lunedì, novembre 30, 2020

“CRESCERE IN CULTURA” HA UN SIGNIFICATO PRECISO: MIGLIORARE SÉ STESSI E IL CONTESTO SOCIALE DOVE SI OPERA. L’IMPEGNO DI EPDO E DEL SUO FONDATORE ROBERTO CAU.


Oristano 30 novembre 2020

Cari amici,

Voglio chiudere questo mese di novembre dedicandolo alla cultura ed a chi cerca, con ogni mezzo, di divulgarla nella maniera migliore. Scrivendo tutti i giorni su questo blog cerco anch’io, nel mio piccolo, di sollecitare quegli stimoli che portano a incentivare la lettura e l’attenzione per ogni forma d’arte. Si, amici, ogni forma d’arte è sinonimo di Cultura (con la C maiuscola), e non sono certo io il primo a dirlo! Eppure la nostra sonnacchiosa Oristano, che in passato ha avuto fioriture culturali di alto livello, da tempo continua a restare adagiata in quel “dolce far niente”, antitesi dell’attivismo, della curiosità e della ricerca culturale.

Non possiamo certo dimenticare il passato, a partire dalla grande figura di Eleonora d’Arborea, che con la sua Carta De Logu dettò al mondo le nuove regole giuridiche che restarono in vigore invariate per secoli, così come personaggi come Pepetto Pau, Antonio Garau, Antonio Corriga e i tanti altri che tennero alto il livello culturale della nostra città. Poi, come se un oscuro maleficio avesse avvolto la città ed il territorio, è scesa, lenta ma costante, la patina dell’oblio che tutto sedimenta. Ma nella città, seppure soffrendo, ci sono diversi personaggi che cercano di emergere, che cercano di scuotere questa polvere cristallizzata, nell’intento di riaprire un dialogo culturale non solo utile ma necessario.

Uno dei personaggi che effettua questi tentativi di risveglio, è certamente Roberto CAU, Artista e General Manager della Casa Editrice E.P.D.O. di Oristano, specializzata nella realizzazione di libri artigianali d’arte. Dopo aver riunito intorno a sé diversi autori di opere di ogni tipo (dalla scrittura alla poesia, dalla pittura alla scultura), ha iniziato a premiare i più attivi, ideando e realizzando per loro un personale “Attestato Culturale”, quale riconoscimento dell’impegno mostrato, del valore personale e dello stimolo culturale dato all’esterno, nell’intento di ricreare anche ad Oristano un polo culturale coeso, da tempo assente. Insomma, un’idea geniale quella di Roberto, che sicuramente riuscirà a dare stimoli positivi a giovani e ai meno giovani.

Già diversi gli attestati consegnati, e, dopo la necessaria pausa causata dalla pandemia in atto, per evitare di ricadere in quel triste limbo dell’immobilismo, Roberto ha cercato (seppure con tutte le cautele del caso imposte dalle norme in vigore) di riprendere con la consegna degli attestati. Pertanto nel pomeriggio di sabato 28 novembre, negli uffici di EPDO Cultura - Casa Editrice EPDO, sono stati conferiti, seppure senza invitati causa dell’emergenza sanitaria in atto, due nuovi “Attestati Culturali EPDO", assegnati ai poeti e scrittori: Giorgio Luciano Pani e Michele Licheri, per la loro costante attività letteraria svolta. Roberto Cau ha voluto affidare a me la relazione che accompagnava l’assegnazione, e di questo ringrazio Roberto per la fiducia.

Giorgio Luciano Pani e Michele Licheri sono due personaggi che, seppure diversi, meritano abbondantemente il premio loro assegnato. Giorgio Luciano Pani, che da tempo mi onora della sua amicizia, seppure arrivato alla scrittura e alla poesia dopo aver svolto la sua attività lavorativa (…anche questo abbiamo in comune), si è cimentato in analisi di alto spessore, come l’analisi delle angosce dell’uomo, immerso in un contesto sempre più votato all’indifferenza, all’egoismo ed alla sete di danaro e potere. Le sue opere, poi, parlano con dolcezza e amore delle bellezze del mondo: dalla magia del Natale, alla perfezione e all’eleganza della natura, con i suoi colori sfavillanti. Nelle sue poesie, struggenti ed emozionanti, Giorgio passa dalle meraviglie dell’alba a quelle del tramonto, dalla fragilità dell’uomo allo stupore di fronte a tanta bellezza dataci dalla natura, dai sentimenti profondi che l’uomo prova, alle difficili prove che spesso si devono affrontare.

Michele Licheri, si è invece estrinsecato in altri campi dell'arte, anch’essi altrettanto interessanti. Con un passato da ottimo atleta, ex sindacalista e operaio metalmeccanico, dopo aver girato il mondo ha operato come redattore della rivista letteraria operaia “Abiti – lavoro”, della rivista situazionista “Tracce” e come collaboratore della rivista letteraria “Erba Foglio”, ha pubblicato diversi libri e poesie. Nelle sue poesie Michele Licheri si cimenta nell’analisi del percorso dell’uomo, teso a scoprire ciò che è stato nel passato e ipotizzando quello che gli riserva il futuro. Anche lui, come Giorgio Pani mette al centro del suo focus culturale, la Sardegna, isola amata più di ogni altra cosa.

Cari amici, credo che l’opera che Roberto Cau e la sua creatura EPDO stanno portando avanti, sia davvero meritoria, sotto ogni aspetto; un lavoro egregio quello svolto, perché un popolo senza investire in cultura non ha futuro. Auguri a Roberto ed ai due nuovi premiati!

A domani.

Mario  


domenica, novembre 29, 2020

L’IPERICO, PER NOI SARDI “SU FRORE DE SANTA MARIA” O “S’ERBA DE SANTU GIUANNI”: UNA STRAORDINARIA PIANTA ERBACEA DALLE MILLE VIRTÙ.


Oristano 29 novembre 2020

Cari amici,

Su questa pianta ho già avuto modo di parlare su questo blog, quando riportai la notizia che tra le sue numerose proprietà gli studiosi le attribuirono anche quella di possedere dei particolari composti (detti floroglucinoli), in grado di risultare efficaci nella cura dell’HIV. Per i Più curiosi riporto il link del post del 16 dicembre del 2019: http://amicomario.blogspot.com/2019/12/dalla-magia-di-una-pianta-endemica.html. Oggi, però, voglio parlare più compiutamente di questa pianta, la cui varietà più importante è l’HIPERICUM SCRUGLII, che risulta endemica della nostra isola.

L'attuale classificazione dell'Hypericum scruglii, come specie endemica esclusiva della Sardegna è piuttosto recente (vedi Nordic Journal of Botany (2010) Hypericum scruglii sp. nov. (Guttiferae) from Sardinia, Gianluigi Bacchetta, Salvatore Brullo and Cristina Salmeri). In precedenza questa pianta era classificata come Hypericum tomentosum e sotto questo nome può essere ancora trovata in molte pubblicazioni. Vegeta nelle montagne calcaree a sud del Gennargentu e nella Nurra di Sassari. Il genere Hypericum conta in Sardegna 17 delle 32 specie italiane, ed è caratteristico per il giallo oro dei suoi fiori a forma di stella. Fiori ricchi di numerosi stami e con cinque petali, sui quali alcuni punti traslucidi evidenziano le ghiandole dalle quali si estraggono i preziosi olii essenziali. È una pianta sempreverde e cespugliosa, con foglie disposte in maniera opposta sui fusti e disseminate anch’esse di numerose ghiandole.

L’iperico in Sardegna è noto per essere stato utilizzato fin da epoca antichissima. Più conosciuto come “Fror’e Santa Maria” o “Erba de Santu Giuanni” (perché l’iperico fiorisce in prossimità della festa di San Giovanni, che si celebra il 24 giugno), deve il suo nome in sardo “Fror’e Santa Maria” al fatto che anticamente l’iperico era spesso usato per curare i disturbi femminili.  In giugno, periodo della fioritura, si raccoglievano i fiori, che erano considerati un materiale naturale potentissimo in grado non solo di curare i mali del corpo, ma anche di rasserenare le persone allontanando il malocchio. Tant’è vero che questi fiori, con dei chicchi di sale grosso e altre erbe, andavano conservati dentro “sa retzetta o sa punga”, un amuleto povero ma potente, capace di cacciare lontano dalle persone il male. Questo amuleto, oltre che per allontanare il malocchio, era anche in grado di curare il mal di testa, o addirittura di far innamorare la persona desiderata.

Inoltre, l’iperico raccolto durante il periodo della festa di San Giovanni, poteva pure aiutare a scoprire il futuro con i suoi presagi. Si procedeva in questo modo: durante la notte della festa si segnava con un laccio colorato la pianta di iperico; la mattina successiva la pianta avrebbe riferito la mansione del futuro sposo: alla ragazza che aveva “segnato” la pianta non restava che cimentarsi nella lettura dell’auspicio. Riconoscendo l’insetto che aveva trovato ospitalità nella pianta doveva intuire il mestiere (e quindi il benessere) del futuro marito. L’attenta lettura della pianta poteva anche presagire eventuali decessi, o segni di buona fortuna o di sfortuna.

Queste le tradizioni. Quanto alla capacità curativa attribuita all’iperico dalla medicina popolare, la scienza ha dimostrato che gli antichi utilizzi medici popolari tradizionali erano assolutamente validi. La scienza ha dovuto riconoscere, dando il suo benestare, che S’erba ‘e Santu Giuanni era ed è davvero una super pianta, ultra portentosa, che può davvero offrire tanto in campo medico! L’iperico, relativamente all’uso interno, possiede una notevole capacità antidepressiva: ciò per merito dell’ipericina, dell’iperforina e dei flavonoidi, che agiscono sui nostri neurotrasmettitori cerebrali (la seratonina, dopamina e noradrenalina).

Svolge anche un’azione ansiolitica, cura la stomatite vescicolare, l’influenza e l’herpes simplex. L’olio di iperico, per via interna, è inoltre usato nella cura della gastrite e dell’ulcera gastrica, grazie alle sue proprietà lenitive e cicatrizzanti. Da sottolineare inoltre la proprietà antibiotica dell’iperforina. Per uso esterno l’olio di iperico offre grandi risultati in caso di bruciature, ferite, pelli arrossate e favorisce una rapida riparazione del rivestimento epidermico. Sembra che l’olio regali nuova elasticità alla pelle, per questo è usato spesso nel trattamento contro le rughe. Funziona anche per lenire il dolore delle fastidiose punture delle zanzare. Tenere conto, però, che contenendo l'olio di iperico della ipericina, che è fotosensibilizzante, ne viene sconsigliato l’uso prima dell’esposizione al sole.

E che dire, poi, delle altre, numerose qualità dell’iperico? Usato come tintura madre o estratto secco, combatte l’ansia, lo stress, l’insonnia e lievi stati depressivi. In autunno, ad esempio, viene tradizionalmente consigliato contro i disturbi dell’umore. L’iperico è consigliato anche come rimedio fitoterapico nella menopausa contro depressione, ansia, insonnia, aritmia, tachicardia, tensione psicofisica (assunto come tisana o tintura madre). L’estratto, in combinazione con calcio, magnesio, potassio, vitamina D3 e vitamina C, è un classico ingrediente di integratori per contrastare i tipici disturbi della menopausa, come vampate, sudorazione fredda, spossatezza, disturbi del sonno, ansia e irritabilità. Certo che non è poca cosa!

Cari amici, oggi, non essendo più in auge la civiltà contadina, non andiamo certo in campagna a cercare questa pianta: troviamo i prodotti derivati dall’iperico in farmacia o erboristeria. L’iperico risulta presente, come ingrediente, anche in creme, pomate, integratori alimentari e prodotti veterinari.  Pensate ancora che il nostro meraviglioso iperico sia una pianta qualunque? Io direi proprio di no! La Sardegna, non dimentichiamolo, è davvero una terra magica! Nel suo antico e incontaminato suolo albergano piante praticamente uniche, e tra di queste l’iperico c’è, eccome!

A domani.

Mario

 

sabato, novembre 28, 2020

ILCORPO UMANO: UNA MACCHINA COMPLESSA CHE DOBBIAMO IMPARARE A CONTROLLARE. ECCO ALCUNE REAZIONI E I POSSIBILI RIMEDI CHE POSSIAMO METTERE IN ATTO.


Oristano 28 novembre 2020

Cari amici,

Che il nostro corpo sia una macchina estremamente complessa, fonte di innumerevoli reazioni talvolta anche molto fastidiose, è una cosa davvero nota a tutti. Quello che però non tutti sanno, è che possiamo controllare alcune di queste reazioni, mettendo in atto appositi accorgimenti. Certo, le serie problematiche di salute non sono certo risolvibili con il “fai da te”, come certe volte succedeva in passato, ma alcuni fastidi, capaci qualche volta di innervosirci non poco, possono essere eliminati o mitigati seguendo determinate tecniche studiate dagli esperti. Ed ecco per Voi cinque (5) rimedi che questi esperti hanno studiato per far fronte ad altrettanti fastidi che possiamo cercare di mitigare, come suggerito dal sito:  https://www.salutelab.it/.

Se ci troviamo di fronte ad un aumento della frequenza cardiaca, spesso conseguenza del nostro stress quotidiano, potremo farvi fronte in un modo abbastanza semplice per calmarci: dobbiamo soltanto soffiarci il pollice. Infatti, se il polso è raffreddato, ‘rallenta’ la frequenza cardiaca e quindi ci calma. Un altro metodo comprovato è quello di mettere il pollice in bocca e soffiare; in questo modo c’è la stimolazione del nervo vago: viene così rallentata la frequenza cardiaca e ci sentiremo più calmi.

Se facendo dello jogging sentiamo un improvviso dolore su un lato del corpo, siamo costretti a rallentare o persino ad interrompere la corsa. La causa, di norma, è da attribuire ad un mancato o insufficiente riscaldamento. Il flusso sanguigno, quando si fa attività fisica, aumenta, ma in questo caso il sangue non ha abbastanza tempo per ridistribuirsi correttamente nel corpo e si accumula nel fegato e nella milza. Questi organi hanno, però, una copertura sottile e spingono su di essa quando c’è troppo sangue. Ecco perché compare il dolore. In questi casi un metodo collaudato (che diversi atleti conoscono) è quello di rallentare la corsa e di spostare il peso del corpo sul lato opposto a quello da cui proviene il dolore; l’esercizio è da fare mentre si espira. Dopo alcune ripetizioni, il dolore di norma scompare.

Capita a tutti di trovarsi le mani intorpidite. Quasi tutti proviamo, a volte, uno spiacevole torpore e formicolio alle dita. Può succedere in diverse circostanze: dopo aver assunto una posizione scomoda nel letto mentre dormiamo, oppure assumendo una brutta posizione durante il lavoro. Quando succede cerchiamo di solito di massaggiare, riscaldandola, la mano, facendo delle torsioni o diversi movimenti delle dita o dei polsi. Questi esercizi sono abbastanza efficaci ma c’è un modo migliore e più efficace per liberarsi dal fastidioso torpore: basta girare la testa! Il motivo deriva dal fatto che gli arti si intorpidiscono a causa della compressione dei nervi che attraversano il collo; se giriamo la testa, riscaldiamo i muscoli e alleviamo la pressione. Questo è un metodo molto utile, per esempio, quando si guida.

Se ci accorgiamo di un fastidioso formicolio alla gola, di norma andiamo a berci un bicchiere d’acqua, oppure proviamo a tossire, ma spesso senza avere miglioramento. Per alleviare questo fastidio, il consiglio è quello di massaggiare con costanza l’orecchio, preferibilmente all’interno. Questo perché spesso lo spiacevole formicolio è conseguenza di spasmi muscolari. Quando si massaggiano i muscoli delle orecchie, si stimolano i nervi e così si aiutano i muscoli della gola a rilassarsi e a rimuovere lo spasmo. Tale connessione tra orecchie e gola deriva dalla sensibilità del nervo vago collegato al ramo auricolare dei nervi.

L’autunno è il periodo del naso chiuso. Umidità e bassa temperatura sono di norma le cause scatenanti, e la gran parte di noi usa gocce, diffusori e altri tipi di farmaci per migliorare la respirazione nasale. Ma si può anche usare un altro metodo, in particolare quando certi rimedi non li abbiamo a portata di mano. Si può alleviare la condizione del naso tappato con un massaggio. Per sbarazzarsi del naso chiuso, possiamo provare questo rimedio: spingere le dita contro l’area tra le sopracciglia e premere la lingua contro il palato. 20 secondi potrebbero essere sufficienti per sentirne già l’effetto positivo. Tenendo la lingua in questa posizione, infatti, si muove un osso che collega i seni paranasali alla bocca. Si crea così una sorta di drenaggio che allevia il soffocamento.

Cari amici, quei rimedi prima indicati, che ho trovato sul sito https://www.salutelab.it/, anche se non saranno in grado di fare dei miracoli, sono sicuro che riusciranno, nella gran parte dei casi, a darci quel necessario sollievo di cui certe volte abbiamo estremo bisogno. Provare per credere! Grazie, cari lettori, della Vostra sempre affettuosa attenzione.

A domani.

Mario

venerdì, novembre 27, 2020

HIKIKOMORI, UNA PATOLOGIA (SOPRATTUTTO GIOVANILE) DIFFICILE E PERICOLOSA. UN VOLONTARIO ALLONTANARSI DALLA SOCIALITÀ, CHE NECESSITA DI UN APPROCCIO EDUCATIVO DIVERSO.


Oristano 27 novembre 2020

Cari amici,

Il termine “HIKIKOMORI”, misterioso nella nostra lingua, in giapponese significa letteralmente "stare in disparte", ovvero un allontanarsi del soggetto dal contesto sociale per periodi più o meno lunghi, chiudendo i ponti con famiglia e amici e vivendo rinchiuso nella propria stanza, refrattario ai contatti diretti persino con i propri genitori. Una forma di isolamento davvero preoccupante, una forma nuova di solitudine interiore che, stando alle statistiche, riguarda in particolare giovani dai 14 ai 30 anni, principalmente maschi (tra il 70% e il 90%), anche se il numero delle ragazze parrebbe in aumento in quanto ritenuto sottostimato.

Marco Crepaldi, psicologo, Presidente e fondatore di "Hikikomori Italia" (e-mail, marco.crepaldi@hikikomoriitalia.it), sostiene che anche in Italia l'attenzione su questo particolare fenomeno sta aumentando. In Giappone le indagini ufficiali condotte finora dal governo giapponese hanno identificato oltre 1 milione di casi, con una grandissima incidenza anche nella fascia di popolazione over40. Questo fenomeno di isolamento, infatti, nonostante privilegi e si sviluppi in particolare nel periodo adolescenziale, tende a cronicizzarsi con molta facilità e può dunque durare potenzialmente tutta la vita. L'Hikikomori, dunque, sembra non essere una sindrome culturale esclusivamente giapponese, come si riteneva all'inizio, ma un disagio adattivo sociale che riguarda tutti i Paesi economicamente sviluppati del mondo. “In Italia – come sostiene Marco Crepaldi - non ci sono ancora dati ufficiali, ma si ritiene verosimile una stima di almeno 100 mila casi”.

Ci si interroga sulle cause che possono scatenare questa patologia, arrivando a pensare che esse possano essere diverse. In primo luogo cause caratteriali: gli Hikikomori sono ragazzi spesso intelligenti, ma anche particolarmente sensibili e inibiti socialmente. Questo temperamento contribuisce alla loro difficoltà nell'instaurare relazioni soddisfacenti e durature, così come nell'affrontare con efficacia le inevitabili difficoltà e delusioni che la vita riserva; poi cause familiari: l'assenza emotiva del padre e l'eccessivo attaccamento con la madre sono indicate come possibili concause, soprattutto nell'esperienza giapponese. I genitori faticano a relazionarsi con il figlio, il quale spesso rifiuta qualsiasi tipo di aiuto.

Altra causa scatenante l’esperienza scolastica: il rifiuto della scuola è uno dei primi campanelli d'allarme dell'Hikikomori. L'ambiente scolastico viene vissuto in modo particolarmente negativo, e molte volte dietro l'isolamento si nasconde una storia di bullismo; viene poi la vita sociale: gli Hikikomori sviluppano una visione molto negativa della società e soffrono particolarmente le pressioni di realizzazione sociale, dalle quali cercano in tutti i modi di fuggire. Tutto questo porta a una crescente difficoltà e demotivazione del soggetto nel confrontarsi con la vita sociale, fino ad arrivare ad un vero e proprio rifiuto della stessa. Infine, anche la dipendenza da internet viene spesso indicata come una delle principali cause del disagio, anche se essa rappresenta più una possibile conseguenza dell'isolamento, che una vera e propria causa.

“Il principale obiettivo dell'associazione ‘Hikikomori Italia’ – sostiene Marco Crepaldi - è quello di informare, sensibilizzare e tentare di accendere una riflessione critica sul fenomeno. Lo scopo è quello di capire, non curare. Affrontare il problema senza stigmatizzarlo e senza giudicare. Un secondo obiettivo, non di inferiore importanza, è quello di fornire ai ragazzi italiani che si sentono vicini all'Hikikomori, così come ai genitori che hanno un figlio in questa condizione, la possibilità di potersi confrontare attraverso gli spazi online (Gruppo FB) o in presenza all'interno dei gruppi di mutuo aiuto e supporto psicologico dedicati ai genitori”.

Inoltre, a questo pericoloso fenomeno che allontana dal vivere sociale numerosi ragazzi, si aggiunge ora un danno ulteriore: la pandemia scatenata dal Coronavirus. "Molti Hikikomori hanno vissuto un momentaneo sgravio di pressione durante la quarantena perché è venuta meno l’ansia di dover uscire e confrontarsi – continua a chiarire Marco Crepaldi - ma è stato un beneficio passeggero e illusorio: nel momento in cui si è riaperto, e ancor di più quando la pandemia finirà, la distanza tra questi ragazzi e la società sarà ulteriormente marcata".

Cari amici, ci si interroga come riuscire a salvare questi ragazzi. In Giappone esistono volontari, per lo più ragazze, che vanno nelle case e aspettano, ore e anche giorni, di essere accettati per aprire un dialogo. In Italia l’associazione fondata da Marco Crepaldi sta lavorando con dei progetti sperimentali, in cui educatori professionisti, adeguatamente formati da psicologi, si recano a casa dei ragazzi in isolamento sociale e cercano di aiutarli direttamente a domicilio. “Uscirne è possibile, conclude Crepaldi, ma molto dipende dalla rapidità dell'intervento e dalla rete sociale che si riesce a costruire intorno al ragazzo".

C’è da sperarlo davvero! A domani, amici.

Mario

giovedì, novembre 26, 2020

DEMOLIZIONI DI CASE E PALAZZI? NON PIÙ! ORA, SE NE VALE LA PENA…SI POSSONO SPOSTARE! GRAZIE ALLA TECNOLOGIA CINESE, CHE CON SPECIALI GAMBE ROBOT, LI “TRASLOCA” DA UN’ALTRA PARTE…


Oristano 26 novembre 2020

Cari amici,

A Shanghai, in Cina, un imponente edificio, la cui area doveva essere adibita ad altro uso, anziché essere demolito è stato “fatto camminare” e portato in una nuova area, utilizzando per la prima volta al mondo circa 200 gambe meccaniche. Un “trasferimento” di un immobile, che appare come qualcosa di incredibile, tra l’altro, avvenuto in poco tempo: sono state necessarie solo poco più di due settimane! Si trattava di una scuola elementare, vecchia di circa 85 anni, e doveva liberare l’area dove sarebbe stato edificato un nuovo complesso commerciale e uffici, da completare entro il 2023.

La tecnologia cinese, che vanta ingegneri da tempo all’avanguardia in operazioni colossali mai realizzate prima, nel breve lasso di tempo di due settimane ha messo in atto il “trasferimento” dell’edificio che, dopo essere stato fatto ruotare di 21 gradi, è stato collocato 60 metri più avanti con l’ausilio di speciali “gambe robotiche”, liberando così l’area. C’è da dire che l’economia cinese è stata da sempre molto attenta allo spreco e non ha mai adottato la filosofia occidentale dell’usa e getta, praticando invece, la filosofia del recupero, in tutti i campi possibili.

A maggior ragione oggi, in un'economia globale che credo rimpianga a calde lacrime l’adozione di inappropriati comportamenti di spreco di energia e di inquinamento del pianeta, la “filosofia del recupero” avanza, nell’ottica non solo del conseguimento del risparmio ma anche in quello della salvaguardia ambientale. Ecco perché le demolizioni degli edifici del passato risultano non solo costose ma di fatto anche culturalmente sbagliate e nemiche dell'ambiente! Ora, il doppio problema del recupero e quello della fame di nuove aree, è stato risolto dagli ingegneri cinesi sostituendo le demolizioni con lo spostamento degli edifici.

Certo, far convivere le due esigenze non è mai stato semplice, ma in Cina ci si sta dando da fare per far quadrare il cerchio, e diverse società sono decise a riuscirci, e potrebbero quasi certamente rivoluzionare il settore immobiliare. Ne è una chiara dimostrazione proprio l’esempio prima riportato, un’operazione complessa, se pensiamo che l’edificio spostato (una costruzione del 1935) era una struttura in calcestruzzo del peso approssimativo di 7.600 tonnellate. Un’operazione davvero chirurgica, che, dopo una serie di complessi calcoli fatti dagli esperti ingegneri, ha dato vita allo spostamento dell’immane carico, posato su 198 dispositivi robotici simili a “gambe robot”, trasferendo l’edificio di circa 60 metri!

L’azienda costruttrice di questa tecnologia (chiamata ironicamente anche “passeggiata edilizia”, si chiama Shanghai Evolution Shift, ed ha sviluppato questa innovazione tecnologica nel 2018. I dispositivi capaci di spostare i carichi pesantissimi come quelli di un edificio, si comportano proprio come gambe robotiche; sono divisi in due gruppi che si alzano e si abbassano alternativamente, imitando il passo umano. I sensori collegati aiutano a controllare come l’edificio avanza. La procedura, molto complessa, necessita di grande preparazione ed è divisa in tre fasi; nella prima gli operai scavano tutt’intorno all’edificio per installare i supporti mobili negli spazi sottostanti (nel nostro caso sono stati 198).

Nella seconda fase dei lavori, come ha spiegato ai cronisti Lan Wuji, l’ingegnere supervisore tecnico dell’azienda, “tutti i pilastri dell’edificio sono stati troncati dalle fondamenta”. A questo punto, le “gambe” robotiche installate in precedenza si sono sollevate verso l’alto, e con loro si è sollevato l’intero edificio. “È come dare le stampelle all’edificio in modo che possa alzarsi e poi camminare”, ha precisato l’ingegnere. Nell’ultima fase, invece, lentamente e un passetto alla volta, la scuola quasi centenaria si è mossa per prendere posizione nel suo nuovo spazio 60 metri più avanti.

Spostamento, dunque, e non demolizione: un’inversione di tendenza che negli ultimi decenni ha visto anche in Cina la rapida modernizzazione del Paese, con la conseguente perdita di molti edifici storici, rasi al suolo per liberare le aree necessarie a costruire scintillanti grattacieli e edifici per uffici. Un azzeramento del passato che ha creato non poca preoccupazione per la perdita di un importante patrimonio architettonico conseguente alle demolizioni che avvenivano in tutto il Paese. Ora però nuove soluzioni si affacciano all’orizzonte, capaci di conciliare vecchio e nuovo, passato e presente, con sicura preservazione del patrimonio storico e culturale.

Cari amici, la Cina dunque, dopo aver rifiutato la filosofia dell’usa e getta, si cimenta anche nel difficile recupero degli edifici; in questo modo potranno essere salvati palazzi storici e d’epoca, come è avvenuto per la scuola primaria di Lagena, costruita nel 1935. A recupero effettuato, questa scuola verrà trasformata in un centro culturale. Li Jianfeng, il direttore generale del progetto, ha così commentato: “Trasformeremo la scuola in un edificio che integri l’educazione culturale e la conservazione del patrimonio immateriale, coinvolgendo sia la cultura che l’innovazione”. La lungimiranza e la saggezza orientale credo siano da ammirare: l’ingegno profuso ha consentito non solo di salvare un edificio storico, ma anche di rivitalizzarlo. Nell’area dove era allocato prima, invece, sorgerà un centro commerciale. Una bella lezione, credetemi, anche per la civiltà occidentale.

A domani.

Mario

 

mercoledì, novembre 25, 2020

UNIVERSITÀ LA SAPIENZA: UNA DONNA AL VERTICE DOPO PIÙ DI 700 ANNI. A RICOPRIRE IL PRESTIGIOSO INCARICO, ANTONELLA POLIMENI.


Oristano 25 novembre 2020

Cari amici,

Mi piace riportare proprio oggi 25 novembre, giorno dedicato alle donne, la notizia che la professoressa Antonella Polimeni, già preside della Facoltà di Medicina e Odontoiatria, è la nuova rettrice della Sapienza, la più grande università europea. E' tempo che scompaia la violenza contro di loro, perché il "NO ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE" deve entrare nella mente di tutti, senza se e senza ma! Dopo oltre sette secoli dunque, finalmente una donna è chiamata alla guida di un prestigioso Ateneo che conta 114 mila studenti. Sicuramente costituisce un fatto davvero importante: un chiaro riconoscimento del valore delle donne, che da lungo tempo lottano per la parità, un riconoscimento, però, che comunque appare ancora lontano. A tutt’oggi in Italia sono in tutto 7 (sette) le rettrici universitarie regolarmente elette dai loro colleghi, contro ben 77 rettori maschi, che continuano dunque ad avere una forte maggioranza.

Eppure l’insegnamento, compreso quello accademico, sta “passando di mano”, in quanto i dati del 2019 evidenziano che le “quote rosa” nelle nostre scuole erano dell’82,7% dell’intero corpo docente, mentre tra le insegnanti statali con supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche su posti comuni e di sostegno erano il 76%. Una valanga femminile che ha travolto persino la dirigenza scolastica, con oltre il 70% di donne. Diversa resta, invece, la situazione nelle sedi universitarie, dove il maschilismo continua ad imperversare.

Secondo quanto si apprende dalla CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università italiane, le Rettrici, che come detto sono solo sette, sono collocate tutte al Centro Nord: Tiziana Lippiello dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, Maria del Zompo dell’Università di Cagliari, Giovanna Iannantuoni all’Università Milano-Bicocca, Sabina Nuti alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Maria Grazia Monaci all’Università della Valle D’Aosta e Giuliana Grego Bolli dell’Università per stranieri di Perugia. Per la cronaca, a varcare per prima la soglia del Rettorato fu nel 1992 la professoressa Bianca Maria Tedeschini Lalli, docente di Letteratura americana e direttrice di dipartimento nell’ateneo Roma Tre, riconfermata poi anche per un secondo mandato.

La professoressa Polimeni c’è da dire che non ha avuto un’elezione sul filo di lana, in quanto la sua vittoria è apparsa subito chiara e lampante fin dalla prima votazione: ha battuto i suoi avversari al primo turno con il 60,7 per cento di voti. Un traguardo difficile e ambito, raggiunto in un’università che vanta Sette secoli di storia, partita nel lontano Medioevo, e che oggi è stata conquistata per la prima volta da una donna! Un successo che esalta non solo il numeroso corpo docente ma tutte le donne, che vedono, con il successo della Polimeni, di aver fatto un ulteriore passo avanti nella strada della parità.

Subito dopo l’elezione la neo Rettrice Antonella Polimeni ha detto: «Sono emozionata, darò ascolto a tutti». Ha poi aggiunto: «Le università giocano un ruolo strategico nella battaglia al Covid. Essere la prima donna al vertice della Sapienza dopo 700 anni è un bel segnale, una vittoria oltre che un onore. C’è stata unità nel voto, ma la vittoria è una vittoria per tutte le studentesse, le ricercatrici, le professoresse e per tutte le operatrici sanitarie impegnate negli ospedali universitari e che si stanno impegnando senza sosta nella lotta al virus». Nelle numerose interviste rilasciate, a chi le chiedeva se questo risultato, questo prestigioso successo come prima donna a diventare rettrice dell’università più grande d’Europa l’avesse emozionata, ha risposto: «Direi una bugia se dicessi il contrario. L’emozione è un sentimento importante, viene con la consapevolezza. Del resto, diffido delle persone che non si emozionano».

Cari amici, credo che l’elezione di Antonella Polimeni sia non solo una scelta giusta e ponderata, ma che costituisca davvero un “passo avanti” nel riconoscere alle donne quella capacità gestionale che noi uomini ci ostiniamo a negare. È tempo che “l’altra metà del cielo” riceva la considerazione che merita da parte degli uomini, che continuano a vedere nell'altro sesso un cielo di serie B; perché quel mondo da noi poco valutato ci sta dimostrando che vale quanto il nostro e, forse, anche di più! Nella mia visione personale credo che un mondo di reale e concreta parità, porterebbe al mondo maggiore comprensione e forse anche meno conflitti. Anche il fatto che il prossimo Vicepresidente degli USA sia una donna, Kamala Harris, mi fa pensare che diverse cose potrebbero cambiare.

Io me lo auguro di tutto cuore.

A domani.

Mario