Oristano 27 novembre 2020
Cari amici,
Il termine “HIKIKOMORI”,
misterioso nella nostra lingua, in giapponese significa letteralmente
"stare in disparte", ovvero un allontanarsi del soggetto dal contesto
sociale per periodi più o meno lunghi, chiudendo i ponti con famiglia e amici e
vivendo rinchiuso nella propria stanza, refrattario ai contatti diretti persino
con i propri genitori. Una forma di isolamento davvero preoccupante, una forma
nuova di solitudine interiore che, stando alle statistiche, riguarda in
particolare giovani dai 14 ai 30 anni, principalmente maschi (tra il 70% e il
90%), anche se il numero delle ragazze parrebbe in aumento in quanto ritenuto
sottostimato.
Marco Crepaldi, psicologo,
Presidente e fondatore di "Hikikomori Italia" (e-mail, marco.crepaldi@hikikomoriitalia.it),
sostiene che anche in Italia l'attenzione su questo particolare fenomeno sta
aumentando. In Giappone le indagini ufficiali condotte finora dal governo
giapponese hanno identificato oltre 1 milione di casi, con una grandissima
incidenza anche nella fascia di popolazione over40. Questo fenomeno di isolamento,
infatti, nonostante privilegi e si sviluppi in particolare nel periodo
adolescenziale, tende a cronicizzarsi con molta facilità e può dunque durare
potenzialmente tutta la vita. L'Hikikomori, dunque, sembra non essere una
sindrome culturale esclusivamente giapponese, come si riteneva all'inizio, ma
un disagio adattivo sociale che riguarda tutti i Paesi economicamente
sviluppati del mondo. “In Italia – come sostiene Marco Crepaldi - non
ci sono ancora dati ufficiali, ma si ritiene verosimile una stima di almeno 100
mila casi”.
Ci si interroga sulle
cause che possono scatenare questa patologia, arrivando a pensare che esse possano
essere diverse. In primo luogo cause caratteriali: gli Hikikomori
sono ragazzi spesso intelligenti, ma anche particolarmente sensibili e inibiti
socialmente. Questo temperamento contribuisce alla loro difficoltà
nell'instaurare relazioni soddisfacenti e durature, così come nell'affrontare
con efficacia le inevitabili difficoltà e delusioni che la vita riserva; poi cause
familiari: l'assenza emotiva del padre e l'eccessivo attaccamento con la
madre sono indicate come possibili concause, soprattutto nell'esperienza
giapponese. I genitori faticano a relazionarsi con il figlio, il quale spesso
rifiuta qualsiasi tipo di aiuto.
Altra causa scatenante l’esperienza
scolastica: il rifiuto della scuola è uno dei primi campanelli d'allarme
dell'Hikikomori. L'ambiente scolastico viene vissuto in modo particolarmente
negativo, e molte volte dietro l'isolamento si nasconde una storia di bullismo;
viene poi la vita sociale: gli Hikikomori sviluppano una visione molto
negativa della società e soffrono particolarmente le pressioni di realizzazione
sociale, dalle quali cercano in tutti i modi di fuggire. Tutto questo porta a
una crescente difficoltà e demotivazione del soggetto nel confrontarsi con la
vita sociale, fino ad arrivare ad un vero e proprio rifiuto della stessa.
Infine, anche la dipendenza da internet viene spesso indicata come una
delle principali cause del disagio, anche se essa rappresenta più una possibile
conseguenza dell'isolamento, che una vera e propria causa.
“Il principale
obiettivo dell'associazione ‘Hikikomori Italia’ – sostiene
Marco Crepaldi - è quello di informare, sensibilizzare e tentare di
accendere una riflessione critica sul fenomeno. Lo scopo è quello di capire,
non curare. Affrontare il problema senza stigmatizzarlo e senza giudicare. Un
secondo obiettivo, non di inferiore importanza, è quello di fornire ai ragazzi
italiani che si sentono vicini all'Hikikomori, così come ai genitori che hanno
un figlio in questa condizione, la possibilità di potersi confrontare
attraverso gli spazi online (Gruppo FB) o in presenza all'interno dei gruppi di
mutuo aiuto e supporto psicologico dedicati ai genitori”.
Inoltre, a questo
pericoloso fenomeno che allontana dal vivere sociale numerosi ragazzi, si
aggiunge ora un danno ulteriore: la pandemia scatenata dal Coronavirus. "Molti
Hikikomori hanno vissuto un momentaneo sgravio di pressione durante la
quarantena perché è venuta meno l’ansia di dover uscire e confrontarsi – continua
a chiarire Marco Crepaldi - ma è stato un beneficio passeggero e illusorio: nel
momento in cui si è riaperto, e ancor di più quando la pandemia finirà, la
distanza tra questi ragazzi e la società sarà ulteriormente marcata".
Cari amici, ci si
interroga come riuscire a salvare questi ragazzi. In Giappone esistono
volontari, per lo più ragazze, che vanno nelle case e aspettano, ore e anche
giorni, di essere accettati per aprire un dialogo. In Italia l’associazione
fondata da Marco Crepaldi sta lavorando con dei progetti sperimentali, in cui
educatori professionisti, adeguatamente formati da psicologi, si recano a casa
dei ragazzi in isolamento sociale e cercano di aiutarli direttamente a
domicilio. “Uscirne è possibile, conclude Crepaldi, ma molto dipende
dalla rapidità dell'intervento e dalla rete sociale che si riesce a costruire
intorno al ragazzo".
C’è da sperarlo davvero! A
domani, amici.
Mario
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