giovedì, maggio 27, 2021

AGRICOLTURA E CRISI CLIMATICHE. NEL SUD ITALIA, IN PARTICOLARE SARDEGNA, PUGLIA E SICILIA, DOVREMO DIRE ADDIO ALLE COLTIVAZIONI DI CEREALI.


Oristano 27 maggio 2021

Cari amici,

Che le variazioni climatiche siano diventate capaci di sconvolgere equilibri millenari lo sappiamo già da un pezzo, così come sappiamo che già da tempo avremmo dovuto adottare tutta una serie di azioni capaci di ridurre le emissioni in atmosfera e quindi evitare il costante aumento della temperatura terrestre, che desertificherà altre ampie zone del pianeta. Entro la fine del secolo, dicono gli esperti,  non si potranno più coltivare cereali in Sicilia, Sardegna e Puglia, proprio a causa della crisi climatica.

Si, amici, tra qualche decennio saremo costretti a dire addio a tutta una serie di coltivazioni anche nel nostro Paese, in particolare nelle aree del Sud come la Sardegna, la Puglia e la Sicilia. Queste previsioni non sono fantasiose, ma fatte dagli studiosi finlandesi dell’Università di Aalto. Nello studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista One Earth i ricercatori hanno fornito delle nuove indicazioni sulle aree del Pianeta più interessate dagli stravolgimenti derivanti dalla crisi climatica in atto, e che, entro la fine del secolo, farà danni difficili da rimediare.

Uno dei ricercatori dell’Università di Aalto, Matti Kummu,  specializzato nella gestione delle risorse idriche, ha dichiarato: “La nostra ricerca mostra che la crescita rapida e fuori controllo delle emissioni di gas a effetto serra potrebbe portare, entro la fine del secolo, più di un terzo dell’attuale produzione alimentare globale fuori da uno spazio climatico sicuro”. Per “spazio climatico sicuro” gli studiosi intendono quelle aree in cui avviene attualmente il 95% della produzione agricola, grazie a una combinazione di tre fattori climatici, ovvero: pioggia, temperatura e aridità. “La buona notizia è che soltanto una frazione della produzione alimentare affronterebbe condizioni ancora a noi sconosciute, se però riducessimo collettivamente le emissioni, limitando il riscaldamento globale a 1,5-2 gradi Celsius”, ha sottolineato Kummu.

Per condurre l’interessante studio sono stati utilizzati due scenari futuri legati agli effetti dei cambiamenti climatici: uno che prevede una drastica riduzione delle emissioni di anidride carbonica (1,5-2 gradi Celsius) e un altro nel quale le emissioni continuano ad aumentare. I ricercatori hanno valutato come il cambiamento climatico avrebbe influenzato 27 delle colture alimentari più importanti e sette diversi tipi di bestiame, tenendo conto delle diverse capacità dei diversi popoli di adattarsi ai cambiamenti.

L’analisi dei risultati ha evidenziato che la concretizzazione delle minacce colpirebbero Paesi e Continenti in modo differente: in 52 dei 177 Paesi analizzati, l’intera produzione alimentare rimarrebbe nello spazio climatico sicuro in futuro. Questi includono la Finlandia e altri Stati del Nord Europa. L’Italia, invece, rientra tra le aree in cui l’agricoltura, in particolare la produzione cerealicola, risentirebbe degli effetti devastanti della crisi climatica. Le regioni più colpite dal pericoloso fenomeno sono quelle prima evidenziate: Sicilia, Puglia e Sardegna.

Il problema in realtà è più serio di quanto molti ipotizzano. Le aree del Pianeta in cui la produzione agricola rischia di crollare sono diverse e riguardano il pianeta nella sua interezza. La crisi climatica minaccia in particolare la produzione alimentare nelle aree dell’Asia meridionale e sud-orientale, nonché la regione africana del Sahel in Africa. Si tratta, infatti, di zone che non riuscirebbero ad adattarsi alle nuove condizioni. Il ricercatore Matias Heino, uno degli autori principali dello studio, ha dichiarato: “La produzione alimentare come la conosciamo oggi si è sviluppata in un clima abbastanza stabile, durante un periodo di lento riscaldamento che è seguito all’ultima era glaciale; la continua crescita delle emissioni di gas serra può, purtroppo, creare nuove condizioni e le colture alimentari e il bestiame non avranno il tempo di adattarsi al cambiamento”.

Nel mondo a pagare il prezzo più alto sarebbero i Paesi già vulnerabili come la Cambogia, il Ghana, il Niger e il Suriname, dove il 95% cento dell’attuale produzione alimentare sarebbe a rischio. Ad alto rischio anche il Nord America, la Russia e l’Europa. Come hanno evidenziato i ricercatori finlandesi, queste nazioni hanno anche una capacità significativamente inferiore di adattarsi ai cambiamenti causati dalle variazioni climatiche. “Se lasciamo crescere le emissioni, l’aumento delle aree desertiche sarà particolarmente preoccupante perché in queste condizioni quasi nulla può crescere senza irrigazione. Entro la fine di questo secolo, potremmo vedere più di 4 milioni di chilometri quadrati di nuovo deserto in tutto il mondo”, ha chiarito il ricercatore Matti Kummu.

Cari amici, senza rapidi interventi risolutori, il mondo è destinato a trasformarsi in un deserto. Eppure, a partire dalle nazioni maggiormente sviluppate, sarà proprio l’egoismo dei Paesi ricchi che non vogliono sostenere sacrifici, a bruciare il futuro alle nuove generazioni. Riusciremo a rendercene conto in tempo? Chissà!

A domani.

Mario

1 commento:

Giovanni ha detto...

Certo, certissimo, come no! Ma se il sole è entrato in un ciclo caratterizzato da poche macchie solari non si dovrebbe avere un riscaldamento climatico, semmai il suo opposto! Quindi come la mettiamo?