lunedì, dicembre 12, 2016

NEL SINIS, TERRA PERCORSA DA MILLE POPOLI, SOGGIORNARONO ANCHE I TEMPLARI. ELVIO SULAS, APPASSIONATO CULTORE DELLE SUE ESSENZE, NE SCAVA LA STORIA, TRA I PROFUMI DELL’ELICRISO E DELLA LAVANDA.



Oristano 12 Dicembre 2016
Cari amici,
Il Sinis, da qualsiasi angolazione lo si guardi, appare non solo affascinante, in quanto ricoperto di una bassa vegetazione dagli smaglianti colori come quelli del rosmarino, del mirto, della lavanda e dell’elicriso, con i quali madre natura crea quadri di incomparabile bellezza, ma anche come un luogo unico e misterioso, carico di anni e di storia, capace di stupire in ogni suo aspetto. Chi lo percorre sente il mistero aleggiare nell’aria, perché ad ogni piè sospinto senti le presenze del passato regnare sovrane in tutto il territorio.
Ovunque si trovano tangibili tracce indelebili lasciate dai suoi lontanissimi abitanti: dai nuragici ai punici, dai fenici ai cartaginesi, dai romani (le rovine della città di Tharros ne sono una chiara testimonianza, come possono constatare i visitatori che vi si addentrano, dopo aver lasciato l’antico villaggio di S. Giovanni), agli spagnoli. Tutti i popoli che hanno abitato questo angolo di paradiso, hanno trovato nel Sinis prodotti straordinari: dai pesci della laguna (artefici di quell’oro oggi noto come “oro di Cabras”, ovvero la vera bottarga di muggine), alle fertili terre circostanti dotate di un clima meravigliosamente dolce, senza dimenticare il doppio porto naturale, straordinariamente efficiente.
L’importanza che rivestiva il Sinis nel passato è apparsa ancora più chiara quando in una delle sue collinette, quella di Mont’e Prama, sono stati ritrovati gli ormai famosissimi giganti di “Mont’e Prama”, enormi statue scolpite nell’arenaria, che raffigurano guerrieri, pugilatori e arcieri, ed il cui restauro, oggi completato, ne consente la meravigliosa esposizione nei musei di Cagliari e Cabras. Il Sinis dunque terra dei mille popoli, se pensiamo che è stato anche testimone del passaggio e del successivo insediamento dei “Templari”, quei monaci guerrieri che nei loro viaggi verso la Terra Santa (utilizzavano il porto naturale di Mistras a Tharros) avevano creato nei dintorni del Sinis delle basi operative. Operavano nei monasteri di San Leonardo, Cuglieri, Bonarcado e Norbello, e da quegli insediamenti, percorrendo le vie francigene segnate da pietre miliari con il simbolo della doppia P, essi si imbarcavano dal porto di Mistras per Roma e la Terra Santa.
L’ordine Templare era nato nella Terrasanta nel periodo delle “Crociate”, le guerre di religione tra le forze cristiane e islamiche per il possesso di Gerusalemme. Nato ufficialmente nel 1129, l'Ordine assunse la regola monastica dettata da Bernardo di Chiaravalle. Questi Monaci-Guerrieri svolgevano un doppio ruolo: quello di difendere la Terra Santa, e quella di occuparsi anche degli affari economici della Comunità. Impiantarono così delle importanti attività agricole, creando nel tempo un grande sistema produttivo e finanziario; in questo modo, gestendo i beni dei pellegrini che si recavano in Terra Santa, arrivarono a costituire il più avanzato e capillare sistema bancario dell’epoca. Cresciuto nei secoli in potere e ricchezza, l’ordine si fece nemico il re di Francia Filippo il Bello (loro grande debitore) e andò incontro, attraverso un drammatico processo per eresia, alla dissoluzione definitiva tra il 1312 e il 1314, con la confisca di tutti loro beni, avvenuta attraverso l’emanazione di apposita bolla pontificia.
Non sono tante le notizie del passaggio dei Templari in Sardegna, ma appassionati ricercatori, come Gianfranco Pirodda ed Elvio Sulas, hanno raccolto del materiale importante per dimostrarlo. Un libro, scritto a quattro mani dai due autori, può essere utile a chi vuole approfondire questa conoscenza (il libro “I Cavalieri Templari nel Giudicato di Arborea”, è edito dalla casa editrice S’Alvure). 
Elvio Sulas è un caro amico, che io ho già avuto modo di citare in un altro mio post su questo blog parlando della sua passione per la lavanda (ecco il link per chi, curiosamente vuole andare a leggerlo: http://amicomario.blogspot.it/2010/07/il-sinis-e-la-lavanda-una-nuova.html.
Elvio, oltre che essere un esperto conoscitore della macchia mediterranea (si occupa di coltivazione e lavorazione di piante officinali autoctone, in particolare lavanda ed elicriso), grazie alla conoscenza approfondita del territorio, dei riti e delle tradizioni ancestrali che lo contraddistinguono, ha iniziato ad occuparsi di ricerca archeologica (con particolare attenzione verso la presenza templare nel territorio), collezionando una grande quantità di oggetti, alcuni molto rari, altri unici, con i quali ha dato vita ad un piccolo museo di tradizioni popolari sarde.
Quasi per caso, mentre si occupava delle sue vigne e delle coltivazioni di lavanda, intravide le rovine di un fabbricato che altro non era che una antica chiesa. Erano le rovine del tempio di Santa Corona, appartenuta ai templari, che proprio nelle campagne di Riola si erano insediati con un loro monastero. Quelle terre erano parte delle loro vaste proprietà, come si può appurare dai documenti che ne attestano la confisca da parte del Vescovo di Oristano, dopo il famoso editto papale che, sollecitato dal re di Francia Filippo il Bello, espropriava tutte i possedimenti all’Ordine templare, che accusato di eresia venne annientato addirittura con l’uccisione del loro Gran Maestro Jacques (Giacomo) de Molay (Molay, 1243 – Parigi, 18 marzo 1314) che fu bruciato al rogo.
L’antica chiesa di Riola, dedicata originariamente a Sancta Corona de Rivora (o d'Errivora), è di data incerta come costruzione, anche se un documento ecclesiastico medievale di recente acquisizione pare dimostrare che questa chiesa esisteva già nel XII secolo, ed era anche molto importante. La dimostrazione della appartenenza ai Templari è rilevabile da diversi elementi. In un antico documento medievale stilato per una donazione, si cita il presbitero di Sancta Corona de Rivora, che nello stesso documento è definito col grado di "capitano": l'attribuzione dei gradi militari anche ai religiosi, è una peculiarità dei Templari; inoltre nel documento medievale, la chiesa di Santa Corona viene definita "tempio", anche questo è un aspetto tipico dei templari. Il nome stesso della chiesa, Sancta Corona, si lega ad un culto che è particolarmente connesso con la Terra Santa. L'attribuzione ai Templari è comprovata anche dai numerosi simboli presenti nelle decorazioni della chiesa. Molti di questi simboli sono oggi visibili fra le vie di Riola, in quanto parti della chiesa furono riutilizzate per decorare le facciate delle case, successivamente all’abbandono ed al disfacimento della chiesa.
Oggi, della navata centrale, rimangono solo la parte di fondo e la parete destra, con ancora visibili alcune nicchie in arenaria, di cui una ad arco, con delle colonne decorate ai lati. Dal 2009 i ruderi della chiesa si trovano finalmente in fase di restauro. Il comune ha iniziato un'opera di rivalorizzazione dell'area e Santa Corona inserita in un piano di restauro finanziato con fondi regionali ed europei.
Cari amici, è anche grazie al mio caro amico Elvio che oggi posso raccontarvi questa storia. Elvio, da vero sardo che ama la sua terra, quasi novello templare, continua la sua ricerca: tra distillati di lavanda e di elicriso e tra straordinarie botti di ottima vernaccia da lui prodotta, che coniuga con la sua grande passione archeologica verso questa terra. Un amore che appare senza limiti! 
Sono sicuro che quel Signore che sta lassù e tutto ci dona, lo ha certamente già promosso: non solo vignaiuolo della sua vigna (di vernaccia) ma nominandolo anche Gran Cavaliere Templare, difensore della Terra Santa!
A domani.
Mario


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