martedì, maggio 25, 2021

PITAGORA E IL TABÙ DI MANGIARE LE FAVE. PER PITAGORA E I “PITAGORICI” QUESTO DIVIETO È LA TRENTASETTESIMA DELLE TRENTANOVE "REGOLE" PITAGORICHE.


Oristano 25 maggio 2021

Cari amici,

Pitagora, filosofo e  matematico greco (oltre che taumaturgo, astronomo, scienziato e politico) nacque a Samo nel 580 a.C. circa. Girò a lungo il mondo allora conosciuto, soggiornando in Egitto e in Babilonia, e stabilendosi poi a Crotone (Magna Grecia), dove nel 530 a.C. fondò la “Scuola pitagorica”, praticamente una setta filosofica-politica, che inizialmente ebbe un notevole successo. I Pitagorici, primi studiosi dei numeri e specializzati in “simbologia politica e sociale”, divennero il primo avamposto della cultura Magno-greca. L’attività politica che la Comunità pitagorica svolgeva in favore del regime aristocratico, però, fece nascere una violenta reazione popolare; la scuola pitagorica alla fine fu incendiata e gli adepti massacrati.  

Diogene

Ecco come Diogene racconta la morte di Pitagora: “Pitagora morì in questo modo. Mentre lui e i suoi tenevano una riunione nell’abitazione dell’atleta Milone, capitò che uno di quelli che non erano stati ritenuti degni di essere ammessi al sodalizio, per invidia, appiccò il fuoco all’abitazione. Pitagora dunque fu preso mentre fuggiva: giunto a un campo di fave, pur di non attraversarlo si arrestò, proclamando che era meglio essere catturato piuttosto che calpestarle e preferiva farsi uccidere, piuttosto che parlare; così, fu sgozzato dai suoi inseguitori”. Ma perché Pitagora si fermò di fronte al campo di fave evitando di attraversarlo, facendosi prendere dai suoi inseguitori? La fobia di Pitagora per le fave è una curiosità che va proprio raccontata!

Secondo la tradizione Pitagora e i suoi discepoli erano vegetariani; eppure nonostante ciò il maestro aveva vietato a tutti l’uso delle fave. La proibizione del consumo delle fave derivava con buona probabilità dalle consuetudini ereditate dalle antichissime religioni totemiche e dalle primordiali credenze arcaiche, apprese da Pitagora durante i suoi lunghi e numerosi viaggi. Il maestro di Samo, infatti, per circa vent’anni dimorò in Egitto e in Mesopotamia, venendo a contatto con sciamani, maghi e sacerdoti i quali gli insegnarono ciò che era puro e ciò che era impuro, ciò che era santo e ciò che era diabolico.

Molti tabù pitagorici, come quello delle fave, o come quello di non portare addosso anelli e di non voltarsi quando si lasciava la casa, erano del resto diffusi in diversi Paesi del Mediterraneo. Le fave erano considerate delle piante magiche, dotate di una potenza misteriosa e cosmica, sede di esseri soprannaturali in grado di influenzare negativamente o positivamente la vita degli uomini. Erano un cibo sacro agli dei dell’oltretomba o un cibo caro ai morti e per questo oggetto di tabù. Tutto ciò che apparteneva alle divinità o agli spiriti era interdetto agli uomini e infrangere il divieto significava mettere in moto contro di sé delle forze superiori che punivano i trasgressori con delle disgrazie.

La privazione alimentare, compresa quella di non mangiar fave, era contenuta nelle “39 Regole Pitagoriche”, veri comandamenti che i pitagorici dovevano rispettare per raggiungere il livello di perfezione e la vicinanza tra la condizione umana e quella divina. Il suo insegnamento doveva mirare alla pratica della misura nei riguardi degli istinti, dei desideri e delle pulsioni corporee; all’individuazione di ciò che era lecito e ciò che era illecito, di ciò che era puro e ciò che era impuro, ciò che era sacro e ciò che era profano. Attraverso la pratica della filosofia l’uomo si prepara alla salvezza dell’ anima, che con la conoscenza si purifica e si libera dal suo continuo errare, sino a raggiungere il divino da cui proviene. Insomma, astenersi dal mangiare le fave faceva parte del percorso di purificazione perseguito da Pitagora.

Il legame delle fave col mondo dei morti era, secondo le credenze pitagoriche, dato dal fatto che la fava ha infatti uno stelo privo di nodi, e questo la faceva ritenere in contatto con il mondo sotterraneo dell’Ade: le anime sarebbero risalite sulla Terra dall'aldilà proprio attraverso la fioritura della fave. Non a caso, le fave erano utilizzate nei rituali del culto dei morti. Ai pitagorici era persino proibito toccarle, e anche lo stesso Pitagora, inseguito dai sicari che lo volevano uccidere, preferì morire piuttosto che attraversare un campo di fave.

Cari amici, io pur non essendo un “Pitagorico” non mangio le fave! Lo faccio perché sono fabico, anche se da giovane, prima di scoprire di esserlo, ne ho mangiate molte e pure con tanto gusto! Chiudo questa riflessione amici aggiungendo anche che non è escluso che, anche ai tempi di Pitagora, il tabù delle fave poteva anche derivare da ragioni di prevenzione sanitaria; esse infatti anche allora erano ritenute pericolose in quanto capaci di provocare quella terribile malattia che nell’Ottocento sarà ufficialmente chiamata «favismo», ovvero un’anemia emolitica acuta.

Grazie della Vostra sempre gradita attenzione! A domani.

Mario

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