mercoledì, giugno 03, 2015

L’AVARIZIA: TRA I SETTE VIZI CAPITALI, ANCORA OGGI È UNO DEI PIÙ ATTUALI.

auri sacra fames

Oristano 3 Giugno 2015
Cari amici,
continuo oggi con Voi l’analisi dei “vizi”, quei comportamenti poco corretti che condizionano la vita dell’uomo, storicamente indicati in numero di Sette, almeno in riferimento a quelli più importanti. Questo mio excursus al loro interno altro non è che una modesta riflessione sui grandi mali che fin dalle origini “possiedono” l’uomo, e che, nonostante il tempo che passa, continuano ad essere presenti, modificati solo nella forma, ma non certo nella sostanza. Dopo la superbia (nella mia riflessione del 27 Maggio), parliamo oggi di avarizia,  uno degli altri grandi mali che attanaglia l’uomo anche in questo terzo millennio, sempre più egoista e individualista, sempre meno disponibile alla solidarietà ed alla condivisione.

Il possesso dei beni, anche ingenti, di per sé non è certo un male, anzi! Il problema non è, quindi, il possedere, quanto il “modo” spesso sbagliato di possedere
Possedere è legittimo: il problema inizia a sorgere quando non siamo noi a possedere i beni, il  danaro, ma quando sono questi a possedere noi. Le Sacre Scritture hanno sempre considerato l’avarizia un grave peccato. Nell’avaro, infatti, il denaro si fa Dio, perché ne occupa il posto: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6, 24), leggiamo nel Vangelo.
Che significato ha, dunque, anche in tempi moderni come quelli che stiamo vivendo, l’avarizia? Chi è al giorno d'oggi l'avaro?
L’avaro, come l’orgoglioso, il lussurioso ed il goloso, porta con se la colpevolezza del suo smisurato amore per il possesso. Il peccato di avarizia ha inizio non certo con il possesso del denaro, ma con il suo “cattivo uso”, quando cioè il danaro cessa di essere un mezzo per diventare il fine della propria esistenza. 
«Io sono ciò che ho», ripete di sé l’avaro, e pone nell’avere sempre di più, la radice del suo essere. E’ questo bisogno di possesso inarrestabile, questo suo dominio esclusivo sui beni materiali a farne un peccatore, perché egli non ricava un gioioso godimento dal possesso dei beni e dalla possibile condivisione di questi, ma solo una insoddisfatta voglia di possedere egoisticamente ancora di più. Come un assetato che, afflitto da una sete inestinguibile, non riesce a placarla.
L’attaccamento del cuore dell’uomo al danaro, cioè l’avarizia in senso proprio, è stata sempre condannata sia dalla Chiesa che dalla morale comune. Eppure, nonostante il passare dei secoli e dei millenni, nulla pare essere cambiato nella durezza dei sentimenti che creano l’avarizia: anche oggi, nel Terzo Millennio, viviamo in una società «sazia ma disperata» che scivola sempre di più verso una pericolosa deriva materialista, dove etica e altruismo sembrano sempre di più avvizzire. 
L’avarizia oggi imperante diciamo che, rispetto a ieri, ha solo cambiato forma: ai nostri giorni, la finanza creativa, le scorribande finanziarie, frutto perverso di una certa globalizzazione, sono tese al grande ed ingiusto accumulo di denaro, e questa “avarizia globalizzata”, affiancandosi a quella precedente, svolta in modo più individualista, ha solo ingigantito il precedente problema.
Cari amici, come ben sappiamo l’avarizia è vecchia quanto il mondo; già il poeta latino Virgilio diceva indignato: «Ahi de l’oro empia ed esecrabil fame!» («Auri sacra fames ad omne nefas inducit.»). Oggi, anche più di ieri, l’egoismo dell’avaro continua ad avanzare  senza sosta. 
Comportamento tipico della cultura occidentale, l’avarizia incarna il desiderio di acquisire sempre maggiori ricchezze, ed è la componente principale del capitalismo; nel tempo essa non solo non ha accennato a diminuire, a smorzarsi o a mitigarsi, ma è addirittura aumentata, pur trovandosi in presenza di gravi necessità assolutamente improcrastinabili. Eppure senza solidarietà, senza tendere una mano a chi è caduto e deve essere rialzato, l’uomo non avrà futuro.  Non è solo un problema di fede religiosa o di necessario, etico, comportamento laico: è questione di dignità! L’uomo avaro, l’uomo egoista che pensa solo a se stesso ignorando le esigenze dell’altro, non dovrebbe aver titolo di vivere all’interno di un contesto umano e civile: dovrebbe essere costretto a vivere lontano dalla Comunità, come un appestato di manzoniana memoria.
Grazie dell’attenzione, a domani.
Mario

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