Oristano
17 Novembre 2016
Cari amici,
C’è un antico proverbio
che consiglia di “fare del bene sempre, senza sperare di avere in cambio non
dico una ricompensa, ma nemmeno un sorriso o un grazie”, solo con la
convinzione di essere stati utili alla società; solamente in questo modo saremo
sempre con la mente sgombra da inutili attese di lodi o attestati, perché il raggiungimento
del bene comune dovrebbe essere sempre il nostro primo obiettivo, a prescindere da
tutto.
I saggi di ogni tempo
hanno sempre evidenziato l’irriconoscenza: basti rileggere i classici greci o
quelli romani per rendercene conto! Nei tempi che stiamo
percorrendo ignorare gli artefici del bene comune sembra diventata addirittura una regola, quasi identificandoli come "esseri diversi", avulsi
dal contesto sociale degradato, dove a predominare sono l'egoismo, l’arroganza e il
malaffare.
Chiedo scusa a chi legge per la malevola e ‘forte’
premessa che oggi precede la mia riflessione, ma il fatto che voglio riportare è un fatto datato, riferito
alla prima metà del secolo scorso, che vide protagonista di un coraggioso atto di
servizio una persona che ho avuto il piacere di conoscere personalmente (anche
se in tarda età), di cui, però, ignoravo il nobile gesto.
E' stato l’amico Beppe Meloni a riportare di recente l'episodio di cui fu protagonista. L’uomo in parola è Antonio SEU, all'epoca dei fatti riportati dipendente della Società Elettrica Sarda, padre anche di un collega bancario (lui in BNL e io al Banco di Sardegna), Vittorio. Non voglio aggiungere altro, oltre la premessa che ho inteso fare, perché Beppe Meloni, nel riportare il nobile gesto è stato quanto mai chiaro ed esplicativo, mettendo in risalto sia la benemerita azione che, ancor più, l’indifferenza e l’egoismo degli uomini. Ecco il “pezzo” di Beppe, che riporto volentieri.
E' stato l’amico Beppe Meloni a riportare di recente l'episodio di cui fu protagonista. L’uomo in parola è Antonio SEU, all'epoca dei fatti riportati dipendente della Società Elettrica Sarda, padre anche di un collega bancario (lui in BNL e io al Banco di Sardegna), Vittorio. Non voglio aggiungere altro, oltre la premessa che ho inteso fare, perché Beppe Meloni, nel riportare il nobile gesto è stato quanto mai chiaro ed esplicativo, mettendo in risalto sia la benemerita azione che, ancor più, l’indifferenza e l’egoismo degli uomini. Ecco il “pezzo” di Beppe, che riporto volentieri.
L’eroe
che salvò la diga e rimase senza ricompensa
di Beppe Meloni
E’
un vero peccato che tra i superstiti, sarebbe meglio dire i pionieri di quella
grande avventura del Secolo scorso, quale è stata la costruzione della vecchia
diga sul Tirso, non sia più tra noi: quel simpatico e gioviale “Rambo” Seu.
Per
quasi 40 anni Antonio Seu ha lavorato come turbinista e autista, prima alla
Società Elettrica Sarda e poi nell’Enel. Nel 1961, in occasione del
cinquantenario della società, era stato premiato dal presidente Conte Orrù, con
una medaglia ricordo per la sua fedeltà al lavoro.
Uomo
mite e tranquillo, corporatura atletica, Antonio Seu negli Anni Venti, si trovò
suo malgrado, in uno degli scontri in città, tra i sostenitori sardisti di
Emilio Lussu e quelli del nascente Partito Fascista, in Piazza Roma ad Oristano,
e nella rissa, come ha ricordato Mariano Murru, nella pubblicazione fatta per i
120 anni di fondazione della Società Operaia di Mutuo soccorso, “i pugni di Seu
si fecero sentire”.
Vittorio
Seu, ricorda anche quando il padre decise di trasferire la famiglia dal
villaggio di Santa Chiara del Tirso ad Oristano, per permettere ai figli di
studiare. E per rendere possibile ciò, acquistò una bicicletta e tutti i giorni
andava e veniva dalla diga di Santa Chiara ad Oristano: sempre così dal 1935 al
1956.
Durante
il periodo bellico – ricorda ancora Vittorio Seu – quando la diga venne più
volte bersagliata dagli aerosiluranti che tentavano di distruggerla, il padre
fu anche protagonista di un atto eroico. Nel febbraio del 1942, un siluro
sfondò la rete di protezione senza però colpire la diga. Durante i consueti
giri di perlustrazione in barca, Antonio Seu, il direttore del centro
l’ingegner Gardin e il capo cantiere Tilocca, notarono il grosso ordigno che
galleggiava sull’acqua e spinto dal vento andava verso la diga. Tutti si resero
conto che bisognava agire alla svelta, prima che succedesse l’irreparabile e
Antonio Seu, senza tanti indugi si buttò in acqua e dopo grandi sforzi riuscì
ad imbragare il siluro con una fune e a trascinarlo a riva. Gli artificieri disinnescarono
il siluro, lo resero innocuo e tutt’oggi si trova esposto al Museo
dell’elettricità a Roma.
Vittorio
Seu, a conclusione dei suoi ricordi giovanili, sottolinea amaramente che al
padre, per questo gesto eroico, fu promessa una ricompensa, che non arrivò mai.
Beppe Meloni
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Cari amici, credete che
oltre la premessa debba aggiungere altro?
A domani
Mario
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