martedì, novembre 28, 2017

GENERAZIONE MILLE EURO. LO SCHIAVISMO DEL TERZO MILLENNIO, DIGNITOSAMENTE SOPPORTATO NONOSTANTE L’IMPEGNO E LA PREPARAZIONE DA 110 E LODE.



Oristano 28 Novembre 2017
Cari amici,
“Generazione 1000 Euro” è un film del 2009 diretto da Massimo Venier e tratto dal romanzo omonimo. È una storia che, seppur in maniera romanzata, riproduce la triste realtà dei giovani di oggi, quelli del Terzo Millennio. Io faccio parte della generazione precedente (essendo nato nel 1945 mi considero un figlio della guerra), e sono uno di quelli che ha vissuto la lenta e difficile ripresa post bellica, la successiva caduta economica arrivata alla fine dello scorso secondo millennio, e che oggi vive, agli albori del terzo millennio, una situazione di grande preoccupazione, che pare portare al declino della civiltà industriale.
Ma come e perché si è arrivati ad una situazione che vede, seppur in modo abbastanza diverso, un ripristino di quello schiavismo dei secoli scorsi, che fu così difficile da debellare? Ho già avuto modo di parlare di questa moderna civiltà post industriale "del precariato", dove per le nuove generazioni non c’è prospettiva futura, certezze per l’avvenire, stabilità e possibilità di costruire, passo dietro passo, un rapporto dignitoso sia familiare che nella Comunità. La precarietà ha vinto sulla continuità! Il posto fisso, a tempo indeterminato, sta per diventare un retaggio del passato, come scrivevo nel mio post su questo blog poco meno di un anno fa, il 1 Dicembre 2016; chi di Voi è curioso può andare a leggerlo, ecco il link: http://amicomario.blogspot.it/2016/12/foodora-fattorini-retribuiti-con-meno.html .
Oramai in tutti i settori lavorativi il credo imperante è quello della precarietà: niente assunzioni a tempo indeterminato, a prescindere dalle capacità, dalle competenze e dall’impegno dimostrato. Il grande credo del nuovo capitalismo è guadagnare il più possibile, costi quello che costi, senza ritegno alcuno, senza rispetto per nessuno, purché gli utili siano sempre in crescendo e creino rapporti di forza che, spesso, portano certe multinazionali ad essere più potenti di uno Stato.
Un Nuovo Schiavismo, dunque, fatto di retribuzioni pari a 30 centesimi l'ora (fortunato chi riesce ad arrivare a 1000 euro mensili), maternità massima di due settimane, "multe" per ogni errore, dove il potere assoluto del "dominus" ricorda i faraoni dell’antico Egitto. Si sono create condizioni di lavoro sempre più umilianti, che portano alcuni a raggiungere livelli di insoddisfazione tali che rasentano l’alienazione, la follia. Unica via per evitare tutto questo, è apparsa l’emigrazione, con il conseguente sradicamento dal proprio suolo natio per andare anche in capo al mondo, in cerca di un lavoro da svolgere con un minimo di dignità. Cosa non facile, purtroppo, in quanto lo schiavismo appare sempre più generalizzato.
Eppure, c’è chi resiste, o almeno cerca di provarci. L’esempio che porto oggi è quello di un ragazzo e una ragazza del nostro Sud, che lucidamente hanno deciso di non partire, di restare, magari lottando giorno dopo giorno a denti stretti. Quest’esempio l’ho trovato nelle mie quotidiane scorribande nel web, ed è lucidamente riportato da Antonio Menna, pregiata penna del nostro giornalismo. È la storia di Marco Miggiano, che ha 34 anni, una laurea con 110 e lode e menzione accademica in Relazioni internazionali, e della sua compagna.
Scrive Menna: “E’ una storia di resistenza ma senza eroismo. E’ la storia di uno ma anche di centomila. Una storia silenziosa che si fa strada nelle famiglie, nelle vite minime. E’ una storia di ritorni e di mancate partenze. Una storia che fa i conti col mondo nuovo e chiede alla persone di costruire una nuova economia personale, e di riscrivere il proprio sistema di valori. E’ la storia di Marco Miggiano, un ragazzo di Caserta, che diventa simbolo di una nuova tendenza”.
Il ragazzo avrebbe dovuto fare la valigia e lasciare Caserta, la Campania, il Sud. Andare a Milano oppure all’estero. A cercare lavoro, un reddito, un’opportunità all’altezza dei suoi studi, delle sue capacità. Lo poteva fare, ne aveva le possibilità. Invece Miggiano che ha fatto? È rimasto a Caserta. A fare cosa? A fare l’operatore sociale, precario ovviamente. Lo pagano come viene. Ci si attiva su progetti. Finanziamenti esterni. Quando gli Enti pagano, arrivano gli stipendi. Altrimenti, no. A pizzichi e a mozzichi, si sarebbe detto a Roma. Un precario di lusso, con competenze alte e possibilità di impiego, ma ostinato a restare. Più che precario, anzi. Senza alcun orizzonte che non sia il fare e poi sperare. E non è tutto.
Il ragazzo ha moglie (e figlio). Anche lei è laureata. Anche Lei precaria. Fa supplenze nelle scuole, come capita. Come una sostituzione alle Poste. In due – confessano – arrivano scarsi a mille euro al mese. Se va bene hanno qualche mese di respiro. Se va male si va in crisi. Ma insieme ce la fanno, provano a farcela. E’ la povertà degli illustri, l’indigenza dei laureati, la dignitosa vita con pochi soldi di chi ha studiato, si è formato, poteva avere di più ma impara a farsi bastare quello che ha, e non si perde di coraggio.
A leggere questa lucida analisi fatta da Menna, che parla di questa straordinaria caparbietà giovanile, viene da pensare, da riflettere. 
Si, forse non sarà eroismo, ma lucida consapevolezza che l’abbandono non è la scelta migliore. Le famiglie di origine fanno rete, le Comunità si stringono, le radici scaldano, i luoghi proteggono. Finisce il mito dell’emigrazione che ti salva la vita. Torna, invece, il sentimento di stare insieme, nei luoghi d’origine, quelli degli avi, quelli della sicurezza che riesce a dare il grembo materno.
Cari amici, se questo rivoluzionario “cambiamento”, se questa via nuova che il mondo ha imboccato sarà un bene o un male, si vedrà. Ma questa nuova via forse consentirà al nostro Sud di ripopolarsi, di vedere nuove famiglie costruirsi e crescere, di tornare a tessere quelle antiche trame lacerate dal “finto progresso”. È un tornare a vivere di poco, eliminando il superfluo e facendosi bastare solo l’indispensabile.  Scrive Menna nella sua riflessione: “Ma chissà che questa crisi, che ha rotto i vecchi ideali di successo legati a lavoro e denaro, e ha riscritto gli obiettivi delle generazioni, non sia anche una opportunità per ridisegnare il perimetro dei consumi. Si può vivere con meno, si può perfino vivere meglio nei propri luoghi, dentro il proprio destino. Dalla crisi, una opportunità. Dall’indigenza, una nuova visione”.
Credo che quest’esempio valga bene anche per la Sardegna e i suoi giovani figli. Quei giovani che, delusi dal “nostro mondo egoistico”, sono certo che riusciranno a costruirsi un futuro a loro immagine e somiglianza, diverso dal nostro (che li ha messi fuori gioco), perché loro, che ci piaccia o no, sono ben diversi da noi e…forse migliori!
A domani.
Mario

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