lunedì, aprile 09, 2018

DALL’INTELLIGENZA UMANA A QUELLA ARTIFICIALE. UTILIZZANDO GLI ALGORITMI SI STANNO CREANDO COMPUTER INTELLIGENTI, CAPACI DI PENSARE ALLO STESSO MODO DELLA MENTE UMANA.


Oristano 9 Aprile 2018
Cari amici,
Anche di recente, per vicende spesso legate ai sondaggi (non solo elettorali), si è parlato ampiamente di algoritmi, moderni processi matematici che, estrapolando milioni di dati, consentono alle macchine di costruire per nostro conto "soluzioni appropriate", darci insomma delle risposte logiche ai problemi posti, cosa prima mai potuta neppure immaginare, se non nei libri di fantascienza. In realtà l’informatica moderna sta facendo passi da gigante: i computer, da semplici strumenti di lavoro, capaci di semplificarci la vita, si stanno trasformando in nostri “alter ego”, ovvero in moderne macchine “pensanti”.
In realtà della così detta “intelligenza artificiale”, pur oggetto di discussione già da tempo, molto spesso se ne parla a sproposito. Da un lato c’è chi afferma che sarà sempre l’uomo a governare le macchine, anche quelle così dette intelligenti, e chi, invece, sostiene che le macchine un giorno prenderanno il sopravvento sull’uomo. La realtà, come sempre, sta nel mezzo, anche perché come dicevo prima poco si sa sul potenziale dei nuovi computer. Cerchiamo allora di capire meglio cosa si intende e come funziona l’Intelligenza Artificiale, che per risolvere i problemi utilizza i misteriosi “Algoritmi”. Cerchiamo, in primo luogo, di capire esattamente cos’è esattamente un algoritmo.
Un algoritmo è una procedura di calcolo ben definita che i computer effettuano a grandissima velocità; partendo da determinati valori in ingresso, l'elaborazione fornisce determinati valori in uscita. Quindi, il procedimoento è nient’altro che una immensa sequenza finita di passi in ingresso che successivamente l'elaborazione rimette in uscita. Scopo principale dell’uso degli algoritmi è la risoluzione di problemi: dai più semplici, come l’ordinamento di una lista di numeri o nomi, fino a quelli più complessi, come la gestione delle missioni spaziali e il controllo della diffusione di malattie o epidemie, oppure la previsione di un sondaggio elettorale in una nazione o parte di essa.
La domanda che noi comuni mortali, che già fatichiamo a pensare ai problemi quotidiani con la nostra modesta mente, ci facciamo è: come possiamo arrivare a capire, almeno in modo semplice, come in realtà funziona l’innesto di questi algoritmi nel cuore dei computer trasformandoli in macchine intelligenti? Proviamo a fare qualche esempio pratico. Se ora cerchiamo su Google un argomento, il motore di ricerca ci dà degli elenchi di link, da cui noi poi estrapolavamo quanto ci serve; le nuove macchine, attraverso gli algoritmi, invece, se noi facciamo una domanda a Google, per esempio: dammi la data di nascita di Pinco Pallino mi arriva immediatamente la risposta! E' il computer che, quasi ragionando e d'iniziativa, fa quello che prima ero io a dover estrapolare. Questo proprio grazie agli algoritmi di nuova concezione.
Algoritmi e macchine pensanti, questo è il futuro che ci attende! E c’è ormai chi si spinge oltre, ipotizzando che in un periodo non troppo lontano le moderne macchine potranno addirittura prevedere il futuro! Per comprendere ancora meglio il grandioso lavoro di analisi che le macchine fanno per l’applicazione dei particolari algoritmi di ricerca, viene da chiedersi: Ma chi fornisce ai potenti computer l’immensa mole di dati da analizzare? La risposta è semplice: noi! Siamo noi a fornire quotidianamente i molti miliardi di dati che girano in rete e che arricchiscono il calderone dove le procedure previste dall’algoritmo di riferimento si riforniscono.Ma come glieli forniamo questi dati?
In realtà tutto quello che noi facciamo quotidianamente quando interroghiamo i motori di ricerca o operiamo on line, resta visibile, rimane a disposizione. Tutte le nostre interrogazioni, la lettura delle notizie sfogliando pagine di giornali online, creando profili social, relazionandoci con gli altri sugli argomenti più disparati, tutto questo arricchisce il “pozzo di notizie” da cui gli algoritmi pescano, ricavandone poi dati attendibili.
Si, siamo noi a lasciare in rete le tracce di chi siamo, cosa pensiamo, cosa facciamo, cosa ci soddisfa, cosa ci piace e cosa non ci piace, compreso il nostro orientamento politico, religioso, sessuale e così via. Tutte notizie che poi, messe insieme, risultano preziose, in quanto evidenziamo “cosa ci piace” e cosa, al contrario non sopportiamo. Gli algoritmi lavorano proprio sui nostri dati che, elaborati dalle macchine, danno le risposte che essi cercano.
Con l’aumento costante degli ingressi in rete, con l’aumento delle relazioni sociali e commerciali scambiate via computer in tutte le parti del mondo, sarà sempre più facile, capire cosa la gente pensa, fa, sogna o disdegna. In questo modo è possibile sapere in anticipo chi vincerà le elezioni in America, quale sarà la moda della prossima stagione o i luoghi di vacanza che andranno per la maggiore. Forse ha ragione chi manifesta un po’ di paura per l’avanzare dell’intelligenza artificiale.
La domanda che in molti si pongono con un certo timore è: “Cosa succederà nei prossimi 25/30 anni? Diventeremo sempre più succubi delle macchine, perdendo praticamente la nostra privacy?” La risposta non è semplice. I recenti fatti che hanno messo al tappeto un potentissimo social come Facebook, accusato di aver “venduto” i dati dei suoi utenti, utilizzati poi per influenzare le elezioni americane e la Brexit, hanno fatto scattare più di un campanello d’allarme. I rischi in rete ci sono, ma credo che volenti o nolenti dovremmo rassegnarci a perdere almeno in parte una quota della nostra privacy.
Questo perché, purtroppo, non siamo “indipendenti” dagli algoritmi. Chi potrebbe, oggi fare a meno di Internet? Senza Internet non potremmo inviare email, scambiare gratuitamente messaggi istantanei di gruppo, prenotare online visite mediche e viaggi, controllare il nostro conto corrente o effettuare bonifici, pagare le bollette da casa e così via. I servizi di rete, anche quando non sembra, si reggono sempre più su algoritmi, e ciò significa che siamo già di fatto dipendenti da questi software. Che fare, allora?
Il problema non è tanto quello rendersi indipendenti dagli algoritmi, ma quello degli algoritmi di qualità e delle politiche relative alla loro implementazione e alla loro regolazione. Si, regole precise, che spesso vengono disattese, anche da parte nostra. Faccio un esempio. Google traccia i miei spostamenti? Bene, deve essere chiaro ed evidente che può farlo solo se io lo desidero. Spesso in tanti firmiamo con troppo leggerezza e senza leggere, nei contratti piccoli o grandi, “Accetto i termini e le condizioni”.  Facciamolo sempre con cognizione di causa, rifiutando, se necessario, all’occorrenza.
Amici, se noi vogliamo, il “Grande Fratello”, che immaginiamo domani possa assoggettarci a suo piacimento, in quanto diventato così potente e capace da dominarci, non l’avrà vinta se noi non glielo consentiremo, proteggendoci con le dovute regolamentazioni. 
La nostra intelligenza naturale, se la sappiamo usare, sarà sempre superiore a quella artificiale! Dipende da noi saper dominare quella artificiale, in quanto derivata dalla nostra!
A domani.
Mario

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