Oristano 19 novembre 2020
Cari amici,
Con l’improvviso
scatenarsi della pandemia causata dal Coronavirus, che ha già comportato un
periodo di severo Lockdown, si è sviluppata nelle diverse popolazioni colpite una
pericolosa situazione psicologica, detta “sindrome della capanna”, che
ha comportato, per determinate persone di maggiore sensibilità, serie difficoltà a ritornare alle
normali abitudini precedenti. Indubbiamente credo che la situazione possa
essere paragonata, tornando indietro nel tempo, al periodo bellico, quando le
persone, dopo essersi riparate nel rifugio per i bombardamenti, provavano
grandi patemi d’animo ad uscire allo scoperto per tutta una serie di paure
incontrollate.
Così succede oggi, in
quanto la presenza all’esterno del pericoloso e invisibile virus, li fa rifugiare
in casa, luogo che dà un senso di protezione dal possibile contagio, considerato anche che risulta essere una
malattia ancora in parte sconosciuta e difficile da individuare e combattere.
Reazioni comprensibili, che creano però un forte disagio psicologico tra la popolazione.
Gli esperti hanno rilevato che gli individui, a seguito di un periodo di
isolamento sociale, sono portati a pensare di più ai rischi da non correre, e alla
eventuale possibilità di morire. Una volta isolati, ad aggravare la situazione
contribuiscono anche le notizie costantemente veicolate dai mass media che, con
l’utilizzo di una narrazione angosciante, gravano sullo stress psicologico,
aumentando la paura. Questi stati ansiosi di preoccupazione vengono generalmente
definiti con il noto termine di “Ipocondria”.
Questo particolare stato patologico chiamata
Ipocondria risulta presente in soggetti che vivono uno stato di angoscia,
ovvero soffrono di uno stato di forte ansia (la patologia è chiamata anche disturbo
d’ansia), causato dalla convinzione di essere malati o dalla paura di
esserlo. L’ipocondria classica, la forma maggiormente comune di questa
malattia, nel periodo attuale si basa in particolare sulla paura di contrarre l’infezione data dal
Coronavirus, paura che costringe l’individuo ad una costante auscultazione del
proprio stato, dando la massima attenzione ai sintomi ed ai segnali fisici
connessi al virus, come ad esempio mal di gola, riduzione del senso del gusto o
difficoltà respiratorie.
Preoccupazione che lo
costringe a mettere in atto modalità comportamentali tese ad un accurato
controllo del proprio corpo, come ad esempio una continua misurazione della
temperatura. Questi comportamenti derivati dalla paura, però, non fanno altro
che aumentare lo stato di apprensione emotiva, e la convinzione di essere
vicini alla catastrofe, ad ogni rilevazione (normale o alterata che sia).
Questo poiché il processo cognitivo, che sta alla base della paura, è
rappresentato dal dubbio costante (“e se avessi contratto il virus?”) seguito
dall’immaginazione di scenari disastrosi (ad esempio immaginarsi intubato nel
reparto di terapia intensiva).
Patemi d’animo che
portano l’ipocondriaco ad una continua ricerca di rassicurazione, per cui cerca
di continuo consultazioni mediche specialistiche, oppure stando di continuo su
internet (situazione questa che viene definita cybercondria), oppure
esponendo i propri dubbi e le paure ad altre persone. Una strategia errata, in
quanto, oltre a non rasserenare, lascia il soggetto ancora più in ansia,
aumentando la situazione ipocondriaca. Si crea pertanto, con questi
comportamenti, un vero “circolo vizioso”, che porta il soggetto
all’alienazione. L’ipocondria e la cybercondria, derivanti dalla pandemia
creata dal COVID-19, sono risultate in pericoloso aumento, con un crescente
numero di persone coinvolte in questo tipo di sofferenza psicologica che fa
vivere loro un pericoloso isolamento sociale.
L’ipocondriaco, una volta
convintosi di soffrire di particolari, pericolose patologie, si sente in
gabbia: pensa che è davvero malato ma che, magari per pietà, il medico gli
menta per nascondere il suo vero stato di salute. Persa la fiducia nel suo
medico, continua a consultarne altri, rinnova gli esami di laboratorio, rifà
esami e controlli, per avere una conferma della presunta patologia. Arriva
infine anche a consultare il dottor Google. Ed ecco che l’ipocondria diventa cybercondria.
Diventato un esperto digitale, passa ore a computer, cercando riscontri alla
malattia presunta ed ai possibili sintomi, leggendo i numerosi consigli medici
on line e aumentando, in questo modo, ancora di più la sua ansia da malato
immaginario.
Cari amici, per chi già
soffriva di ipocondria il Lockdown ha portato all’apice i precedenti problemi,
con crisi davvero di alto livello. Solo alcuni, particolarmente volenterosi e disponibili,
hanno potuto ricevere aiuto, grazie a sedute di psicoterapia in remoto
utilizzando piattaforme per videoconferenze. Altri, invece, si sono caricati di
sostanze psicoattive, alcune suggerite dall’Istituto Superiore di Sanità ma
anche di nuove sostanze psicoattive che circolano illecitamente, registrando,
contestualmente, un pericoloso picco di intossicazioni.
Insomma, amici, questa
pandemia sta creando problemi tali da aggiungere danno a danno, in particolare
per le persone più fragili e già predisposte.
A domani.
Mario
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