Oristano 4 Luglio 2016
Cari amici,
Molti di Voi sanno che
sono un europeista convinto, quindi quello che dirò oggi nelle mie riflessioni
credo non possa essere travisato in alcun modo. Una cosa, però, voglio ribadire: mi hanno
insegnato fin dai primi anni della mia formazione che la fretta non è mai
produttiva, che per fare bene le cose è necessario verificare “prima” quello
che si cerca di portare avanti, qualunque sia l’obiettivo. La regola credo che
abbia un valore universale: sia che parliamo di cose di poco conto che di
problemi molto importanti, come un accordo, un matrimonio, un ricevimento, una preparazione
per un esame o l’avvio di un’attività commerciale, tanto per citare alcuni esempi,
immaginiamoci poi se si tratta di un’unione tra Stati!
Nel caso dell’idea di
“unificare”, prima commercialmente e successivamente in maniera più pregnante i
vari Paesi partecipanti all’Unione Europea, credo siano stati fatti dei passi inoppurtuni e non vagliati (degli
errori macroscopici), dettati quasi
certamente proprio dalla fretta, ovvero senza aver meditato prima sulle
reali volontà comuni di arrivare ad un determinato traguardo condiviso. Cerco
di spiegarmi meglio, partendo dalle origini.
L’idea di costituire,
dopo il disastro della seconda guerra mondiale, una “Comunità europea” (cioè
un'organizzazione di Stati europei) per rimettere insieme quel che restava
delle loro saccheggiate economie, maturò intorno agli anni Cinquanta del secolo
scorso. L’idea non tardò a perfezionarsi, tanto che il 25 marzo del 1957 sei
Stati (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) firmano a
Roma il primo trattato di cooperazione economica che entrò in vigore il 1º gennaio del
1958, dando così vita così alla prima Comunità Economica Europea (abbreviata in
CEE).
Successivamente molti
passi in avanti furono fatti, anche se non tutti nella giusta direzione e sequenza. Si
arrivò al Trattato di Maastricht (1992) che fece della Comunità Europea (CE) il
"Primo pilastro" dell'idea di una vera Unione europea, sancita ufficialmente con l'adozione del Trattato
di Lisbona del 1º Dicembre del 2009. Forse l'errore fu la fretta di “allargare” l’Unione,
facendo entrare un maggior numero di Stati, per cercare di mettere insieme le più diverse
economie: in poco tempo l’Unione portò a 27 il numero degli Stati membri appartenenti
alla nuova comunità economica, senza però riflettere sul fatto che qualsiasi
unione seria e duratura avrebbe dovuto presupporre una maggiore affinità fra gli Stati, tale da non
farli scontrare l’un l’altro, ovvero i nuovi Stati avrebbero dovuto essere in possesso di una legislazione
compatibile con le altre, di un fisco identico, di contratti di lavoro paritari, e molto altro ancora. Inoltre, cosa ancora più importante, prima dei nuovi ingressi si sarebbe dovuta creare una sovrastruttura unica,
garante per tutti gli Stati aderenti, come solo uno Stato federale poteva essere in grado di garantire (sullo stile degli USA).
Soprattutto di
quest’ultima “sovrastruttura”, si è cercato di fare a meno, creando all’interno
dell’UE situazioni al limite del paradosso, come creare una moneta unica, prima
di aver dato vita allo Stato federale. Moneta che, togliendo ai vari Stati la
possibilità di manovrare singolarmente la nuova moneta unica, soprattutto in
presenza di regimi fiscali e di lavoro differenti, ha creato situazioni assolutamente
ingovernabili con Stati enormemente favoriti e altri costretti a “subire” la
forza e la potenza dei Paesi più forti ed economicamente più saldi. Errori che,
chi segue da tempo le vicende europee, ha potuto constatare senza ombra
di dubbio, compreso il netto rifiuto della Gran Bretagna ad accettare la
sostituzione della Sterlina con l’Euro.
Quello che è successo tempo
fa con la prima crisi europea che ha coinvolto la Grecia (crisi messa in sonno
solo apparentemente e, credo, pronta a riesplodere in tempi anche brevi) si è
ripetuto ora con la “BREXIT”, la volontà espressa dalla maggioranza del popolo
britannico di uscire da un’Unione che appare loro più come un cappio che come
una convenienza. Senza entrare nell’analisi se l’uscita sia per loro (e ovviamente
per l’Europa) un bene o un male, nella mia convinzione l’Europa oggi si trova
di fronte ad un bivio, con l’improrogabile necessità di prendere quelle
decisioni che fino ad oggi ha volutamente ignorato. L’Europa, insomma, dopo il
voto espresso in Gran Bretagna non sarà più la stessa di prima.
Cari amici, i problemi
sul tappeto sono davvero immensi, e la fragilità della coesione tra i vari
Paesi che compongono l’Unione Europea, sempre più evidente. La diversità dei
vari debiti sovrani dei Paesi che ne fanno parte (che si prestano a
terrificanti speculazioni evidenziate dal famoso spread, considerato che l’UE
non è disponibile a garantire in proprio il rimborso dei debiti contratti dai
vari Stati), il sempre più pericoloso fenomeno delle migrazioni di massa, che
stanno per diventare assolutamente incontrollabili, la minaccia del terrorismo
internazionale, sono problemi poco risolvibili allo stato attuale. Senza una
seria e forte risposta comune, che solo un vero Stato Federale è in grado di dare, questi ed altri problemi
porteranno in tempi brevi l’attuale Unione Europea ad un tracollo che potrebbe addirittura
farla scomparire.
Gli anti europeisti (sempre
più numerosi in Europa) esultano della vittoria ottenuta dal referendum
inglese, compresi quelli di casa nostra, e il futuro dell'attuale UE appare gravido di temporali: un'aggregazione somigliante ad una zattera sgangherata, che corre il rischio di affondare in poco tempo, azzerando il paziente lavoro iniziaato oltre 60 anni fa. È proprio così:
gli errori commessi, portati avanti senza un disegno preciso, solo per “fare in fretta”, senza verifiche
preliminari e senza rispettare tempi e priorità, a me fanno paragonare l’UE a
quella “gattina frettolosa che partorì i gattini ciechi…”.
Meditate,
gente, meditate…
A domani.
Mario
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