mercoledì, maggio 13, 2020

SILVIA ROMANO E IL RITORNO A CASA DOPO 18 MESI. FU RAPITA IL 20 NOVEMBRE 2018 IN AFRICA, A MALINDI. UNA STORIA CHE FARÀ DISCUTERE ANCORA A LUNGO.


Oristano 13 maggio 2020

Cari amici,

In tanti abbiamo tirato un sospiro di sollievo dopo l’annuncio della liberazione di Silvia Romano, la ragazza milanese sequestrata oltre 500 giorni fa e riportata dai nostri servizi di intelligence nei giorni scorsi a casa. Una storia che si è conclusa positivamente, anche se, dato il lungo periodo trascorso, sembrava praticamente qualcosa di impossibile. 
Ebbene, nonostante una simile notizia scateni di norma gioia e senso di liberazione, fin dai primi momenti che la notizia è apparsa sui Media,  si sono scatenate, in particolare sui social, molte reazioni di pesante negatività. Insomma su Silvia, appena liberata, è stato scritto di tutto e di più. Un vile accanimento di cattiveria che fa davvero male ha colpito Silvia per il suo "cambiamento", avvenuto in circostanze che solo lei conosce. Ma vediamo di riepilogare tempo per tempo i fatti, per chi conosce solo sommariamente la storia di questa sfortunata ragazza, la cui unica colpa credo sia stata quella di essere nata altruista, sempre troppo disponibile ad impegnarsi per il bene degli altri.
Silvia Costanza Romano è una ragazza originaria di Milano. Giovane di 23 anni, dopo gli studi universitari fatti alla Unimed Ciels di Milano, Scuola Superiore Mediatori Linguistici (Ciels è stata la prima in Italia nel 2010 ad introdurre gli indirizzi di specializzazione nei corsi di studi triennale in scienze della mediazione linguistica), parte volontaria per l’Africa con l’Associazione marchigiana “Africa Milele Onlus”, che in diversi Paesi africani si occupa di sostenere l’infanzia abbandonata. Quest'esperienza sembra appagare il suo bisogno interiore di dare un contributo e un sostegno agli altri, e dopo le prime uscite torna in Kenya ad inizio novembre del 2018, raggiungendo poi la località di Chakama.
Nonostante il suo amico, volontario come lei, Davide Ciarrapica, con il quale aveva già effettuato un’altra esperienza in Kenya a Likoni (Mombasa), le avesse sconsigliato di non andare a Chakama in quanto posto “non sicuro”, Silvia preferisce partire. E fu proprio lì, nel villaggio di Chakama a 80 chilometri da Malindi dove aveva sede l’organizzazione Milele, che lei fu rapita il 20 novembre del 2018. Era felice del suo impegno dedicato ai bimbi abbandonati, avendo felicemente sposato lo scopo di “Africa Milele”, che si occupava soprattutto di infanzia abbandonata e, forse, anche conscia dei rischi che andava a correre.
Quel 20 novembre fu portata via dalla sede dell’organizzazione Milele da una banda armata, composta da uomini di origini somala. I sequestratori, stando ai si dice, erano uomini in stretto contatto con i componenti di “Al-Shabaab”, un gruppo di estremisti islamici della Somalia. I tre autori materiali del sequestro, dopo le indagini, sono stati già arrestati e ora si trovano sotto processo in Kenya. 
Amici, per fortuna la liberazione di Silvia Romano, gestita con professionalità ed efficacia da nostri servizi di sicurezza, si è conclusa positivamente ed oggi lei è potuta tornare a casa. Quello che ha sconcertato tanti, però, è stato il cambiamento avvenuto in lei. La Silvia che è rientrata in Italia, infatti, è apparsa molto diversa dalla Silvia che tutti avevano conosciuto prima. Silvia è tornata straordinariamente cambiata: sia nell'abbigliamento civile che in quello mentale, nuovo di zecca, acquisito durante la lunga prigionia. Chi l'ha vista all'arrivo in Italia l'ha osservata col corpo coperto da abiti molto diversi da quelli occidentali, in quanto indossava un vestito somalo da donna musulmana e si faceva chiamare con un nome nuovo, Aisha, avendo nel cuore una nuova fede, quella islamica.
«Ora mi chiamo Aisha e ho scelto spontaneamente di convertirmi all’Islam», ha detto Silvia, sorridendo dopo la liberazione alla psicologa che l’aveva accolta in Ambasciata a Mogadiscio. Anche il suo nome nuovo, Aisha, non è stata una scelta casuale: Aisha è il nome della figlia di Abu Bakr, primo califfo dell’Islam, considerata la “madre dei credenti” e sposa del profeta Maometto. Quando è scesa dall’aereo che l’aveva riportata in Italia, Silvia, col capo coperto, la mascherina e i guanti anti-coronavirus, indossava uno jilbab di colore verde acqua, abitualmente indossato dalle donne musulmane per rispettare il precetto coranico della modestia femminile; proprio quel verde, colore dell’Islam, un ulteriore simbolo della scelta religiosa da lei intrapresa.
Cari amici, dopo il suo difficile rientro a casa, su di lei si è detto tutto e il contrario di tutto. Sui social abbiamo assistito a commenti di ogni tipo: dai complimenti per lo scampato pericolo alla denigrazione volgare (tanto che si è deciso di darle protezione), perché la “piazza virtuale”, è sempre più in mano a una miriade di persone che farebbero bene ad astenersi dallo scrivere cose di cui vergognarsi. I commenti purtroppo hanno spaziato in tutti i campi. 
C’è chi ha parlato di “Sindrome di Stoccolma”, chi l’ha accusata di essere rientrata incinta di un terrorista islamico e chi di essere diventata una vergogna nazionale per aver abbandonato i costumi e la fede religiosa precedentemente praticata. La mia opinione, invece, è che questo non è il momento del giudicare, ma quello del riflettere, in silenzio e senza partigianerie!  Dovremmo con grande umiltà immedesimarci in lei, pensare alla violenza psicologica che ha certamente subito, alla solitudine interiore patita durante la prigionia; un’esperienza dura la sua, un trauma che forse noi non riusciamo nemmeno minimamente a concepire! Trascorrere tanti mesi di prigionia in un Paese come l’Africa, con tanti spostamenti e tanta fatica fisica e psicologica, credo sia una prova terribile che può cambiare la vita di chiunque.
Silvia Romano è ora rientrata a casa. Festeggiata con tanto amore dalla sua famiglia e anche dalla maggior parte di noi italiani, ha bisogno di silenzio e di una nuova pace interiore. Evitiamo di giudicare la Silvia di oggi, che è certamente diversa da quella che era partita un anno e mezzo fa. Non sta a noi, ora, esprimere giudizi affrettati: evitiamo di far volare la fantasia, evitiamo di colpevolizzarla, di lanciarle accuse senza senso, di disprezzarla! Sarà lei con calma e pazienza, dopo aver superato lo shock, a raccontarci “la sua verità”, quella che noi oggi egoisticamente vogliamo raccontare, senza averne titolo, al suo posto. Limitiamoci a dirle: Bentornata Silvia!
A domani.
Mario

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