lunedì, aprile 05, 2021

IL KEFIR, LO STRAORDINARIO LATTE FERMENTATO AMICO DELLA NOSTRA SALUTE. ECCO SUOI PRINCIPALI EFFETTI BENEFICI.


Oristano 5 aprile 2021

Cari amici,

In primis, voglio augurare a tutti Voi Buona Pasquetta! Oggi voglio parlarvi del KEFIR, un derivato del latte (fatto fermentare) che ha lontane origini caucasiche (dell’Europa orientale e dell’Asia sud-occidentale), talmente apprezzato e gradito da quelle antiche popolazioni, che la parola turca KEFIR significa proprio “Benessere”. Un prodotto, dunque benefico, ottenuto dalla fermentazione del latte fresco (vaccino, di pecora o di capra), che all’aspetto si presenta come un'aggregazione di micro-granuli che contengono diversi ceppi di batteri buoni e di lieviti. È un'ottima fonte di proteine e ha un elevata quantità di calcio, fosforo e vitamine soprattutto del gruppo B, mentre invece risultano bassi i contenuti di colesterolo e di grassi saturi.

I latti fermentati apparvero già nella Bibbia; nel Deuteronomio Mosè li considerò costituenti vitali dell'alimentazione che Dio donò al suo popolo. Nel libro della Genesi si fa cenno all'uso di latte fermentato da parte del popolo di Abramo. Nella biografia dell'imperatore romano Eliogabalo (204-222 D.C.) c’è una ricetta per la fabbricazione dell'Opus lactarum che si può ritenere simile al nostro yogurt, preparato con il miele o la frutta. Successivamente, tempo per tempo, l'impiego di latte fermentato continuò. I primi libri di ricette del popolo arabo, probabilmente tradotti da originali persiani d'epoca sassanide, ne descrivono l'uso per la preparazione di diversi piatti, e anche nelle novelle delle ''Mille e una notte'' il kefir lo troviamo servito in sontuosi banchetti. In epoca moderna, gli studi in merito a questa bevanda risalgono alla fine del XIX secolo.

Consumato fin dall’antichità il kefir era dunque considerato un cibo che “faceva stare bene”, che aiutava la flora batterica del nostro intestino a riequilibrarsi, permettendo non solo di migliorare la funzionalità intestinale, ma anche di fortificare il nostro sistema immunitario. Anche le funzioni svolte dall'apparato digerente ne traggono beneficio, risultando ottimo per la salute delle donne in gravidanza o allattamento, grazie alle sue elevate quantità di calcio presenti, risultando utile in particolare anche nelle fasi della crescita e della terza età. Consumare kefir durante la menopausa costituisce un’ottima difesa contro l’osteoporosi e gli sbalzi emotivi. È giusto che si sappia, inoltre, che è più digeribile del latte e può sostituire egregiamente lo yogurt.

Quanto al suo consumo, il kefir lo si può bere o prendere al posto dello yogurt, aggiungendo anche della frutta; al palato ha un gusto piacevole e leggermente acidulo. Lo si può preparare oltre che con il solo latte, aggiungendo anche una base di acqua (in questo caso otterremo una bevanda leggermente frizzante e leggermente alcolica). Negli ultimi tempi il kefir ha aumentato non poco la sua diffusione ed il consumo, entrando a pieno titolo a far parte della nostra alimentazione. Tuttavia, per chi si affaccia per la prima volta al suo consumo, è meglio rispettare alcune regole iniziali.

Se non lo si è mai consumato è bene iniziare con piccole dosi. Soprattutto se si ha un intestino particolarmente disequilibrato, bisogna mettere in conto che è necessario conoscere gli effetti collaterali iniziali, come un senso di nausea, mal di stomaco, crampi, meteorismo; per questo è meglio iniziare a piccoli passi per abituare il proprio organismo. Nella attuale cultura europea, il kefir si può ricavare non solo dalla fermentazione del latte fresco, ma può essere preparato anche con latte vegetale. Kefir, in realtà è il nome usato per designare sia l’insieme di microrganismi presenti nei micro-granuli che la bevanda stessa; i grani di Kefir, formati da colture di lievito e batteri lattici, sono grani bianchi che quando si aggiungono al latte di mucca, di pecora o di capra, fanno sì che i microrganismi fermentano gli zuccheri presenti nel latte, dando origine alla bevanda di kefir (per cui si parla di kefir di latte).

Come accennato prima, il kefir, oltre ai probiotici utili all’intestino contiene diverse vitamine, minerali (calcio, potassio, magnesio e fosforo) e proteine; contiene anche il Lactobacillus acidophilus, un batterio “buono” che rinforza le mucose intestinali proteggendole dall’attacco di sostanze e batteri nocivi e stimolando la produzione di anticorpi nell’intestino; risulta utile anche a chi soffre di gastrite e ha problemi digestivi, sia per l’anziano che per il bambino. Povero di calorie, e soprattutto di lattosio, può essere consumato anche dalle persone intolleranti a questo zucchero. Il kefir aiuta anche a contrastare il desiderio di cibo fuori pasto, e, pensate, riesce anche a contrastare la proliferazione della candida!

Anche chi ha problemi di peso dovrebbe pensare seriamente a consumare il kefir. Prendere regolarmente il kefir ha effetti positivi sulla linea, risultando utile in particolare per eliminare o ridurre il grasso addominale, il più pericoloso. I benefici aumentano se viene assunto con le fibre giuste (presenti in alcune verdure e in alcuni frutti, come cicoria, carciofi, pere ecc.). In questo modo aumenta il senso di sazietà, si riduce l’assorbimento di zuccheri e grassi a livello intestinale e si regolarizzano i livelli di zuccheri, trigliceridi e colesterolo nel sangue.

Preparare il kefir in casa non è difficile. Per la sua preparazione è necessario reperire il kefiran, ovvero i granuli di kefir, un polisaccaride ricco di colonie di batteri e lieviti. Trovarli non è difficile, se avete un amico che lo fa in casa ve ne potrà regalare un po’ (tanto crescono giorno dopo giorno), oppure acquistarli su Internet, vi arriveranno a casa contenuti in un pò di latte. Prima di preparare la bevanda va, però, buttato il latte di conservazione. Una volta in possesso del kefiran (circa 25 grammi), vi servono 250 ml di latte, un colino non metallico a maglie fitte (ricorda sempre che i granuli di kefir non devono mai andare in contatto con degli utensili metallici), un barattolo di vetro grande con coperchio.

Dopo aver inserito i granuli nel contenitore grande di vetro (senza arrivare all’orlo), aggiungete il latte (di qualsiasi tipo) a temperatura ambiente; chiudete il vaso senza chiuderlo ermeticamente ma soltanto leggermente avvitato, oppure copritelo con un panno di cotone non troppo spesso, fermato poi con un elastico. Riponete poi in un luogo buio e lontano da fonti di calore per 24/48 ore. Trascorso il tempo, avrete ottenuto una sorta di yogurt ma più liquido. Ora bisogna filtrarlo con il colino a maglie fitte per dividere i granuli dal latte fermentato. Possiamo travasare il latte fermentato in un apposito barattolo da riporre poi in frigo. I granuli, invece, dopo essere stati sciacquati col latte fresco, servono per una nuova preparazione. Si possono tenere per 2/3 giorni in frigo, prima di ricominciare il procedimento, mettendoli in un barattolo semichiuso (coperchio appoggiato sopra). Prima di usarli basterà sempre sciacquarli con un po’ di latte.

Cari amici, il kefir, dunque, prodotto amico che ci regala salute e bellezza. Quanto al suo consumo, possiamo consumarlo freddo, da solo, eventualmente zuccherato, oppure miscelato con della frutta frullata o a pezzi, con dei cereali, etc., ma può anche essere utilizzato per preparare un’infinità di ricette, più o meno come lo yogurt!

Grazie amici, a domani.

Mario

 

domenica, aprile 04, 2021

SOCIALITÀ E PANDEMIA. AL TERMINE DI QUESTA PANDEMIA COSA CAMBIERÀ REALMENTE NEI RAPPORTI SOCIALI? SAREMO QUELLA “FOLLA SOLITARIA” DESCRITTA DA RIESMAN?


Oristano 4 aprile 2021

Cari amici,

Di relazioni sociali sempre meno intense, sempre più fredde e gelide, ho già parlato su questo blog, citando David Riesman e la sua “Folla solitaria”, in un post del 20 Settembre 2014, che, chi vuole, può andare a leggere o rileggere, cliccando sul seguente link: http://amicomario.blogspot.com/2014/09/le-nostre-citta-e-la-folla-solitaria.html. Col passare del tempo le relazioni sociali sono andate sempre più inaridendosi, trasformate in   relazioni formali di sola apparenza.

Uno come me, nato nella prima metà del secolo scorso, quando era ancora in auge la civiltà contadina, ha toccato con mano cos'era il “vicinato”, ai tempi della mia fanciullezza. Era un modo di stare insieme che possiamo considerare una vera “famiglia allargata”, dove la solidarietà era qualcosa di concreto, di reale, che si viveva ogni giorno, nonostante la povertà e la scarsità di mezzi economici disponibili.

Nel mio libro di memorie “Marieddu” ho affrontato sotto diverse sfaccettature questo “vicinato di solidarietà”, presente all’interno delle famiglie del quartiere (allora “vicinato”), coese e solidali come una vera e propria famiglia allargata. Non vi era manifestazione importante, fosse un lutto o una ricorrenza felice, che non fosse “condivisa” tra tutti i membri della Comunità che, nella gioia e nel dolore, partecipavano non solo col sentimento ma anche nella materialità dei beni utili e necessari nella circostanza. Poi, lentamente ma inesorabilmente, i cambiamenti hanno fatto cadere l’amicizia vera e la solidarietà, ingigantendo l’individualismo e accantonando l’altruismo reso così obsoleto.

David Riesman, grande studioso di sociologia contemporanea, ha ben evidenziato questo cambiamento, definendo le Comunità “Folla solitaria”, nella quale l’uomo, persa l’umanità, ha acuito il suo individualismo, navigando da solo nella moltitudine che gli si affollava intorno. È proprio nella seconda parte del secolo scorso, soprattutto nell’Occidente sviluppato, che la precedente società, diventata troppo individualista, si è trasformata in un’arida società di massa.

Tutto questo amici, risulta ora ulteriormente aggravato dalla pandemia in atto. Lo scatenarsi del distanziamento sociale, il rinchiudere dentro di sé le amozioni, la freddezza, sempre più marcata nelle relazioni sociali, sta completando un puzzle che creerà nelle Comunità il deserto.  È la fine del calore umano del contatto, della contiguità, della vicinanza. Gli uffici svuotati, il lavoro svolto in solitudine da casa con lo smart-working, seppure marchingegni utili alle catene produttive, mortificano le idee, la condivisione di progetti, la creazione del “nuovo”. Anche la scuola, distanziata e priva di relazioni tra compagni, forse farà andare avanti gli studenti nei programmi, ma azzera tutto il contesto sociale, amicale, sentimentale.

Ecco, siamo arrivati alla “de-socializzazione”, lucidamente individuata e illustrata da Carlo Bordoni, sociologo, nel suo libro “L'intimità pubblica” (La Nave di Teseo). Qui Egli fa i conti con la triste “de-socializzazione” in cui siamo piombati, e nel libro così commenta: “(La de-socializzazione)… è come un tratto costitutivo della nostra epoca, svuota l’esperienza sociale come orizzonte che trascenda il mero valore d’uso delle cose che si fanno. Andare allo stadio con gente che si affolla non è solo guardare una partita: è esperienza sociale. Andare al cinema non è solo vedere un film, è esperienza sociale. Andare al ristorante non è solo mangiare, è esperienza sociale. Andare a scuola non è solo apprendere una lezione, è esperienza sociale. “Società” è imparare più cose di quelle che servono a uno scopo pratico. La sua fine è tristezza infinita, perché la vita è un equilibrio di sociale e di privato, di socializzazione e di solitudine. E se la società finisce, anche la solitudine rischia di perdere la sua bellezza”.

Cari amici, credo che questa terribile pandemia, che ci avvolge nelle sue spire da oltre un anno e che, considerata la scarsità di vaccini, penso che durerà ancora a lungo, stia creando un mondo così arido e solitario che potrebbe addirittura arrivare ad estinguersi senza patemi d’animo. la triste “de-socializzazione” in cui siamo ulteriormente piombati con la pandemia in corso ci sta predisponendo ad un futuro orribile, più misero, più arido, più desolante di quello attuale, già di per sé, comunque, non proprio rose e fiori…

A domani.

Mario

 

 

sabato, aprile 03, 2021

IL DECALOGO DEL CUOCO CASALINGO: È CON PASSIONE, MA ANCHE CON MODESTIA, CHE POSSIAMO ESSERE APPREZZATI PER LE NOSTRE CAPACITÀ CULINARIE…


Oristano 3 aprile 2021

Cari amici,

È finito il tempo della civiltà contadina, con la donna che governava la casa, allevava i figli, cucinava, apparecchiava e sparecchiava, oltre alle mille altre incombenze di cui doveva occuparsi. Al giorno d’oggi i coniugi spesso lavorano entrambi e anche le faccende di casa sono appannaggio di entrambi, cucina compresa. Questa reciproca gestione della casa, ha portato l’uomo ad occuparsi anche del reparto cucina, anche se c’è da dire che in questo campo conoscere solo le ricette, con gli ingredienti necessari, i tempi di cottura e la sequenza delle operazioni da mettere in atto per realizzare i piatti nel modo giusto, spesso non basta.

Si, amici, conoscere le ricette, seguirne fase dietro fase la realizzazione non sempre basta, perché in cucina commettere determinati errori è molto facile. Errori che all’apparenza potrebbero non sembrare significativi, mentre invece potrebbero rischiare di rovinare i piatti che andremo a preparare. I segreti della cucina sono tanti, e vanno conosciuti fino in fondo. Per fare un esempio, dobbiamo conoscere per bene, tanto per cominciare, l’ampiezza della fiamma del gas, in relazione a ciò che stiamo cucinando, poi il tipo di recipiente dove far cuocere il cibo, come rimestare la preparazione nel recipiente dove lo stiamo preparando; sapere come avere un soffritto dorato senza essere bruciato, i tempi di salatura di ciò che stiamo cucinando e persino i coltelli giusti da usare, diventa determinante!

Sbagliare certe mosse nella preparazione, avendo fretta o poca competenza, seppure possano sembrare errori di poco conto, possono invece avere conseguenze negative nelle nostre avventura culinaria, risultando, stupidamente, meno preparati di quello che, invece saremmo potuti essere. Ecco allora per Voi un decalogo degli errori più comuni: 10 inadempienze nelle quali, sicuramente, siete già cascati in precedenza e che sarebbe preferibile non ripetere! Seguendo questi consigli realizzerete i Vostri piatti nel modo migliore e chi vi sta intorno vi apprezzerà molto di più.

1. Cottura: uso corretto della fiamma. Spesso si arriva a casa all’ultimo momento e, per la fretta, cerchiamo di risparmiare tempo cucinando i cibi a fiamma troppo alta, col risultato di bruciacchiargli, facendo con il resto della famiglia anche una magra figura. Ogni cibo ha necessità della fiamma giusta: la fiamma alta è ideale se state preparando una bistecca alla griglia ma se cucinate delle verdure in padella, la fiamma deve essere media, non troppo bassa ma controllata.

2. Usare sempre il recipiente adatto e amalgamare sempre con attenzione. Cucinando, è necessario scegliere la padella giusta: mettere troppi ingredienti nella stessa padella, nella speranza di fare più in fretta, è un errore, perché se la padella è troppo piena avrete difficoltà a girare cibi, col rischio di servire un piatto cotto sul fondo e crudo in superficie; inoltre, mescolare troppo gli ingredienti in padella non aiuta la cottura e neppure ne riduce i tempi (potreste servire a tavola una poltiglia poco gradevole). In cucina armatevi, dunque, sempre di pazienza, e, a meno che non stiate cucinando un risotto, mescolare ogni tanto e con criterio vi eviterà di portare in tavola una poltiglia indistinta.

3. Condire sempre con le dosi giuste, senza esagerare. Per condire i cibi, attenzione e criterio. Condire tutto senza mai esagerare; usare olio, sale e spezie, nella giusta quantità, in modo che siano sapidi ma non esageratamente pesanti; assaggiare spesso durante la cottura (in particolare per il sale), aggiungendo quando necessario.

4. A proposito di sale, alcuni accorgimenti davvero utili. Nell’acqua preparata per cuocere la pasta, mai aggiungere il sale troppo presto: il sale va aggiunto solo quando l'acqua inizia a sobbollire e, in ogni caso, in quantità proporzionata alla pasta che dobbiamo cuocere. Aggiungere il sale prima significa impedirgli di sciogliersi completamente, e ci vorrà pure più tempo per raggiungere la temperatura di 100°. Quanto al salare la carne in cottura (specie alla griglia), ricordiamoci che la carne rilascia succhi e liquidi, e, il sale assorbendo l'umidità, se aggiunto in cottura, rischia di rendere secca la vostra bistecca. Perciò saliamo la carne, una volta terminata la cottura, meglio facendola salare nel piatto dai commensali.

5. Facciamo attenzione al soffritto. Alla base di ogni sugo c’è sempre il soffritto. Ma anche il soffritto ha le sue regole da rispettare. Fate scaldare la padella, quindi unite l'olio e solo dopo un minuto la cipolla, il sedano, la carota e l'aglio: fate dorare gli ingredienti senza farli bruciare a fiamma troppo alta, quindi unite il sugo e fatelo cuocere lentamente. Se l'aglio dovesse annerirsi perché per qualche motivo vi siete distratti, toglietelo dalla padella e continuate la vostra ricetta, il vostro palato vi ringrazierà.

6. Il cuoco deve sempre assaggiare quello che cucina. Non bisogna essere degli chef stellati per sapere che il cibo va sempre assaggiato non solo prima di servirlo ma soprattutto durante la cottura. Saggiare ogni tanto vi permetterà di aggiustare il tiro: troppo sale, troppo poco, un pò di spezie, pepe nero o pepe bianco? Per essere sicuri di non sbagliare dovrete fare due cose: seguire con attenzione le ricette e assaggiare, sempre!

7. Imparate a far riposare la carne prima di servirla. Durante la cottura, i succhi della carne tendono a concentrarsi verso il centro, questo significa che immediatamente a cottura ultimata avrete un interno morbido e succoso ed una superficie più secca. La soluzione è lasciar riposare la carne prima di tagliarla e servirla: in questo modo infatti i liquidi della carne inizieranno a espandersi nuovamente insaporendo ogni centimetro. La pazienza non vi deve mai abbandonare: l'attesa -proporzionata alla grandezza della carne che andrete a cuocere – vale la pena.

8. Usare i coltelli giusti. Vi sembrerà anche strano e curioso, ma in cucina anche i coltelli hanno la loro importanza. Certo non è che in cucina siamo come al ristorante, ma tagliare le verdure con il coltello del pane non è un errore, è una tragedia. Ogni cibo deve essere tagliato con la lama giusta, possibilmente ben affilata, per evitare di rovinarli, rendere lenta e difficile la cottura e portare in tavola piatti brutti da vedere, l'occhio vuole sempre la sua parte.

9. Attenzione a non scongelare i cibi nel modo sbagliato. Congelare i cibi è molto semplice, scongelarli però nel modo sbagliato può significare non solo perderne le caratteristiche organolettiche e le proprietà, ma anche rovinare i vostri piatti. Che siano verdure cotte o crude, pesce o carne, seguite i nostri semplici quattro consigli e non sbaglierete più.

10. Come cuocere il basilico. Un ultimo consiglio: Il basilico, che profuma un’infinità di preparazioni, a partire dal sugo, non va messo in padella mentre il sugo sta cuocendo, ma “aggiunto a crudo e solo a fine cottura”! Solo così i vostri commensali ne apprezzeranno il profumo, la fragranza e Voi sarete apprezzati davvero come dei cuochi eccellenti!

A domani, amici.

Mario

 

 

venerdì, aprile 02, 2021

LA CINA, IL VIRUS, IL COLLASSO ECONOMICO DELL’OCCIDENTE E LA PRONTA RIPRESA DELL’ECONOMIA CINESE. C’È QUALCOSA CHE NON TORNA...


Oristano 2 aprile 2021

Cari amici,

È trascorso più di un anno dallo scoppio della pandemia in terra di Cina, e il virus continua a non dare tregua in Occidente. Ospedali al collasso, disoccupazione alle stelle, economia in ginocchio, praticamente come in tempo di guerra. In Cina, invece, dopo la prima ondata, che in tempi brevi pare abbia trovato misteriosamente soluzione, l’economia galoppa a vista d’occhio e la vita sembra essere tornata alla normalità, sia nelle città che nei villaggi. Come può spiegarsi tutto questo mistero se non pensando che dietro la facciata ci sia qualcosa di poco chiaro?

Focalizzando la nostra attenzione su quello che economicamente sta avvenendo in Italia, è notorio che la situazione appare a dir poco disastrosa. Le aziende sono in seria difficoltà, non poche chiudono e altre sono in situazioni pre-comatose, tanto che, anche se ai più sfugge, molti marchi, anche altisonanti, sono passati di mano, e sapete venduti a chi? Il larga misura proprio ai cinesi! Si, proprio a quel gigante orientale dove è nato e si è sviluppato il virus COVID-19, causa prima del planetario disastro socio-economico in atto.

L’Italia, non dimentichiamolo, ha sempre rappresentato un forte appeal da parte della Cina, in quanto considerato uno dei Paesi più importanti per gli interessi geo-economici cinesi in Europa. Il nostro Paese è una fonte di risorse strategiche sia nell’industria avanzata che in quella tradizionale, ma anche di marchi e tecnologie riconosciute a livello internazionale. Inoltre, occupa anche una cruciale posizione geografica nel quadro della “Via della Seta Marittima” del 21° secolo, parte integrante della “Belt and Road Initiative”. Per la Cina l’accesso alle infrastrutture portuali italiane è considerato una priorità, per poter espandere le sue rotte commerciali, dal Mediterraneo al Nord Europa. Questo ha fatto sì che il nostro Paese (ignorando gli avvertimenti dell’Occidente), nel marzo del 2019 ha concluso l’accordo con la Cina, diventando “membro ufficiale” della “Belt and Road Initiative”, primo Paese del G-7 ad aderire alla piattaforma guidata da Pechino.

L’interesse cinese per l’Italia, come detto, c’è sempre stato; solo nell’ultimo decennio, le industrie di mezza Italia (nel silenzio più totale dei nostri governanti) hanno cambiato proprietà, diventando con gli ‘occhi a mandorla’: dalla Pirelli alla Candy, dalla Berloni alla Ferretti, dalla Benelli alla Plati Elettro-forniture, dalla Cifa, azienda di betoniere e macchine per l’edilizia, alla Cdp Reti Spa, finanziaria delle nostre reti energetiche elettriche.

I cinesi, sempre con le tasche piene di soldi, hanno acquistato la Omas di Bologna, la Sixty abbigliamento di Chieti, la bergamasca “Pinco Pallino”, la Caruso, abiti da uomo di alta gamma, la Fosber, fabbrica di imballaggi di Lucca, la Salov proprietaria dei marchi d'olio Sagra e Berio. In totale sono circa 730 le aziende italiane, grandi e piccole, che sono controllate da circa 300 gruppi cinesi o di Hong Kong, ma si tratta spesso di società esterovestite con capitali cinesi. E non è tutto.

A questo parzialissimo elenco di aziende passate in mano ai cinesi (leggi governo cinese) vanno aggiunte le partecipazioni che Pechino ha in imprese strategiche, come Ansaldo Energia, Eni, Telecom Italia, Generali Assicurazioni e Mediobanca. Non c'è poi città in cui non sia cresciuto l'acquisto da parte di cittadini cinesi di tabaccherie, bar, ristoranti, parrucchieri e centri massaggio. Pensate che nel solo 2020, l'anno orribile del virus di Wuhan, solo a Venezia sarebbero stati ceduti a cittadini cinesi 840 esercizi commerciali!

Ora, amici, dopo il disastro economico scatenato dalla pandemia, per la Cina la crisi delle aziende italiane appare ancor più un'allettante opportunità da cogliere! Le aziende cinesi potrebbero, come vampiri, acquistare a basso costo altri prestigiosi marchi italiani, mancanti al loro puzzle economico. Mentre i PIL dell’Unione Europea sono tutti col segno meno (in particolare quello dell’Italia), quello cinese ha già il segno più che risulta in costante incremento. Nel solo 2020 le esportazioni cinesi, soprattutto di materiale sanitario e apparecchiature elettromedicali, sono aumentate del 10,4%, mentre, già dallo scorso fine anno, il PIL cinese ha registrato un più 1,9%.

Cari amici, solo casualità? Certamente no! Questa convinzione è chiara e forte sia nell’UE che negli altri Stati, a partire dagli USA. Il mondo intero sta rivedendo le relazioni economiche e politiche con la Cina, potenza che porta grandi responsabilità nella crisi globale causata dal virus, e che Pechino continua con ostinazione a negare. Finora, infatti, Pechino ha rifiutato, anche minacciosamente, di aprire le porte a un’inchiesta internazionale indipendente sull’origine della pandemia, richiesta addirittura da 194 Paesi. Le responsabilità che Pechino continua a negare, però, hanno già avuto effetti, sia economici che politici, che certo non favoriscono l’amicizia e le relazioni amichevoli. La Cina è oggi, a livello internazionale, un Paese abbastanza isolato, visto con enorme diffidenza.

L’Italia, però, guarda caso, continua ad essere in splendida controtendenza, e, dati gli accordi a suo tempo raggiunti, sta cedendo ai gruppi cinesi Weichai e Cosco una parte consistente del porto di Taranto. La Nuova Via della Seta, il progetto chiave di Xi Jinping attraverso il quale Pechino intende costruire una rete di infrastrutture terrestri e marittime che tenga unita l’intera Eurasia con al centro la Cina, però, rischia di finire nella sabbia. I comportamenti misteriosi tenuti da Pechino nella diffusione della pandemia continuano a sollevare timori anche nei Paesi che pure dell’aiuto cinese avrebbero bisogno. Ma noi, come al solito avventati e incoscienti, siamo al classico romanesco “VOLEMOSE BENE”!

A domani.

Mario

 

giovedì, aprile 01, 2021

LA SARDEGNA E IL SUO ANTICO STRUMENTO GIURIDICO: IL CODICE BARBARICINO. PROTAGONISTA PRINCIPALE ERA “SU PROB’HOMINE”, UN GIUDICE SAGGIO, SCELTO DALLA COMUNITÀ.


Oristano 1° aprile 2021

Cari amici,

Inizio i miei post di aprile con una riflessione sulla nostra antica cultura, sociale e giuridica. I sardi sono un popolo che, anche in passato, si è distinto sia per l'organizzazione sociale che per la sua salvaguardia, quando la vita della Comunità veniva messa in pericolo. Nelle mie esperienze universitarie senili, una delle mie tesi di laurea (quella relativa alla laurea magistrale in “Politiche Pubbliche e Governance”) la dedicai proprio allo studio dell’antico codice di giustizia dei sardi: “IL CODICE BARBARICINO”. In realtà, nonostante le apparenze potessero farlo apparire "barbaro", questo 'Codice' era un compendio di norme (era un ‘Codice orale’) tramandate in Barbagia di generazione in generazione, e che il grande studioso orunese Antonio Pigliaru, con pazienza certosina, raccolse e mise per iscritto girando per anni il territorio dove veniva applicato. Questo mio lavoro universitario di ricerca, partito proprio dagli studi di Pigliaru, l’ho fatto poi diventare un libro che, come gli altri che ho scritto, ho il piacere di donare agli amici.

Ebbene, in questo lavoro, che riepiloga il percorso fatto dalla giustizia barbaricina dai tempi che furono, e che, spesso, cozzò anche in modo forte con la giustizia ufficiale dei codici moderni, evidenziava, senza ombra di dubbio, che in quei tempi nelle Comunità risultava preminente una figura "particolare", che rivestiva un'importanza strategica: il “MEDIATORE”, chiamato “PROB’HOMINE”, ovvero un uomo probo, saggio e competente, che, attraverso l’istituto della “Mediazione” era in grado di risolvere le controversie che avvenivano all’interno della Comunità. C'è da dire che mentre oggi la mediazione è dal nostro codice considerata giuridicamente qualcosa di minimale, lasciata alla cura dei “Pretori onorari”, nella civiltà agro-pastorale barbaricina era invece un istituto di grande importanza, utilizzato per sedare tutti i conflitti che affliggevano la Comunità, compresi i reati più gravi, come l’omicidio.

“Su Prob’homine”, dunque, era un mediatore capace e autorevole, una figura di alto livello morale a cui la Comunità si affidava, riconoscendogli la capacità di mediare in ogni situazione difficile, dalla contesa dei terreni allo sconfinamento del bestiame, dalle semplici liti fra famiglie ai reati più gravi come l’omicidio, che, creando un forte odio tra famiglie, dava vita alla “disamistade” e alle “faide” che si perpetuavano per generazioni. La mediazione, dunque, strumento importantissimo quale regolatore dei conflitti, che applicava non tanto la “Giustizia retributiva”, quella che vige oggi e che ad ogni colpa assegna una pena, ma la “Giustizia riparativa”, che, invece, prevede in primis la riparazione del danno, non la semplice esecuzione della pena.

Nel suo recente libro “Probomines”, Annino Mele (oggi uomo libero dopo aver pagato il suo conto con la giustizia) scrive che “la lotta tra l’uomo, inteso come soggetto libero e artefice di sé stesso, e il destino, è spesso condizionata dallo status nella vita comunitaria, capace di imporre i comportamenti, in quanto idealmente tutto dirige”. In questo contesto, rimasto in parte arcaico, emerge un mondo in cui la giustizia non è appannaggio dello Stato ma, al contrario, della Comunità e degli individui che ne fanno parte. Una "giustizia comunitaria”, fondata sul valore riparativo e risarcitorio, contrapposta a quella statale, repressiva e distruttiva dell’individuo. E gli antichi giudici di questa “Giustizia comunitaria riparativa” erano proprio i Probomines, gli artefici della mediazione!

Ecco la definizione che ho usato io nel mio libro su questi uomini probi: “L’esistenza dei mediatori, galantuomini ‘super partes’, capaci di dirimere i conflitti generati all’interno delle Comunità agro-pastorali della Sardegna, è di origine remota. L’utilizzo di questi antichi saggi, noti come “sos prob’homines” (gli uomini probi), è sopravvissuto ai secoli ed è ancora esistente in alcuni centri dell’interno”. Lo stesso Antonio Pigliaru così descrive questi personaggi: “La riconciliazione tra gruppi avversi, separati dalle disamistades è compito di particolari uomini saggi, sos prob’homines, la cui figura in queste antiche comunità era deputata a riportare la pace, sas paches, tra le famiglie dove era in atto una guerra (Pigliaru, 2007).

Cari amici, era un compito davvero difficile quello svolto da questi “mediatori” che per secoli hanno amministrato in Barbagia la giustizia comunitaria. Un compito che richiedeva tempo e pazienza, come ho riportato nel mio libro. “…Questi stati di inimicizia tra gruppi familiari, cosi difficili da ricomporre, hanno bisogno di tempo e di sedimentare, prima di essere ricomposti. I lunghi e lenti riavvicinamenti sono portati avanti da saggi e capaci personaggi, dotati di grande esperienza e carisma, ai quali la Comunità delega il difficile compito di ‘riannodare i fili spezzati’. Sono persone che hanno dimostrato, senza ombre e senza dubbi, la loro probità ed il loro attaccamento forte alla Comunità e che, per questo, prendono il nome di ‘Prob’homines’, uomini probi; a loro è affidato il difficile compito di riportare la pace (Sas paches) tra le famiglie separate dalle ‘Disamistades’.

Amici, ho vissuto negli anni Ottanta del secolo scorso 3 anni in Barbagia (a Fonni), dove ho conosciuto e apprezzato queste importanti figure comunitarie, che, con grande serietà e capacità hanno cercato (e anche oggi cercano) di portare la pace e la serenità nella loro Comunità.

A domani.

Mario
Ricordi universitari...