Oristano 21 maggio 2020
Cari amici,
Che la Xylella stia
flagellando da anni gli ulivi pugliesi è ormai una storia tanto nota da non costituire
certo una novità. Il problema, ancora difficilissimo da risolvere, è “come
debellare” l’aggressione dell’insetto, ma finora nessuna soluzione è apparsa
all’altezza. Tra le ultime possibilità in analisi c’è quella dell’utilizzo di
insetti alloctoni, ossia non appartenenti al nostro ecosistema, in grado di
combattere la Xylella aggredendo gli insetti vettori del contagio. Una
soluzione non esente certo da rischi. Ma per capire meglio partiamo dall’origine,
ovvero vediamo cos’è la Xylella e come agisce.
La Xylella
fastidiosa è un batterio trasmesso alle piante da insetti vettori e il
vettore per elezione è il Philaenus spumarius, noto come “sputacchina”.
Succhiando la linfa dagli alberi già infettati, la “sputacchina” trasporta il
batterio da una pianta all’altra, contagiando quelle sane.
Il batterio della
Xylella, una volta introdotto nell’albero, si riproduce nei vasi linfatici
creando una sorta di gel che blocca il flusso della linfa e causa quindi il
disseccamento rapido dell’olivo o altre patologie che colpiscono anche viti e
agrumi.
Data la difficoltà di
individuare l’inizio dell’infezione, non è possibile curare le piante infette e
per contenere il contagio è necessario estirparle e seguire alla lettera le
regole di contenimento e prevenzione dell’epidemia dettate dalla Regione Puglia.
Il contagio di Xylella fu riscontrato proprio in Puglia nel 2013 e in seguito diversi
focolai furono segnalati in Spagna, Francia e Germania. Nel 2015 l’EFSA
(European Food Safety Authority) aveva classificato il fenomeno come in
valutazione di rischio fitosanitario, e dal 2018 la Xylella fastidiosa è
classificata ufficialmente come organismo nocivo.
In questi anni numerosi
sono stati i tentativi fatti per eliminare la Xylella, e tra le possibili soluzioni
per risolvere l’emergenza, si è valutata anche la lotta biologica, ossia
l’introduzione mirata sul territorio di specie di insetti antagoniste a quelle specie
che sono fra i più frequenti vettori della Xylella, “sputacchina” in testa. Un insetto
antagonista è stato individuato in una specie del Nord America, lo “Zelus
renardii”, presente in Italia dal 2013; questo è in grado di frenare
l’insetto vettore, la cicalina sputacchina (Philaenus spumarius) e quindi
fermare o rallentare l’infezione da Xylella.
L’insetto, come dichiara Francesco
Porcelli, docente del Dipartimento di Scienze del suolo, della pianta e
degli alimenti dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari, “Avrebbe capacità
aggressive buone se non addirittura ottime”. Lo Zelus renardii
fa parte di una famiglia di insetti conosciuti per la loro aggressività, tanto
da essersi guadagnati il nomignolo di cimici assassine. L’idea è quella di far
riprodurre l’insetto individuando una dieta artificiale che possa consentirgli
di produrre moltissimi esemplari da liberare tempestivamente nei campi
infestati dalle sputacchine, che costituirebbero una preda assai gradita alla
cimice americana.
L’impiego di questo
insetto, come afferma il prof. Porcelli, presenterebbe dei vantaggi: “Questa
cimice è un predatore molto efficiente non solo della sputacchina, ma anche
degli altri insetti dannosi per gli oliveti, come la mosca delle olive, la
tignola dell’olivo, le cocciniglie e le psille. Inoltre permetterebbe di
attuare il controllo degli insetti vettori minimizzando l’impiego di
fitofarmaci”. Il fatto che si tratti di un predatore “alieno” (o, con un
termine più preciso, “alloctono”) non costituirebbe un problema, secondo il
prof. Porcelli: “L’insetto è già acclimatato in Puglia, dove ne abbiamo registrato
la presenza, per esempio, in piante di Ficus ornamentale adoperate per gli
spazi verdi urbani o su querce e agrumi frequenti nei parchi pubblici e nelle
ville private. Un eventuale aumento esponenziale della popolazione è poco
probabile: nel caso la specie ne fosse capace, avremmo già visto la sua
esplosione demografica, che finirebbe, comunque, in un’autoregolazione per
cannibalismo o per esaurimento di prede.”
Di diverso avviso, invece,
Paride Dioli, entomologo presso il Museo civico di Storia Naturale di
Milano e massimo esperto di Reduviidae, la famiglia di insetti cui appartiene
Zelus renardii, del quale è stato, peraltro, il primo a segnalare la presenza
in Italia, nella zona di Roma, nel 2013. “L’idea di liberare molti esemplari
di Zelus renardii negli oliveti pugliesi mi sembra azzardata e rischiosa e
potrebbe avere conseguenze che al momento non siamo in grado di prevedere”,
ha sottolineato Dioli. Zelus renardii è, infatti, un predatore generalista, che
attacca indiscriminatamente tutto ciò che gli capita a tiro. Che cosa può
garantirci che una specie, così poco specializzata e “aliena” per la nostra
fauna non crei problemi negli ecosistemi dove viene portata in massa?
Cari amici, l‘introduzione
in un ecosistema di specie aliene non è mai priva di rischi. Chi ci garantisce, infatti, che Zelus renardii
o la cimice assassina che dir si voglia, prederà proprio le sputacchine (le cui
larve si difendono circondandosi di schiuma come dice il nome e i cui adulti
volano e saltano), e non altri insetti, magari utili? Risulta, infatti, che tra
le prede prese di mira dallo Zelus renardii ci sono anche le coccinelle
nostrane, già messe in serio pericolo dalle coccinelle asiatiche (proprio per
via di un errore nell’attuazione della lotta biologica) e altri insetti
impiegati per il controllo biologico, come le crisope.
Lara Maistrello, docente
di Entomologia presso il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di
Modena e Reggio Emilia, suggerisce una condotta estremamente cauta.
“La
lotta biologica è senz’altro uno strumento molto potente e utile, ma che va
attuato con criterio e grandi cautele, scegliendo gli insetti antagonisti con
molta attenzione”. Dovremo davvero riflettere molto,
prima di modificare gli ecosistemi naturali.
A domani.
Mario
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