domenica, ottobre 31, 2021

ROMA CAPITALE E GLI STRANI AFFITTI DEI SUOI IMMOBILI (ALCUNI DA 13,00 EURO IN PIAZZA NAVONA). ALCUNE DELLE CURIOSE STORIE (ANCHE IN ODORE DI MAFIA) CHE GUALTIERI DOVRÀ AFFRONTARE…

Campidoglio 

Oristano 31 ottobre 2021

Cari amici,

Chiudo i post di ottobre parlando di cattiva amministrazione. Non è certo un argomento nuovo, ma quello che succede a Roma e che sto per raccontare, merita di essere fatto conoscere. IComune di Roma di immobili da dare in locazione, in specie alle categorie meno abbienti,  ne ha una bella serie, se pensiamo che la cifra rimasta da incassare dai canoni di locazione è calcolata in oltre 1 miliardo di euro! Un tesoretto consistente ma solo apparente, in quanto questo miliardo di euro è il “monte dei crediti” che l’Amministrazione capitolina vanta nei confronti di persone che non pagano o non hanno mai pagato nulla,  seppure occupino legittimamente un alloggio comunale. Un vero peccato, considerato che di questo miliardo ben 481milioni sono già stati considerati non più esigibili.

Col trascorrere del tempo, come ben sappiamo, i crediti da riscuotere diventano sempre più problematici, e ormai l’Amministrazione comunale ha perso le speranze, tanto che non prova nemmeno a riscuoterli. Vengono considerati “irrecuperabili”, in quanto i primi atti interruttivi della prescrizione sono stati inviati solo a febbraio 2011, perché in precedenza nessuno aveva fatto nulla per mettere in sicurezza i crediti non riscossi. Pensate che certe posizioni possono essere definite mostruose, trattandosi di inquilini morosi per cifre importanti, una addirittura per 237mila euro. E sapete qual è la cosa più riprovevole? Che in gran parte non si tratta di persone indigenti, visto che in un caso fra i tanti un inquilino moroso dichiarava un reddito annuo di 98mila euro! I casi sono tanti, ma uno che racconto può far riflettere molto.

Via S. Giovanni in Laterano

In un alloggio posto in zona pregiata, quella di San Giovanni in Laterano, abita una signora che, con un nome di fantasia chiameremo Giulia. Questa signora Rosa, benestante, in quanto con redditi pari a 68mila euro l’anno, è da più di trent’anni che d’iniziativa ha deciso di non pagare più l’affitto all’Amministrazione comunale. Entrò nell’appartamento nel 1978, subentrando ad una zia a cui era stato assegnato l’alloggio. Da allora il debito, di rata in rata, è cresciuto fino ad arrivare a sfiorare i 100 mila euro. Interpellata sul motivo del mancato pagamento alle casse del Comune ha dichiarato: «Perché non pago? Qui tutti i lavori di ristrutturazione li ho dovuti fare di tasca mia. Dai pavimenti agli infissi, dalle porte, a tutto il resto. L’Ater (l’Azienda territoriale per l'edilizia residenziale pubblica della provincia di Roma), non è mai venuta nemmeno quando è crollato il soffitto sulla testa di mia figlia piccola, per cui non pago».

Piazza Navona

Anche tanti altri morosi sono sulla stessa lunghezza d’onda. Il mantra è sempre il solito, lo raccontano tutti gli inquilini morosi: «Poiché il Comune non fa manutenzione ci arroghiamo il diritto di non versargli un euro». Nell’anagrafe degli inquilini si scoprono cose incredibili. Come il signor MDL titolare di alberghi a Capri e in Val D’Aosta, ma assegnatario di un alloggio popolare a Roma così come GA noto proprietario di una catena di supermercati che nonostante le sue ville sparse tra Palermo e Trapani ha avuto bisogno di una casa popolare nella capitale. Poi ci sono quelli che pur abitando in zone assolutamente centrali come Piazza Navona, il Lungotevere, i Fori Imperiali, etc. hanno la fortuna di un affitto concordato a pochi euro.

Via del Gonfalone

In via del Gonfalone, a pochi metri da Castel Sant’Angelo il signor Agostino paga 42 euro al mese per un bilocale. Era il badante della vecchia assegnataria e dopo la sua morte ha preso il suo posto. Si schermisce, sminuisce il valore immobiliare della zona. «Ma no, questa è una brutta zona, ormai interdetta ai più. Lo stesso appartamento era un fienile, se lo vede carino è perché l’ho sistemato io nel tempo». Per un monolocale a 50 metri da casa sua, sempre al piano terra, un’agenzia immobiliare chiede 900 euro al mese. E mentre parliamo è un via vai di turisti con il trolley. «Non ho paura dello sfratto, ho 75 anni, qui abito da una vita e potrei anche avere patologie che impediscono di mandarmi via».

Cari amici, quelli segnalati sono solo degli esempi, in quanto i casi reali sono centinaia, forse migliaia, che fanno rabbia soprattutto a chi da tanto tempo avrebbe davvero diritto ad una casa  (sono 13.500 quelli in lista d’attesa per un alloggio pubblico) per le condizioni economiche. Il problema ancora più serio è che nei grovigli di una simile situazione, si è inserita la criminalità organizzata. Secondo gli inquirenti e le forze dell’ordine ci sono interi quartieri come San Basilio e Acilia dove i clan (per lo più Spada, Bevilacqua e Moccia) organizzano le «assegnazioni» degli alloggi popolari per gestire al meglio il traffico e lo spaccio di droga. Anche quello degli “strani affitti” a Roma, è un serio problema che Roberto Gualtieri, neo sindaco di Roma, dovrà affrontare.

A domani.

Mario

 

sabato, ottobre 30, 2021

DALLE CATENE DI MONTAGGIO DEL FORDISMO ALLE ATTUALI “CATENE DI SMONTAGGIO”. LA NUOVA VITA DELLE AUTO ROTTAMATE.


Oristano 30 ottobre 2021

Cari amici,

Il detto “Nulla si crea nulla si distrugge, tutto si trasforma”, ha scavalcato i secoli, essendo ormai entrato da tempo nel gergo comune. Oggi, però, ci accorgiamo che esso riveste un significato ancora più forte e importante di quello di ieri. Il detto fu coniato da Antoine-Laurent Lavoisier, un chimico francese nato a Parigi nel 1763 da una famiglia agiata. A soli 25 anni entrò all’Accademia delle Scienze, grazie alla pubblicazione di un suo progetto innovativo che riguardava l’illuminazione stradale. Seppure impegnato in altre attività (fu anche esattore delle imposte) non abbandonò mai i suoi studi, per l’epoca tecnologicamente avanzati.

Si, amici, oggi ci rendiamo sempre più conto che, dopo aver vissuto l’era dello spreco delle risorse, quella terrificante dell’usa e getta”, siamo riusciti, finalmente, a comprendere che stiamo sempre più “consumando le risorse del pianeta”, mentre tanto si potrebbe risparmiare con il recupero, con il riciclo. È tempo, ormai, che la gran parte delle macchine di ogni tipo (dalle auto ai frigoriferi, dalle lavatrici ai numerosi altri elettrodomestici), che fanno ormai parte irrinunciabile della nostra vita, non siano più gettate a marcire in discarica, oppure portate dagli sfasciacarrozze che effettuano un riciclo inappropriato.

Prendiamo ad esempio una delle nostre vecchie automobili che, una volta esaurito il servizio, debba essere collocata a riposo. Essa è uno scrigno di materie prime importanti: acciaio, alluminio, un chilometro di cavi in rame, platino, plastica, gomma, fibra di carbonio; insomma è ancora una miniera di materiali utilizzabili. Se facciamo un po’ di calcoli (ogni anno si producono circa 100 milioni di veicoli), considerato che le auto pesano tra i 1.000 e i 2.500 kg, a seconda dei modelli, ci rendiamo conto che ogni anno vengono utilizzati circa 200 milioni di tonnellate di materiali, per le nostre quattro ruote! Materiali che, in un futuro prossimo, non dovrebbero andare persi, ma, invece, riciclati.

Si, amici, ho detto “un futuro prossimo”, perché attualmente le auto scontano un peccato originale sotto il profilo progettuale! Non sono state assemblate, infatti, per essere riciclate. La conseguenza è il cosiddetto “down-cycling”, ovvero il semplice riciclaggio di un ottimo materiale in un altro di qualità inferiore. Oggi, a parte i paraurti in plastica, nella maggior parte dei Paesi del mondo le auto dismesse finiscono dallo sfasciacarrozze, che, in buona sostanza, prima le schiaccia e poi le fonde per ottenere una lega metallica di basso valore, adatta, nella migliore delle ipotesi, per fare le panchine dei parchi.

Questo prezioso materiale, invece, potrebbe tornare utilissimo, tanto che negli ultimi anni l’intera industria dell’auto si è prodotta in uno sforzo formidabile per riciclare per bene; sforzo che ha coinvolto tutta la filiera della componentistica e la progettazione stessa dei nuovi modelli, nell’intento di fabbricare automobili con un numero crescente di parti realmente riciclabili. Questo miglioramento ha visto, tra le altre cose, l’utilizzo crescente delle colle e degli incastri per combinare i vari pezzi tra di loro, al posto delle viti o delle giunzioni che ostacolano, poi, un processo di disassemblaggio efficiente. Ma questo processo è solo all’inizio.

Il vero salto di qualità e di efficacia, si concretizzerà con l’”up-cycling” delle automobili del futuro, che, grazie ad una innovativa rivoluzione progettuale, diventeranno  smontabili e riciclabili al 100 per cento. Questa rivoluzione sta già avvenendo e, con tempismo, sfrutta la nuova traiettoria industriale di portata storica, rappresentata dall’auto elettrica, un tipo di auto che ha semplificato enormemente l’automobile, operando in due direzioni. Quella del numero di componenti di cui è fatta una macchina, che si riduce drasticamente e quella della numerosità e complessità delle giunzioni tra i vari pezzi, che diminuisce grandemente. In entrambi i casi la ragione è la stessa: la scomparsa del motore a scoppio e, con esso, l’eliminazione dell’albero di trasmissione, del gruppo cambi, e così via.

Nel millennio che stiamo attraversando, il futuro industriale sarà ben diverso da quello dei primi del Novecento, che vide l’avvio della catena di montaggio di Fordiana memoria, in quanto alla catena di montaggio si affiancherà la catena di smontaggio. La Audi, per esempio, ha da poco avviato un progetto con il Karlsruhe Institute of Technology per recuperare i componenti plastici attraverso il riciclo chimico (pirolisi). Gli studi in corso prevedono che già nel 2030, il mercato delle batterie al litio di seconda mano, che potranno essere estratte dalle vecchie auto elettriche, varrà circa 2 miliardi di euro l’anno nella sola Europa.

La Michelin ha da poco avviato una collaborazione con Carbios, una società specializzata nella depolimerizzazione del Pet, che ha la capacità di riottenere il monomero vergine a partire dalle bottiglie di Pet usate. Attualmente i produttori di pneumatici utilizzano quasi un milione di tonnellate di Pet vergine all’anno, mentre in futuro gran parte di questo Pet potrà essere ricavato dalle bottiglie di plastica usate. Anche questo è up-cycling. Il futuro industriale ed economico dell’automobile si raddoppia e si espande, e sarà tanto centrato sulle nuove catene di montaggio che le macchine elettriche esigono, quanto sulle catene di smontaggio che vi conseguiranno.

Soybean Car

Amici, chiudo con un aneddoto. Si racconta che il vecchio Henry Ford, nei suoi ultimi anni di vita, stesse lavorando al progetto di un grande stabilimento di smontaggio delle vecchie automobili per recuperarne i materiali. È il passato che ritorna, anche se, forse, è soltanto una leggenda. Ma sicuramente c’è un fondo di verità, perché stiamo parlando dello stesso uomo che nel 1941 presentò la Soybean Car, Un prototipo di automobile fatto di 14 pannelli di materiale plastico (ottenuto dai semi di soia e di canapa) appoggiati su dei tubolari di acciaio, del peso di mille libbre invece che le duemila che caratterizzavano le macchine dell’epoca. Dunque la leggenda, come tutte le leggende, forse ha un fondo di verità.

A domani, cari lettori.

Mario

venerdì, ottobre 29, 2021

COME CAMBIA IL MONDO: IN FUTURO LE NOSTRE ABITAZIONI SARANNO IN GRADO DI AUTO-PRODURRE CIBO E ACQUA, SEMPIFICANDO LA VITA E SALVAGUARDANDO IL PIANETA. UTOPIA? FORSE NO.



Oristano 29 ottobre 2021

Cari amici,

Che il mondo col passare del tempo, secolo dopo secolo,  continui a subire una costante evoluzione lo sappiamo tutti. Se parliamo di sistema abitativo, siamo passati dalle grotte alle capanne, dalle case in mattoni crudi ai grattacieli in cemento armato, spostandoci dai villaggi alle città. Ebbene, dopo che la grande necessità immobiliare ha sottratto milioni di ettari di terra agli usi agricoli, avvelenando non poco la natura e stravolgendo i cicli naturali millenari, anche per il settore abitativo, in futuro si prevedono cambiamenti straordinariamente innovativi.

Chi avrebbe mai pensato, per esempio, che si sarebbero potute costruire abitazioni capaci di auto-produrre cibo e acqua, semplificandoci la vita e salvaguardando davvero il pianeta? Eppure, a quanto pare, questa sarà una via percorribile in futuro! Su questa direzione sembra camminare uno studio olandese di architettura, il “V8 Architects”, che ha presentato in anteprima mondiale all'Expo di Dubai una avveniristica struttura che, seppure può essere chiamata casa, è allo stesso tempo anche orto, un raccoglitore d'acqua piovana con un grande filtro per renderla potabile e dunque da usare per l’alimentazione.

Indubbiamente solo l’idea di una abitazione di questo tipo appare davvero utopistica, se pensiamo che mai nessuno studio di architettura ha pensato di costruirne una similare, capace di essere, oltre che abitazione, molte altre cose insieme! Insomma, una casa che potrebbe essere definita una vera e propria "chimera" per tutti gli architetti del mondo, ovvero  qualcosa di così difficile da realizzare da essere praticamente irraggiungibile. Eppure, oggi, lo studio “V8 Architects”, composto da un gruppo di architetti olandesi, ha cercato di far quadrare il cerchio.

Si, amici, lo studio © V8 Architects, ha presentato, per la prima volta, all'Expo 2020 di Dubai questo progetto straordinario, che si candida a risolvere moltissimi problemi dei Paesi meno industrializzati, raggiungendo in questo modo una inaspettata notorietà internazionale. L'idea, in realtà, non è solo spettacolare e funzionale, è molto di più! Quella progettata è una struttura che potrebbe contribuire in modo significativo ad aiutare i Paesi in via di sviluppo e le popolazioni più povere della Terra, soprattutto quelle che combattono ogni anno con la siccità e le carestie.

L'opera di questi architetti è stata allocata nella parte dell'Expo dedicata alla sostenibilità, nel padiglione olandese "Biotope", e i molti visitatori hanno potuto rendersi conto che il manufatto presentava un curioso sistema integrato complesso, che comprendeva produzione di acqua, di energia e di cibo. Un'idea davvero straordinaria, se pensiamo che questo modulo abitativo è in grado di funzionare anche nel deserto, dove, infatti, è stato testato. I numerosi curiosi hanno così potuto prendere visione di soluzioni davvero avveniristiche.

La particolare forma del tetto, per esempio, consente di accumulare l'umidità presente nell'aria nelle aree desertiche o semi-desertiche, soprattutto la notte, e la incanala lungo una grande superficie riuscendo a irrigare una serie di piante presenti sul tetto. Ogni pianta selezionata in questo modo è in grado di fornire agli abitanti della casa frutta, spezie e verdura. Questo "cono alimentare", com'è stata ribattezzato, è alto ben 18 metri e ricrea un microclima in cui le piante collaborano l'una con l'altra, nel senso che sono disposte nel modo migliore possibile perché l'una non intralci la crescita e la produzione dell'altra ma anzi la agevoli, in un mutuo, reciproco scambio.

Amici, un progetto che appare davvero straordinario, se pensiamo che l'efficienza della casa ideata dallo studio olandese consente a chi la abita economia e risparmio, anche energetico. C’è da considerare, infatti, che essendo il tetto così alto e a campana, ciò, oltre a creare le condizioni per la raccolta dell'acqua e la crescita delle piante che ricoprono il cono, riesce anche a mantenere una temperatura ideale all'interno dell'abitazione anche nelle ore più calde.

Cari amici, c’è anche da dire che il super innovativo progetto, non è solo frutto dell’inventiva di V8 Architects, in quanto la casa-cono combina  delle efficaci soluzioni inventate dai diversi designer e aziende tecnologiche olandesi. Il sistema di raccolta dell'acqua, per esempio, è prodotto dall'azienda Sun-Glacier e funziona provocando la condensazione su una piastra metallica raffreddata, creando una serie di gocce d'acqua che poi cadono nella conduttura dell'irrigazione. Insomma, amici, il risultato è frutto di un gran bel lavoro di gruppo!

Che dite, amici, potremmo, in futuro, anche noi, Paesi industrializzati, abbandonare piano piano le città per ri-trasferirci in campagna, rientrando in abitazioni di questo tipo? Chissà! Per ora, però, resta solo un sogno…

A domani.

Mario

giovedì, ottobre 28, 2021

LA INARRESTABILE DISTRUZIONE DELL’AMBIENTE DA PARTE DELL’UOMO HA APERTO LE PORTE AD UNA NUOVA FORMA DI DISAGIO PSICOLOGICO, DEFINITO “SOLASTALGIA”.


Oristano 28 ottobre 2021

Cari amici,

L’ambiente, quello naturale, quello che l’uomo per secoli ha utilizzato in modo corretto rispettando i cicli naturali, senza apportare violenza di alcun genere alla natura, purtroppo, lentamente ma inesorabilmente, da tempo sta cambiando. L’uomo non si è accontentato di utilizzare il mondo così com’era, ovvero governato da leggi naturali perfette, ma ha cercato di piegarlo a proprio piacimento, trasformandolo sempre più in modo negativo, a causa dell’inquinamento, del caos climatico o del sovrasfruttamento delle risorse. Trasformazioni sempre più folli, che in realtà stanno compromettendo seriamente la stessa vita dell’uomo sulla terra.

Tutto ciò viene percepito in larga misura anche dagli abitanti del pianeta, che vivono queste trasformazioni in modo negativo, con tanta ansia e particolare disagio emotivo, constatando con i propri occhi il costante peggioramento dell’ambiente familiare circostante, quello nel quale siamo cresciuti. Fu Celentano, negli anni Sessanta del secolo scorso a diffondere con una sua canzone (Il ragazzo della Via Gluck) questo disagio, evidenziando il forte trauma psicologico provato per le innumerevoli trasformazioni edilizie dell’epoca. E quello era solo l’inizio.

Da allora le cose, come ben sappiamo, sono peggiorate e una ventina d’anni fa il filosofo australiano Glenn Albrecht coniò un neologismo, per descrivere il forte disagio causato dai cambiamenti negativi che si verificano nell’ambiente: “SOLASTALGIA”. Il nuovo termine risulta costituito dalla parola latina solacium (conforto) con il suffisso algia (dolore, in greco). La Solastalgia, ha scritto Albrecht (che ha creato il neologismo quando studiava gli effetti dell’estrazione del carbone sugli abitanti della Upper Hunter valley, in Australia), «È un tipo di nostalgia di casa o malinconia che si prova quando si è a casa e l’ambiente sta cambiando intorno a noi in modi che riteniamo profondamente negativi».

Albrecht, in realtà, ha evidenziato quanto sia grande l’ansia, l’irrequietezza, la depressione, la disperazione che ci coglie, a causa delle drastiche trasformazioni dell’ambiente dove siamo nati e cresciuti. Provare Solastalgia equivale a provare nostalgia di casa pur essendo a casa, un cortocircuito emotivo che interferisce con il senso di identità, di appartenenza e di sicurezza. Trasformazioni sempre più massive, con città sovraffollate e inquinate, con cambiamenti ambientali terribili in ogni angolo del pianeta, che hanno sconvolto il vivere diventato alienante; la Solastalgia, ormai, è diventata una costante che accomuna molte persone e comunità.

Secondo il filosofo australiano la Solastalgia è in grado di generare stati d’animo simili a quelli provati dalle persone deportate dalla propria terra. “Gli aborigeni australiani, i Navajo e qualsiasi popolazione indigena hanno provato questo senso di dolore e disorientamento dopo essere stati sfollati dalla loro terra”, ha affermato Albrecht, il quale ha scoperto che questa “patologia del luogo” non si limita ai nativi; gli abitanti della Upper Hunter valley erano infatti ansiosi, irrequieti, disperati, depressi, proprio come se fossero stati rimossi con la forza dalla valle, ma non era successo, era la valle ad essere cambiata intorno a loro!

La Solastalgia, amici, è dunque il “frutto avvelenato” del tempo che viviamo, l’Antropocene, caratterizzato dall’enorme impatto dell’uomo sul pianeta e dai cambiamenti climatici, che di questo irresponsabile impatto sono la prima conseguenza. I mutamenti del clima, infatti, non stanno alterando solo l’ambiente fisico in cui viviamo, ma hanno anche conseguenze concrete sulla nostra salute mentale. Fenomeni climatici estremi, come tempeste, alluvioni o ondate di caldo, possono causare e intensificare lo stress e l’ansia e possono portare a depressione e rabbia.

I sintomi della Solastalgia possono essere sia a breve che a lungo termine, acuti e cronici, evidenziando lo stretto rapporto tra salute dell’ecosistema e salute umana. Includono sentimenti di dolore, nostalgia, stress, alienazione, depressione, ansia, senso di perdita, disturbi del sonno, pulsioni suicide e aumento dell’aggressività e possono essere spesso duraturi. Il disagio cronico può indebolire il sistema immunitario, rendendo le persone più vulnerabili a numerosi disturbi fisici. La Solastalgia complica inoltre le relazioni interpersonali minando la coesione dei nuclei familiari e delle comunità. La propria casa e il proprio ambiente sono il fulcro delle relazioni sociali e se vengono danneggiati anche queste ultime tendono a risentirne.

Cari amici,  teniamo presente, però, che per quanto difficile una cura c’è; lo ha dichiarato sempre il filosofo Albrecht, che ha coniato anche la parola che ci dovrà accompagnare per guarire dalla Solastalgia: il termine è “SIMBIOCENE”, che descrive l’era futura in cui l’uomo tornerà in simbiosi con la natura, che, ripristinata, darà di nuovo all’uomo quelle emozioni positive che oggi mancano. Ci chiediamo, allora, “Quando l’umanità potrà percorrere questa “Nuova Era”, capace di ripristinare la perduta simbiosi dell’uomo con la natura”? La risposta non è facile. È difficile prevedere non solo il QUANDO ma anche il SE potremo viverla!

A domani.

Mario

mercoledì, ottobre 27, 2021

GLI ARCHITETTI DI DOMANI? SARANNO COSTRUTTORI DI FUTURO. AVRANNO LA RESPONSABILITÀ DI CONIUGARE IL RISPETTO DELLA NATURA CON L’AMBIENTE ABITATIVO. IL FILM “THE IMPORTANCE OF BEING AN ARCHITECT”, NE EVIDENZIA LA MISSSIONE.


Oristano 27 ottobre 2021

Cari amici,

Domani, più di oggi, la professione di architetto avrà compiti di grande responsabilità, sia ecologica che ambientale, tanto che potranno essere definiti “Costruttori di futuro”. Quanto sarà importante l’architettura di domani, lo ha evidenziato di recente un film proiettato alla nona edizione del Milano Design Film Festival, “The Importance of Being an Architect”, presentato in anteprima mondiale, a partire dal 21 ottobre 2021. Il film, presentato dallo studio di architettura e interior design ACPV, degli architetti Antonio Citterio e Patricia Viel, è prodotto da MyBossWas (degli autori Giorgio Ferrero e Federico Biasin), è un mediometraggio che indaga sulla responsabilità futura degli architetti nella costruzione dell’edilizia abitativa di domani. 

Si, amici, l'importanza che rivestirà l'architettura nella società di domani sarà sempre maggiore, in quanto gli architetti avranno un compito immane: trovare un “accettabile armistizio tra la natura e il suo ambiente naturale con l’ambiente costruito”. Questo concetto fondamentale esprime appieno la visione di Antonio Citterio, uno dei designer italiani più noti a livello mondiale, e di Patricia Viel, entrambi co-fondatori dello studio ACPV; per loro il futuro ruolo che avranno l’architettura ed il design nei prossimi decenni, sarà quello di osservare e tener conto delle  sempre più pressanti necessità ecologiche, ormai assolutamente impossibili da ignorare.

Il film mette lucidamente in evidenza questa inderogabile, urgente necessità. Il mediometraggio, in quattro atti, evidenzia in modo chiaro e senza sconti,  attraverso dialoghi con personalità di moda, arte, design, cultura e lifestyle, quali potranno essere le possibili, necessarie soluzioni, accompagnando lo spettatore tra gli elementi del metodo progettuale, dall’analisi dei dati all’innovazione tecnologica, fino al viaggio finale, considerato il motore primario dell’ispirazione.

Al centro del primo atto si indaga, assieme ad ospiti come Anna Zegna, Massimo De Carlo, Francesco Bonami, Rolf Fehlbaum, l’intesa tra natura e architettura, ponendo l’attenzione sulla responsabilità sociale che questa disciplina incarna nel mondo contemporaneo. Nella seconda parte del film, l’ex direttore del Design Museum di Londra, Deyan Sudjic, racconta il percorso di Antonio Citterio, designer e architetto, iniziato nel boom creativo della Milano degli anni ‘80. Nel terzo atto, le porte dello studio ACPV si aprono offrendo uno sguardo su una gestione olistica e multidisciplinare della complessità progettuale odierna.

Il film si chiude con il ricordo dei grandi maestri di Antonio Citterio e Patricia Viel, incontrati lungo i viaggi di una vita ma soprattutto con la consapevolezza di come oggi la responsabilità dell’architettura sia cambiata, ormai chiamata a rispondere ai mutamenti della società e alle sfide della globalizzazione. “The Importance of Being an Architect”, dopo la premiere in Triennale, sarà al teatro Franco Parenti di Milano fino al 24 ottobre 2021, per poi essere distribuito a livello internazionale da Nexo Digital attraverso piattaforme dedicate al cinema e all’arte, oltre che proiettato nel circuito dei festival di architettura e di arthouse films.

Amici, il ruolo che riveste l'architettura nella vita delle persone e nella vita della società, risulta sempre più importante. Il documentario offre una visione sull'universo in cui si  muovono gli architetti: fatto di ispirazione e creazione ma soprattutto di studio, raccolta di dati, coscienza di una responsabilità sempre più pressante. Perché - sono Antonio Citterio e Patricia Viel che lo affermano senza incertezze - la professione ha un ruolo chiave da giocare in un futuro segnato dall'espansione demografica e dalla crisi climatica.

“La mia vita è sempre stata un viaggio attraverso luoghi, idee ed esperienze, quali fonte continua di ispirazione: questo film ripercorre tali momenti, tracciando le linee della mia visione per il futuro”, ha spiegato Antonio Citterio. “Nel 2020, ho festeggiato 70 anni di età, 50 anni di carriera e 20 anni dello studio fondato con Patricia Viel. Questo documentario mi ha permesso di soffermarmi sui momenti più importanti del mio percorso come architetto e designer”.

“Con questo film, abbiamo voluto proporre una riflessione sul ruolo che la figura dell'architetto e l'architettura hanno e avranno nella società contemporanea e futura”, sostiene Patricia Viel.Lo abbiamo fatto attraverso una serie di dialoghi con personaggi del mondo dell'arte, moda, cultura e lifestyle, che hanno condiviso una parte di storia con noi. L'architettura si introduce sinuosa, mai invasiva, risuonando nelle note dei musicisti che animano i quattro atti del film”.

Cari amici, il mondo, dopo essere stato ampiamente violentato e vilipeso, ha necessità di ritrovare il giusto equilibrio, se vorremmo davvero lasciarlo vivibile alle nuove generazioni. Tutti dobbiamo fare il possibile, andando nella stessa direzione: gli architetti hanno già deciso di fare la loro parte!

A domani.

Mario

martedì, ottobre 26, 2021

BAULADU: IL PAESE CHE STA RIPRISTINANDO NELL’ABITATO I VECCHI PERGOLATI. UN MODO DI VIVERE IL PRESENTE ATTINGENDO DAL SUO PASSATO.


Oristano 26 ottobre 2021

Cari amici,

molti di Voi sanno che sono di Bauladu, ma sanno anche che a questo piccolo centro sono rimasto legato in modo forte, come da un ancestrale cordone ombelicale. Nel mio concetto di vita, sono sempre stato convinto che “le radici” debbono sempre restare alla base della nostra esistenza (senza radici un albero muore), seppure dovessimo trascorrere la nostra vita in un’altra parte del mondo. Il mio credo è “Mai rinnegare le proprie origini”, anche se dovessimo diventare i padroni del mondo!

Amici, anche quando i miei affetti più cari sono volati via ho continuato a trovare mille occasioni per “tornare” in questo luogo natio, e vi posso assicurare che anche oggi, imboccando il vialetto d’ingresso, mi sento come uno che torna a casa! Oggi a Bauladu conto ancora diversi amici, e per loro, quelli che mi hanno conosciuto ragazzo, sono rimasto “Marieddu”, come allora venivo familiarmente e affettuosamente chiamato. Mi capita spesso, recandomi a Bauladu, di fare un giro per il Paese, mentre nella mia mente si accavallano i ricordi della mia fanciullezza: le stradine polverose, il rio che attraversava il paese (sa roia) e i tanti volti di uomini e donne che, allora, abitavano in quelle vie, in particolare nel mio vicinato!

Bando ai ricordi, cari amici lettori, oggi ho deciso di fare con Voi questa mia riflessione per esprimere tutto il mio consenso e il mio plauso a Davide Corriga, sindaco caparbio e determinato di Bauladu ed alla sua giunta, per quanto già realizzato e si continua a fare per valorizzare e rendere il paese di Bauladu al passo coi tempi. Davide, un caro amico che mi considera sempre un “bauladese”, anche senza far parte ufficialmente dei suoi amministrati, dopo le molte iniziative portate avanti ne avviato di ulteriori, come le due recenti: il ripristino del tratto stradale, da Bauladu a Paulilatino, in realtà la vecchia strada statale 131 ora in totale abbandono, e la ricollocazione nelle vie del paese degli antichi pergolati, posizionati nelle facciate delle case, utili ad abbellirle e anche a rinfrescarle.

Quanto al ripristino della vecchia ‘Carlo Felice’, d’accordo con l’amministrazione di Paulilatino, l’Amministrazione comunale bauladese ha preparato un progetto esecutivo, già finanziato dalla Regione, con 200 mila euro, per la necessaria sistemazione della strada. L’opera risulterà doppiamente utile, perché agevolerà il costante transito dei titolari delle aziende agricole che vi si affacciano, ma diventerà anche un collegamento d’emergenza, in caso di possibili incidenti sulla attuale superstrada nel tratto tra Bauladu e Paulilatino.

Trovo particolarmente gradevole e interessante, invece, il progetto di ricostruzione del sistema di pergolati storici che in passato caratterizzavano le vie del centro storico del paese fino agli anni Settanta del secolo scorso. Un progetto composito, che mira ad integrare il verde degli edifici pubblici e privati con delle nuove architetture diffuse, sostenibili e rivitalizzanti del contesto urbano. I lavori sono già in corso (è prevista una durata di 120 giorni con una spesa di 186 mila euro), affidati alla società Alberghina Verde Ambiente. Il progetto, oltre a prevedere la realizzazione di un sistema di pergole diffuse nell’abitato, prevede anche il miglioramento dell'area verde a nord del parco di San Lorenzo e la sistemazione del camminamento di via Martiri di Buggerru.

Pergola, disegno di Nivola

L’innovativo progetto “Le nuove pergole di Bauladu”, da tempo concepito dal vulcanico sindaco Davide, si dice che gli sia stato ispirato dal grande Costantino Nivola, l’artista che presentò nel 1953 negli USA un progetto similare relativo al paese di Orani. L’intervento in corso a Bauladu prevede la realizzazione di circa venti strutture architettoniche minimali che richiameranno – in veste rivisitata e attualizzata – l’antica presenza della pergola in passato ben diffusa nell’abitato. L’appalto in corso affidato alla Alberghina Verde Ambiente prevede anche la manutenzione del verde per un anno e la posa di arredo urbano (fioriere, cestini e sedute) in alcune delle aree di intervento. 

Cari amici, dopo aver superato i mille scogli burocratici che operazioni di questo genere comportano, la soddisfazione del sindaco Davide Corriga è apparsa evidente. Intervistato dai media ha con orgoglio affermato: “Ricreare nel nostro paese le antiche architetture vegetali in passato tanto diffuse, non solo costituisce un miglioramento in senso estetico del contesto urbano, che integra piacevolmente il verde negli edifici pubblici con quello dei privati, ma crea un connubio forte e complesso nella mente e nel cuore dei suoi abitanti; un paese che dimostra di amare il verde, evidenzia un forte segno culturale e sociale. Ricreare nuovi spazi di socializzazione per le vie del paese, credo che possa contribuire a rendere la nostra Comunità più decorosa esteticamente e più appagata ed ospitale interiormente”.

Caro Davide, sappi che il mio apprezzamento per te è sempre grande! Ad maiora!

A domani.

Mario