Oristano
18 Gennaio 2016
Cari amici,
mi capita spesso di
affermare, anche su questo mio “diario-giornale”, che sono più le cose che non
conosciamo di quelle, poche, di cui nella nostra vita siamo venuti a
conoscenza. Una di queste, di cui voglio parlarvi oggi, è il bellissimo
Santuario campestre di San Mauro, ubicato in territorio di Sorgono. Si,
nonostante abbia di recente superato la soglia dei 70 anni, non avevo avuto prima
l’occasione di visitare questa bella Chiesa campestre, che vanta un passato
glorioso, storicamente valido e interessante.
Sono venuto casualmente
a conoscenza della sua esistenza perché l’Arcivescovo della Diocesi Arborense, Monsignor
Sanna, nel predisporre l’apertura di alcune “Porte Sante” in questo particolare
anno nel quale Papa Francesco ha istituito il “Giubileo della
Misericordia”, tra le 5 “porte” da aprire ha ritenuto di includere anche questo
venerato luogo di culto. Felice scelta, certamente, quella fatta
dall’Arcivescovo, perché questo Santuario, oltre che manufatto di rara
bellezza, è ancora un grande punto di riferimento per la Forania della Barbagia
che fa capo all’Arcidiocesi di Oristano. Questo Santuario si porta appresso una
lunga storia che io credo valga la pena di raccontare a chi non la conosce.
Ecco, allora, voglio rendere partecipi anche Voi del frutto delle mie ricerche: la
conoscenza di uno ulteriore 'spicchio' della nostra straordinaria storia sarda.
Sorgono è oggi un
modesto centro abitato posto in Provincia di Nuoro, che vanta una collocazione geografica
del tutto particolare: la sua posizione risulta essere proprio il punto
centrale della nostra Isola! Storico capoluogo della subregione del
Mandrolisai, una propaggine della più vasta Barbagia, Sorgono ha un territorio ancora
abbastanza ricco di boschi e sorgenti; poco pianeggiante, presenta vari livelli di altitudine che vanno da un
minimo di 345 a un massimo di 1.000 metri d’altezza sul livello del mare. Quanto al suo toponimo, gli
studi fatti non hanno appurato con certezza l’origine del suo curioso nome:
risulta attestato nel 1357 come “Sorgano”, termine di difficile interpretazione, che non consente di
risalire ad altro, per cui si presume che possa essere di origine pre-romana.
Numerose le testimonianze
del passato ancora presenti nel territorio: dai villaggi nuragici alle tombe di
giganti, dai dolmen ai menhir, dalle tracce della dominazione romana agli
antichi edifici sacri. Tra questi spicca, con grande evidenza, proprio il
Santuario campestre di San Mauro, adagiato alle pendici del monte Lisai (parte
della catena del Gennargentu), a 478 metri di altezza, distante circa 7
km dal Comune di Sorgono. La località, oltre che essere il centro geografico
della Sardegna, è il vero punto di convergenza dei confinanti centri di
Ortueri, Atzara e Sorgono. Questo territorio nel Medioevo fece parte della Curatoria
del Mandrolisai, passando poi sotto il Giudicato d’Arborea e successivamente fu inglobato
nel Marchesato di Oristano.
Circa la storia specifica
del Santuario, esso è dedicato a San Mauro, grande figura di benedettino, annoverato fra i primi
seguaci di San Benedetto. Mauro era di famiglia nobile (n. 512 – m. 584), apparteneva ad una
famiglia senatoriale romana, e Suo padre Equizio e Sua madre Giulia, quando aveva solo
dodici anni, lo presentarono a San Benedetto, luminosa figura del
monachesimo, di cui presto Mauro divenne uno dei principali collaboratori. L'edificio risulta costruito proprio dai monaci Benedettini
intorno al 1.120, edificato sulle rovine di una chiesa preesistente (della quale,
recentemente, è stata rinvenuta e messa in risalto una parete, inglobata in una
fiancata esterna dell’edificio). Successivamente, tra la fine del Quattrocento
ed il Cinquecento, la costruzione venne gradatamente ampliata con tutta un serie di lavori,
come è dimostrato dalla miscela di stili presenti, che variano dal
tardogotico al rinascimentale, compreso il barocco.
Il visitatore attento
che osserva il monumento per la prima volta, viene colpito subito
dal grandioso rosone che orna la facciata: un cerchio perfetto, con dei raggi di ben 2
metri! Il rosone si apre al di sopra del portale d'ingresso con un diametro di 4,5 m: è il più grande fra i numerosi esemplari presenti in Sardegna. Tutt’intorno, accanto al
Santuario, una lunga serie di “muristènes” fa da corona all'edificio; in passato questi fabbricati erano adibiti al ricovero dei
novenanti (alcuni anche come deposito delle mercanzie che venivano scambiate), mentre oggi risultano utilizzati come punti di ristoro per i tanti
pellegrini e turisti che visitano il Santuario.
L’antico luogo di culto
risulta edificato utilizzando lo schema planimetrico catalano dell'aula unica,
con la volta a botte; il presbiterio è quadrangolare, rialzato rispetto
all’aula, dotato di un cornicione e chiuso da un recinto con balaustra in
vulcanite. Al centro del presbiterio è posizionato un altare barocco in marmo
che accoglie nella nicchia centrale una pregevole statua lignea di San Mauro. Le
alte pareti dell’edificio sono incorniciate da lesene in vulcanite grigia
intercalate da edicole d'altare di foggia tardo-rinascimentale. Le lesene
servono a reggere i sottarchi della volta e sono evidenziate all'esterno da una
sequenza di robusti contrafforti. L'ingresso principale, rialzato, è preceduto da una scalinata in pietra,
affiancata da ali in muratura, alla cui sommità stanno due teste leonine che
reggono gli scudi della casa d'Aragona.
I “muristènes”
dislocati intorno al Santuario, oltre che luogo di ricovero e ristoro per i
pellegrini, secondo alcune fonti (però storicamente incerte), ebbero in passato anche una
destinazione umanitaria: furono utilizzati come lazzaretto durante la peste del
1695, accogliendo i vari appestati della zona; lo si rileva anche da un graffito sulla
facciata e da un canto in lingua sarda del poeta estemporaneo Chiccu Murru, che così
recita: “…Sos locales chi sunu in Santu Maru, finzas po lazzaretos fin
servidos, tantos omines da peste colpidos, inie agatadu hana riparu…”.
Anche l’esistenza di un
Monastero, facente parte del complesso di San Mauro, parrebbe verosimile, anche
non risulta confermata con certezza da fonti storiche. Tra le varie ipotesi sorte sulla grandiosità
dell’edificio di culto e del vasto complesso abitativo che vi ruota attorno,
una appare più credibile e plausibile delle altre: essa sostiene che sia stato
edificato dalla popolazione a seguito della ineludibile richiesta fatta dal potente
Tribunale dell’Inquisizione, quale pesante ammenda per una grave colpa commessa da un
importante signore del Mandrolisai, supportato dell’intera popolazione della
zona. Testimonianze e ipotesi in questo senso sono riportate dai vari nostri
studiosi isolani, tra i quali il Naitza e il Sorgia, reperibili anche tra gli
Archivi Nazionali di Stato in Spagna, a Barcellona.
La venerazione nei confronti del
grande benedettino San Mauro, portata in Sardegna da questi monaci fin dalla fondazione
della Chiesa-Monastero, è ancora oggi presente e viva: per le popolazioni della Forania della Barbagia San Mauro
è un Santo taumaturgo, un punto di riferimento che coinvolge fortemente anche popolazioni barbaricine fuori giurisdizione, che dedicano al Santo solenni festeggiamenti
addirittura 3 volte all’anno. Il Santuario, infatti, ancora oggi viene aperto nei seguenti periodi:
1) - a metà Gennaio per
invocare Santu Maru de is dolos (per
la guarigione dei dolori reumatici);
2) - il Martedì dopo la
Pasqua, Santu Maru de flores (cioè
per la primavera);
3) - alla fine di
Maggio per l’antica celebrazione di Santu
Maru erriccu (per la ricca produzione agropastorale del periodo).
Il maggior afflusso di
pellegrini si ha in Maggio, mentre durante gli altri periodi la partecipazione
è limitata agli abitanti del circondario. In antichità le donne della zona,
prima de Santu Maru erriccu, facevano la novena andando a piedi fino
alla chiesa campestre per nove giorni di seguito, e li, pregando, facevano il giro
della chiesa in ginocchio. I giorni della festa duravano in tutto sei giorni: tre
dedicati alla fiera dei buoi e tre a quella dei cavalli. Le persone provenivano
da tutti i paesi delle vicinanze e anche da molto lontano; indossavano il
costume tradizionale e spesso percorrevano chilometri e chilometri a piedi, o
arrivavano dentro carri pieni di fiori e trainati da due buoi (le cosiddette
traccas).
Il giorno della festa,
dopo una processione intorno alla Chiesa, si entrava all’interno cantando le preghiere al Santo: i goccios, le poesie in sardo. Seguiva
la predica del prete, il rosario cantato, ed infine una "preghiera personale", che ogni
fedele faceva di fronte alla statua. Dopo la Messa, le persone che avevano
qualche malattia (mali fisici, come ad un braccio, a una gamba o alla testa), appoggiavano la
propria parte malata ad una corrispondente (finta), fatta di legno o formaggio
fresco, e pregando, ne chiedevano la guarigione al Santo; altri invece acquistavano una fettuccina benedetta da portare poi al polso. Seguiva il pranzo,
portato da casa o, spesso, arrostito sul posto. Tutt'intorno aleggiava il profumo degli arrosti: carne, pesce, anguille, il tutto innaffiato con abbondante vino e accompagnato da dolci, in particolare torrone; i cavalieri si
sfidavano in evoluzioni e pariglie, mentre di sera gli uomini giocavano a sa murra, cantavano
poesie ed accendevano i falò.
Cari amici, su questa
località, si potrebbe ancora dire tanto, ma sicuramente correrei il rischio di
annoiarvi. Per ora credo che basti. Voglio concludere dicendovi solo che la
Sardegna è ricchissima di belle testimonianze del passato, che l'Isola ha un grande
patrimonio anche culturale e che, se fossimo più intelligenti, tutto questo potrebbe
essere un grande volano di attrazione turistica, capace di calamitare flussi di visitatori e conseguentemente creare posti di lavoro per i giovani. Chissà se le nuove generazioni saranno capaci di portare avanti queste nostre grandi
possibilità di sviluppo! Grazie, amici, a domani.
Mario
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