sabato, febbraio 29, 2020

SELFIE, UNA SMODATA, PATOLOGICA PASSIONE! SE NE FANNO OLTRE 93 MILIONI AL GIORNO, SINTOMO DI UN CRESCENTE DISAGIO INTERIORE.


Oristano 29 febbraio 2020

Cari amici,

L'ultimo post di Febbraio, in un anno tra l'altro bisestile, lo dedico (anche se ironicamente) ad una nuova forma di narcisismo: i SELFIE. Lo smartphone, ormai nostro inseparabile compagno di vita, non è solo un mezzo comunicativo ma qualcosa di più: una vera e propria “estensione” del nostro corpo, una parte robotica che integra quella naturale, una aggiuntiva parte del corpo della quale proprio non riusciamo più a fare a meno. 
Con questo strumento.appendice, infatti, viviamo e trascorriamo la nostra giornata, e anche tutti gli altri soggetti che fanno strada con noi ci fanno compagnia per suo tramite: potremmo addirittura dire che gli altri si relazionano con noi soprattutto guardandoci attraverso le lenti del nostro smartphone! Si, pensate che nel mondo si scattano oltre 93 milioni di selfie al giorno, in pratica 1000 al secondo, una vera e propria ossessione!
Tutto questo sta a significare che il nostro IO soffre di un serio disagio interiore, male sempre più diffuso nella nostra epoca; quello che stiamo vivendo è l’inizio di un millennio che ci vede abbandonare sempre di più la visione individuale, fagocitata da quella collettiva. Insomma, per chiarire, siamo diventati “come i tralci di una vite”, parte di un organismo complesso, il branco umano, e noi esistiamo solo in funzione e in stretta dipendenza di questo Moloc. Viviamo una etero-dipendenza, e tra l’altro questo status pare anche piacerci, nel senso che “esistiamo” solo in funzione degli altri che ci osservano e ci giudicano. 
L’ossessione dei selfie, gli studiosi la paragonano ad una vera e propria “dipendenza”, come l’alcool o la droga, insomma il sintomo di un grave disagio diffuso, che porta a riconoscere sé stessi solo attraverso lo sguardo altrui. Si tratta di un disagio paragonabile, come spiega il professor Giovanni Stanghellini del Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio dell'Università di Chieti, non dissimile a quello che si nasconde dietro l’anoressia e la bulimia. 
Lo Stanghellini, autore tra l’altro del libro "Selfie - Sentirsi nello sguardo dell'altro", asserisce che l’individuo esiste solo ed in quanto venga osservato; "Videor ergo sum", è questo il nuovo io all'epoca dei selfie. "Il sé, insomma, 'prende corpo' solo attraverso lo sguardo dell'altro, solo perché qualcuno guarda il mio selfie".
Sembra incredibile, ma oggi, nello stesso tempo che ciascuno di noi impiega a contare fino a tre, nel mondo sono stati scattati circa 3000 selfie, oltre 1000 al secondo! Amici, 93 milioni di selfie scattati ogni giorno, non possiamo non ammettere che costituiscono una brutta patologia, una nuova ossessione della contemporaneità, un quadro che se non ha rilevanza clinica ha sicuramente grande rilevanza sociologica.
La realtà è che abbiamo abdicato a gestire da noi il nostro IO, e il selfie ci permette, attraverso lo sguardo e l’approvazione degli altri, di recuperare quel nostro autonomo giudizio sul nostro vivere, sul nostro essere, ovvero noi stessi. Viviamo praticamente in una dimensione etero-diretta, nel senso cheabbiamo bisogno di un pubblico per esserci”. È triste ma è una realtà inconfutabile.
Cari amici, il problema non è di poco conto, tanto che la moderna medicina ha già coniato un nuovo termine: la «selfìte», per designare quella nuova forma patologica di abuso dell'autoscatto, quel selfie compulsivo che, diventato “selfìte cronica”, si manifesta come un incontrollabile bisogno di scattare foto a sé stessi, 24 ore su 24, postandole su Facebook e Instagram più di sei volte al giorno. «Il punto però non è tanto quello dell'abuso del selfie – come sottolinea Stanghellini - quanto il fatto che il selfie è il sintomo di una mutazione della condizione umana».
L'autoscatto, insomma, crea un rapporto mediato e posticcio con la nostra immagine, spiega ancora il professore, e, come nel caso dei disturbi alimentari, il problema di base è la difficoltà di sentire il proprio corpo, sempre più comune in un'epoca in cui impera la società dello spettacolo e dell'immagine. «Tramite il selfie e cioè sentendoci visti dagli altri, riusciamo a sentirci», conclude l'esperto spiegando che l'antidoto a questa condizione di fragilità è ritrovare un contatto autentico (non virtuale) con sé stessi e con gli altri.
C’è davvero da riflettere seriamente…
A domani.
Mario

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