domenica, luglio 03, 2016

I GIGANTI DI MONT’E PRAMA E LO STUDIO DELL’ABBIGLIAMENTO INDOSSATO. LA SUGGESTIVA IPOTESI DEL GLOTTOLOGO SALVATORE DEDOLA: IL PETTORALE, TAVOLA DEI DESTINI.



Oristano 3 Luglio 2016
Cari amici,
Dei Giganti di Mont’e Prama, ho già avuto modo di parlare altre volte anche su questo blog (chi è curioso può rivedere uno dei miei post: http://amicomario.blogspot.it/2014/01/i-giganti-di-monte-prama-le-statue-che_27.html. Queste antiche statue, diventate ormai protagoniste indiscusse della nostra storia, incredibili testimonianze della nostra arcaica cultura, sono state analizzate, radiografate minuziosamente, esaminate in tutte le loro particolarità: dagli occhi al posizionamento, dalle armi indossate dai vari guerrieri rappresentati, dai bracciali agli scudi, dagli archi all'abbigliamento, solo per citare gli esami più importanti eseguiti. Ebbene, una delle particolarità riscontrate in alcune statue, che ha creato grande curiosità e interesse, è il pettorale indossato da alcuni guerrieri, oggetto questo che si presta a non poche ipotesi, circa il suo utilizzo.
A chi ha ipotizzato una sorta di copertura protettiva in battaglia, è stato risposto che l’ipotesi non poteva essere valida, perchè il pettorale risultava di dimensioni troppo piccole, in quanto lasciava scoperte parti vitali del corpo. Allora quale poteva essere la funzione di questo pettorale portato appeso al collo, se lo escludiamo come strumento di protezione fisica? Gli studiosi, cercando analogie con altri popoli dello stesso periodo storico, hanno fatto il confronto con le consuetudini culturali praticate nella Palestina ebraica del Vecchio Testamento, trovando analogie con l’EFOD, una sorta di particolare veste sacra indossata dai sacerdoti (le sacre scritture la indicano in Aronne, il fratello e altri sacerdoti di Jahwè).
Questo particolare abbigliamento rituale era costituito da una veste, stretta alla vita da una cintura, completata con un pettorale appeso al collo, ricadente al centro del petto in modo da coprire il cuore, chiamato “CHOSHEN”. Su questo particolare ‘segno distintivo’ erano incastonate dodici pietre preziose (che rappresentavano le 12 tribù d’Israele), e su ciascuna di esse vi era inciso il nome delle di una delle tribù. Questo segno speciale di riconoscimento e di governo, come conferma il glottologo Salvatore Dedola, era chiamato anche “Tavola dei Destini”, ed era considerato un mezzo tra l'umano e il divino, un tramite attraverso il quale riuscire ad interpretare il futuro, il destino: in sintesi avere la conoscenza della sorte che avrebbe potuto garantire nel miglior modo possibile l’ordine e la legalità presso questo popolo.
Ho letto con vivo interesse le dotte considerazioni fatte da Salvatore Dedola sull’analisi del pettorale indossato dai nostri guerrieri di Mont’e Prama (Dedola è autore di opere interessanti, come "Monoteismo Precristiano in Sardegna", che Vi invito a leggere) e, per la Vostra curiosità, le riporto integralmente. Eccole.
“Tavola dei Destini”.
Quel coso quadrato raffigurato sullo sterno delle statue di Mont’e Prama e sui bronzetti nuragici viene chiamato banalmente “pettorale” o “corazza” da tutti i ricercatori, i quali non sanno dare altre delucidazioni. Chiunque rimane in dubbio osservando quell’oggetto appeso (dico: appeso) davanti allo sterno, troppo piccolo per essere classificato corazza. Non si riesce a giustificare il fatto che quella “corazza” lascia scoperte le parti vitali e molli, compresa l’aorta cardiaca.
Eppure quelle statue sardiane non hanno niente di misterioso. Con tutta evidenza, raffigurano un eroe o un dio nel pieno della propria sacralità, in una statualità divinizzata nella funzione protettrice verso la propria Comunità. Quel “pettorale” non è altro che la Tavola dei Destini, attributo del Dio Supremo protettore dell’Universo.
Nell’Enuma Elish, una Cosmogonia mesopotamica risalente al XIII secolo a.e.v., s’insiste molto sulla “Tavola dei Destini”, la quale viene dapprima fissata da Tiamat-Hubur (la Dea Mater Primigenia) al petto di Kingu, da lei generato e messo a capo di 10 gemelli generati con lui allo stesso tempo. Costui, nominato dio supremo, sfida Marduk-Mariutu, chiamato figlio di Utu-Sole ma generato propriamente da Ea e Damkina: in palio c’è l’egemonia dell’Universo. “Appena Kingu viene elevato, egli possiede il potere supremo, egli decreta il destino per gli déi suoi figli”: tutto ciò in forza della Tavola dei Destini postagli sullo sterno da Tiamat. È questa Tavola a rendere il dio onnipotente. E Marduk in una battaglia ferocissima riesce a sconfiggere Kingu, impossessandosi della Tavola dei Destini e divenendo il Signore dell’Universo.
La Tavola dei Destini affiora anche nella storia di Anzû ‘aquila con testa leonina’. Diffusa è la sua presenza nei testi letterali come “Lugalbanda e Enmerkar” e nel “Mito di Anzu e le Tavolette dei Destini”. Nel secondo poema, Anzu, dapprima al servizio di Enlil, sovrano degli Dei, lo tradisce rubandogli le insegne talismaniche dell’Autorità Suprema, le Tavolette dei Destini. Tale evento provoca un collasso dell’andamento cosmico, dell’ordine universale. Il racconto si conclude con l’intervento di Ninurta che sconfigge Anzu, recupera le preziose tavolette e riporta così l’ordine al mondo.
Abbiamo dunque conferma che nel mondo mesopotamico era la Tavola o Tavoletta dei Destini a garantire l’ordine universale. Non è un caso che la Tavoletta dei Destini riappare sul petto del sommo sacerdote del Tempio di Gerusalemme. Qui la chiamano “efod”, ma da essa è chiaro che il sommo sacerdote è garante dell’ordine cosmico. Quella ebraica era una teocrazia appena mascherata dalla figura del re, il quale era un esponente dinastico che garantiva l’ordine e la legalità.
L’efod, un pettorale quadrato con 12 pietre preziose incastonate, una per ogni tribù d’Israele, aveva l’importantissima funzione già descritta, la quale diveniva via più importante in caso di guerra. «Secondo Rashi, i consulti col pettorale non avevano luogo nel Santuario davanti all’Arca. Invece, il re e l’alto sacerdote stavano in piedi l’uno di fronte all’altro mentre il quesito veniva posto». Era l’alto sacerdote a dare il responso, entrando a consultare il Santissimo col re in secondo piano: «In tempo di guerra e in altre circostanze inusuali, l’alto sacerdote e il re entrano nel Santuario per fare domande riguardanti la comunità alla presenza di Dio. In tal caso l’alto sacerdote medita sulle pietre del suo pettorale e riceve la risposta mediante certe lettere sulle pietre che scintillerebbero in una maniera particolare. Questo oracolo fu usato fino alla distruzione del Primo Tempio».
Quanto precede illumina adeguatamente anche la funzione dei guerrieri nuragici indossanti l’efod e il tallit. Essi rappresentano il re nella sua funzione di alto sacerdote della comunità: le due funzioni sono unite in una sola persona secondo l’uso mesopotamico”.
(Salvatore Dedola, glottologo)
Cari amici, studio davvero interessante quello del Dedola, che ci porta a confermare che l'antica civiltà del popola sardo, era una civiltà d’eccellenza, alla pari se non superiore a quelli di altri popoli del Mediterraneo e dell'Oriente, e che, seppur tardi, stiamo riscoprendo con grande orgoglio. I nostri giganti, oggi, sono un grande e potente veicolo di conoscenza, capace di catalizzare sulla nostra isola flussi turistico-economici di grande spessore.
A domani.
Mario

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