domenica, febbraio 09, 2020

L’URLO DI RULA JEBREAL AL 70° FESTIVAL DI SANREMO 2020 IN FAVORE DELLE DONNE VITTIME DI VIOLENZA.



Oristano 9 febbraio 2020
Cari amici,

Si è appena spento l’eco del Festival di Sanremo. Chi aveva dei dubbi sulle capacità di Amadeus di condurre in modo autonomo e non eterodiretto il 70° Festival della canzone di Sanremo, si è certamente dovuto ricredere. Eppure le avvisaglie c’erano tutte, culminate con il tentato (ma non riuscito) ostracismo nei confronti di Rula Jebreal, la giornalista palestinese che il conduttore intendeva portare al Festival.  Amadeus, però non si è lasciato intimidire, e quest’anno quel “solito” Festival nazional popolare della canzone italiana, grazie a lui, si è alquanto differenziato dal passato, portando sul palco non solo “canzonette” ma anche problematiche serie che il pubblico ha dimostrato di apprezzare.
Questa mia riflessione di oggi, però, non intende parlare dell’argomento principale del festival, ovvero le canzoni, i vincitori ed i vinti, ma semplicemente prendere atto che qualcosa di importante è cambiato in questo antico e glorioso programma. A mio avviso questa manifestazione canora ha fatto un importante passo avanti che, senza nulla togliere alla competizione fra cantanti, è riuscita nell’intento di mettere a fuoco, di fronte ad un immenso pubblico, anche serie problematiche inerenti alla nostra vita sociale, come la violenza nei confronti delle donne.
Certo ci voleva un grande coraggio per farlo: inserire in uno “spettacolo leggero” un problema serio come quello della violenza non è certo facile, e a molti è sembrato quasi un violare le regole, ma Amadeus ha avuto il coraggio di farlo e credo che abbia vinto la sfida. Ha difeso senza timore Rula, la giornalista palestinese che voleva inviare il suo accorato messaggio al mondo in favore delle donne, evidenziando in maniera forte il loro stato di sudditanza che non si riesce a cancellare; donne spesso vittime di violenza, come sua madre e tante altre in ogni dove.
E il grande pubblico ha premiato il nostro eccellente conduttore, come ha dimostrato lo share: il picco della prima serata di Sanremo 2020 è arrivato a toccare, durante il monologo di Rula Jebreal, il 59 per cento di ascolti. Un festival certamente apprezzato, considerato che anche la seconda serata, quella che ha visto la presenza del grande Benigni, come ha reso noto l’Auditel, gli ascoltatori erano ben 9.692.000, con uno share del 53,3 per cento, percentuale che si colloca al primo posto della storia delle seconde serate del Festival, dal 1995. Questo sta a significare che l’innovazione portata da Amadeus, nonostante i veti inziali, è stata vincente.  
Nella mia personale visione, una delle novità più dirompenti di questo Festival è stata proprio l’esibizione della Jebreal, che non si è certo limitata a svolgere il suo ruolo di co-conduttrice, svolto tra l’altro con garbo ed eleganza; Lei ha voluto, verso la mezzanotte, approfittare della sua presenza sul palco per parlare a viso aperto a quell’immenso pubblico che la ascoltava delle problematiche che continuano ad affliggere le donne, ancora maltrattate e vilipese seppure viviamo nel terzo millennio! Lo ha fatto raccontando sé stessa e la sua sofferenza, senza timore e senza vergogna!
È partita dalla brutale realtà vissuta, quella che vede ogni giorno tante donne vittime di violenza sessuale, poco protette anche dalle Istituzioni. Nelle aule giudiziarie, ha detto Rula nel suo monologo, volano spesso parole come queste, rivolte ad una donna vittima di stupro: «Che biancheria aveva quella sera?» e «trova sexy un uomo coi jeans?», o commenti come questo: «Se le donne non vogliono essere stuprate devono smettere di essere poco di buono». Poi Rula ha proseguito con enfasi: «Noi donne non siamo considerate mai innocenti: o perché abbiamo denunciato troppo tardi o troppo presto, o perché siamo troppo belle o troppo brutte, o disinibite e ce la siamo voluta». 
Rula nel suo monologo ha parlato sì in preda a grande emozione, ma le sue parole erano dure, taglienti come un coltello. Con la voce spesso incrinata dallo stato emotivo, ha raccontato di sé e della sua triste infanzia di bambina cresciuta in un orfanotrofio per la morte della mamma; «Sono cresciuta in un orfanotrofio con altra bambine; tutte le sere raccontavamo una storia ed erano favole tristi; storie delle nostre madri spesso stuprate, torturate, uccise». Rula, che durante il suo monologo è riuscita a creare un silenzio profondo in sala, ha poi elencato i numeri agghiaccianti dei femminicidi in Italia: «negli ultimi 3 anni 3 milioni di donne hanno subito violenza. Sei donne sono state uccise solo la scorsa settimana e nell’80 per cento dei casi il carnefice abitava in casa».
Ma la sua dura filippica contro il maschilismo sempre imperante non era ancora arrivata al termine. Il momento più duro è stato quando ha ricordato il suicidio di sua madre Nadia, e Lei non è riuscita a trattenere le lacrime. Successe quando lei aveva 5 anni. «Si è data fuoco – ha detto - ma il suo dolore cominciò da adolescente, voleva liberarsi del suo corpo perché mia madre fu stuprata due volte: a 13 anni da un uomo e poi da un sistema che non le ha consentito di denunciare. L’ uomo che l’ha violentata, per anni aveva le chiavi di casa». Nel suo lungo “atto d’accusa” ha citato poi altre donne che avevano fatto la stessa fine, dimostrando che il maschilismo, purtroppo, è sempre presente. 
Poi, tornando sul tema del festival ha detto: «Le canzoni che ho citato stasera sono scritte da uomini. Allora è possibile cantare l’amore e la cura. Questo è il momento che quelle parole diventino realtà, che non restino solo musica, ma che vengano vissute ogni giorno». Poi con voce ancora più forte: «Dobbiamo urlare da ogni palco, anche quando non è opportuno. Io sono diventata quella che sono grazie a mia madre e a mia figlia che è qui (mentre le telecamere inquadrano la giovane figlia che piange)». 
Rula chiude infine il suo monologo (che io considero una sorta di manifesto in difesa dei diritti delle donne), con un forte invito al mondo maschile: «Parlo agli uomini, Vi chiedo: lasciateci essere quelle che siamo, madri, casalinghe in carriera; siate nostri complici, indignatevi insieme a noi». Poi, usando anche le parole di una canzone di Ivano Fossati: «Sì stasera ho messo il miglior vestito. Domani chiedetevi pure com’era vestita la Jebreal, ma che non si chieda mai più a una donna com’era vestita quella notte che è stata stuprata. Mia madre ha avuto paura di quella domanda. E così tante donne. Noi non vogliamo essere vittime, accessori, quote. Tutto questo io lo devo a mia madre, lo devo a me stessa e alle nostre figlie. Nessuno può toglierci il diritto di addormentarci con una favola. Noi donne vogliamo essere musica».
Cari amici, per me le sue parole sono state “davvero musica”, ovviamente per chi le sa ascoltare! In un Festival importante come quello di Sanremo, stracciando i divieti iniziali, queste parole sono risuonate forti e chiare, a dimostrare, finalmente, che “Sanremo non è solo canzonette”!
Grazie Rula del Tuo forte invito rivolto a noi uomini di essere ‘uomini veri’, non “uomini-lupo”, esseri predatori; credo che il Festival di Sanremo di quest’anno sarà in futuro ricordato anche per la Tua straordinaria presenza!
A domani.
Mario

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