Oristano 13
Dicembre 2016
Cari amici,
La “Cicerchia”
(Lahtyrus sativus) è una leguminosa antichissima: da millenni risulta coltivata
in una vasta area che va dall’Asia centrale fino al Medioriente, all’Africa
Orientale e al bacino del Mediterraneo. Appartiene alla famiglia delle
Papilionacee ed è considerata un legume povero, di importanza secondaria, per la
scarsa qualità alimentare dei suoi semi, che però risultano consumati dall’uomo
da tempo immemorabile. La storia ci dice che era già in auge presso gli antichi
egizi, che con la cicerchia preparavano focacce e saporite zuppe.
La coltura di questa
leguminosa risulta diffusa in passato per due importanti ragioni: cresceva bene
anche su terreni poco produttivi e, soprattutto, aveva una resa in prodotto
superiore a quella di altri cereali o legumi. Oggi, con la riscoperta e
valorizzazione dall’agricoltura biologica, questa leguminosa estremamente
rustica, che si adatta facilmente in qualsiasi terreno senza l’ausilio di
concimi minerali e prodotti fitochimici, sta prendendo nuovamente piede. In
molte regioni (tra cui la Sardegna) ne è ripresa la coltivazione, con la conseguente
riedizione delle antiche ricette della tradizione: piatti poveri, una volta
appannaggio dei contadini, ma saporiti e nutrienti, facendoli in questo modo conoscere
alle nuove generazioni.
Per gli amanti della
botanica, ricordo le principali caratteristiche di questa pianta. La
Cicerchia (Lahtyrus sativus), è una pianta erbacea annuale, glabra, a
portamento sub-eretto piuttosto ramificata e con un apparato radicale ben
sviluppato in profondità; le foglie sono pinnate, opposte, con cirro terminale
ben sviluppato; i fiori sono solitari, portati in posizione ascellare con la
corolla di varie colorazioni (bianco, rosato, rosso, azzurro). Il frutto è un bacello
oblungo, leggermente ricurvo, appiattito e rigonfio in presenza dei semi
(contenuti in numero da due a cinque), che sono schiacciati, piuttosto
angolosi, di colore biancastro, marrone grigiastro o giallo crema.
La cicerchia possiede
un buon valore nutrizionale: un alto contenuto di proteine, amidi, fibre,
vitamine B1, B2 e PP, calcio e fosforo e con pochi grassi. Ottima in cucina per
la preparazione di zuppe, minestre, purè, farine e dolci vegetariani, si presta
bene all’abbinamento con altri legumi; il suo consumo favorisce la digestione e
il metabolismo ed è consigliata nei casi di disturbi della memoria, astenia e
affaticamento fisico e mentale. Oltre i vantaggi indicati, però, le cicerchie hanno una leggera tosssicità: contengono
anche un componente neurotossico che – in caso di
consumo eccessivo – può provocare una sindrome a carico del sistema
nervoso, definita “latirismo”. Per questa ragione il suo consumo non deve
essere mai eccessivo e anche la preparazione per il consumo necessita di accorgimenti,
come una lunga e accurata bollitura.
Oggi la cicerchia vive
una seconda vita, una seconda giovinezza. Sono diverse sono le Regioni (Lazio,
Marche, Molise, Puglia e Umbria) che hanno ottenuto per le loro coltivazioni il
riconoscimento di prodotto agroalimentare
tradizionale italiano dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e
forestali. Anche la Sardegna, con pochi coraggiosi pionieri, cerca di
ripristinare il consumo di questo legume (la cicerchia è nota in dialetto sardo come pisufà o piseddu), presente nell’Isola da millenni. Il
Centro conservazione biodiversità dell'Università di Cagliari, nei recenti
scavi effettuati nei pozzi di Sa Osa a Cabras (a breve distanza dal sito dei
Giganti di Mont'e Prama) ha rinvenuto (databili tra il 1310 e il 1120 a.C.)
migliaia di semi, frutti, granuli pollinici e frammenti di legno e carbone di
piante coltivate e selvatiche, come olivo, mirto, mora, frumento, orzo,
prugnolo selvatico, ginepro e lentisco, tra cui anche semi di cicerchia.
Questo certosino lavoro
di ricerca, come ha detto il prof. Gianluigi Bacchetta, che guida l’equipe del
Centro di conservazione dell’Università di Cagliari, ha permesso di affermare
che «il
popolo nuragico aveva un'economia di sussistenza altamente sviluppata e una
profonda conoscenza della flora e vegetazione della Sardegna, tale da eseguire
un'attenta selezione delle materie prime».
L’avanzare
dell’agricoltura biologica, dunque, sta consentendo a noi, nel terzo millennio,
di “riscoprire” i cibi del passato, quelli poveri, che durante le carestie
erano spesso l’unico cibo disponibile. Poco importava, allora, se i legumi come
la cicerchia provocavano, con un’alimentazione continua e non variata, la neuro
malattia nota oggi come latirismo. Quel legume, nonostante tutto, consentiva di
‘sopravvivere’, essendo ricca di proteine indispensabili alla vita. Ecco allora
che l’alimentazione, tra zuppe, minestre e polente, non poteva certo fare a
meno di questo legume.
Oggi, questo antico legume povero è salito di rango,
conquistando le tavole degli abbienti, presente ed in rilievo nei moderni “santuari
della genuina enogastronomia”. Sono i corsi ed i ricorsi della storia: la
cicerchia è un legume dal vissuto controverso, amato ma anche disprezzato,
simbolo di una cucina povera che, però, oggi sta riconquistando il grande
pubblico. Una chiara dimostrazione che anche nella filosofia alimentare il cibo
ha sempre due facce: una buona e una cattiva (per fare un esempio ci basti pensare
all’olio di palma).
Una delle cose che
ripeto sempre è che di nulla si può abusare, anche delle cose che
apparentemente non hanno controindicazioni, e, nel caso della cicerchia, non
sarà certo la presenza di quell’acido che contiene, l’Odap, responsabile, se si
eccede nel consumo, di alcune gravi malattie, ad escluderlo dall’alimentazione!
Pensate che c’è chi sostiene, per esempio, che il segreto della longevità degli
abitanti di Campodimele (Latina) sia da attribuire proprio al consumo della
cicerchia!
Cari amici, credo che
la riscoperta di questo legume (che ha un sapore gradevole, simile a quello dei
ceci ma ben più delicato), sia certamente un fatto positivo, in tutti i sensi.
Se in passato la cicerchia è stata sinonimo di carestia (in quanto quando le
altre coltivazioni fallivano, lei resisteva e diventava l’unica fonte di sostentamento
per i contadini, anche nelle annate peggiori), è anche vero che avendo salvato
dalla fame non poche vite, credo debba essere considerata, per quei tempi, una vera e propria “manna”.
Riscopriamo per quanto possibile, allora, gli antichi semi, evitiamo che
scompaiano, perché il futuro dell’uomo, a mio avviso, sta proprio nella
salvaguardia e riscoperta della bio-diversità.
A domani.
Mario
Uno dei pozzi di Sa Osa a Cabras
1 commento:
Il sardo non è un dialetto,ma bensì è una lingua.
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