Oristano
1 Novembre 2016
Cari amici,
Iniziare i post di Novembre parlando d'acqua, mi sembra bello e utile. Il mare è certamente la più
grande e importante risorsa per la sopravvivenza umana. Tutti i processi
naturali, dal formarsi delle nuvole alle piogge, dai fiumi ai laghi, dalla
vita di animali e vegetali, tutto converge su un unico fattore
irrinunciabile: l’acqua potabile, che la natura ricava, attraverso i suoi processi di desalinizzazione, da quella dei mari. Del resto di acqua ne abbiamo in quantità eccezionale: la
superficie del globo terracqueo è formato prevalentemente di questa materia: ben il 71%
copre il nostro globo (acqua salata, però), lasciando alle superfici
emerse meno del 30%.
Questa enorme risorsa
liquida, però, non può essere utilizzata direttamente per le necessità
dell’uomo, in quanto in questo indispensabile elemento di sopravvivenza vi è
contenuta una grande quantità di sale. La natura, però, provvede direttamente a
rendere ‘potabile’ l’acqua salata, attraverso quel suo straordinario meccanismo
complesso che crea le piogge, rendendo “dolce” l’acqua marina. Col passare del
tempo e con la grande industrializzazione portata dall’uomo, però, quel ciclo naturale si è rivelato insufficiente. Ecco allora la messa in piedi di diversi
meccanismi di dissalazione: processi industriali anche molto complessi, che
comportano però costi di trasformazione molto alti e tempi di lavorazione
abbastanza lenti.
L’uomo, come ben sappiamo, non si è mai dato per vinto e così continua la sua battaglia per trovare nuovi sistemi più semplici e
veloci e, soprattutto con costi di esercizio accettabili. Proprio in questa direzione ha puntato una ricerca, realizzata dal Dipartimento Energia –
DENERG del Politecnico di Torino e portata avanti con il ‘Massachusetts
Institute of Technology’ e l‘University of Minnesota’. Lo studio, pubblicato
dalla prestigiosa rivista Nature
Communications, ha messo in luce che la lentezza dei processi di potabilizzazione derivavano in gran parte dalle membrane utilizzate per la separazione dal sale dell'acqua, e che la soluzione al problema (sia della lentezza che dei costi) poteva venire dal miglioramento proprio di questo 'separatore'.
I ricercatori hanno
focalizzato l'attenzione sul meccanismo dell’osmosi inversa e sulle caratteristiche delle
membrane utilizzate nel processo. Secondo loro il punto debole era rappresentato
proprio da queste ultime: quelle oggi maggiormente in uso sono
polimeriche e andrebbero sostituite con quelle in zeolite. Anche quelle in zeolite, però, per un corretto utilizzo
industriale andavano opportunamente modificate, in quanto le loro superfici, all’atto
pratico, risultavano molto meno permeabili di quella che era la loro capacità
teorica misurata in laboratorio.
"La zeolite - ha spiegato
uno dei ricercatori del Politecnico di Torino, Pietro Asinari - è
un materiale caratterizzato da una fitta e regolare rete di pori con dimensioni
inferiori al nanometro (meno di un miliardesimo di metro, ndr). Tuttavia gli
attuali metodi di fabbricazione rendono molto alta la resistenza, causando la
chiusura di oltre il 99,9% dei pori superficiali". Un limite
questo che si rivelava un vero e proprio “collo di bottiglia”, che rallentava il
trasporto collettivo dell'acqua attraverso la membrana, riducendone la
permeabilità.
La soluzione, per una
dissalazione più economica dell’acqua
marina, stava proprio nella realizzazione di membrane la cui superficie doveva contenere
un maggiore numero di pori accessibili, e, di conseguenza, essere in grado di
prestare una minore resistenza al passaggio dell’acqua. Il risultato è stato quello di
ottenere, in tempi più rapidi, una quantità di acqua circa 10 volte maggiore
rispetto all’uso delle membrane precedenti. La scoperta del Politecnico di
Torino, tra l’altro, potrebbe rivelarsi utile anche in altri campi: oltre che
agevolare la dissalazione dell’acqua marina, i ricercatori hanno affermato che “potrebbe
essere applicata anche nelle nuove tecnologie per l’energia sostenibile, come la
rimozione degli inquinanti nell’acqua e nella nano medicina”.
Cari amici, se l’uomo
riuscirà nell’impresa di trasformare in poco tempo ed a poco prezzo l’acqua di
mare in acqua potabile, il mondo potrebbe davvero cambiare faccia: come il giorno con
la notte! Immaginatevi quanti terreni oggi incolti perché aridi potrebbero
beneficiarne! Quante coltivazioni, che necessitano di buone quantità di acqua,
potrebbero essere avviate e quanti nuovi alberi potrebbero essere piantati!
Credetemi, sono
fiducioso: l’uomo, è vero che nel mondo ha fatto tanti e tali disastri che
sarebbe difficile raccontarli tutti, ma credo anche che piano piano possa
rinsavire, entrando nell’ottica che le risorse del pianeta non sono infinite!
Scoperte come quest’ultima di cui ho parlato oggi, sono la strada giusta da
seguire. Il mondo va salvato, se vogliamo lasciarlo, magari acciaccato ma
ancora ‘in buone condizioni’, alle nuove generazioni.
A domani.
Mario
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