Cari amici,
oltre me, credo che tanti altri dopo aver letto la notizia dell’incredibile ritorno in auge della
lampadina a incandescenza, abbiano pensato che il passato, magari con qualche
piccolo ritocco, spesso ritorna! Chi ha la mia età ricorda con quanta
preoccupazione apprendemmo nel 2009 della messa al bando delle vecchie
lampadine, per la graduale sostituzione con le nuove lampade a basso consumo
energetico. Col passare del tempo, tuttavia, ci si abitua a tutto, e oggi
certamente molti non si ricordano neppure della loro esistenza. Ora, invece, quasi
come un fulmine a ciel sereno, ecco arrivare la notizia della riscoperta, in
chiave moderna, di questo tipo di lampada.
Per poter meglio
comprendere il valore che le lampadine hanno avuto nell'evoluzione e nella crescita della civiltà, vorrei ripercorrere la strada fatta da questo incredibile strumento, capace di
illuminare le ore buie della nostre giornate. Ecco, dunque, in una ricostruzione sintetica, la "storia della lampada", partendo proprio dal suo primo inventore,
lo scienziato britannico Sir Joseph
Wilson Swan, che brevettò la lampada a incandescenza nel 1878. La
rivoluzionaria invenzione fu testata proprio nella sua casa a Gateshead, in
Gran Bretagna, che conquistò così il primato di essere la prima al mondo ad essere
illuminata con le lampadine elettriche. Era solo l’inizio di una straordinaria
quanto incredibile diffusione. Solo tre anni dopo, nel 1881, il teatro Savoy
nella City of Westminster a Londra, fu il primo edificio pubblico ad essere
illuminato con questo innovativo sistema illuminante a incandescenza.
La curiosa invenzione
che prese il nome di lampadina era un bulbo di vetro, una specie di palla, con all’interno uno
spesso filamento di carbonio che, riscaldandosi, emetteva luce e gas. La prima
invenzione non era certo esente da difetti: l’interno del bulbo
si ricopriva rapidamente di fuliggine, emessa dal filamento incandescente e in
poco tempo si anneriva; inoltre, questo corpo illuminante consumava tantissima
elettricità. A questo punto entra in gioco l’americano Thomas Edison, che,
studiando la lampadina di Swan (era l'anno 1879), modificò e brevettò un nuovo
tipo di lampadina con un filamento sottile e ad alta resistenza elettrica.
L’ammodernamento
apportato, al contrario del modello di Swan, non anneriva troppo l'interno del
bulbo, riuscendo a mantenere una luminosità costante. L’interscambio di conoscenze tra i
due scienziati fece sì che Swan, partendo dalle modifiche di Edison, migliorò
ulteriormente la lampadina e cominciò a vendere le proprie in Inghilterra. Come normalmente accade in casi del genere,
tra i due inventori nacque una disputa sulla paternità dell'invenzione, anche se la
contesa fortunatamente finì qualche anno dopo con la creazione di una società,
la Edison-Swan, che divenne una delle più grandi produttrici mondiali di
lampadine. Nel 1910 il fisico americano William David Coolidge sostituì il
filamento di carbonio con uno di tungsteno immerso in un gas, realizzando in
questo modo una lampadina che durava molto di più. Questo tipo di lampada, con
pochissime variazioni, è arrivata fino ai giorni nostri.
Superati i problemi
prima esposti restava, tuttavia, un grosso problema da risolvere: l’alto consumo energetico
rispetto alla resa in luce, che non superava il 10% dell’energia consumata. Per
capire meglio il funzionamento bisogna sapere che l'innesco del processo luminoso avviene quando
il filamento di tungsteno della lampadina viene attraversato dalla corrente
elettrica. In questa fase un certo numero di elettroni raggiunge un livello
energetico superiore al normale e il loro altalenante movimento crea delle particelle
luminose chiamate fotoni, ossia la luce. Purtroppo questo processo di
produzione di luce non è molto efficiente: infatti, in una lampadina a
incandescenza, appena il 10 per cento dell'energia consumata si trasforma in luce
visibile, mentre il restante 90 % diventa luce infrarossa (invisibile ai nostri
occhi) e calore (che, invece, possiamo sentire: basta avvicinare una mano a una
lampada accesa!).
Nonostante tutta un
serie di modifiche apportate nel tempo, il consumo energetico di questi corpi illuminanti è rimasto sempre
troppo alto, tanto che l’Unione Europea a partire dal 2009 iniziò a vietare la
produzione di lampade a incandescenza, incentivando la fabbricazione di altri
tipi di lampade in grado di fornire la stessa luminosità con minori consumi. Si
svilupparono di conseguenza le lampade alogene (una variante di quelle a
incandescenza, con maggiore efficienza e maggiore durata), le lampade
fluorescenti a basso consumo e le lampade a led. Questi ultimi due tipi di
lampade, a parità di luce emessa, consumano fino all'80 per cento di energia in
meno. Tutto questo fino alla recente, sensazionale riscoperta della “vecchia” lampada a
incandescenza che, opportunamente modificata, d’ora in poi potrebbe cambiare
ancora una volta “le carte in tavola”.
A riscoprire la lampada
a incandescenza che potremo definire “lampadina
2.0”, è stato un gruppo di scienziati dell'Istituto di Tecnologia del
Massachusetts (MIT), guidato da
Marin Soljac. Le nuove lampade, il cui filamento è avvolto in un guscio di cristalli fotonici, avrebbero
un rendimento migliorato di 20 volte rispetto a quelle del passato e con
un’efficienza migliore delle attuali versioni di lampade a LED. Questa
incredibile “trasformazione” delle vecchie lampade a incandescenza è potuta avvenire
grazie ad un dispositivo in grado di ‘riciclare le radiazioni infrarosse’ e il
calore prodotto dall’incandescenza. Nelle 'lampadine 2.0', questo nuovo guscio, considerato che il filamento
metallico (tungsteno) della lampada quando viene attraversato dall'elettricità
diventa incandescente creando sia luminosità che calore e radiazioni infrarosse,
riesce a 'riciclare' l'energia dispersa,
'giocando' in modo particolare sia con la luce che con le radiazioni che scaturiscono dal filamento di
tungsteno.
Questa guaina-guscio avvolgente
di cristalli fotonici permette alla luce di passare mentre riflette le
radiazioni infrarosse rispedendole verso il filamento di tungsteno che a sua
volta assorbe il calore e produce nuova luce, in un ping pong continuo. Insomma un gioco a 'flipper' di rimbalzo di
radiazioni, da cui esce quasi esclusivamente luce visibile, in grado di garantire
un rendimento record del 40%, contro il 13% dei Led! La scoperta, che è stata pubblicata
sulla rivista Nature Nanotechnology,
potrebbe rendere molto più efficienti, senza grandi costi aggiuntivi, tutte le
tecnologie che producono o sfruttano luce, compresi gli impianti
termo-fotovoltaici.
Cari amici, una nuova
grande rinascita, dunque, per le lampade a incandescenza! Ideate 130 anni fa da
Swan e Edison e rimaste sostanzialmente immutate fino alla loro messa al bando,
esse stanno per tornare prepotentemente in scena. Una ulteriore dimostrazione del “mai
dire mai” che dovrebbe farci rflettere, perché spesso gettiamo via delle cose (idee comprese) che, invece,
in un secondo tempo potrebbero tornare di grande utilità.
Grazie amici, della
Vostra sempre gradita attenzione.
Mario
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