Oristano 30 Ottobre 2016
Cari amici,
I ragazzi italiani
optano sempre di più per il completamento dei loro studi all’estero. Non pensiamo male di loro: questo non è un semplice vezzo giovanile delle nuove generazioni, uno dei tanti sfizi per
staccarsi dalla famiglia e cercare da soli e in piena indipendenza la via verso il futuro, ma una
reale necessità, derivata da tutta una serie di motivazioni che i ragazzi non
hanno difficoltà ad esternare. Questo bisogno di “uscire fuori dal guscio”, tra l'altro, non
si manifesta al termine degli studi superiori, quando si cerca all’estero la
giusta facoltà per completare la loro preparazione, ma si manifesta già negli anni
del Liceo, quando i ragazzi, desiderosi di andare all'estero per perfezionarsi nell'apprendimento delle altre lingue, venendo a contatto e confrontandosi con altre realtà culturali e sociali, vengono a scoprire un mondo molto diverso dal nostro.
È questo “confronto”
tra il nostro mondo e quello degli altri a penalizzarci non poco! I nostri
ragazzi non stentano a capire che gli altri Paesi sono spesso molto più avanti
di noi in tante cose. Tra le prime il fatto che si investe in cultura e sapere cento volte di più di
quanto si faccia oggi in Italia. La risultante di questo confronto è una fuga “senza
ritorno”, un’emorragia di 'uscite' che difficilmente potrà arrestarsi, se anche l’Italia non si adeguerà, se “non
cambierà verso”, se non farà i giusti passi per avvicinarsi se non addirittura mettersi
alla pari con gli altri Paesi. Gli esempi che possono essere fatti non mancano di
certo!
Marco
Ventura, giornalista al Messaggero e Panorama e in TV
Capo autore di “Uno mattina”, nel suo blog ampiamente seguito (https://www.facebook.com/marco.ventura.739?fref=ts) fa un’analisi impietosa della
nostra situazione, che coinvolge, "tocca" direttamente, anche la sua famiglia. Padre di
due figlie gemelle, Elena e Silvia, che studiano a Maastricht e in Scozia,
sostiene lucidamente che il nostro è un Paese che ha rubato il futuro ai giovani.
“Figli
all'estero vittime di un delitto perfetto”, scrive, entrando anche nei
dettagli. “Elena, mia figlia, 19 anni, al secondo anno di Studi internazionali
all’University College di Maastricht (UCM), dal quale usciranno per metà
diplomatici, per l’altra metà eurocrati, cioè funzionari europei, non rientra
negli oltre 107 mila italiani espatriati nel 2015 e censiti dal rapporto
Migrantes”. Questo in quanto molti partono individualmente senza
registrarsi, precisa.
Poi continua: “Elena
mi racconta che il Rettore della sua Università va la Domenica in biblioteca a
distribuire biscotti agli studenti che preparano gli esami. Due anni fa,
insieme a Silvia, l’altra mia figlia (sono gemelle), Elena era andata
all’orientamento della Sapienza di Roma, dov’era atteso il Rettore. Che non si
è fatto vedere”. Differenze, queste, che i giovani colgono molto meglio
di noi. Anche l’altra figlia, Silvia, ha lasciato l’Italia. Studia filosofia e
psicologia a St. Andrews, in Scozia, e appena arrivata ha trovato un’accoglienza
che in Italia sarebbe stata impensabile: per costi di studio minori, attenzioni
individuali, agevolazioni bancarie e quant’altro. Insomma, tutto un altro mondo!
Passando ai nostri giovani
sardi ed alle strutture universitarie della nostra Isola, la situazione sembra addirittura
scivolare ancora di più verso il basso. Recentemente lo Svimez (l’Associazione
per lo Sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) effettuando degli studi
comparativi sugli Istituti universitari italiani, nella relazione ha scritto,
tra l’altro, che entro 15 anni le Università del Sud rischiano di sparire per
mancanza di fondi. I criteri di finanziamento, infatti, favoriscono gli atenei
più grandi, quelli con più studenti, meglio se in corso. Questo fa sì che chi
può emigra: «L'ottanta per cento dei miei colleghi di corso vive all'estero»,
racconta Marta Costa, trent'anni, cagliaritana, neuro scienziata del Francis
Crick Institute di Londra. Dopo la laurea (qualcuno anche prima) si parte,
meglio se per l'Europa del nord dove la ricerca è un'altra cosa: più risorse,
strumenti migliori, stipendi più alti, nepotismo quasi inesistente.
In Sardegna, è triste
dirlo, le 2 Università di Cagliari e Sassari risultano alquanto penalizzate. La nostra regione spende in ricerca e sviluppo lo 0,74 % del PIL, risultando la quartultima in Italia. Peggio fanno solo Basilicata, Calabria e Molise. Lo Stato ha
speso per sostenere le Università sarde nel 2015 circa 47 milioni di euro
all'anno (fonte: Soldipubblici.gov.it) e nel 2016 è atteso quello che il
rettore di Cagliari Maria Del Zompo ha affettuosamente definito «colpo di
mannaia». Ancora meno soldi, dunque. Sarà difficile garantire le borse di
studio per gli alloggi, figurarsi gli assegni di ricerca. In Sardegna i
concorsi si contano sulle dita di una mano.
Anche in Sardegna,
dunque, una fuga dei giovani: una viaggio di sola andata, senza ritorno. Negli ultimi vent'anni il flusso è stato a
senso unico: insomma, come sostenevo prima, un biglietto di sola andata! Eppure gli
atenei sardi hanno prodotto laureati e ricercatori ben formati, ma, ciò nonostante,
per trovare soddisfazione e lavoro hanno dovuto lasciare l'Isola, continuando così ad
impoverire le nostre possibili future risorse umane.
Cari amici, il problema
sta sempre nel manico: nei mancati investimenti in cultura e innovazione, conseguenza della errata divisione delle risorse finanziarie. In Italia i fondi dedicati
a questo settore sono noccioline: viene stanziato l'1,3 % del PIL (in Sardegna
molto meno, lo 0,74%), mentre la Finlandia e la Svezia spendono quasi tre volte
tanto e la Germania più del doppio; anche la Slovenia, l’Estonia e la Repubblica
Ceca ci distanziano lasciandoci indietro. Come potremmo sperare di evitare la fuga dei nostri giovani che prendono la valiga ed emigrano? Senza fare il "mea culpa" e "cambiare verso", nulla potrà cambiare, e i nostri giovani non avranno certo la convenienza a tornare a casa!
A domani.
Mario
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