali dei singoli, ma comandati, influenzati da una totalità sociale preesistente ed infinitamente più importante di loro. In questo secondo caso il dono è possibile solo in presenza di una regola di reciprocità preesistente e che la società deve far rispettare. Risultante: carattere obbligatorio del dono. Per i maussiani, però, i due paradigmi non esauriscono la casistica.
Esiste un terzo paradigma, quello del dono o della socialità, che non rinnega certo gli altri due, ma li ingloba. Questa terza via vede il legame provenire non solo dal basso, dal singolo individuo, o solo dall’alto, da una totalità sociale, ma da interrelazioni orizzontali. Interazionismo del dono, quindi, tra base e vertice che si produce e si riproduce, come una catena, una spirale, una sequenza non chiusa che può essere interrotta in qualsiasi momento. Il paradigma del dono si esplica, quindi, nelle tre articolazioni del donare, ricevere, ricambiare. Scrive Goudbout:
… Il dono può essere considerato un fenomeno sociale totale in quanto racchiude in se tutte le istituzioni della società (religiose, giuridiche, morali, familiari, politiche,ecc.) e in esso si esprimono le diverse forme di scambio che regolano la società (contratto, diritto, reciprocità), il carattere volontario e l’obbligo, l’interesse individuale e collettivo… [33]

Sostiene Latouche:

... Certo può essere una buona tattica quella di opporre al paradigma del mercato un paradigma del dono, ma può anche essere pericoloso. Questo scetticismo circa un modello programmatico alternativo e questa diffidenza nei confronti di un rischio d’imperialismo del dono si basano in definitiva sul timore di quattro pericoli:
1)pericolo di riprodurre l’universalismo dell’economia mercantile[…] 2) pericolo di fare un nuovo sistema[…] 3) pericolo di sfociare in un’altra economia […] 4) pericolo infine di ricadere nella visione modernistica/tecnocratica del cambiamento sociale […] La necessaria critica dell’ homo oeconomicus reclamata da molti non sbocca necessariamente in un homo donator che sarebbe sullo stesso piano…[34]

Ho voluto scomodare il MAUSS e la logica dei paradigmi, per meglio confrontare le diversità esistenti tra il Rotary e il mondo del volontariato e del no-profit. I due mondi sono vicini ma poco comunicanti. Pur condividendo un fine comune, quello del servizio, la logica del volontario è quella di un donare, anzi un donarsi, spogliandosi della sua intrinseca natura di homo oeconomicus, mentre la logica del rotariano è quella di far convivere la logica dell’ homo oeconomicus con quella dell’ homo donator. Del resto anche Latouche, nel passo sopra riportato, conferma il suo scetticismo asserendo che “la necessaria critica all’homo oeconomicus reclamata da molti non sbocca necessariamente in un homo donator che sarebbe sullo stesso piano…”.
Il comune obiettivo del “servizio” tra le diverse associazioni viene, comunque, raggiunto, anche se attraverso strade diverse. Nel capitolo dedicato alla Fondazione Rotary viene evidenziata, in maniera più chiara, la vocazione agli interventi umanitari del Rotary. Chiudo questo capitolo con una nota, del 1995, sulla solidarietà rotariana di Giampaolo Tagliaferri, primario chirurgo, autore di importanti pubblicazioni scientifiche, past- governor del Rotary:
... La solidarietà è per prima cosa liberazione del proprio egoismo; è volontariato e, come tale, non legata a religioni o a politiche. È l’unica forza che erompe naturalmente e che nel rapporto diretto riesce a penetrare la barriera dell’indifferenza. La solidarietà vuol dire anche una nuova visione del lavoro, svolto come impegno a costruire qualcosa di valido per tutta la comunità; vuol dire difesa della salute e in questo senso sono fulgidi esempi l’operazione PolioPlus e il progetto Vita per l’Albania. <> recita il versetto talmudico. Infine la solidarietà non è un accordo puramente spirituale, come l’amicizia, è un rapporto concreto, un aiuto gratuito, che si fonda sul rispetto degli uomini. Non è riservata all’amico; deve esprimersi nei confronti di tutti, non importa se sconosciuti o diversi. La solidarietà può arrivare alla donazione di se stessi... [35]

La solidarietà di cui parla Tagliaferri è messa in atto quotidianamente dal Rotary in tutte le parti del mondo. Come dettagliato negli altri capitoli il Rotary annovera tra i propri soci anche qualificati professionisti che dedicano parte del proprio tempo ad effettuare personalmente operazioni umanitarie. Sotto il nome di volontari del Rotary , si celano persone straordinarie, sono medici, ingegneri, insegnanti, tecnici agricoli, etc., animati da un particolare spirito di servizio, che si recano nelle zone più svantaggiate del Pianeta per curare la cecità, vaccinare bambini, realizzare pozzi o strade, e quant’altro possa portare sollievo a popolazioni che mancano di tutto. Il Rotary è anche questo.



CAPITOLO TERZO
La diffusione del Rotary nel mondo

3.1 Lo sbarco in Europa e l’internazionalizzazione del Rotary

La notizia della costituzione della nuova associazione chiamata Rotary si diffuse rapidamente. Alla fine del 1905 i soci del primo club di Chicago erano già trenta. Fu necessario, pertanto, organizzarsi meglio. Fu creato il primo Consiglio Direttivo, del quale Paul Harris non volle essere il presidente, nominato un segretario, dei consiglieri, ed anche un incaricato dell’ospitalità. Scrive Paul Harris:
… Durante i primi due anni del club di Chicago non assunsi alcun incarico, ma ero io che affidavo i diversi compiti e nell’amministrazione del club veniva, di solito, seguito il mio consiglio. Quando ritorno a tutto questo, oggi penso che forse sono sembrato, a volte, un po’ dittatore; e è cosi, credo che un tale atteggiamento fosse dovuto soltanto alla mia devozione verso la nostra causa. Il terzo anno fui eletto Presidente e le mie ambizioni furono, allora, innanzitutto, quelle di allargare il club di Chicago e, in secondo luogo, di estendere il movimento ad altre città. Come terzo obiettivo mi prefissi di intensificare il servizio presso la Comunità… [36]

Paul Harris capì da subito che l’associazione riscuoteva grande successo e che poteva funzionare ancora meglio. Pensò che se funzionava a Chicago poteva farlo anche in altre città. Con l’aumentare del numero dei soci, poi, si poteva anche mirare più in alto: orientare il servizio e l’attenzione verso la Comunità con interventi diretti o operando unitamente alle istituzioni. Per realizzare tutto questo era, però, necessario creare all’interno del club il clima giusto, un clima di forte coesione e di vera amicizia. Ecco i ricordi di Paul Harris:

… Per i membri del piccolo gruppo che si formò nella grande città di Chicago il Rotary era come un’oasi. I loro incontri erano diversi da quelli di altri club di quei giorni. Erano molto più intimi e amichevoli […]Per me partecipare ad un incontro del club era come ritornare nella mia valle… [37]

Il 1907 fu l’anno della prima azione di pubblico interesse fatta dal club, come già riportato dalle memorie di Paul Harris: fu effettuata una prima raccolta di fondi necessari per dotare di toilettes pubbliche i dintorni del palazzo municipale di Chicago. Nel 1908 nacque il secondo club, quello di S. Francisco, in California. Con la nascita di questo club venne introdotta la regola delle riunioni settimanali. Ormai la crescita del Rotary, in soci e club, era avviata. Nel 1910, con sedici club già operativi ed oltre millecinquecento soci, era parso necessario creare una struttura di raccordo per agevolare le azioni di servizio che i club svolgevano singolarmente. Per fare ciò bisognava creare, a monte, una struttura nuova. Nell’anno 1910-1911 ci fu, a Chicago il primo Congresso, dove i rappresentanti di tutti i club decisero di costituire la Associazione Nazionale dei Rotary Club; Paul Harris fu nominato presidente e Chelsey R. Perry ne fu il primo segretario. Questa prima assise codificò gli scopi del Rotary e stabilì che l’anno rotariano iniziava il primo luglio dell’anno e finiva il trenta giugno dell’anno successivo. Chelsey Perry, che mantenne l’incarico per trentadue anni, dal 1910 al 1942, fu una figura mitica del Rotary. Di lui Paul Harris disse: “ è il vero costruttore del Rotary”. Questo lungo periodo di gestione della segreteria, da parte di Chelsey Perry, eccezionale per una struttura come il Rotary, ha una giustificazione. Tutti gli incarichi nel Rotary, a livello internazionale, di distretto o di club, hanno durata annuale. Questa regola è stata creata per permettere l’avvicendamento ed il coinvolgimento di tutti i soci nella gestione del sodalizio. La norma, certamente lungimirante, consentiva e consente di avere sempre, alla guida ed alla gestione dell’associazione, persone sempre nuove e motivate. La regola, però, mal si adatta alla mansione di segretario, in quanto questo lavoro di segreteria richiede non improvvisazione e fantasia, ma cultura amministrativa e perfetta conoscenza delle regole e delle strutture rotariane. Ecco perché questo è l’unico incarico di lunga durata accettato e condiviso nel Rotary, l’eccezione che conferma la regola.
La notorietà dell’associazione cresceva con l’aumentare del numero dei club. La maggiore diffusione faceva aumentare le conoscenze e le amicizie tra i soci, e la novità dell’esistenza dei club Rotary scavalcò gli Stati Uniti. Nell’anno 1911-12 la nascita dei primi club all’estero: il primo in Canada, a Winnipeg e subito dopo altri due in Europa: in Inghilterra a Londra e in Irlanda a Dublino. Sempre nell’anno 1912, nel corso della seconda Convention o Congresso dell’associazione dei club Rotary, divenuta ora internazionale, tenutasi a Duluth, Minnesota, il nome venne modificato in Associazione Internazionale dei Rotary clubs, successivamente semplificato in Rotary International. La Convention fu anche occasione per adottare come simbolo una ruota che ricordava la ruota del carro dei pionieri, il Chuck-wagon, o Conestoga, dal nome di una tribù Iroquies, disegnata dal rotariano di Chicago Montagne M. Bear. Al simbolo della ruota presto si aggiunsero delle nuvolette, a indicare il movimento, il progresso. Questo simbolo, prima di arrivare alla forma attuale, (una ruota dentata a 24 denti, 6 raggi ed un foro al centro con chiavetta di incastro, che indica che fa parte di un ingranaggio), subì diverse modifiche. L’anno successivo nel 1913, per far conoscere a tutti i rotariani il lavoro dei club, nacque la prima rivista The National Rotarian, pubblicata dal tipografo rotariano Harry Ruggles, quinto socio del club di Chicago. La rivista, tutt’oggi esistente, adottò, poi, il nome definitivo di The Rotarian. Nel 1916 il rotariano Arch Klumph con la sua prima consistente donazione istituì il Fondo di Dotazione, destinato a fondo permanente per gli interventi assistenziali. Le successive donazioni, sempre più numerose e consistenti, convinsero gli amministratori a creare una gestione separata di questi fondi speciali che nel 1928 si concretizzò nella costituzione della Rotary Foundation. L’associazione continuava a crescere. Nel 1919 solo negli USA si contavano più di 500 club, altri 24 in Gran Bretagna ed Irlanda e 23 in Canada, con oltre 45.000 soci.
In Italia, come verrà ampiamente trattato più avanti, il primo club nacque a Milano nel 1923 e fu seguito, l’anno successivo, da quello di Trieste. Nel 1925 erano già tredici i club italiani e venne istituito il primo ed allora unico Distretto italiano con il n. 46.


3.2 La diffusione nel resto del mondo

Il Rotary si espandeva rapidamente, dappertutto. Il bisogno di stare insieme, in amicizia, coinvolgeva non solo uomini cresciuti nella cultura democratica americana o, comunque occidentale, ma contagiava anche uomini di altra cultura e pensiero. Nei primi venticinque anni di espansione si aprirono club in tutti i Continenti. Nel 1930, venticinque anni dopo la fondazione, il Rotary era ormai una consolidata struttura internazionale che contava oltre 153.000 soci e 3.349 club. Gli anni successivi furono certamente importanti ma meno determinanti.
L’associazione, al pari delle altre numerose sorte sulla sua scia, inizia in quegli anni ad essere osservata dagli studiosi dei movimenti sociali come un evento rilevante del periodo. Nel 1934 il club di Chicago commissiona alla omonima Università uno studio sull’associazione. I risultati dell’indagine furono controversi. Anche i giudizi. L’indagine mise in luce che all’interno dell’associazione forti erano gli interessi economici dei singoli soci e che il servire poteva essere solo una copertura. Scrive Giuseppe Viale su Il Rotary in Italia , pubblicato nel 2003:
… Questo quadro idilliaco non riflette compiutamente la realtà rotariana. Nei loro saggi riportati nel primo volume dell’opera “Il Rotary in Italia” Laffi e Rambaldi riportano uno studio commissionato nel 1934 dal club di Chicago alla omonima Università. L’indagine si proponeva di analizzare le circostanze che avevano portato alla costituzione del primo club e tendeva a definire il carattere del Rotary International e il ruolo assunto nel contesto economico e culturale mondiale. Dallo studio che i vertici rotariani favorirono in ogni modo, assicurando la più completa indipendenza agli autori, era emerso un quadro che poco si prestava ad una interpretazione arcadica. La componente di gran lunga prevalente era rappresentata da uomini di affari, per i quali il profitto rappresentava un valore preminente (friendship and profit). Lo stesso progressivo rafforzamento dell’ideale del servire rappresentava la reazione ai critici che imputavano ai rotariani la ricerca dell’allargamento del loro giro d’affari, accanto a quello della cerchia di amici. Si trattava, in buona sostanza, di un’associazione che esprimeva fondamentalmente ispirazioni ed operatività delle classi dirigenti…[38]

L’operato della commissione è riportato anche negli scritti di Paul Harris:

… Studiando le ragioni dell’interesse assai diffuso sul Rotary, una commissione di eminenti sociologi della facoltà dell’Università di Chicago ha di recente condotto un’indagine sul Rotary club di questa città. Le conclusioni sono state pubblicate sotto forma di opuscolo col titolo Rotary?, il quale dovrebbe essere letto da tutti gli studiosi del movimento, in particolare da coloro che desiderano avere maggiori lumi sul principio di rappresentanza esclusiva. Su questo punto particolarmente interessante i membri della commissione dicono, in sostanza, che dopo aver attentamente letto tutti gli scritti disponibili sul primo periodo ed anche quelli di data più recente, e dopo aver posto agli attuali soci del Rotary club di Chicago domande pertinenti in ordine ai motivi della loro adesione ecc., si sono convinti che gli antichi rotariani, cosi come quelli attuali, fossero indotti all’adesione dalla prospettiva del profitto personale, in un modo o nell’altro, e che tale profitto, di regola, veniva e viene realizzato attraverso l’incremento degli affari. I membri della commissione, tuttavia, sostengono che le loro conclusioni non implicano necessariamente che il criterio esclusivo di rappresentanza risponda a fini egoistici o che non si concili con il roboante slogan del Rotary “ il servizio al di sopra dei propri interessi…[39]

Harris non esclude che la molla del profitto sia presente nei soci rotariani, ma accredita anche, alla gran parte di essi, la superiore visione dell’interesse generale. Ecco come espone le sue considerazioni:
… Ė poco probabile che la prospettiva del profitto finanziario riacquisterà credito come motivo principale di adesione al Rotary. Senza dubbio, i rotariani preferiranno “attaccare il carro a una stella”, la stella dell’idealismo puro, anche se può accadere che pochi, seppur ve ne saranno, mireranno al concreto. Se il desiderio del profitto finanziario fosse ritenuto motivo essenziale per aderire al Rotary club, non sarebbe azzardato affermare che conseguirebbe una perdita di molti dei soci migliori…[40]

La verità, come sempre, non sta mai solo da una parte. Per una migliore visione riporto anche le ulteriori considerazioni fatte da Laffi e Rambaldi e riportate da Giuseppe Viale sempre in Il Rotary in Italia (2003):
… Laffi sottolinea inoltre il fatto che il Rotary, nato nel particolare contesto “politico, economico, culturale, religioso della società degli Stati Uniti all’inizio del ‘900”, si era rapidamente affermato in quel Paese “in quanto (aveva) trova(to) alimento in una tradizione associazionistica capillarmente diffusa….. e rispondeva a esigenze reali innanzitutto di ‘local businessmen’, il cui successo dipendeva da una rete di connessioni nella ‘business community’, ma anche di uomini appartenenti a ‘corporations’, se il loro lavoro richiedeva ‘direct dealing with local businessmen’. I clubs, che operavano in collegamento con le camere di commercio, potevano contribuire in misura rilevante a rafforzare le economie locali, coinvolgendo anche le ‘corporations’ presenti nel territorio, e svolgevano quindi un servizio nei riguardi della comunità nel suo complesso, attraverso un attivismo destinato a migliorare le condizioni di vita, a instaurare un clima di consenso e di armonia sociale e riaffermare l’influenza della ‘middle class’. Cosi si presentava il Rotary in America…negli anni in cui l’associazione faceva il suo ingresso in Italia… [41]

Nonostante i dubbi degli studiosi la struttura rotariana continuava a consolidarsi e, come un treno in corsa, proseguiva la sua strada. Oggi il Rotary, che ha già festeggiato il suo primo centenario, è presente in centosessantasei Paesi del mondo con oltre un milione e duecentomila soci.
Questo non significava, né significa, che l’espansione fosse esente da difficoltà. Fin dall’inizio ci sono stati ingressi nel Rotary durati pochi mesi ed altri che, invece, sono durati tutta la vita, a partire dai quattro soci fondatori, due dei quali abbandonarono per vari motivi il sodalizio. Ecco come Paul Harris ricorda le prime due defezioni:
… Furono d’accordo con me. Silvestre Schiele, il mio amico più caro a Chicago e uno dei giovani presenti al primo incontro, fu nominato primo presidente e rimase da allora membro del gruppo. Gustavo Loehr e Hiram Shorey erano gli altri due soci che però, poi, non continuarono…[42]

Per pochi che vanno via, però, altri entrano a farne parte con interesse. Sono persone già inserite nella professione, desiderose di conoscere altri delle loro stesse condizioni. Sono persone già mature, non giovani, perché il fatto di essere già affermati in una professione richiede tempi di formazione non brevi.
Nel primo secolo di vita l’associazione ha sempre avuto, di anno in anno, salvo rare eccezioni (come la crisi economica giapponese degli anni Settanta e la chiusura al Rotary di alcune nazione per guerre in atto), un buon trend di crescita. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati prima da una modesta diminuzione seguita, poi, da un lieve recupero. La situazione attuale è di stabilità.
I dati quantitativi sopra riportati sono essenziali per capire le vere motivazioni di siffatta espansione. Se questo lavoro avesse avuto una prevalente valenza storica avrei potuto continuare con altri importanti dettagli. Debbo lasciare, però, questo percorso per riprendere quello di analisi sulle motivazioni sociologiche.
Il Rotary non fu la prima associazione ad impegnarsi nel sociale. Come già detto in altra parte di questo studio De Tocqueville trovò, già esistenti ed operative, non poche associazioni benefiche: nella patria dell’associazionismo non potevano certamente mancare. Perché allora Paul Harris non cercò di utilizzare, anche migliorandole, le associazioni esistenti? Una motivazione fu senz’altro quella della selezione, della scelta. Aiutare un bisognoso, sfamarlo per un giorno, o procurargli un tetto per la notte era senz’altro meritevole di elogio. Cercare di capire, prima, e trovare soluzioni, poi, per migliorare in modo stabile le situazioni di disagio, era, invece, molto diverso. Il Rotary cercò di fare questo, utilizzando gli uomini migliori, scelti fra i vertici di ogni professione. Uomini leader che potessero coniugare capacità, etica professionale e apertura e disponibilità all’impegno sociale. Uomini capaci non solo di impegnarsi eticamente nella professione, ma di realizzare progetti di servizio a favore della comunità. Problemi come la mancanza di acqua potabile, di scuole, di piccoli ospedali, di strumenti diagnostici, mezzi di trasporto e mille altri sono stati risolti con l’intervento di club rotariani. Scrive Claudio Widmann, psicologo, analista junghiano, docente universitario e autore di numerose pubblicazioni, socio del Rotary di Padova, in un suo saggio su Realtà Nuova del 2004:
… Questo connubio tra eccellenza professionale e integrità morale costituisce uno dei punti di forza del Rotary, anticipando di quasi un secolo le riflessioni che oggi animano il dibattito sociologico (ad esempio sulle organizzazioni no profit). Merita anche ricordare che all’interno della Weltanschauung calvinista, T.Carlyle († 1881) aveva elaborato una dottrina dell’elite. Egli intende come autentica e più alta realizzazione umana quella espressa dagli individui d’eccezione, che emergono sugli altri in virtù della loro genialità. A differenza del contemporaneo Pareto, Carlyle non identifica l’elite con la classe dirigente, ma con l’eccezionalità della persona. Questa concezione affondava le proprie radici nella filosofia classica di Platone e di Aristotele: l’àristos ( il migliore, l’aristocrazia) era tale perché depositario e portatore dell’aretè, (il valore civile, la virtù personale). In America la concezione calvinista dell’elite evolverà nella ricerca e nella valorizzazione della leadership carismatica che tanta parte giocherà nell’organizzazione sociale, politica ed economica. A noi importa (“solo”) porre in evidenza che il Rotary accoglierà appieno, entro il proprio universo di valori, il concetto di leader, inteso come persona che emerge per le proprie caratteristiche personali e che sa esprimere le proprie potenzialità ( umane prima ancora che professionali) a livelli di eccellenza… [43]

Paul Harris anticipò, nel suo lungimirante disegno, anche i vantaggi, le potenzialità, la forza del gioco di squadra. Nelle moderne scuole per manager si insegna che il successo è un prodotto di gruppo non del singolo. Mettere insieme i migliori di ogni professione, era anticipare un modello nuovo di equipe, un team, dove le già grandi capacità del singolo trovavano un forte moltiplicatore nella forza del gruppo. Lo stare insieme in squadra, in amicizia, tolleranza, armonia, era già di per se appagante ma, soprattutto, migliorava e invitava a migliorare i rapporti umani, quella vita sociale positiva, nella logica opposta al concetto hobbesiano del bellum omnium contra omnes.


3.3. La filosofia rotariana: una religiosità laica

L’idea di Rotary nata negli Stati Uniti fu una logica conseguenza, una concreta risposta, allo stato di obsolescenza, di crisi, di una cultura vetero-capitalista che non seppe coniugare e conciliare l’espansione, la forte crescita industriale, con altrettanta crescita umana e sociale. Il Rotary cercò, mettendo insieme persone capaci, manager di provata esperienza e lungimiranza, di trovare soluzioni per il cambiamento, per il rinnovamento, attraverso un’etica comportamentale e di solidarietà.
Max Weber sosteneva che lo sviluppo del capitalismo (prendeva ad esempio gli Stati Uniti) era dipeso dal movimento protestante che aveva fornito valori e motivazioni. Scrive Alberoni in “Genesi” (1989):
… Con il protestantesimo la professione viene intesa come chiamata religiosa, opera meritoria al servizio di Dio. La dottrina delle predestinazione crea il desiderio di trovare nel successo economico e mondano il riscontro dell’elezione divina. Il protestante lavorerà indefessamente, cercherà di guadagnare, non spenderà, reinvestirà il denaro e creerà l’accumulazione. Questo è il prodotto dell’ascesi mondana protestante che è il superamento dell’ascesi ultramondana del cristiano medioevale… [44]

Ma il capitalismo, lontano dal rappresentare una civilizzazione culturale, portava con sé i germi della disgregazione, quella anarchia di cui parla Marx, o, se vogliamo, come scrive ancora Alberoni, la distruzione creatrice di Shumpeter:
… Il mercato mette continuamente in crisi le abitudini e i valori tradizionali, trascina i giovani fuori dai villaggi per farne immigrati proletari, sconvolge la solidarietà della famiglia estesa poi di quella nucleare, infine disgrega la coppia. Crea città in cui gli individui vivono senza nemmeno conoscersi. Utilitario, scettico, indifferente a qualsiasi valore, il ‘’ mercato ’’ distrugge cosi le fondamenta della solidarietà sociale, divora la società civile i cui cresce… [45]

Nella realtà, però, il mercato, questa componente non solidaristica, è generalmente controbilanciata da una seconda componente rappresentata dai movimenti che creano campi di solidarietà e di eguaglianza: ricostruiscono tradizioni, producono valori, simboli, rifondano istituzioni. Tra questi movimenti, ed in quest’ottica, va vista la nascita, la genesi del Rotary: nella ricerca di una rifondazione morale che passa attraverso la gestione di una solidarietà attiva, che si esercita su due direttrici: all’interno, attraverso la forza di coesione dell’amicizia tra i partecipanti, il comune sentire in termini morali; all’esterno, attraverso la creazione di azioni utili alla comunità, tese alla comprensione ed alla pace tra i popoli della terra. Se i principi della filosofia rotariana con i codici etici e comportamentali prima detti, sono stati recepiti, non solo nel nostro universo occidentale, ma anche in popoli e culture di grande diversità, sta a significare, a mio avviso, che quella del Rotary è una filosofia universale, una religiosità laica che è adottabile in tutto il mondo.
Come sarà esaminato nei capitoli successivi, questa concezione laica del Rotary, unita alla sua dichiarata aconfessionalità, costituiranno per il Rotary italiano un motivo di reale preoccupazione: il contrasto prima e la messa all’indice poi da parte della Chiesa di Roma, a cui, comunque, seguì la riconciliazione.



CAPITOLO QUARTO
L’organizzazione ed i programmi



4.1 La struttura centrale.

La gestione di un’associazione composta da oltre un milione duecentomila persone richiede una macchina complessa.
La sede centrale del Rotary Internazional (RI) è sempre stata nella regione di Chicago, Illinois. Dal 1954 gli uffici sono ubicati a Evanston, nelle vicinanze di Chicago, ma in conseguenza dell’aumentato numero dei soci e dei programmi, in modo particolare allo sviluppo della Rotary Foundation, la sua capienza fu considerata insufficiente e nel 1987 si aggiunse un nuovo immobile moderno, di 18 piani, nel centro di Evanston. Altre otto strutture amministrative, di supporto a quelle centrali, sono dislocate in diverse regioni del mondo: in Svizzera, Brasile, Giappone, Corea del Sud, Sud Asia, Sud America, Australia, Gran Bretagna.
Al vertice mondiale è collocato il Presidente Internazionale che presiede il Consiglio Centrale (Board of Directors), come prevede il manuale interno di procedura:
Consiglio Centrale. Il Consiglio Centrale del RI è composto da diciannove membri, che sono: Il presidente del RI, che funge anche da presidente del consiglio stesso, il presidente entrante e diciassette altri consiglieri nominati dai club delle zone indicate dal regolamento ed eletti dal congresso internazionale per un periodo di due anni. [46]

L’elezione del presidente internazionale avviene attraverso una procedura particolare. Nel mondo esistono sei regioni (corrispondenti ai sei sub-continenti) che comprendono trentaquattro zone composte da cinquecentoventinove distretti. I club delle trentaquattro zone eleggono i diciassette delegati, portatori dei voti del club. I delegati, in seduta comune, eleggono il presidente internazionale. Nella prima riunione di consiglio il presidente sceglie tra i consiglieri un vice presidente ed il tesoriere. I compiti del presidente sono quelli di rappresentare il Rotary nel mondo, presiedere il consiglio centrale e le riunioni internazionali. Il consiglio centrale, oltre i compiti di amministrazione dell’associazione, ha anche quelli di indirizzare l’azione da svolgere da parte di tutti i club, come evidenzia il richiamato manuale di procedura:
… Il consiglio centrale è tenuto a fare tutto ciò che è necessario per promuovere le finalità del RI, realizzare lo scopo del rotary, insegnare e diffondere i suoi principi fondamentali, preservare gli ideali, la sua etica, le caratteristiche peculiari della sua organizzazione e favorire la sua espansione in tutto il mondo…[47]

La responsabilità della direzione amministrativa è, invece, affidata al segretario generale, nominato dal consiglio centrale con durata variabile: può arrivare fino a cinque anni e può essere rieletto. I diciannove membri sopra indicati sono il governo del RI. La funzione legislativa dell’associazione è, invece, svolta dal Consiglio di Legislazione (Council of Legislation), formato da 529 delegati, uno per ogni distretto, e dura in carica tre anni. Compito del consiglio di legislazione è quello di tenere aggiornato lo Statuto ed i vari regolamenti normativi. Ogni club può presentare proposte di modifiche, che seguono un procedura stabilita che le porta all’esaminate dal consiglio di legislazione, che si riunisce ogni tre anni. Il distretto è formato da gruppi di club vicini ed è amministrato da un Governatore.

… Il Governatore è nominato dai club di un distretto ed eletto ufficialmente dal congresso del RI. Il suo mandato inizia il primo luglio e dura fino al 30 giugno successivo o fino a quando non sia stato eletto e insediato un successore…[48]

stabilisce il manuale di procedura. Il Rotary ha mutuato la sua struttura, compreso il termine governatore, dalla forma di democrazia presidenziale americana, retta sui principi della rappresentatività attraverso il presidente ed i governatori dei vari Stati.
Tutte le cariche sono elettive: la nomina è solo la formalizzazione del processo elettivo. I membri del consiglio centrale, del consiglio di legislazione ed i governatori sono tutti dirigenti del RI.



4.2 La struttura operativa: i club ed il distretto

I soci del RI non sono i rotariani ma i club a cui i rotariani appartengono. Il Rotary International è, infatti, l’associazione dei Rotary club. I rotariani sono, invece i soci di ogni singolo club. Ogni rotariano può appartenere ad un solo club, con l’unica eccezione dei soci onorari. Ogni club può nominarne, anche più di uno, con validità annuale. La nomina, che normalmente avviene per i particolari meriti della persona, è solo un attestato di stima, senza i privilegi e gli obblighi del socio effettivo. L’organizzazione del club è codificata da norme vincolanti. L’amministrazione è affidata ad un consiglio direttivo, formato dal presidente, uno o più vice presidenti, un tesoriere, un segretario, e dei consiglieri. Tutti sono eletti in una riunione plenaria a voto segreto. Le cariche sono annuali e rinnovabili.
Come nasce un nuovo club Rotary? La costituzione di un nuovo club è particolarmente delicata. È il governatore che, esaminati i dati della zona di futura competenza dell’istituendo club, nomina un suo rappresentante speciale che dirigerà le operazioni preparatorie. L’accertamento più importante è quello della verifica delle qualità dei futuri rotariani, in particolare la loro predisposizione al servizio e la loro capacità a formare un gruppo di lavoro. Il numero minimo per formare un nuovo club è di ventiquattro soci. I candidati selezionati, debbono svolgere, ognuno, una diversa professione; le professioni sono codificate in classifiche: il socio rappresenta una di queste. È consigliato che uno o più rotariani di un club vicino si trasferiscano nel club di nuova costituzione per facilitarne l’avvio. Nei primi tre anni un delegato del governatore (normalmente il suo assistente di zona) continuerà il lavoro di sostegno al nuovo club. I documenti costitutivi del club sono lo statuto, l’atto costitutivo ed il regolamento, che debbono essere rigidamente conformi ai modelli forniti dal RI, senza eccezioni o deroghe. È compito del governatore e dei presidenti delle commissioni distrettuali verificare il corretto avvio del nuovo club ed il successivo percorso. Tutte le successive ammissioni di nuovi soci debbono essere attentamente vagliate applicando la regola della cooptazione, delle classifiche e del gradimento dei soci già facenti parte del club, per evitare di incrinarne l’armonia. Scrive Paul Harris nelle sue memorie:
… Con l’aumentare del numero dei soci del club di Chicago, ci trovammo ad avere uno spaccato, per quanto possibile, della nostra città, dove ogni socio rappresentava una professione o un’attività diversa dalle altre; ognuno vedeva un privilegio l’essere stato scelto quale rappresentante del proprio mestiere e doveva assumersi la responsabilità di tale incarico. Lo scopo del Rotary non è quello di rappresentare la società dal punto di vista sociale, religioso o razziale, ma quello di riunire uomini d’affari e professionisti, di diverso stato sociale, di diversa religione e nazionalità, affinché possano meglio comprendersi a vicenda ed essere, cosi, più solidali, cordiali e al servizio gli uni degli altri… [49]

Tutti i soci, vecchi e nuovi, debbono partecipare alla vita del club. Sono stabilite quattro riunioni mensili, una alla settimana, necessarie per consolidare ed incrementare l’amicizia.
Il governatore, nell’amministrazione del territorio affidatogli, che normalmente contiene un numero di club inferiore alle cento unità, è supportato da un gruppo di lavoro formato da esperti rotariani provenienti dai club del suo distretto. La struttura è somigliante a quella centrale: un segretario distrettuale, un tesoriere, alcuni coadiutori (i club sono divisi in gruppi e seguiti, da un assistente del governatore per agevolarlo nella gestione dei club) e diversi responsabili e componenti delle commissioni distrettuali. Queste ultime svolgono compiti di indirizzo e supporto ai club per le azioni di servizio programmate. Il servire rotariano è diviso in quattro settori che vengono definiti le quattro vie d’azione: azione interna, azione professionale, azione di interesse pubblico e azione internazionale. Il governatore è anche coadiuvato dai precedenti governatori, i past governor che, riuniti in una struttura consultiva, denominata consiglio dei past governor, portano al nuovo governatore il loro contributo di esperienza.
In sintesi, facendo un breve riepilogo, la struttura portante del Rotary International è la seguente:


- il Consiglio Centrale, con a capo il presidente internazionale, i cui compiti sono quelli di dirigere e controllare il regolare funzionamento di tutta l’organizzazione e indirizzare e stabilire le linee d’azione;
-il Consiglio di Legislazione, il cui compito è, invece, quello di aggiornare la normativa ed i documenti costitutivi ed operativi del Rotary, lavorando come un vero e proprio parlamento;
- il Distretto, con a capo il governatore, ha, invece, il compito di gestire i club, supportando e indirizzando l’attività di ognuno di essi;
- il Club, con a capo il presidente, ultima cellula, ma non la meno importante, che opera concretamente nel territorio assegnato e dà vita a tutta la struttura.



4.3 Gli incontri internazionali.

I 529 distretti mondiali sono la vera forza operativa del RI. Gli organi centrali, presidente, board e consiglio, operano per garantire il regolare funzionamento di ogni distretto. Per incentivare e coltivare l’amicizia fra i rotariani di tutto il mondo, per aumentare la coesione e la possibilità di concrete azioni comuni di servizio, sono stabiliti diversi incontri annuali, con un calendario che prevede i seguenti incontri obbligatori:
- l’assemblea internazionale (la scuola dei governatori), che si tiene ogni anno nel mese di febbraio ad Anaheim, in California, a cui partecipano, per la formazione prima di entrare in carica, i governatori incoming di tutti i distretti con le loro consorti;
- la convention internazionale, aperta tutti i rotariani del mondo, che si svolge nei mesi di maggio o giugno di ogni anno, ed ha come obiettivo quello di “ stimolare, ispirare e informare tutti i rotariani su scala mondiale”. A questo incontro partecipano mediamente dai venti ai trentacinquemila rotariani di ogni parte del mondo. Oltre le riunioni citate, nel corso dell’anno, il RI organizza anche conferenze presidenziali, che mirano a promuovere gli obiettivi fissati dal presidente internazionale, istituti per i dirigenti, convocati dal consiglio centrale, che sono incontri di formazione e orientamento per meglio diffondere e far conoscere il Rotary, seminari di formazione per i governatori designati e seminari per la Rotary Foundation. Proprio quest’ultima è, oggi, la vera forza del Rotary, la struttura che, operando di concerto con le altre organizzazioni assistenziali mondiali, ha contribuito e contribuisce a dare agli interventi umanitari dell’associazione un respiro internazionale. Per meglio capire la sua funzione è utile seguire le tappe di questo percorso.


4.4 Le attività di servizio: ieri ed oggi

Quando Paul Harris concepì l’associazione che poi prese il nome di Rotary non pensava certamente alla attuale struttura. In effetti il piano iniziale, come dice lo stesso P. Harris, era “…un piano molto semplice di cooperazione reciproca e di amicizia informale, come quella che noi tutti avevamo vissuto nei nostri villaggi di origine”.[50] Nella recente pubblicazione (prima ed. 2003) Il Rotary in Italia, che avremo modo ancora di citare, uno degli autori, G. Viale, già governatore del Rotary del distretto 2030 e grande studioso della storia dell’associazione, scrive:
… La retorica dominante in tanti fervorini attribuisce intenti di operatività a livello planetario già al nucleo fondatore del club di Chicago. In realtà, il progetto originario si limitava a propositi di reciproca collaborazione e franca amicizia. Sfrondato di orpelli, si trattava in buona sostanza di un progetto di mutuo soccorso, non dissimile da altri che in quello stesso periodo sorgevano nel mondo anglosassone. Ė stato rilevato che il movimento rotariano nasceva negli anni nei quali John Dewey poneva le basi di quella scuola di sociologia che ebbe rapidamente vasta eco internazionale e che è ancora oggi conosciuta come Scuola di Chicago. Il neonato movimento affondava le sue radici nella base razionalista e pragmatica di un orientamento sociologico tendenzialmente portato ad una trasformazione della società nel segno di un personale impegno etico-operativo e impregnato di un intento spiccatamente pedagogico. Queste connotazioni sono tuttora presenti nella prassi formativa dei dirigenti rotariani a tutti i livelli… [51]

Il Rotary, quindi, parte con l’intento di riunirsi tra amici per uno scambio reciproco di aiuto e sostegno e con l’intento, ove possibile, di migliorare anche il contesto sociale. In Origine e uomini del Rotary, pagine scelte degli scritti di Paul Harris, tradotte da Lucio Artizzu, possiamo leggere:
… Le ambizioni personali avevano giocato la loro parte nell’adesione al Rotary. Insieme, sarebbero andati avanti, divisi non ce l’avrebbero fatta. Così si aiutarono reciprocamente in tutti quei modi che un cuore generoso e lo spirito di amicizia potevano suggerire. In linea di massima,le loro azioni erano mirate ad aiutarsi l’un l’altro nelle loro attività: ad aiutarsi a raggiungere il successo. Si sostenevano reciprocamente ogni qualvolta era possibile, mettevano a disposizione le loro utili conoscenze, e, quando occorreva, davano saggi consigli. Il fatto che non ci fossero due soci che esercitassero la stessa professione rendeva possibile l’aiuto reciproco. Si è spesso affermato che il Rotary del periodo iniziale perseguisse fini egoistici e invero si potrebbe pensare che cosi fosse. Per la verità, molti soci del club di Chicago del 1905 sono stati dei veri altruisti e, comunque, il fatto che qualcuno possa essere stato egoista o altruista dipendeva, ovviamente, dalla sua inclinazione . […]Ovviamente queste due mentalità non furono estranee nei primi tempi del club numero uno, e cosi gli altri…[52]

Il miglior ingrediente del Rotary non fu la sua formula iniziale, originariamente concepita più in chiave individuale ed egoistica, che in apertura verso l’esterno, verso l’altruismo ed il sociale, ma la capacità e la forza degli ideali degli uomini migliori che entrarono a farne parte, e che trasformarono ed elevarono i suoi scopi. Questa evoluzione era stata già percepita da P. Harris:

… Io, l’ideatore del Rotary club, fui il primo ad essere consapevole, più di ogni altro, di alcuni difetti, tuttavia fui lieto di vedere che l’utilità del club si estendeva al di la del gruppo dei soci e sognai che club analoghi potessero sorgere in altre città. Alcuni rotariani, ed anche altri non rotariani, pensano che il Rotary si sia diffuso, di città in città e di nazione in nazione, spontaneamente e che si sia sviluppato senza sforzi di qualcuno. No, il Rotary non è cresciuto in virtù della sua formula; la sua influenza è diventata mondiale grazie agli sforzi incessanti condotti in tal senso…[53]

Saranno personaggi come Homer Wood, avvocato, fondatore del secondo club, quello di San Francisco, a dare spessore alla struttura del Rotary. Wood portò all’interno del Rotary altre importanti figure professionali, oltre a commercianti e liberi professionisti . Sempre in Il Rotary in Italia, ediz.2003, scrive Giuseppe Viale:
… Con Wood i club fanno un primo e significativo salto di qualità. Non erano più, o non soltanto, professionisti e commercianti della media borghesia a comporre i ranghi rotariani. Già fra i soci fondatori del club di San Francisco figuravano Charles M. Schwab, il più importante esponente dell’industria siderurgica dell’epoca, M.H. De Young, magnate della stampa, John Britten, vice presidente della maggiore compagnia americana del gas e dell’elettricità ed altri personaggi di spicco del mondo economico e finanziario. Analogamente, i successivi tre club furono caratterizzati dalla robusta presenza di “business leaders”...[54]

Si delinea, sin dai primi anni quindi, una tendenza che si discosta sostanzialmente dall’impostazione originaria, volta al superamento della solitudine e al reciproco aiuto di individui isolati in una grande metropoli. L’allargamento della compagine sociale, l’inserimento di uomini della grande finanza e degli affari di caratura internazionale, amplia notevolmente gli orizzonti, pur senza tradire lo spirito originario: quello della reciproca collaborazione e franca amicizia. Nel mondo degli affari la possibilità di contattare e di essere contattati, in tutto il mondo, da una rete di business leaders è stimolante e coinvolgente. Una immensa rete di persone di qualità, che unite dall’etica economica e sociale possono conciliare l’interesse individuale con quello sociale.
Se ad un rotariano venisse rivolta la domanda: Il Rotary, che si definisce associazione di servizio, cosa fa realmente, che tipo di servizio svolge? Sarebbe difficile rispondere. Sarebbe più semplice dire cosa non fa. Ogni club nella sua città, nel suo territorio, è l’attento osservatore dei suoi bisogni, delle sue necessità. In relazione al numero dei soci ed ai mezzi posseduti, raccordandosi con le istituzioni predispone le sua azioni di intervento; provvede a realizzare interventi sociali in tutti i campi, dall’istruzione, all’aiuto e indirizzo ai giovani, dall’assistenza ai sofferenti all’aiuto materiale ai bisognosi, dagli interventi in campo culturale e artistico, alle conferenze sui problemi sociali, nulla escluso. Inoltre, attraverso il Rotary International e, soprattutto il suo braccio operativo la Fondazione Rotary, finanzia importanti operazioni di respiro internazionale in campo socio-sanitario ed assistenziale. Proprio la costituzione della Rotary Foundation darà all’associazione spessore internazionale. Ecco la storia.


4.5 La Fondazione Rotary (RF)

Nel 1917 il presidente del Rotary, Arch Klumph, annunciò ai delegati convenuti al congresso di Atlanta che “sarebbe stato opportuno accettare delle donazioni allo scopo di utilizzarle per fare del bene nel mondo”. La reazione del congresso fu tiepida. Erano gli anni che l’associazione non aveva ancora maturato la vocazione internazionale e i progetti di servizio erano limitati al piccolo mondo che gravitava intorno al club. Nel 1918, un anno dopo, i “fondi di dotazione del Rotary”, come allora venivano denominati ricevettero un primo contributo di 26,50 dollari dal club di Kansas City! Un inizio poco lusinghiero, rimasto tale anche per alcuni anni successivi, se si considera che sei anni più tardi la dotazione non superava i settecento dollari. Dieci anni dopo. nel 1928, la Fondazione Rotary fu ufficialmente costituita, durante il congresso di Minneapolis. Nei quattro anni seguenti furono raccolti più di 50.000 dollari e, nel 1937, fu annunciato l’obiettivo di raccogliere due milioni di dollari. Questo venne, però, vanificato dagli avvenimenti bellici successivi che sconvolsero il mondo. Solo nel 1947, alla morte di Paul Harris, cominciarono ad affluire importanti donazioni in memoria del fondatore del Rotary. Oggi la fondazione raccoglie annualmente contributi per circa sessantacinque milioni di dollari con i quali realizza programmi educativi ed umanitari a carattere internazionale. I programmi sostenuti dal RI attraverso la Rotary Foundation sono:
- Polioplus, programma in corso da diversi anni, con l’obiettivo finale di eradicare la polio dal mondo intero. Lo sforzo si è praticamente concluso (mancano solo le certificazioni degli ultimi tre Paesi) alla fine del 2005, anno del primo centenario. Questo progetto, al quale hanno partecipato centinaia di migliaia di persone, tra cui molti rotariani, che hanno apportato non solo finanziamenti ma anche prestando materialmente la loro opera professionale, è stato riconosciuto come prioritario dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità fin dal 1988. Il Rotary non ha affrontato da solo questa lotta: ma ha lavorato in associazione con i governi nazionali, l’OMS, l’UNICEF e altre istituzioni, in un contesto di collaborazione fra settore pubblico e privato di eccezionale rilievo;
- Sovvenzioni 3-H, programma nato nel 1978 che ha varato la grande attività di servizio umanitario denominato “Health, Hunger and Humanity” (salute, fame e umanità). Con questo programma sono stati avviati oltre ottantacinque progetti 3-H diversi, con un costo globale di oltre 45 milioni di dollari in ottantacinque Paesi, migliorando condizioni sanitarie, combattendo la fame e sviluppando condizioni migliori di vita. Il primo progetto 3-H fu quello di immunizzare 6 milioni di bambini filippini dalla poliomielite;
- Borse di studio , programma che qualifica la RF come il più importante distributore privato di borse di studio al mondo. Oltre trentamila giovani di 125 Paesi ne hanno usufruito;
- Scambio gruppi di studio o GSE ( Group Study Exchange), consente ai distretti sparsi nel mondo di scambiarsi ,inviare e ricevere, un gruppo di giovani, imprenditori o professionisti, che trascorrono un periodo di scambio culturale nell’altro Paese, visitando fabbriche, aziende, scuole ospedali,etc. Oltre trentacinquemila giovani ne hanno usufruito. Senza dubbio questa è una delle iniziative più piacevoli, pratiche e costruttive per promuovere i buoni rapporti internazionali;
- Sovvenzioni paritarie, o “ matching grants”, sono progetti di servizio tra la Fondazione e due distretti Rotary. Progetti come trivellare pozzi, costruire piccoli ospedali, sviluppare programmi scolastici in Paesi bisognosi possono essere risolti con uno sforzo a tre. Un progetto, ad esempio di centomila dollari, studiato da un distretto, può essere affrontato, con l’aiuto di un altro distretto e l’intervento della Rotary Foundation, suddividendo la spesa totale: cinquantamila mila dollari, messi a disposizione dai due distretti, quello proponente e quello che lo avalla, gli altri cinquantamila dollari, messi a disposizione dalla RF.
Altri importanti programmi sono le Sovvenzioni Carl Miller, inerenti la ricerca (discovery grants) , il programma di aiuti in caso di calamità, che interviene con aiuti per alleviare il disagio di popolazioni colpite da calamità naturali, il programma del Rotary per la pace, programma educativo incentrato sulle cause dei conflitti fra Nazioni e sul possibile sostegno alla rimozione delle loro cause, il programma di lotta contro l’analfabetismo nel mondo, piaga considerata un grande ostacolo per l’intesa mondiale, ed il progetto in favore degli anziani, per un maggiore e migliore loro inserimento nella società.
La costituzione all’interno del Rotary della Fondazione credo possa essere considerata una pietra miliare del proprio cammino; una svolta che ha dato spessore agli ideali iniziali, prima più modesti. Potrei, adattando una felicissima affermazione di Mario Morcellini (già citato), anche se riferita ai recenti grandi passi avvenuti all’interno della Pubblica Amministrazione nel campo della comunicazione, sostenere che la creazione della fondazione, all’interno del Rotary, fu una grande “ rivoluzione culturale e copernicana.” [55]


4.6 Le altre attività internazionali

La mission rotariana, anche dopo la costituzione della Fondazione, continua a cercare altri importanti traguardi. La necessità di diffondere il valore del suo messaggio all’interno del mondo giovanile fa maturare l’idea di costituire club specifici per giovani. Nascono cosi i club Interact (1962-63) per i giovani tra i 14 e i 18 anni e quelli Rotaract (1968-69) per i giovani dai 18 ai 30 anni. Questi club insegnano ai giovani non solo a crescere nei principi della filosofia rotariana, ma anche a sviluppare quelle doti di leadership e di servizio che li aiuteranno nella vita, e magari, una volta raggiunta una posizione sociale adeguata, a diventare buoni rotariani.
L’altra innovazione è del 1988, non spontanea ma subita. L’intervento della Corte Suprema degli Stati Uniti, in un giudizio avviato da una donna che si sente discriminata per il mancato accoglimento nel Rotary, fa cadere la discriminazione prima esistente che limitava l’ingresso ai soli uomini. Il Board accetta l’ingresso delle donne, a più di cinquant’anni dalla fondazione dell’associazione. Oggi le donne sono una componente importante dell’associazione, inserite a pieno titolo in tutte le posizioni, anche ai vertici: come presidenti di club, governatrici e, di recente, anche come dirigenti internazionali. Pur essendo la loro presenza ancora minoritaria, saranno, nel futuro, una carta importante per raggiungere nuovi e più impegnativi traguardi.
Prima di chiudere questo capitolo, che ha lo scopo di illustrare la struttura dell’associazione, è necessario, per meglio capire, fare alcune importanti considerazioni. Se è pur vero che lo scopo iniziale di mutuo soccorso in amicizia si è poi allargato e migliorato nel servizio alla Comunità, come ha potuto un’associazione, apparentemente simile a molte altre di matrice soprattutto anglosassone, svilupparsi oltre ogni più rosea previsione iniziale? Come ha fatto a valicare, in tempi brevissimi, i confini della cultura anglofona e trovare favorevole accoglienza in popoli e culture tanto differenti? Ecco le risposte che ho trovato. A soddisfarla contribuisce, in parte, lo stesso Paul Harris, che riportiamo, in due citazioni; la prima che conferma gli sforzi degli uomini migliori:
… Alcuni rotariani, ed anche altri non rotariani, pensano che il Rotary si sia diffuso, di città in città e di nazione in nazione, spontaneamente e che si sia sviluppato senza sforzi da parte di qualcuno. No, il Rotary non è cresciuto in virtù della sua formula; la sua influenza è diventata mondiale grazie agli sforzi incessanti condotti in tal senso.[…] Vi furono degli scettici e non c’è stato altro modo di convincerli se non realizzando concretamente quanto costituiva l’oggetto dei loro dubbi. Fu cosi che riuscii a convincere anche i più scettici del fatto che era possibile costituire club in altre città. Fu per me deludente che la maggior parte dei rotariani di Chicago si fossero rifiutati di partecipare al sogno del “Rotary intorno al mondo”. Nulla è più sconcertante dello sguardo assente di amici che non riescono a comprendere le tue speranze… [56]

La seconda, quando da all’amicizia il valore di comprensione e tolleranza:
… Il programma del Rotary per quanto riguarda la promozione di una migliore comprensione fra gruppi razziali e fra seguaci di fedi religiose diverse, tanto semplicemente e tuttavia cosi felicemente avviato nel 1905, ha avuto più successo di quanto avrebbero potuto ottenere le negoziazioni fra diplomatici. […] Tutte le razze della terra ci hanno dimostrato di avere un proprio codice di vita, anche se molte delle regole in esse contenute differiscono sostanzialmente dalle nostre; se si valutano gli altri Paesi con il proprio metro naturalmente si trovano dei difetti; troppi sono portati a credere che la loro cultura sia la norma e qualsiasi altra civiltà che si discosti da questa sia sbagliata Il complesso di superiorità è un grande fattore di destabilizzazione della pace e, sfortunatamente, questo è comune a tutte le nazioni. Durante i nostri viaggi, noi cerchiamo di interessarci soprattutto a ciò che è considerato importante nel Paese che ci ospita e di non fare alcun confronto tra il loro ed il nostro modo di fare..[…] il Rotary è nato dallo spirito di tolleranza, dalla buona volontà e dall’ideale del servire, tutte caratteristiche della gente del New England dei giorni della mia fanciullezza ed io ho cercato, per quanto fosse nelle mie possibilità, di trasmettere questa fede ad altri uomini… [57]

Il solo modo possibile per mantenere unito un gruppo, composto di uomini di razza diversa e di diverse fedi religiose, è quello della tolleranza. La tolleranza, il rispetto verso gli altri e il lievito che ha fatto crescere e sviluppare l’associazione. Come dice lo stesso Harris, “non trova spazio il proselitismo: avrebbe fatto naufragare il movimento sul nascere”.
L’universalità della filosofia rotariana, la sua matrice culturale,la sua vocazione internazionale sono chiaramente ribadite anche da C. Widmann (già citato):
… Ma io vorrei sottolineare, qui, la matrice culturale, che fu contestuale alla nascita del Rotary e che fu espressa al meglio da W. James, quando scrisse che l’universo progressista è concepito come una molteplicità, un pluralismo di forze indipendenti e cooperanti, più simile- per usare una metafora socio-politica – a una repubblica federale che a un regno. Più multiverso che universo. Il Rotary International e la Rotary Foundation sono intrisi del respiro internazionale e planetario di questa concezione… [58]

Filosofia universale, quindi, quella del Rotary. I cardini del suo pensiero e della sua azione, basati sull’amicizia, l’etica professionale, il servizio alla comunità, la tolleranza e la comprensione, la cooperazione e la ricerca della pace mondiale sono patrimonio di tutti i popoli e di tutte le culture, ad oriente come ad occidente. Gli unici valori aggreganti, che uniscono e non dividono.




CAPITOLO QUINTO
Breve storia del Rotary italiano


Il Rotary arriva in Italia negli anni Venti.
All’inizio del secolo, finita la prima guerra mondiale, l’Italia attraversa una fase storica particolare, in cui il fascismo inizia la sua affermazione e gli Stati Uniti compaiono sugli scenari europei come grande potenza. Il Rotary arriva in Europa negli anni 1911-12, in Inghilterra e Irlanda, con l’apertura dei club di Londra e Dublino. Dopo un breve rallentamento, dovuto alla guerra in atto in Europa, riprende, però, la corsa internazionale non più limitata ai paesi anglofoni. In Europa si aprono club a Madrid nel 1920, a Parigi nel 1921, ad Oslo e Amsterdam nel 1922 e nel 1923 approda anche a Milano.
Inizia cosi l’avventura italiana, che, sotto molti aspetti, sarà molto diversa da quella delle altre parti del mondo. L’Italia era già da qualche anno nel mirino del Rotary. Fin dal 1918-19, a Genova, ci furono i primi contatti ma non ebbero sviluppi successivi. Gli americani erano ancora piuttosto diffidenti verso un paese non stabile dal punto di vista politico ed economico. I contatti, poi, ripresero, soprattutto ad opera di rotariani inglesi e irlandesi che gravitavano in Lombardia, in particolare a Milano. Scrive Elena Rambaldi nel suo saggio Storia del Rotary tra le due guerre, primo volume de “ Il Rotary in Italia”, edito dal RI –distr. 2030 anno 2003:
… Secondo le fonti dell’epoca e i resoconti che di esse hanno fornito, in particolare Armando Frumento, Ernesto Cianci ed Amelia Belloni Sonzogni, i primi contatti fra l’organizzazione rotariana e i futuri soci del club di Milano, avvennero nel 1921, grazie a John Redemond, socio del club di Dublino e cugino di Leo Giulio Culleton, il quale sarebbe diventato un dei principali artefici del club lombardo, nonché primo segretario generale (provvisorio) dell’associazione in Italia. […] Il nucleo promotore di questo club a differenza di altre realtà come ad esempio quella di Napoli, era di provenienza perlopiù britannica: oltre ai già citati nomi di Redemond e Culleton (entrambi di origine irlandese) si devono infatti segnalare fra i pionieri dell’associazione a Milano e in Italia anche quelli di Reginald Prince Mountney (corrispondente finanziario del “Menchester Guardian” e James Henderson, industriale tessile “scozzese e ambrosiano”. Ad essi presto si unirono alcuni fra i più rappresentativi industriali milanesi… [59].


5.1 Il primo club del Rotary in Italia.

Il fatto che il Rotary italiano sia nato a Milano non è casuale. Lo spirito di associazione in Lombardia, nei primi anni del novecento, era maggiore che nel resto dell’Italia e maggiori erano i contatti con l’estero, soprattutto verso l’Inghilterra. Scrive ancora Elena Rambaldi nel saggio sopra citato:
… in quegli anni infatti che si formarono a Milano i primi “club all’inglese per soli uomini” come la Società dell’unione e la Società del commercio; e sempre in quegli anni vennero fondate anche le cosiddette “società di programma”, come la Società di incoraggiamento d’arti e mestieri, “nelle cui liste predominavano commercianti, medici, ingegneri, in graduale crescita accanto ai possidenti ed agli aristocratici nella composizione di una elite associativa che cominciò a riconoscersi in valori comuni, desiderosa di sentirsi moderna anche attraverso il circuito della sociabilità”. Sarebbe stata proprio questa “aspirazione alla modernità” a fornire il giusto “collante”, grazie al quale nuove e vecchie elite avrebbero ricevuto gli impulsi per un’aggregazione[…] Per le nuove elite in formazione le occasioni per avvicinarsi alla nobiltà cittadina si presentavano, ad esempio, all’interno delle associazioni economiche o grazie a contatti sempre più frequenti che avvenivano nei consigli di amministrazione delle banche, dei giornali, delle nuove imprese industriali; contemporaneamente si faceva largo una tendenza, sempre più accentuata da parte di vasti settori della ricca borghesia milanese, ad assumere modi comportamentali prestigiosi e del tutto simili a quelli normalmente considerati appannaggio della condotta nobiliare…[60]

In questo contesto si sviluppa il primo Rotary italiano, caratterizzato, rispetto alle altre realtà internazionali, soprattutto americane, da una marca visibilmente elitaria. Fin dalle origini gli annuari del Rotary pubblicano, oltre all’elenco dei soci e dei club di appartenenza, anche la loro distribuzione in categorie professionali, dove risulta che nell’associazione sono presenti i “poteri forti” del Paese, rappresentati dalla dirigenza pubblica e di partito, dalla dirigenza industriale, del credito e della finanza e, infine, della proprietà terriera. Le nobili aspirazioni di Paul Harris, pur pienamente rispettate, risultano proiettate in un’ottica molto più aristocratica di ciò che avveniva in America, dove i grandi uomini d’affari e di cultura stavano fianco a fianco, nello stesso club, con i rappresentanti di professioni più modeste, come tipografi o artigiani.

5.2 Il Rotary si diffonde in Italia: nasce il primo distretto italiano

Anche in Italia il Rotary si diffonde. Dopo il club di Milano, già nell’anno successivo (1924) vengono fondati altri sei club: Trieste, Genova, Torino, Roma, Napoli, Palermo e Venezia. Nel 1925 si aggiunsero altri cinque club: Firenze, Livorno, Bergamo, Parma e Cuneo. Fatto inusuale per allora, l’Italia con i suoi tredici club, sempre nel 1925, ottenne rapidamente dal RI, primo Paese dell’Europa continentale, la concessione a costituirsi in un autonomo Distretto: il quarantaseiesimo distretto del RI.
Forse fu proprio la particolare situazione del Rotary italiano ad accelerare la costituzione di un distretto autonomo. Difatti le perplessità americane non mancavano, in quanto non vedevano positivamente i vezzi e le particolarità dello sviluppo dell’associazione in Italia. In tutti i club italiani si attuava la politica della cooptazione solo dei grandi nomi: la selezione dei candidati per entrare nel Rotary non avveniva per capacità, per merito, ma soprattutto per nascita e censo. Entrare nel Rotary non era solo un modo di allargare le amicizie, ma un vero e proprio riconoscimento di essere fra i maggiori esponenti della società. Questa particolare interpretazione del Rotary in Italia non fu mai avversata con forza dalla struttura centrale americana. La recente pubblicazione Breve Storia del Rotary Italiano (ediz .2003), a cura di Achille Scalercio, già presidente del club di Velletri, riporta gli studi più importanti fatti sul Rotary in Italia. Contiene i punti più salienti degli scritti di Ernesto Cianci, già governatore del distretto (allora 208 ed oggi 2080), dal titolo Il Rotary nella società italiana, di Omero Ranelletti, uno dei più grandi protagonisti del Rotary italiano, più volte governatore di distretto, Il Rotary e la Chiesa cattolica, e di Giuseppe Condò, già presidente del club di Soverato, dirigente medico ospedaliero e autore di numerose pubblicazioni scientifiche, Il Rotary e la Chiesa cattolica.
Dagli scritti di Cianci riportiamo:
… Nel 1928 quando il presidente internazionale viene in visita al club di Milano ha l’impressione di “trovarsi non tra fratelli e che la barca del R. in Italia è tirata verso un’altra direzione”.
Lo stesso Paul Harris, sollecitato a prendere una posizione sul problema del Rotary italiano, manda a dire che “se anche per gli scopi che persegue non può aprirsi alla mediocrità, il R. non deve essere un’associazione di nobili ed aristocratici per censo; l’aristocrazia deve essere intesa come uno stato sociale derivante dai risultati che uno ha ottenuto con la propria intelligenza ed il proprio impegno; è un aristocratico il più bravo tra i medici come il più bravo tra i falegnami; ciò non significa che le porte del R. devono aprirsi con facilità, ma vuol dire che devono aprirsi a quegli uomini che nella società diventano un punto di riferimento, quale che sia la loro attività ed il loro livello sociale… [61]

Malgrado queste critiche d’oltre Oceano, il Rotary italiano resta elitario ed aristocratico.
Questa diversa interpretazione italiana del Rotary, se da un lato costituiva per la nuova nobiltà che entrava a farne parte la conquista di uno status sociale agognato, dall’altro prestava il fianco alle accuse, pur infondate, di criptomassoneria, di asservimento al fascismo e di anticlericalismo. Proprio i rapporti con il fascismo e quelli con la Chiesa Cattolica ho considerato particolarmente importanti e degni di esame dettagliato.


5.3 Il Rotary ed il Fascismo: un rapporto tormentato.

Nei primi anni, dal 1925 al 1937, i rapporti del Rotary con il fascismo sono certamente in linea con i dettami del regime. Nessuna preclusione neanche da parte di Mussolini, i cui rapporti con gli Stati Uniti, in quegli anni, erano ottimi. Ciononostante tra il Rotary ed il regime ci furono sempre luci ed ombre. Sempre nel volume Rotary in Italia del 2003 Giuseppe Viale riporta:
… Nella sua monografia, pubblicata nel secondo volume dell’opera “Il Rotary in Italia” e dedicata all’”impossibile dialogo” tentato dal Rotary italiano con il fascismo, Romain Rainero sottolinea la “certa ed evidente coincidenza di interessi tra gli industriali e le autorità fasciste…almeno nel primo periodo del governo Mussolini”. ...[62]

Il fascismo non era, certo, condiviso da tutti. Nonostante la retorica sui concetti di patria e di italianità, era già evidente l’avvio di una politica imperialista, razzista e isolazionista, in linea con altre dittature europee come la Germania. La vocazione di apertura e di internazionalità del Rotary non poteva certo conciliarsi con queste vedute. Anche da parte del regime, soprattutto dai rappresentanti più intransigenti, l’internazionalità del Rotary, era vista come un serio pericolo al nazionalismo crescente. Inoltre, la dipendenza, la sudditanza dei club italiani dalla centrale americana era assolutamente inaccettabile. I dirigenti rotariani italiani, con in testa Leo Giulio Culleton, segretario provvisorio dell’associazione in Italia, per dimostrarne l’indipendenza e rimarcare il nazionalismo italiano costituirono il Consiglio Nazionale del Rotary italiano, organismo creato unilateralmente dai rotariani italiani e che costituiva una eccezione nello schema organizzativo del Rotary. L’organismo era ritenuto indispensabile per testimoniare, agli occhi del regime, il “patriottismo” degli aderenti all’associazione e quella apparente autonomia dall’America che serviva a tacitare il regime. Dopo un periodo di calma apparente, nel 1928 il rapporto Rotary-Fascismo entra in crisi. La Tribuna, organo romano del regime, inizia una campagna di critica al Rotary. Riprendendo un articolo della Gazzetta di Varsavia (la Polonia è ormai fascistizzata), denuncia il Rotary come un’organizzazione di origine massonica. La denuncia era priva di qualsiasi prova, anzi aveva ben altri scopi. Una prima smentita è subito apparsa sul periodico del distretto Rotary, che riporta una dichiarazione dello stesso presidente internazionale Harry H. Rogers, di questo tenore: “ Io desidero dire che nessun rotariano è autorizzato a riferirsi a questa organizzazione (la massoneria) come se essa fosse in qualsiasi modo in rapporti col Rotary, perché noi non siamo assolutamente in rapporti con essa, mai lo siamo stati e mai potremo esserlo”. Può essere utile riportare quanto, a questo proposito, scrive Giuseppe Viale nell’opera prima citata:
… Va sfatato il pregiudizio, tutt’ora latente, di una cospicua presenza massonica nel club italiani, sin dalle loro origini. Ad esempio solo uno fra i 25 soci fondatori del club di Genova e solo 4 fra i 49 soci presenti alla fine del 1925 sono stati identificati come massoni. Ciò è tanto più significativo in quanto all’epoca erano attive a Genova 5 logge all’obbedienza del grande Oriente d’Italia e 7 Logge all’obbedienza della gran Loggia d’Italia. Lungi dal riscontrare una rilevante componente massonica, “ l’impressione è al contrario che la politica rotariana delle cooptazioni in Italia fosse molto attenta a non permettere che massoni di un certo nome fossero inseriti nelle liste della propria associazione o comunque non in posizioni direttive, per non creare dissapori con le istituzioni governative e religiose nazionali”…[63]

L’equivoco Rotary=Massoneria, che andrà avanti con molta insistenza sulla stampa fascista, e che considera il Rotary una fratellanza (massonica) universale di uomini d’affari, creerà non solo l’inimicizia del regime ma, come vedremo in seguito, anche quella della Chiesa Cattolica.

5.4 Il Rotary si autoscioglie

L’Italia negli anni Trenta conferma il progressivo isolamento economico, politico e culturale dal resto dell’Europa e dal mondo. Il Rotary, nonostante le difficoltà, riuscirà, almeno fino al Trentacinque, a svolgere una sua opera autonoma, essendo ancora non totalmente asservito al regime. Tuttavia la libertà del Rotary è sempre più ridotta. Dal 1929 i rotariani devono chiedere a Mussolini il nulla osta per l’elezione dei presidenti dei club, che viene concesso solo a persone strettamente legate al regime. Il Rotary italiano viene accusato di aprire le porte solo a personaggi dichiaramene fascisti. Inoltre la politica italiana, decisamente autarchica, era diventata l’esatto contrario della filosofia economica professata dal Rotary internazionale. In questo contesto i rapporti tra il regime ed Rotary, ormai, oscillano tra la minima tolleranza e la chiusura. Il filo sottile si spezza del tutto nel 1935, in occasione della guerra d’Etiopia e delle sanzioni. Mussolini lascerà via libera agli attacchi contro l’associazione, per la prima volta in maniera definitiva. Ormai l’associazione era inaccettabile prima perché internazionale e poi perché al proprio interno vi erano persone (per origine e cultura) incompatibili (ebrei) con le leggi razziali del regime. Già in Germania, dopo leggi di Norimberga del 1935 e l’uscita dalla Società delle Nazioni nel 1936, il Rotary tedesco è sciolto dal regime nell’anno 1937. A metà del 1938 il governatore del distretto, generale Ruggeri-Laderchi, dopo un ripetuto rifiuto di udienza da parte di Mussolini si dimette. Lo sostituisce il petroliere Pozzo, al quale viene chiesto di riformare le regole del Rotary in conformità alle direttive del regime, anche se in contrasto con i principi del RI. Non essendo accettabile questa offerta, il 14 novembre del 1938 il Consiglio nazionale del Rotary italiano decreta lo scioglimento dei club entro la fine dello stesso anno. L’autoscioglimento evita che, come in Germania, il Rotary venga sciolto d’autorità. Il Rotary tornerà in Italia, questa volta partendo dal basso, dalla Sicilia, con la liberazione.


5.5 Il Rotary e la Chiesa cattolica

Nella seconda metà degli anni Venti, come riportato sul già citato Storia del Rotary, nei Paesi latino-americani il Rotary diviene oggetto di crescente avversione da parte delle gerarchie locali. Scrive G.Viale:
… Commentando la situazione in Spagna il segretario generale Perry, in una sua lettera del 6 gennaio 1928 rilevava che “alcuni dei maggiori esponenti della Chiesa Cattolica (erano) sinceramente convinti che il Cristianesimo (fosse) la sola vera religione e che la Chiesa Cattolica Romana fosse la sola vera Chiesa”. Secondo Perry non vi era da parte loro alcuna disponibilità alla tolleranza delle posizioni altrui, tanto da rendere inutile ogni tentativo di dialogo…[64]

I motivi ufficiali sono quelli che definiscono il Rotary una organizzazione praticamente massonica o da questa dipendente, ma, in realtà, i veri motivi sono altri. Non è la laicità o l’indifferentismo religioso che il Vaticano teme. Ė il pericolo della sua filosofia nuova, fondata su una morale laica e indipendente che preoccupa, perché ritenuta sostitutiva di quella cristiana. Il contrasto è particolarmente accentuato negli anni che vanno dal 1927 al 1929 e sono caratterizzati da dotti saggi apparsi su La civiltà cattolica, organo dei gesuiti, e da articoli in prima pagina su L’Osservatore romano. Il periodo non è casuale. Nel 1927 il Rotary tenne la sua prima Convention in Europa, ad Ostenda, in Belgio. Il gran numero dei partecipanti, circa settemila, risvegliò la diffidenza e allarmò la Chiesa cattolica. Ormai era noto come questa associazione si stesse velocemente diffondendo in Europa ed America latina, dove forte era la presenza cattolica. Il Rotary era visto come un pericoloso concorrente che si intrometteva in esclusivi settori di competenza a loro sempre riservata, come l’educazione dei giovani. Era lo stesso pericolo paventato dal regime fascista. Forse questo pericolo comune è quello che mise insieme Chiesa e fascismo. Scrive Elena Rambaldi, sempre in Rotary in Italia, opera già citata:
… Fu cosi che nel momento di massima intesa tra Chiesa e fascismo, come furono i mesi che precedettero e seguirono il Concordato del 29, sembrò per un attimo che le gerarchie vaticane e fasciste decidessero di chiudere il Rotary italiano, perché si intrometteva in questioni a loro dire che erano di loro esclusiva competenza come per esempio l’educazione dei giovani…[65]

Il feeling con il regime facilita l’attacco della Chiesa. Accusando senza reticenze il Rotary di massoneria, il Vaticano cerca di liberarsi di un pericoloso concorrente. Cosi riporta Omero Ranelletti in Il Rotary e la Chiesa Cattolica:
… Il mese successivo, sullo stesso argomento, i gesuiti così scrivono: “ Ė certo che lo spirito del Rotary appare sostanzialmente massonico; basta leggere il suo codice morale per accorgersi che esso si fonda su un concetto laico della vita morale, lontano dal concetto cristiano, che si traduce in un vero utilitarismo individuale, mascherato da vaghe idee umanitarie”… [66]

I tentativi di chiarimento saranno portati avanti con grande determinazione, ma con scarsi risultati. In Spagna, intanto nel 1929 a seguito della presa di posizione dell’episcopato spagnolo il Rotary viene sciolto. Sarà l’infaticabile opera di Omero Ranelletti a portare avanti l’opera di mediazione con la Chiesa che si concluse con l’impegno da parte del Rotary di eliminare dal proprio Statuto il Codice morale rotariano che tanto aveva impensierito il vaticano.
Gli anni dal 1929 al 1948 saranno particolarmente tranquilli, né accuse, né riserve neanche sulla stampa. Nel gennaio del 1948 il sostituto alla segreteria di Stato del vaticano, il cardinale Montini, futuro Papa, chiede al direttore di Civiltà cattolica di riesaminare la questione Rotary, commissionando uno studio sul rapporto Chiesa-Rotary. Tre anni dopo, l’11 gennaio 1951, con grande sorpresa, l’Osservatore romano pubblica un nuovo decreto ( il primo è del 1929) con il quale si vieta ai sacerdoti di iscriversi al Rotary e si invitano i cattolici a tenersi lontani da un’associazione che cerca di sottrarsi alla vigilanza della Chiesa. Ė sempre lo stesso Ranelletti che riprende il suo lavoro di tessitore con le alte gerarchie del giornale Civiltà Cattolica e vaticane. Sarà lo stesso Montini, nel 1957, allora arcivescovo di Milano, partecipando ad una conviviale del Rotary a riabilitare con dichiarazioni di stima e simpatia l’associazione. Il riavvicinamento della Chiesa presupponeva l’accertata mancanza di “concorrenza” temuta prima della guerra. Nel 1959, dopo quasi mezzo secolo dalla fondazione, un presidente del Rotary può varcare il portone di bronzo del vaticano, ricevuto da Giovanni XXIII. Per quell’occasione Omero Ranelletti scriverà nei suoi appunti: “ Il Rotary, dunque, agli occhi della Chiesa, non è più il demone da condannare e da tenere lontano”.

5.6 La rinascita dopo la guerra

In Italia gli anni Cinquanta sono quelli della ricostruzione. Il Rotary riaprì i suoi club fin dal 1943, partendo dalla Sicilia e avanzando con la liberazione americana. Questo l’itinerario: nell’anno 1943 a Palermo, poi Messina, Catania e Napoli. Successivamente nel 1945 a Torino, poi Cuneo e Genova nel 1946 e Milano nel 1947. Nel 1949 tutti i nove club che esistevano prima dello scioglimento erano stati ricostituiti. Questo non significava che nulla era cambiato. Nel frattempo il Rotary aveva maturato, invece, significativi cambiamenti. Anche in Italia il Rotary del dopoguerra parte diversamente. Al precedente modello di selezione elitaria fu sostituito “il modello dei distretti industriali”, che significava non limitare la creazione di club alle sole grandi città storicamente blasonate, ma immettendo nel circuito del Rotary anche quei centri cittadini prima esclusi, perché di grandezza media e poco rappresentativi, diventati, ora, invece, importanti centri produttivi del Paese. Il Rotary arrivò, così anche in Calabria ed in Sardegna e successivamente nelle “regioni rosse”, Emilia Romagna e Toscana. Un Rotary più democratico, ma sempre abbastanza diverso da quello degli Stati Uniti. Si racconta di uno slogan, di provenienza incerta, che recitava: Pochi ma buoni sì, pochissimi no, via libera su tutta la linea no.
Sulla scia di questa liberalizzazione il Rotary cresce molto anche in Italia. Nel 1963, gli effetti del boom economico sono evidenti anche nella crescita del Rotary che vanta, rispetto al 1952 una crescita del 280%.

5.7 Il Rotary italiano oggi

L’attuale struttura rotariana in Italia conta oggi oltre settecento club, sparsi in tutta la penisola e le isole. I club coprono non solo le città più importanti ma anche i centri minori. La composizione attuale è certamente più modesta di quella precedente: nei club sono cooptati come soci, non solo i rappresentanti dell’aristocrazia economica e industriale, ma anche quelli che rappresentano le forze vive del Paese, il ceto medio economico, finanziario industriale e commerciale e, soprattutto, culturale del Paese. Questa nuova composizione ha comportato anche un ridimensionamento dei costi di appartenenza. A Milano, per primo, si riduce la frequenza delle riunioni per facilitare l’accesso a rappresentanti dell’alta cultura. Il nuovo concetto è che il Rotary non può più essere “un club di ricchi”, ma deve raccogliere anche e soprattutto la elite culturale ed intellettuale del Paese. Questa risorsa preziosa, più capace e attenta a proporre i cambiamenti di cui il Paese necessita, risulta, tuttavia, economicamente più debole. La situazione economica italiana dei primi anni Sessanta e Settanta, infatti, è ancora precaria. Evidenzia ancora una forte dipendenza estera, soprattutto americana, iniziata nel dopoguerra con il piano Marshall. Ė soprattutto il cinema, allora il più grande strumento di comunicazione, a mettere in risalto, con lucido realismo, un Paese economicamente fragile, con una folta schiera di non privilegiati, che intendono rivendicare indilazionabili istanze sociali ed una necessaria revisione delle scale dei valori. I rotariani più attenti, soprattutto quelli provenienti dal mondo della cultura, si rendono conto che il Rotary italiano ha bisogno di una forte innovazione. Tuttavia, a parte poche eccezioni, in Italia il Rotary resta sostanzialmente sordo ai necessari mutamenti. Prevalgono esigenze ed aspirazioni di carattere personale, dove l’individualismo prevale. Questo modo tutto italiano di fare Rotary limita anche la visione più ampia, quella internazionale, caldeggiata dalla centrale americana. Lo stesso supporto alla Fondazione Rotary, negli anni Sessanta e Settanta, è limitato: non trova molte simpatie nei club italiani la vocazione mondiale della RF, che suggerisce operazioni umanitarie nel Terzo Mondo. Il Rotary italiano tende a privilegiare, infatti, iniziative di carattere locale, in sintonia con quello francese e tedesco, ma nettamente diverso, nello spirito e nella forma, da quello del Nord Europa, da quello Inglese, e soprattutto da quello americano. Qualcosa, però, si muove anche in Italia per merito, soprattutto, delle suddette nuove forze della cultura, che entrano nei club. Nel 1979 la Convention del Rotary International si svolge a Roma. Durante l’incontro viene lanciato il “Programma 3H” (Health, Hunger and Humanity), destinato a migliorare le condizioni di salute, combattere la fame e incrementare il progresso umano e sociale. Il presidente internazionale Clem Renouf, australiano, con il suo motto “ Andare incontro”, sollecita tutti i rotariani ad un maggiore impegno in campo sociale, al di fuori del proprio territorio. Ė il primo passo per un cambio di rotta anche in Italia. Nel 1980, sponsor il club di Treviglio, viene avviata l’operazione “vaccinazione antipolio” nelle Filippine, prima importante operazione umanitaria del Rotary italiano. Come già precedentemente esposto, negli anni 1982-83 inizia la grande campagna “ Polio Plus”, figlia della più modesta “Operazione Marocco”, sostenuta dagli allora sette distretti italiani. Questi interventi, finalmente avviati fuori dai confini nazionali, consentono di ridurre le marcate differenze prima esistenti con gli altri Paesi. Il Rotary in Italia continua a crescere e nell’anno rotariano 1984-85 i distretti italiani diventano nove. Finalmente anche in Italia il Rotary apre alle donne: siamo nell’anno rotariano 1988-89 e ciò avviene in Abruzzo e in Sicilia. Nel 1992-93 i distretti italiani diventano dieci.
Altra importante iniziativa internazionale alla quale partecipano tutti i distretti italiani, riuniti in un’apposita struttura interdistrettuale, è il programma “Lo scambio dei giovani” (Rotary Youth Exchange). Questa importante azione del RI consente a tanti giovani, normalmente al terzo o quarto anno delle scuole superiori, di trascorrere un anno in un’altra nazione (la maggiore richiesta è verso gli USA), frequentando un intero anno scolastico a contatto con un mondo molto diverso. Tutto questo facilita la conoscenza di altre realtà culturali e socio-economiche. Lo scambio dei giovani è fra i programmi del Rotary quello più gradito e utilizzato: consente, infatti, ogni anno a circa ottomila giovani di entrare in contatto con altri coetanei, quasi a costo zero. Gli studenti in scambio vivono un’esperienza unica, inseriti come figli in una famiglia di altra cultura e diverse tradizioni. Inoltre tra le due famiglie, prima sconosciute, si crea un legame affettivo duraturo, con scambio di relazioni quasi parentali. Il metodo è semplice e ogni scambio coinvolge due club Rotary di nazioni diverse. Accertata l’idoneità dei soggetti ( capacità negli studi e nelle relazioni sociali), il club si fa carico delle spese scolastiche e delle “piccole spese” del giovane. Inoltre, nomina un Tutor che fa da intermediario tra la scuola e la famiglia di adozione. Ė anche un sistema poco costoso per le famiglie: le uniche spese sono quelle di viaggio e di assicurazione. L’Italia è fra le Nazioni che utilizzano di più questo importante strumento, capace di creare relazioni amichevoli durevoli fra giovani e fra famiglie anche molto lontane.
Questo modo nuovo di fare Rotary ha certamente fatto maturare il Rotary italiano, avvicinandolo alle altre realtà europee e internazionali. Tuttavia portare alcune di queste innovazioni a livello di club si è dimostrato tutt’altro che facile. La stessa ammissione delle donne è stata particolarmente difficile e in molti club l’ostracismo è tuttora forte e motivo di disputa accesa. Per molti rotariani è più facile e comodo continuare ad accettare il Rotary per quello che fu, piuttosto che riconoscere il cambiamento di contesto sociale e le nuove prospettive di servizio. Ma un Rotary immobile non paga: solo un Rotary rinnovato ed attuale può restare ambito e competitivo. Gli ultimi dieci anni, dal 1995 al 2005 hanno visto in Italia un ulteriore inserimento nei progetti internazionali senza, però, trascurare le iniziative di carattere locale.
Nonostante tutto, però, in Italia appartenere al Rotary resta ancora uno status symbol. Entrare a far parte dei grandi club di antica formazione è ancora difficilissimo: essere cooptati nei club storici di Milano, Roma o Genova, etc. è impresa ardua. Come scrive Alberto Schiraldi, past governor del Rotary, nella sua relazione al Congresso del distretto 2030, tenuta ad Alessandria il 27-28 maggio di quest’anno:
… Diventare “rotariano” è sempre difficile, soprattutto come socio dei club “storici”. Segretari, onnipotenti e inamovibili, si arrogano prerogative da “padre guardiano” del Club e, in molti casi, diventano il personaggio ineludibile nell’iter di ogni nuova ammissione, o della stessa designazione dei presidenti…. [67]

Anche in quelli di nuova formazione, soprattutto nelle grandi città, le difficoltà non mancano; i club continuano a cooptare fra i propri soci i rappresentanti della migliore borghesia, scelti fra le libere professioni, i dirigenti pubblici e privati, i titolari di grandi aziende industriali e commerciali. In Italia il Rotary continua ad ignorare, salvo eccezioni, i rappresentanti delle professioni cosi dette minori: artigianato, piccolo commercio e agricoltura. La nostra diversità, rispetto al Rotary americano, nonostante sia trascorso quasi un secolo, continua.
Nell’organigramma del Rotary International oggi l’Italia appartiene alla zona n.12 della CEEMA, Europa centrale, Africa e Medio Oriente, che comprende le zone dalla 10 alla 16, ed è seguita a livello amministrativo dalla Sede secondaria di Zurigo. La struttura italiana è composta da dieci distretti, con oltre settecento club con più di quarantaduemila soci.


CAPITOLO SESTO
IL FUTURO DEL ROTARY

6.1 Quale futuro per il Rotary?
In cento anni il Rotary ha percorso molta strada. La rotta iniziale ha subito variazioni ed integrazioni ma l’associazione ha mantenuto lo spirito iniziale: gli scopi ed i principi non si sono modificati nel tempo in maniera tale da vanificare l’indirizzo originario. Il cambiamento è un fatto naturale, una necessità, per mantenere aggiornata ed al passo coi tempi l’associazione. Per fare questo è indispensabile, però, la piena consapevolezza e la partecipazione di tutti. Nel Rotary questa esigenza, fortemente attesa, non è, però, da tutti accettata e condivisa. Come già detto le riunioni dei club sono calendate su base settimanale (una riunione alla settimana) e mediamente la frequenza non è superiore al 30%. Il vero problema del Rotary, oggi, è proprio la scarsa partecipazione alla vita sociale. Ciò comporta ulteriori conseguenze che si possono così riassumere: scarsa efficacia dell’azione dei club e modesta preparazione dei dirigenti, sia locali, che delle strutture superiori. Inoltre, lo scarso impegno partecipativo non trasmette all’esterno un’immagine del Rotary efficiente, accattivante e coinvolgente. La soluzione di questi problemi passa solo attraverso una completa revisione dell’ organizzazione, dal vertice alla base. Revisione che migliori sia l’organizzazione interna attuale, con l’applicazione di un nuovo metodo di comunicazione, che la visibilità esterna dell’associazione. In sintesi, un nuovo modo di comunicare sia all’interno che all’esterno.

6.2 La comunicazione nel futuro del Rotary

Alcuni progetti di revisione sono già stati avviati, altri invece lo saranno a breve. All’interno della struttura del distretto con la realizzazione del nuovo Piano Direttivo Distrettuale (PDD) e l’istituzione dell’Assistente del governatore, che ha consentito di disporre di un supporto concreto e continuo all’attività dei club. Un secondo progetto, in corso di attuazione, è denominato Club Leadership Plan e opererà all’interno delle strutture dei club. Il Club Leadership Plan, di sviluppo della Leadership nei club, consentirà ulteriori miglioramenti operativi: mantenere ed accrescere il numero dei soci, realizzare progetti di successo a livello locale ed internazionale, sostenere la Fondazione Rotary (con contributi finanziari e partecipazione ai programmi) ed esprimere Leader rotariani a livello distrettuale. Inoltre, scopo di questo Piano è quello di favorire la programmazione, dando continuità ai progetti di servizio, che, iniziati in un anno, potranno essere portati avanti anche negli anni successivi. Cambierà anche l’indirizzo dato in passato alle Quattro vie d’azione già menzionate: azione interna, azione professionale, azione di pubblico interesse, azione internazionale. Queste verranno aggiornate, non sostituite, ristrutturando i precedenti compiti con la creazione di cinque nuove commissioni: commissione per l’effettivo (per il mantenimento e la crescita del numero dei soci), commissione per le relazioni pubbliche del club ( per la gestione della comunicazione interna ed esterna), commissione per l’amministrazione del club ( per la gestione amministrativa e contabile alla luce delle nuove norme, privacy compresa), commissione per i progetti di servizio (per la gestione unica di tutti i progetti del club, prima sparsi nelle quattro commissioni), Commissione per la Rotary Foundation (per l’accorpamento di tutti i rapporti ed i progetti inerenti la RF). Altre commissioni potranno essere istituite solo per scopi particolari identificati da ciascun club.
Scopo principale del progetto innovativo è quello di trasformare la cellula base del Rotary, cioè il club, in una struttura efficiente ed efficace, capace di motivare i soci che, “ formati, informati e coinvolti ”, sappiano, da veri professionisti, gestire al meglio le risorse. Il presidente, continuando nel Rotary l’aurea regola della rotazione annuale, dovrà lavorare col suo predecessore e col suo successore con lo scopo di attuare una strategia di azione a medio e lungo termine.
Il futuro del Rotary è però legato non solo alla riorganizzazione interna ma anche al miglioramento della visibilità esterna. Per fare questo servono non solo strategie mirate ma la partecipazione ed il fermo convincimento di tutti i rotariani. A partire dalle scelte che saranno capaci di fare, selezionando i nuovi soci che verranno cooptati nei club. Inoltre, saranno basilari le strategie ed i progetti futuri che il Rotary metterà in atto. Organizzazione interna ed immagine esterna sono, dunque, i requisiti indispensabili di ogni organizzazione. Per avere una forte visibilità, per essere gradito e desiderato, il Rotary deve modificare una delle sue più antiche prerogative: quella della riservatezza. Questo suo originario modo di operare era senz’altro valido nei tempi passati ma oggi si rivela un handicap da eliminare: bisogna uscire prepotentemente allo scoperto comunicando a tutti cosa è il Rotary e cosa è capace di fare. Gli studi sociologici sulla comunicazione mettono sempre più in evidenza la forte influenza che i media hanno sulla vita sociale. Resta solo da valutare quanto sia grande tale influenza, con che effetti si manifesta e fino a che punto è possibile controllarla. Fare a meno, oggi, dei nuovi strumenti di comunicazione non è possibile, in quanto il rischio immediato è quello della mancanza di visibilità. Chi non è visibile praticamente non esiste.
Per un Rotary abituato alla riservatezza cambiare strategia comunicativa non è semplice, anche se è un passo obbligato. Anche per il Rotary è vitale comunicare di più la propria esistenza e le proprie azioni. La regola del silenzio deve essere abbandonata per imboccare la via della visibilità e dei riflettori, attraverso i Media. Ma quale era lo scopo della originaria riservatezza, che ha costituito per anni uno stile di vita, quasi una filosofia comportamentale, basata sul fare senza apparire? Alla base di questa norma c’erano nel Rotary validi motivi di fondo. Fin dai primi anni l’organico dei club, lo abbiamo visto, era costituito da professionisti, commercianti, dirigenti di aziende e società, che se avessero pubblicizzato, messo in forte rilievo le attività benefiche svolte, avrebbero alimentato la catena del sospetto circa lo scopo vero, reale, della loro azione. Avrebbero alimentato il dubbio che l’iniziativa nascondesse, invece, una ragione di profitto a loro vantaggio, velata da quella apparente. Motivi validi ieri ma non oggi, perché Il Rotary, col suo respiro internazionale, non si limita ad impegni sociali di corto raggio, cioè limitati al contesto locale, ma ha ampliato a tutto il mondo il suo intervento. Oggi viene difficile pensare che un’operazione umanitaria di molti milioni di dollari nasconda sotterranei interessi di bottega di singoli rotariani o di club, per quanto importanti.
La comunicazione è dunque necessaria per il nuovo Rotary, come per tutte le strutture organizzative o associative. Andrea Volterrani, sociologo, docente di comunicazione, autore di numerose pubblicazioni e profondo conoscitore del mondo del volontariato, in un suo saggio dal titolo Esclusione ed inclusione il dilemma della comunicazione nella solidarietà, apparso su Rivista di comunicazione pubblica. nel 2001, sostiene:
… Il primo problema della comunicazione è, forse, il più complesso. Si comunica per esistere, per avere la visibilità necessaria in una società nella quale la quantità di informazioni disponibili da l’illusione della trasparenza (Bechelloni, 1995) . Costruire visibilità può essere un obiettivo, ma rischia di mettere in secondo piano attività, servizi, scopi dell’associazione. Inoltre avere visibilità non significa necessariamente comunicare solidarietà, ma piuttosto affermare una presenza nei confronti di altri soggetti, pubblici, privati o dello stesso terzo settore…[68]

Comunicare, dunque, come sostiene Volterrani, per essere visibili, per affermare la presenza, con il rischio, però, di abbassare il tono degli scopi originari e al prezzo di modificare la propria identità. Nel caso del Rotary la nuova necessaria visibilità, comporta la perdita di quella riservatezza, non facile da assorbire e la necessità di una visione allargata degli scopi del servire. Cambiare è sempre difficile, è intraprendere strade nuove e sconosciute, lasciando le certezze esistenti. Ma il mondo cambia e bisogna cambiare con esso. Viviamo, ormai, in un villaggio globale, la nostra giornata è costantemente costellata di immagini: giornali, riviste, televisione, cellulare: tutto è notizia e immagine allo stesso tempo: è il mondo che scorre sotto il nostro sguardo in tempo reale.
La ricerca sociologica, nel campo degli studi sulla comunicazione, attribuisce ai media un forte potere sulla vita sociale degli individui. Nonostante la varietà delle teorie sugli effetti della comunicazione, i diversi tipi di influenza mediale, gli effetti, intenzionali o non intenzionali, una cosa è certa: la comunicazione modifica il nostro modo di agire. Ė un modo di persuadere, di portare ad un cambiamento delle precedenti convinzioni. Il discorso è complesso e forse anche difficile da accettare, ma concreto, reale.
Il Rotary ha già avviato la sua strategia mediatica. Le grandi manifestazioni mondiali sono già diffuse in videoconferenza, i supporti didattici sono tutti accompagnati dalle videoproiezioni e la gran parte dei club, ormai, è dotata di computer, sito Web, posta elettronica e scambio immediato di messaggi in voce e video. Internet ed il suo mondo, quindi, sono già operativi nel Rotary come nuovo modello di comunicazione; strumento che si aggiunge ma non sostituisce la precedente comunicazione scritta che rimane: The Rotarian, Rotary, Voce del Rotary e tanti altri bollettini locali restano, affiancati dai nuovi media. La carta stampata resta in piedi ed amplia il suo campo d’azione, trattando argomenti e avvenimenti anche non rotariani e, uscendo dal circuito dei soci, si diffonde anche nell’ambito di strutture economiche sia pubbliche che private. Da segnalare, infine, una importante e quasi rivoluzionaria novità: la recente creazione di alcuni club, sperimentali per ora, dove le riunioni dei soci (giovani professionisti molto impegnati), avvengono in videoconferenza e non col tradizionale sistema dell’incontro personale. Un modo giovane ed inusuale di riunirsi, dove manca una componente ritenuta dalla maggior parte dei rotariani essenziale: la cena conviviale. I Cyber club, come scherzosamente vengono definiti, avranno un futuro? I vecchi soci ne dubitano, i giovani no.
Il solo rinnovamento tecnologico non sarà sufficiente a garantire al Rotary il giusto sviluppo. Alla tecnologia deve necessariamente seguire un suo nuovo modo di agire, una sua nuova identità, che non vuol dire abbandonare i suoi principi e le sue regole, ma aggiornarle. Anche Paul Harris nelle sue memorie, lo abbiamo già ricordato, sosteneva che il Rotary avrebbe dovuto costantemente aggiornare il suo servizio in relazione alle esigenze del mondo che cambia. Nuova veste aggiornata dunque, ma in un corpo antico, che non rinnega le sue radici. I nuovi rotariani avranno a disposizione maggiore tecnologia, saranno più comunicativi e meno riservati, ma sempre dotati dell’iniziale spirito di servizio. La prima operazione di interesse pubblico fatta dal Rotary fu quella di dotare il centro di Chicago di toilettes pubbliche, l’ultima è stata l’importante operazione umanitaria tesa a debellare la poliomielite dal mondo. La prima fatta in silenzio, la seconda con grande risonanza mondiale; ma entrambe con lo stesso impegno.


6.3 I giovani, i protagonisti di domani

I vecchi soci sanno che il futuro non è il loro, ma dei giovani. Spetta ai giovani, infatti, il compito di trovare gli strumenti tecnologici più adatti ai tempi che verranno, onde perpetuare quel forte messaggio di amicizia, tolleranza ed etica negli affari e nelle professioni. Non importa con quali mezzi i rotariani di domani svolgeranno il servizio, ma sarà determinante la qualità con cui lo presteranno, la passione con cui saranno capaci di farlo. Solo cosi saranno i protagonisti di domani.
Nel saggio pubblicato dall’ICR in Realtà Nuova nel mar-apr.’95 titolato Il Rotary e la riscoperta dei valori, Ernesto Failla, psichiatra e libero docente universitario scrive:
… Non so quanto potrà essere attuato di ciò che ho proposto e se la volontà rotariana saprà e vorrà incidere veramente nella realtà del paese; il mio messaggio, se sarà raccolto, rappresenterà veramente il rilancio del nostro sodalizio verso gli ideali che Paul Harris indicò novanta anni or sono. Non possiamo più oltre tollerare la convivialità salottiera, la chiaccherologia, la staticità, le conferenze che soddisfano solo il nostro narcisismo, in un mondo in cui i problemi si complicano e ingigantiscono con un crescendo drammaticamente tempestoso; non limitiamoci più a mere dichiarazioni di principio, non seguite poi dalla concretezza dell’azione. Felice Badolati ha affermato: “ieri bastava l’entusiasmo, oggi ci vuole coraggio. Il coraggio di capire che il mondo è cambiato e noi dobbiamo cambiare con lui se vogliamo essere protagonisti”…[69]

E il mondo è davvero cambiato! Il Rotary è nato quando in Europa le monarchie faticavano a diventare costituzionali, votava meno del dieci per cento della popolazione, le donne non avevano diritto di voto e la loro funzione principale era quella della riproduzione. Oggi, invece, venticinque Stati fanno parte di un’unica realtà europea, con un’unica cittadinanza ed un unico mercato ed il mondo intero è divenuto un unico villaggio globale. Un secolo fa Alexis de Tocqueville scriveva che per risolvere i problemi, da quelli più banali a quelli più importanti, gli americani si associavano. La ricetta oggi è ancora valida? Forse. La risposta vera la potranno dare i giovani, se i rotariani di oggi riusciranno a coinvolgerli, incentivando il loro ingresso nei club. Aprire le porte dell’associazione ai giovani manager di entrambi i sessi significa apportare nuova linfa vitale, aggiornare la vecchia struttura e adeguarla alle nuove esigenze. Se il Rotary vorrà avere un ruolo importante nel millennio appena iniziato e realizzare i prossimi traguardi, lo potrà fare solo con loro a fianco.

6.4 I prossimi obiettivi del Rotary.

Ma dopo le grandi sfide del passato, soprattutto l’ultima, la battaglia ormai vinta sulla poliomielite, quali i nuovi obiettivi del Rotary?
Il Rotary ha già individuato nuovi e stimolanti traguardi. Ritiene prioritari gli interventi nei seguenti campi: carenza di acqua potabile, lotta all’analfabetismo ed alla fame e miglioramento delle condizioni sanitarie nel terzo mondo. Altre sfide certamente non mancheranno, è difficile prevedere il futuro. Ė utile riportare il pensiero di alcuni rotariani.
Sergio Albertoni, professore ordinario di analisi numerica all’università di Milano in un suo saggio intitolato Il futuro, pubblicato su Realtà Nuova dall’ICR nel 1.1997, scrive, a proposito di futuro, in generale:
… Prevedere è difficile, diceva Max Born, uno dei padri della fisica moderna, ma in special modo è difficile prevedere il futuro. Ciò nonostante l’umanità ha sempre sentito una “attrazione fatale” per prevedere cosa accadrà, talvolta per ragioni molto prosaiche (prevedere il tempo per seminare,o raccogliere), talvolta per conoscere il proprio destino l’insorgere di catastrofi naturali, guerre e pestilenze. In tempi più recenti, per conoscere ed orientare le proprie scelte “economiche” e persino per chiedersi quale è il substratum biologico degli esseri viventi. Di gran lunga la “previsione” più appassionata è sempre stata quella di come andrà a finire l’avventura umana…[70]

Difficile prevedere anche come andrà a finire, ad esempio, la tentata maggiore integrazione tra rotariani europei. “Ma oggi esiste un rotariano europeo?” Si chiede Roberto Barbieri, commercialista, autore di importanti pubblicazioni in materia fallimentare e finanziaria, in un suo saggio dal titolo Un nuovo rotariano per una nuova Europa, pubblicato nel 1994 dall’ICR di Milano:
… La domanda sembra superflua e la risposta attesa è negativa ma, ritengo, non troppo. Se negativa sulla carta, sulla base dei principi, delle internazionalità del Rotary, è anche vero che la connotazione della unità europea è tale da configurare comportamenti comuni, sia a livello di singoli Stati sia di cittadini: allora si sono venute a creare nuove coscienze, nuove etiche, organizzazioni economiche integrate, attività professionali omogenee, circolazione di beni e di servizi, mercati, attività finanziarie collegate e senza vincoli interstatuali. […] Mi domando, invece, se lo spirito dell’europeo sia appieno connaturale con la visione del Rotary. Essa nasce e avanza sulla spinta di un mondo che ogni giorno deve trovare il corretto equilibrio tra morale ed azione…[71]

La mia convinzione e che i principi di Paul Harris sono ancora validi: etica, moralità e servizio ieri e anche oggi e domani. Con un particolare aggiornamento dal parziale al globale: il cittadino europeo oggi deve avere una visione che veda oltre lo Stato singolo, che consenta di amalgamare l’orizzonte nazionale in una superiore visione sopranazionale dei problemi attuali e di quelli futuri, come sostiene, in sintesi, Barbieri.
I leaders di oggi potranno trovare nel Rotary un grande strumento che consenta il confronto delle professionalità tra vecchi e nuovi rotariani, portando ognuno, come in passato, la propria personalità ed esperienza. I nuovi rotariani, quelli che il Rotary aspetta, sono proprio i giovani di entrambi i sessi, titolari anche di nuove professioni: perché oggi non si diventa manager a cinquanta anni ma anche a trenta, lo possiamo verificare tutti i giorni, nonostante le grandi difficoltà che i giovani incontrano, soprattutto in Italia. Ma queste difficoltà esulano dalle capacità del singolo: è solo la carenza di strutture che crea difficoltà di affermazione, non la mancanza di preparazione o di qualità individuali. Fondamentale sarà anche la presenza a pieno titolo delle donne. Fin dai primi anni del loro ingresso nei club hanno dimostrato, e dimostrano oggi sempre di più, la loro dedizione e la loro capacità nel servizio rotariano. Anche nel mondo, del resto, la loro presenza è sempre più qualificata. I recenti incarichi politici mondiali, affidati a donne di valore, come la C.Rice o la A.Merkel, dimostrano che il mondo non ha paura di affidarsi a loro. Perché dovrebbe avere paura il Rotary? Saranno i giovani e le nuove professioni, anche al femminile, i nuovi protagonisti dell’avventura rotariana.

6.5 Una sfida globale

Raggiunto il traguardo dell’eradicazione della poliomielite dal mondo, come già detto, le prossime sfide riguarderanno l’acqua, l’analfabetismo, la sanità e la fame. Trovare soluzioni ai problemi di carenza di acqua potabile, creare strutture per una nuova alfabetizzazione, effettuare interventi per migliorare le condizioni sanitarie, alleviare la fame nel mondo, sono impegni titanici. Per risolvere problemi di tale drammaticità che, pur conosciuti continuano ad essere ignorati, ci sarà bisogno di un grande sforzo congiunto tra istituzioni pubbliche e private. Un solo breve, arido, rendiconto, ricavato dai dati in possesso del Rotary e forniti dalle ONG internazionali: ogni giorno muoiono nel mondo oltre seimila bambini per malattie derivanti dall’acqua inquinata; due miliardi di analfabeti popolano ancora il mondo, e non solo nei paesi sottosviluppati: in Italia gli analfabeti di ritorno sono circa cinque milioni; la fame nel mondo non diminuisce: il Piano Mondiale per l’Alimentazione, redatto con l’accordo di 186 capi di Stato, evidenzia che oltre ottocentocinquantamilioni di persone non riescono a mangiare ogni giorno e sono tormentati da malattie, privi anche dei medicinali essenziali. Il Rotary lancia queste prossime sfide anche alle altre ONG ed ai Governi sensibili.
Questa, dunque, la sfida globale del Rotary.
Riporto un passo significativo di un saggio del 2005, intitolato Il futuro del Rotary nel futuro del mondo e scritto da un importante rotariano del nostro distretto: Gianni Gasbarrini Fortuna, primario medico, già direttore dell’Istituto Culturale Rotariano e past-governatore:
… La sfida globale che l’attuale panorama mondiale pone ai rotariani è dunque un invito a tutti gli uomini virtuosi e con severo addestramento etico, tenacia morale, rigoroso senso del dovere, forte vocazione all’altruismo, ad unire le loro convinzioni etiche per il conseguimento dell’amicizia e la fratellanza fra i popoli, nello spirito della comprensione e della pacificazione; quali persone influenti e qualificate, possiamo svolgere un’insostenibile azione perché i grandi ideali della pace, della verità, della giustizia, della libertà, del rispetto della vita e dei diritti umani, diventino esperienza sociale e realtà godibile da tutti. A questo scopo, i rotariani hanno l’imprescindibile dovere, lo ribadisco con forza, di attingere all’enorme potenziale di esperienze del loro retaggio personale e di associazione...[72]

Chiudo questo paragrafo con alcune considerazioni di Paul Harris. Dopo aver affermato, nelle sue memorie, che l’amicizia e la roccia sulla quale è costruito il Rotary, e la tolleranza e ciò che lo tiene unito, sostiene che questi ingredienti saranno, per i rotariani, gli strumenti che porteranno il nostro mondo tormentato alla pace mondiale:
… lo spirito di tolleranza che ha consentito al Rotary di formare un’associazione internazionale di uomini d’affari e i professionisti renderà possibile ogni cosa. Mia moglie Jean ed io pensiamo di essere stati particolarmente fortunati per aver avuto la possibilità offertaci dal Rotary di godere dell’amicizia di migliaia di uomini di molte nazioni e diventare consapevoli del fatto che il concetto di “pace sulla terra agli uomini di buona volontà” non potrà restare solo un sogno, e che realmente la pace si potrà affermare nel mondo. [73]

Questo sogno, oggi solo speranza, credo che possa avverarsi.




CONSIDERAZIONI FINALI.

Sono convinto che essere obiettivo è molto difficile. Avevo premesso, all’inizio di questo lavoro, che ci avrei provato e che, comunque, ero disposto a correre il rischio. Non so quanto sia riuscito ad esserlo nell’estensione di questo studio. Non è stato facile frenare il mio forte entusiasmo di appartenenza, anche se non ho avuto remore, quando ho creduto di trovare risvolti negativi, a metterli in luce. Le risposte che cercavo all’inizio credo di averle trovate ed evidenziate in questo lavoro. Il Rotary, ora lo posso confermare con più convinzione, è un’associazione di uomini liberi che hanno scelto liberamente di servire gli interessi della Comunità attraverso l’etica nel lavoro, l’amicizia, la tolleranza e la ricerca della pace. Questo non vuol dire, però, che i rotariani, entrando nell’associazione, scelgono di fare i missionari, spogliandosi dei loro averi per darli ai poveri; accolgono, invece, l’invito ad esercitare la loro professione applicando i più alti principi etici, nell’ottica che servendo gli altri si riesce a servire meglio anche se stessi. Ho rilevato anche eccezioni, poche a dire la verità, ma esistono. Nessuna associazione è esente da comportamenti fuori luogo, dove il profitto, l’interesse personale è dominante. Lo stesso Paul Harris, rispondendo alle critiche mosse all’associazione nei primi anni, non ha mai negato che il profitto, per alcuni, era la molla principale, superiore a quella del servizio; ma ha anche affermato che la maggioranza dell’associazione era, invece, accomunata da alti principi di servizio. Ognuno dà ai suoi ideali valori e pesi differenti, anche nel Rotary: servirsi del Rotary per i propri fini individuali è più semplice che servire l’ideale rotariano. Nella attuale società, lo abbiamo visto, conta più il sembrare, l’immagine in primo piano, che l’essere: è più semplice ed appagante esibire il distintivo che operare con umiltà. Dire a tutti, anche col sorriso, “ io sono rotariano” è più semplice che rinunciare al tempo libero e dedicare le ferie ad un progetto di servizio, magari nel Terzo mondo. Il Rotary, però, non chiede di servire con questo particolare spirito di sacrificio che è, invece, prerogativa solo di alcuni rotariani speciali. Sono, come detto prima, i volontari del Rotary che sentono espressamente la loro missione e dedicano tempo e denaro a chi non possiede nulla. Si può essere buoni rotariani e servire il pubblico interesse anche nelle ordinarie mansioni di tutti i giorni: in casa con un comportamento non egoista, senza false gerarchie, senza ruoli prefissati; in ufficio o in azienda, con i colleghi e con i clienti, uniformando il nostro comportamento all’etica ed al servizio; nella vita sociale, dando esempio a tutti di amicizia, rispetto, tolleranza, ed aiuto ai più deboli.
Il mio forte invito a tutti i rotariani è quello di portare al bavero della giacca il distintivo del Rotary, non come uno Status simbol di appartenenza ad un club d’elite, ma per dichiarare di far parte di un club particolare, formato da persone speciali, non perché superiori alle altre, ma perchè ispirano la loro vita ai più alti principi di etica economica e sociale.
Vorrei chiudere questo studio con le parole che il governatore di quest’anno del nostro distretto, Giorgio di Raimondo, ha usato per il saluto di commiato dopo un intenso anno di servizio:
…A voi, miei cari amici, l’esortazione a continuare nel “servire uniti in amicizia”. Ricordatevi che se credete nel Rotary, il Rotary sarà la vostra seconda famiglia e la sede dove tutti i vostri nobili sentimenti potranno trovare appagamento. Ha detto Madre Teresa di Calcutta: " Noi siamo meri strumenti di servizio, non conta quanto facciamo, ma quanto amore ci mettiamo. Dall’amore nasce il servizio, dal servizio la pace ".
In queste parole credo si possa racchiudere il vero significato del Rotary.[74]

Spero di essere riuscito anch’io a fare la mia parte, servendo, non servendomi del Rotary.



NOTE E RIFERIMENTI



[1] Alexis de Tocqueville, La democrazia in America,vol.2 pp.130-131, a cura di M.Tesini ediz.Città Aperta-2005.

[2] Alexis de Tocqueville, La democrazia in America,vol.2 , a cura di M.Tesini ediz.Città Aperta-2005.

[3] Alexis del Tocqueville, Scritti politici – a cura di N.Matteucci- vol. II – Torino 1968

[4] Alexis de Tocqueville, La democrazia in America,vol.2 pp.229, a cura di M.Tesini ediz.Città Aperta-2005

[5] Alexis de Tocqueville, La democrazia in America,vol.2 pp.225-226, a cura di M.Tesini ediz.Città Aperta-2005

[6] ‘’La Costituzione federale degli Stati Uniti “ http://ospitiweb.indire.it/costituzione/estero/usa.htm

[7] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag.22 Ediz.Rotary International 2005

[8] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag.81 Ediz.Rotary International 2005

[9] David Riesman La folla solitaria – trad.Sarti – Il Mulino -1999

[10] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag.25 Ediz.Rotary International 2005

[11] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag.81 Ediz.Rotary International 2005

[12] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag.82 Ediz.Rotary International 2005

[13] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag.82 Ediz.Rotary International 2005

[14] Manuale di procedura 2004, pag.49 -. ediz. Rotary International –2004

[15] Manuale di procedura 2004, pag.49 -. ediz. Rotary International -2004

[16] Francesco Alberoni, L’amicizia pag. 9-11 –ed. Garzanti 2002

[17] Il tema del 49° congresso annuale del Distretto 2080, svoltosi a Viterbo dall’11 al 14 maggio 2006, aveva per tema L’amicizia nel Rotary, l’amicizia del Rotary. Relatori il prof. Michele Piccione dell’Università di Roma La Sapienza, il vescovo di Viterbo S.E. prof. Lorenzo Chiarinelli, il prof. Marco Mancini, rettore dell’Università della Tuscia, il prof. Mario Morcellini, preside della facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Roma La Sapienza, la prof. Emanuela Abis dell’Università di Cagliari e la prof. Laura del Terra dell’Università di Roma La Sapienza.

[18] Francesco Alberoni, L’amicizia pag. 63 –ed. Garzanti 2002

[19] Adam Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Isedi, Milano,1973 pp.17-20

[20] Franco Arzano, Impresa, Mercato e Solidarietà “ Etica e affari” , Voce del Rotary n.12/2004 pag. 12-15

[21] Virgilio Gaito, Etica e professioni –Realtà Nuova – I.C.R. n. 7/8 1993

[22] Paul P.Harris Origini e uomini del Rotary- pagine scelte a cura di Lucio Artizzu – ed. Della Torre – Cagliari 2005

[23] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag. 95 Ediz.Rotary International 2005

[24] Salvatore Casentino, Il concetto di servizio e la scienza delle relazioni pubbliche - Realtà Nuova . I.C.R. n. 5/6 1993

[25] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag. 110 Ediz.Rotary International 2005

[26] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag. 67 Ediz.Rotary International 2005
[27] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag. 69 Ediz.Rotary International 2005

[28] Raffaele Pallotta d’Acquapendente Rotary e Università per una società più giusta ed equilibrata – Realtà Nuova –ICR 3/2000

[29] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag. 90 Ediz.Rotary International 2005

[30] Vangelo di Luca ( 6,30-35) .

[31] A.Caillè Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono. Bollati e Boringhieri, To 1998

[32] A.Caillè Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono. Bollati e Boringhieri, To 1998

[33] J.T.Goudbout Lo spirito del dono Bollati e Boringhieri, To 1997

[34] S.Latouche L’altra Africa. Tra dono e mercato. Bollati e Boringhieri, To 1997


[35] G.Tagliaferri La solidarietà come alternativa all’egoismo, Realtà Nuova ICR 6.95

[36] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag. 83 Ediz.Rotary International 2005
[37] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag. 83 Ediz.Rotary International 2005

[38] Autori vari Il Rotary in Italia (G.Viale, pag.60)ediz.RI distr.2030, anno 2003

[39] Lucio Artizzu, Origine e uomini del Rotary, pagine scelte di P.Harris,pag.62 Ediz..La Torre Ca 2005

[40] Lucio Artizzu, Origine e uomini del Rotary, pagine scelte di P.Harris,pag.62,63 Ediz..La Torre Ca 2005

[41] Autori vari Il Rotary in Italia (G. Viale, pag.60)ediz.RI distr.2030, anno 2003


[42] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag. 82 Ediz.Rotary International 2005

[43] Claudio Widmann, Le matrici culturali del Rotary, ICR- Realtà Nuova 1/2004

[44] Francesco Alberoni Genesi, pag.463 Garzanti, Milano 1989

[45] Francesco Alberoni Genesi, pag. 478Garzanti, Milano 1989

[46] Manuale di procedura 2004, pag. 50 -. ediz. Rotary International -2004

[47] Manuale di procedura 2004, pag. 50 -. ediz. Rotary International -2004

[48] Manuale di procedura 2004, pag. 50 -. ediz. Rotary International -2004

[49] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag. 84 Ediz.Rotary International 2005

[50] Paul P. Harris, La mia strada verso il Rotary pag. 82 Ediz.Rotary International 2005

[51] Autori vari Il Rotary in Italia (G. Viale, pag.14)ediz.RI distr.2030, anno 2003

[52] Lucio Artizzu, Origine e uomini del Rotary, pagine scelte di P.Harris,pag.25,26 Ediz..La Torre Ca 2005

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[54] Autori vari Il Rotary in Italia (G.Viale, pag.12)ediz.RI distr.2030, anno 2003

[55] Mario Morcellini Lezione di comunicazione, in Comunicazione pubblica e PA - Ellissi

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[59] Elena Rambaldi Storia del Rotary tra le due guerre- vol. 1° Il Rotary in Italia –RI distr. 2030- anno 2003.

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[61] Achille Scalercio ( a cura di) Breve storia del Rotary Italiano – ediz.RI distr.2080- anno 2003

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[63] Autori vari Il Rotary in Italia (G.Viale, pag.36)ediz.RI distr.2030, anno 2003


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