Oristano 1° aprile 2021
Cari amici,
Inizio i miei post di aprile con una riflessione sulla nostra antica cultura, sociale e giuridica. I sardi sono un popolo che, anche in passato, si è distinto sia per l'organizzazione sociale che per la sua salvaguardia, quando la vita della Comunità veniva messa in pericolo. Nelle mie esperienze
universitarie senili, una delle mie tesi di laurea (quella relativa alla laurea
magistrale in “Politiche Pubbliche e Governance”) la dedicai proprio allo studio dell’antico
codice di giustizia dei sardi: “IL CODICE BARBARICINO”. In realtà, nonostante le apparenze potessero farlo apparire "barbaro", questo 'Codice' era un compendio di norme (era un ‘Codice
orale’) tramandate in Barbagia di generazione in generazione, e che il grande studioso
orunese Antonio Pigliaru, con pazienza certosina, raccolse e mise per iscritto
girando per anni il territorio dove veniva applicato. Questo mio lavoro universitario di
ricerca, partito proprio dagli studi di Pigliaru, l’ho fatto poi diventare un
libro che, come gli altri che ho scritto, ho il piacere di donare agli amici.
Ebbene, in questo lavoro,
che riepiloga il percorso fatto dalla giustizia barbaricina dai tempi che
furono, e che, spesso, cozzò anche in modo forte con la giustizia ufficiale dei
codici moderni, evidenziava, senza ombra di dubbio, che in quei tempi nelle Comunità risultava
preminente una figura "particolare", che rivestiva un'importanza strategica: il “MEDIATORE”, chiamato “PROB’HOMINE”,
ovvero un uomo probo, saggio e competente, che, attraverso l’istituto della “Mediazione”
era in grado di risolvere le controversie che avvenivano all’interno della
Comunità. C'è da dire che mentre oggi la mediazione è dal nostro codice considerata giuridicamente qualcosa di minimale,
lasciata alla cura dei “Pretori onorari”, nella civiltà agro-pastorale
barbaricina era invece un istituto di grande importanza, utilizzato per
sedare tutti i conflitti che affliggevano la Comunità, compresi i reati più gravi,
come l’omicidio.
“Su Prob’homine”, dunque, era un mediatore capace e autorevole, una figura di alto
livello morale a cui la Comunità si affidava, riconoscendogli la capacità di mediare in ogni
situazione difficile, dalla contesa dei terreni allo sconfinamento del
bestiame, dalle semplici liti fra famiglie ai reati più gravi come l’omicidio,
che, creando un forte odio tra famiglie, dava vita alla “disamistade” e alle “faide”
che si perpetuavano per generazioni. La mediazione, dunque, strumento
importantissimo quale regolatore dei conflitti, che applicava non tanto la
“Giustizia retributiva”, quella che vige oggi e che ad ogni colpa assegna una
pena, ma la “Giustizia riparativa”, che, invece, prevede in primis la
riparazione del danno, non la semplice esecuzione della pena.
Nel suo recente libro “Probomines”,
Annino Mele (oggi uomo libero dopo aver pagato il suo conto con la giustizia) scrive
che “la lotta tra l’uomo, inteso come soggetto libero e artefice di sé stesso,
e il destino, è spesso condizionata dallo status nella vita comunitaria, capace
di imporre i comportamenti, in quanto idealmente tutto dirige”. In questo
contesto, rimasto in parte arcaico, emerge un mondo in cui la giustizia non è
appannaggio dello Stato ma, al contrario, della Comunità e degli individui che
ne fanno parte. Una "giustizia comunitaria”, fondata sul valore riparativo e
risarcitorio, contrapposta a quella statale, repressiva e distruttiva
dell’individuo. E gli antichi giudici di questa “Giustizia comunitaria
riparativa” erano proprio i Probomines, gli artefici della mediazione!
Ecco la definizione che ho
usato io nel mio libro su questi uomini probi: “L’esistenza dei mediatori,
galantuomini ‘super partes’, capaci di dirimere i conflitti generati
all’interno delle Comunità agro-pastorali della Sardegna, è di origine remota.
L’utilizzo di questi antichi saggi, noti come “sos prob’homines” (gli uomini
probi), è sopravvissuto ai secoli ed è ancora esistente in alcuni centri
dell’interno”. Lo stesso Antonio Pigliaru così descrive questi personaggi: “La
riconciliazione tra gruppi avversi, separati dalle disamistades è compito di
particolari uomini saggi, sos prob’homines, la cui figura in queste antiche
comunità era deputata a riportare la pace, sas paches, tra le famiglie
dove era in atto una guerra (Pigliaru, 2007).
Cari amici, era un
compito davvero difficile quello svolto da questi “mediatori” che per secoli
hanno amministrato in Barbagia la giustizia comunitaria. Un compito che
richiedeva tempo e pazienza, come ho riportato nel mio libro. “…Questi stati
di inimicizia tra gruppi familiari, cosi difficili da ricomporre, hanno bisogno
di tempo e di sedimentare, prima di essere ricomposti. I lunghi e lenti
riavvicinamenti sono portati avanti da saggi e capaci personaggi, dotati di grande
esperienza e carisma, ai quali la Comunità delega il difficile compito di ‘riannodare
i fili spezzati’. Sono persone che hanno dimostrato, senza ombre e senza dubbi,
la loro probità ed il loro attaccamento forte alla Comunità e che, per questo,
prendono il nome di ‘Prob’homines’, uomini probi; a loro è affidato il
difficile compito di riportare la pace (Sas paches) tra le famiglie separate
dalle ‘Disamistades’.
Amici, ho vissuto negli
anni Ottanta del secolo scorso 3 anni in Barbagia (a Fonni), dove ho
conosciuto e apprezzato queste importanti figure comunitarie, che, con grande
serietà e capacità hanno cercato (e anche oggi cercano) di portare la pace e la
serenità nella loro Comunità.
A domani.
Mario
Ricordi universitari... |
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