lunedì, agosto 31, 2015

SAN GIOVANNI DI SINIS: L’INESTINGUIBILE RIVALITÀ TRA NURACHI E CABRAS PER L’ESERCIZIO DEI DIRITTI SULL’ANTICA CHIESA, UNA VOLTA SEDE VESCOVILE DEL VESCOVO DI THARROS.



Oristano 31 Agosto 2015
Cari amici,
termino le mie riflessioni del mese di Agosto (fatte nella mia casa al mare sita nella borgata di Funtana Meiga) per dialogare con Voi su un’antica ma sempre viva diatriba, che da secoli vede gli abitanti di Nurachi e di Cabras contendersi l’esercizio dei diritti di utilizzo della Chiesa di S. Giovanni di Sinis, l’antico santuario dell’XI secolo, in passato Sede Vescovile, oggi considerato una delle più antiche Chiese della Sardegna. La voglia di scrivere queste righe mi è venuta dalla partecipazione alla recentissima festa di S. Giovanni, che ogni anno viene celebrata nell’antica borgata della penisola del Sinis dalla Comunità nurachese il 29 di Agosto.
Su questa inestinguibile rivalità tra le due Comunità ha scritto un bel libro nel 2003 il Dottor Don Gerardo Pitzalis, all’epoca Parroco di Nurachi, che, preso a cuore il problema, fece una bella ricerca negli archivi storici di Cagliari e Diocesani di Oristano. Il libro, che porta il titolo significativo di “Nurachi: un’antica presenza nella penisola del Sinis”, ripercorre attraverso un serio studio socio-giuridico avallato da documenti probanti, i riconosciuti diritti di Nurachi su un territorio che oggi, invece, ricade nella giurisdizione di Cabras. Ma ripercorriamo la storia dall’inizio, tornando indietro agli anni intorno al 1.000 D.C., quando nella Penisola del Sinis, Tharros era ancora il centro vitale della Comunità cristiana che la abitava e l’attuale Chiesa di S. Giovanni di Sinis, era la Sede del suo Vescovo.
Quando, per motivi ancora da chiarire iniziò da parte della popolazione l’abbandono di Tharros per trasferirsi più all’interno (siamo intorno al 1.070 circa), anche il Vescovo abbandonò la sede vescovile tharrense per trasferirsi nei dintorni di Oristano. A questo punto la necessità di prendersi cura delle anime dei borghi del Sinis venne affidata dal Vescovo al Parroco di Nurachi, sicuramente allora la Comunità più importante del territorio. Come scrive il Prof. Raimondo Zucca (docente presso l’Università di Sassari, valente archeologo e Direttore del Museo di Oristano), nella prefazione al libro di Don Gerardo “…possiamo ben ipotizzare che il Vescovo tharrense istituisse una ecclesia plebana dotata di battistero per la cura animarum delle fertili campagne del Sinis, costituendola presso una statio (una stazione di posta) della via da Cornus, sede di diocesi, a Othoca (l’odierna Santa Giusta)”.
Che la “Ecclesia Plebana” deputata a occuparsi del territorio del Sinis fosse quella di Nurachi, ha ricevuto conferma nel 1982, quando durante i lavori di restauro della Chiesa parrocchiale di Nurachi venne alla luce il fonte battesimale paleocristiano del VI secolo, ulteriore testimonianza dell’importanza avuta da questa Chiesa in passato. Questo ritrovamento, come scrive Don Pitzalis nel libro prima riportato, ha offerto un “contributo” al problema del diritto (anche attuale) del Parroco di Nurachi alla celebrazione delle funzioni religiose, in particolare quelle delle festività in onore dei Santi Giovanni e Agostino, nella Chiesa di San Giovanni di Sinis, benché oggi appartenente territorialmente a Cabras.
Cabras, però, nonostante la storia riconosca a Nurachi gli antichi diritti, non ha mai accettato questa “subordinazione” nei suoi confronti, e gli interventi cercati e qualche volta imposti dai vari arcivescovi succedutisi nella Diocesi di Oristano, non sono mai riusciti a mettere pace tra le due Comunità. Non sono stati pochi gli anni nei quali, durante le celebrazioni liturgiche della festa di San Giovanni e di quella di S. Agostino Vescovo (che prevede il trasporto in processione, a piedi, dei simulacri da Nurachi a San Giovanni e ritorno), nascessero animate zuffe, che coinvolsero anche  uomini di Chiesa.

Cari amici, come dice il proverbio “il tempo è un gran maestro”: lentamente ma inesorabilmente, depositando la sua finissima polvere su tutto e su tutti, riesce a sedimentare anche gli animi più focosi. In questi ultimi anni la celebrazione delle festività non è mai stata oggetto di dispute particolarmente calorose. Tuttavia le due Comunità ancora non si amano: sotto certi aspetti potremmo dire che, più che rispettarsi l’un l’altra, si “ignorano”; i cabraresi cercando con “nonchalance” di non accorgersi che per le festività di San Giovanni e di S. Agostino (entrambi ampiamente festeggiati in Agosto), i nurachesi sembrano ancora i padroni del “loro” territorio del Sinis, mentre i fedeli di Nurachi, ancora animati dall’antico orgoglio del passato, sembrano ignorare che quel territorio oggi non è più loro, ma appartenente ad altra comunità.

Che dire, la rivalità fa parte della natura umana, dell’istinto egoistico del predominio dell’uomo sull’altro uomo, anche se il cristiano dovrebbe sicuramente e costantemente operare per reprimerlo. Chissà che col tempo…
Grazie amici, a domani.
Mario



domenica, agosto 30, 2015

IMMIGRAZIONE DA "ESODO BLIBLICO" E MODERNO SCHIAVISMO: UNA MIRIADE DI GIOVANI E GIOVANISSIMI CHE PAGANO COL LORO CORPO IL BIGLIETTO PER L’EUROPA.



Oristano 30 Agosto 2015
Cari amici,
i giornali, ormai, tutti i santi giorni parlano di massicci arrivi di disperati, sempre più numerosi: l’Europa è la meta agognata di  centinai di migliaia, forse di milioni, di persone che fuggono dalle loro patrie per riversarsi nel ‘vecchio continente’ alla ricerca di una nuova speranza di vita. E’ sicuramente un problema difficile da affrontare, anche se, anziché mettersi tutti insieme per cercare una possibile soluzione, molti Stati continuano ad applicare la politica dello struzzo: far finta che il problema non esiste.
Ci hanno provato anche in molti ad alzare la voce, a partire da Stati come l’Italia, in quanto trovandosi in frontiera sono assaliti tutti i giorni da sbarchi sempre più giganteschi, ma molti governi del Centro e Nord Europa continuano a fare orecchie da mercante. Non importa che migliaia di persone continuino a morire in mare in cerca di un Eden che forse non esiste, ma nessuno fa nulla per cercare di fermare un’emigrazione che è un vero e proprio esodo biblico. Ovviamente, come spesso avviene, anche in migrazioni come queste c’è sempre chi disonestamente ci guadagna! Sono gli organizzatori di questi “viaggi della speranza”, moderni negrieri che, sfruttando il bisogno di speranza, lucrano sulla pelle di uomini e donne poveri, a cui nulla è rimasto all’infuori del miraggio che un altro mondo, più equo e meno infernale, possa esistere.
In questi tremendi viaggi della speranza, caricati in quei fatiscenti barconi che cercano di raggiungere l’Eden dell’Europa, risulta presente, come testimoniano i quotidiani salvataggi che vengono effettuati nel Mediterraneo, un crescente numero di giovanissimi, maschi e femmine, non accompagnati da adulti. Questi adolescenti, tecnicamente definiti “minori non accompagnati”, sono in numero sempre crescente. Considerato che il costo del “biglietto” per l’Europa va dai 2.000 ai 5.000 euro per i minorenni che partono dall’Egitto e dai 3.000 ai 4.000 euro per i ragazzini afghani (sale fino a 6.000 euro per i minori eritrei e arriva a cifre tra i 30mila e i 60mila euro per le adolescenti nigeriane), ci si chiede in che modo possano essere reperite cifre così consistenti in famiglie che conoscono solo la povertà assoluta.
Considerato quindi che nessuno dei giovani imbarcati ha a disposizione le alte cifre prima evidenziate al momento della partenza, viene di conseguenza contratto, nei confronti dei trafficanti, un debito importante da pagare. Come, direte Voi, se queste persone nulla posseggono? Come potranno ripagare queste cifre? In effetti, qualcosa che interessa i trafficanti di uomini, questi giovani la posseggono: il proprio corpo. E’ incredibile ma vero: con questa moderna tratta degli schiavi è rinato un commercio disumano, peggiore di quello dei secoli passati. Un commercio fatto di “Piccoli schiavi invisibili”, vittime giovanissime di tratta e sfruttamento. L’Organizzazione mondiale “Save the Children” ha recentemente diffuso, in occasione della Giornata Internazionale in ricordo della schiavitù e della sua abolizione, dati a dir poco agghiaccianti.
Di questi giovani definiti “minori non accompagnati” dall’inizio di quest’anno ne sono giunti in Italia quasi 10 mila. Provvisoriamente collocati nelle strutture di accoglienza, considerati gli accordi di partenza sul debito contratto, moltissimi spesso si allontanano: hanno in tasca il numero di telefono del referente italiano che si occuperà di loro ed al quale si rivolgono. Sarà lui ad utilizzarli nel modo più consono, per farli “lavorare” per la puntuale restituzione del debito. Sono svariate le forme utilizzate, che vanno dalla prostituzione ai lavori di fatica nei campi, dall’inserimento in bande specializzate in furti e borseggi, allo spaccio di droga. Questi piccoli schiavi sono sottoposti a un controllo assoluto, ricattati e minacciati fisicamente. Le denunce, però, come possiamo apprendere tutti i giorni dai giornali, sono rare. Dopo qualche anno, questi “minori non accompagnati” diventano maggiorenni ed entrano nelle strutture criminali.
Alcuni ragazzi particolarmente dotati vengono addirittura addestrati a fare gli scafisti: pilotare i gommoni che portano in Europa altri migranti;  lo scafista minorenne è una delle ultime trovate dei trafficanti. Un discorso a parte meritano i minori di sesso femminile, in particolare le ragazzine di razza nigeriana. Dall’inizio del 2015 sono giunti in Italia dalla Nigeria circa 300 minori, quasi tutti di sesso femminile. E questo dato chiarisce da solo qual è la loro destinazione. Lo sfruttamento comincia durante il viaggio: in Libia sono costrette a prostituirsi per mesi prima di poter proseguire il viaggio per l’Europa.
Una volta giunte a destinazione trovano ad attenderle donne loro connazionali, le maman, che a volte hanno vissuto lo stesso percorso e sono riuscite a liberarsi passando dalla parte degli sfruttatori. L’altissimo debito contratto per il viaggio viene ripagato in un periodo che dura non meno di tre anni, ma può arrivare fino a sette! Le giovani nigeriane non sono le sole minorenni straniere a restare vittime del racket della prostituzione. Save the Children segnala che la stessa sorte tocca anche a ragazze di 15-17 anni provenienti dalle aree più povere di Albania, Romania, Bulgaria e Moldavia.
Cari amici, che l’uomo sia uno degli animali più feroci presenti sulla faccia della terra è cosa nota, e non sono certo io il primo a dirlo! La tratta degli schiavi, che in passato fece la fortuna degli americani del Sud, si ripete ancora una volta, frutto di egoismo e prevaricazione, dove il ricco e potente fa sempre la parte del leone, quella del più forte. Non pensiamo, però, che i colpevoli sono solo quelli che materialmente mettono in atto questo barbaro sistema di annientamento dei nostri simili: in tanti siamo ugualmente colpevoli, se non atro del reato omissione. Un’Europa che evita di affrontare il problema seriamente, Stati che creano barriere per non far passare gli immigrati, uomini e strutture che sfruttano (guadagnandoci illecitamente) questi poveri derelitti, sono ugualmente colpevoli, allo stesso modo!
E’ con amarezza che termino questa mia riflessione, fermamente convinto che gli Stati con economie avanzate, se tutti uniti e concordi, avrebbero potuto evitare queste tragedie, aiutando nel modo giusto questi popoli nella loro patria, evitandone così l’esodo. Senza una seria politica di "solidarietà vera" il mondo si appresta a subire cambiamenti radicali, terribili e dall'esito difficile da prevedere! L’Europa soprattutto dovrebbe riflettere con grande attenzione: il grande malessere sociale che sconvolge il mondo va affrontato in tempo, senza ignorarlo, perché quando raggiungerà determinati livelli, diventerà assolutamente ingovernabile. Non dimentichiamoci che anche i re di Francia ignorarono a lungo il malessere che covava nel popolo e, poi, come ben sappiamo, tante teste caddero durante la Rivoluzione Francese!
Anche questo immenso esodo biblico potrebbe portare ad una nuova rivoluzione dagli effetti assolutamente imprevedibili e devastanti!
Ciao, amici, a domani.
Mario

sabato, agosto 29, 2015

INCONTRI RAVVICINATI… DI UN CERTO TIPO: LA FOCA MONACA NON HA MAI ABBANDONATO IL MEDITERRANEO E IN PARTICOLARE LE COSTE DELLA SARDEGNA. LA “SIRENA MEDITERRANEA” NON SI È ESTINTA, MA È VIVA E VEGETA!



Oristano 29 Agosto 2015
Cari amici,
In Sardegna la foca monaca è sempre stata di casa. Chiamata più confidenzialmente Bue Marino, ha dato anche il nome ad una delle famose grotte nei mari d'Ogliastra: la "grotta del bue marino", quasi a significare che quella era la sua casa prediletta. Col tempo, però, il mammifero marino, tanto odiato dai pescatori perché ritenuto un temibile avversario per la pesca, in seguito alla tremenda caccia messa in atto, diminuì costantemente di numero, fino a far pensare addirittura alla sua scomparsa. Erano gli anni Sessanta e questi mammiferi non godevano certo delle protezioni di oggi! Solo uno sparuto numero di esemplari sopravvisse, modestamente cresciuto di numero, ed oggi, nel Mediterraneo, si calcola che circolino appena 500 esemplari del mammifero, distribuiti in vasto areale che comprende la fascia africana, le coste della Grecia, del Marocco, della Mauritania, della Turchia e la Sardegna, particolarmente prediletta, in quanto posta proprio al centro del Mediterraneo.
A partire dagli anno Settanta e Ottanta in Sardegna alcuni avvistamenti sgombrarono però il campo che la Foca Monaca si fosse estinta: foto inequivocabili ne evidenziavano la presenza, anche se rara. Alla fine degli anni ’80 e fino al 2010, accertati dal Ministero dell’Ambiente ci sono stati almeno altri 80 avvistamenti nei mari sardi, non solo nella parte occidentale ogliastrina ma anche nella parte sud-ovest dell’Isola. Un recentissimo “incontro” nei nostri mari con un bell’esemplare di foca monaca è di pochi giorni fa: un navigatore solitario francese, che si trovava nelle acque antistanti Villaputzu, ha immortalato col suo cellulare il nuoto di una foca a tre miglia dalla costa.
Cari amici, ormai ne siamo certi: il tempo è passato ma…“la foca monaca è rimasta”! L’animale sembra quasi affezionato all'Isola ed alle sue grotte! La sua storia in casa nostra, nata in tempi lontani, è davvero ricca di suggestione. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, precisamente il 29 Dicembre del 1951, il giornale nazionale “Il Tempo”, titolò con grande enfasi “Ci sono le foche in Sardegna”! Non solo alla notizia arrivarono nell’Isola giornalisti e fotografi importanti, che documentarono la notizia in modo inequivocabile: nella nostra costa orientale la foca monaca c’era, e la certezza la si ebbe con la cattura di un esemplare! Un cucciolo di foca monaca fu catturato proprio nella grotta di Cala Gonone.
La notizia fece il giro del mondo e l’esemplare, dopo essere stato immortalato dal grande fotografo Federico Patellani nella spiaggia insieme a delle belle ragazze sarde in costume, fu portato a Roma. Dopo aver nuotato (super fotografato) nella Fontana di Trevi, fini allo zoo. Dal 1982 al 1994 gli avvistamenti si ripeterono: avvennero, però, sopratutto nella parte sud dell’Isola; nel mare che bagna il golfo di Cagliari, sotto le scogliere calcaree tra Marina Piccola e Capo Sant’Elia, nella zona di Carloforte, nei pressi della Grotta delle Oche (era Marzo del 1992). La nostra “Sirena Mediterranea”, però, continuava a non trascurare le visite in Ogliastra: nell’Agosto del 1989 due esemplari furono fotografati da una guardia ecologica del Comune di Baunei.

Amici miei, la bella storia del Bue marino nei nostri mari, dunque, ha ancora belle pagine da scrivere: gli incontri, sempre più ravvicinati, continuano e riserveranno ancora delle splendide sorprese. Scusate se mi ripeto, ma credo che l’unicità della Sardegna, fatta di mari incontaminati, di spiagge bellissime, di luoghi che evidenziano una storia millenaria a partire dalla civiltà nuragica, sia qualcosa che ha un valore inestimabile! Se sapessimo davvero valorizzare questo immenso patrimonio, fisico e culturale insieme, forse potremmo finalmente uscire dal nostro atavico isolamento, calamitando nella nostra terra risorse finora rimaste nell’ombra; non parlo solo di turismo, ma di agricoltura biologica, di pesca, di industrie sane (in particolare quelle alimentari), di artigianato e quant’altro.
La difesa e la valorizzazione del nostro patrimonio, pensiamoci seriamente, non spetta ad altri, ma solo a noi sardi, che dovremmo fare di tutto per mettere in rilievo il valore della nostra isola e farla competere, ad armi pari, con gli altri.
Grazie dell’attenzione, a domani.
Mario

venerdì, agosto 28, 2015

SARDEGNA: L’ISOLA DELLA LONGEVITÀ! NON C’È SOLO L’OGLIASTRA (PERDAS DE FOGU E VILLAGRANDE) MA ANCHE LA COSTA SUD OCCIDENTALE (TEULADA) È UN’ALTRA “BLUE ZONE”!



Oristano 28 Agosto 2015
Cari amici,
se ancora ci fossero dubbi o remore sulla salubrità dell’Isola, con l’assoluto primato della longevità certificato dal “Guinnes World Record” (assegnato più volte alla famiglia Melis di Perdasdefogu), la Sardegna risulta a tutti gli effetti uno dei luoghi più adatti per vivere a lungo! Un luogo magico, dove trascorrere una vita felice, semplice, non inquinata dal fracasso moderno: insomma un’oasi felice, una “Blue Zone”, dove la vita si allunga e si diventa centenari.  I fattori per raggiungere questi traguardi sono molteplici, come afferma con competenza il Dottor Roberto Pili, Presidente di una Comunità speciale, quasi unica al mondo, chiamata “Comunità Mondiale della Longevità”
Questo particolare “Elisir di lunga vita” made in Sardegna, come sostiene il Dr. Pili, intervistato sui motivi del vivere così a lungo nella nostra Isola, “è costituito per il 30% dalla genetica, per il 70 dall’ambiente, dall’aria e dal mangiare i cibi del territorio". Sardegna, dunque, avìta patria di centenari. Ce ne sono più di 20 ogni centomila abitanti, il doppio rispetto alla media mondiale. In Ogliastra, ed in particolare a Villagrande, gli anziani in salute, con oltre 100 candeline all'attivo, sono molto numerosi. Ma non è solo l’Ogliastra il luogo sardo ideale. Ultimamente i ricercatori hanno individuato un’altra Blue zone, una splendida località di mare della costa sud occidentale della Sardegna: Teulada. Ad accertare e verificare questo nuovo sito, questo nuovo paradiso, è sempre il medico dottor Roberto Pili, che, con il suo gruppo di Medicina Sociale, ha studiato e monitorato a lungo la popolazione.
“Abbiamo rilevato una percentuale altissima di vecchi che in parte superano anche il secolo ed hanno un grado di resistenza al tempo notevolmente superiore alla media - spiega lo studioso - Su circa 3200 abitanti si contano ben 5 centenari e molti over 80. Il numero delle patologie e la loro gravità risultano inferiori alla media, mentre la fragilità – ovvero la propensione dell’anziano a precipitare nella malattia alla prima occasione critica – è notevolmente ridotta. Anche le condizioni psico-dinamiche sono eccezionali. Infatti nessuno dei centenari risulta afflitto da demenza, quando la percentuale è normalmente del 50%”. Se l’Ogliastra è dunque al top nella longevità maschile, Teulada eccelle nella longevità tout court.
Nel mondo poche altre realtà possono vantare lo stesso primato: Okinawa in Giappone e qualche zona della Grecia e del Costarica. Chiacchierando con il Dr. Pili, si apprende che alcune delle motivazioni che accreditano la nostra isola come terra di centenari, possono essere attribuite ad un particolare patrimonio genetico, selezionatosi in enclave come l’Ogliastra dove le popolazioni sono rimaste a lungo abbastanza isolate; poi, certamente a positivi fattori ambientali, come alimentazione sana e aria pulita, ma anche per particolari elementi di tipo psicologico, come ad esempio la mancanza di stress e una vita “comunitaria” attiva e partecipativa, anche in età molto avanzata. “Molto importante – dice il Dr. Pili – è il vivere in Comunità, dove gli anziani vengono ancora considerati una risorsa e difficilmente finiscono emarginati”. Lo stato d’animo dell’anziano risulta, infatti, determinante per raggiungere un valido benessere psicofisico.
Insomma la isultante, cari amici, è che chi è allegro e sereno campa di più! A questo proposito è necessario aggiungere agli altri un parametro importante che, spesso, si sottovaluta: la religiosità. In età avanzata, quando si è vicini al “traguardo finale”, il bisogno di spiritualità aumenta considerevolmente. Nessuno vorrebbe lasciare questo mondo senza la “speranza” di un’altra vita, e la fede in Dio è sicuramente un buon viatico. 
Le grandi famiglie sarde che detengono il record della longevità (in primis la famiglia ogliastrina dei Melis), sono state a lungo analizzate da esperti, medici e ricercatori di tutto il mondo, anche se gli studi locali risultano all’avanguardia. Il Dr. Roberto Pili, insieme alla sua equipe che costituisce la “Comunità Mondiale della Longevità”, ha creato la “Scuola dell’invecchiamento attivo”, che cerca di insegnare come invecchiare bene. E' un'iniziativa rivoluzionaria, che al momento risulta unica al mondo. “Siamo i primi che oltre a far ricerca si son fatti carico di utilizzare le conoscenze per soddisfare i bisogni psico-sociali – afferma lo studioso - Altri nel mondo hanno mezzi più potenti per l'indagine scientifica - anche se non temiamo il confronto - ma nessuno fa quello che facciamo noi”.

Gli studiosi degli Stati Uniti hanno focalizzato la loro attenzione sopratutto sulla famiglia Melis di Perdasdefogu in Ogliastra. Questo ceppo familiare detiene un record difficilmente eguagliabile: con la signora Claudina di 102 anni e gli 8 fratelli tutti ultranovantenni, sono in possesso di un capitale umano di 745 anni e 210 giorni! E’ un peccato che sia mancata di recente Consolata, che ad agosto avrebbe compiuto 108 anni, mentre un’altra sorella, Maria, è morta qualche mese fa a 99 anni. Resta, comunque, il nucleo famigliare più longevo del mondo, premiato di recente col terzo Guinnes World Records.
Cari amici, ma cosa serve allora per invecchiare bene? La formula dell’elisir di lunga vita è intrisa di buone abitudini e semplici caratteristiche di vita. Oltre ad avere un patrimonio genetico robusto occorre vivere senza troppi patemi d’animo: accettando senza troppo stress anche le avversità. Inoltre è necessario vivere un rapporto privilegiato con l’ambiente: è importantissimo quello che si mangia, che dev’essere in armonia con l’habitat e il proprio metabolismo. “Basti pensare – dice il dottor Pili – che noi abbiamo 40 miliardi di cellule ma anche 75 mld di batteri nell’intestino (quasi il doppio), espressione del nostro ambiente. Questi batteri che contribuiscono al metabolismo individuale si sono strutturati attraverso i millenni a confrontarsi con gli alimenti del territorio. E quanto più mangi cibi del tuo territorio tanto più sei coerente con le esigenze del tuo corpo. Come dire che metti nel motore la benzina per cui è tarato, metterne di altro tipo significa logorarlo prima”.
In definitiva, l'elisir di lunga vita ha una formula davvero semplice, più semplice di quanto a volte si pensi.  E’ la modernità eccessiva (leggi globalizzazione), lo stress, che, spesso, ci hanno portato fuori strada…e, di conseguenza, in anticipo fuori da questo mondo!
Grazie, amici, a domani.
Mario