Oristano
2 Agosto 2016
Cari amici,
Chi l’avrebbe mai
detto! Eppure le recenti scoperte scientifiche stanno aprendo vie talmente nuove e incredibilmente
avveniristiche da sembrare fantascienza. I risultati dei primi test di
laboratorio, eseguiti dai ricercatori della Scuola
Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) in collaborazione con
l'Università di Trieste, hanno dimostrato che l’inserimento di minuscole spugne,
fatte di nano-tubi di carbonio, ha consentito di riparare le fibre nervose
danneggiate del nostro corpo. Queste nano-spugne, inizialmente studiate dall’equipe
del Prof. Maurizio De Crescenzi dell’’Università “Tor Vergata” di Roma per
assorbire gli idrocarburi dispersi in mare, sono state applicate con successo, per la prima
volta, al tessuto nervoso; il tentativo è stato portato avanti grazie ad un'intuizione del Dr. Maurizio Prato,
chimico esperto in nanotecnologie dell'Università di Trieste. All’illustre
professore nel 2014 l’Università di Roma “Tor Vergata”, conferì per merito la Laurea
Honoris Causa in “Scienza e Tecnologia dei Materiali”.
Il carbonio, dunque,
capace non solo di interagisce con i neuroni, ma anche di ricreare le
condizioni adatte per la riparazione cellulare, facendo da ponte per guidare e sostenere la riparazione delle
fibre nervose danneggiate. Per studiare l'interazione di questo materiale
hi-tech con le cellule nervose, la neurofisiologa Laura Ballerini e il suo team
della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste, lo
hanno messo a contatto con due piccoli segmenti di midollo spinale di topo
separati da appena 300 millesimi di millimetro. ''Inserendo un pezzo della
spugna di carbonio nello spazio tra i due, si osserva una fitta crescita di
fibre nervose che vanno a riempire la struttura, intrecciandosi e ripristinando
la trasmissione dei segnali elettrici'', ha confermato la studiosa.
“Questi nano-tubi di
carbonio hanno la sbalorditiva capacità di interagire con i neuroni, non solo
per la loro struttura 3D – spiega la Ballerini - ma probabilmente anche per la
loro capacità conduttiva''. Per verificare la biocompatibilità del materiale, i
ricercatori lo hanno impiantato nel cervello di topi; ''a distanza di quattro e
otto settimane - continua la docente - abbiamo visto che era ben tollerato, i
topi erano sani e vitali''. E poi spiega: ''Non abbiamo notato segni di
infiammazione, anzi, abbiamo osservato la formazione di nuovi neuroni nella
nano-spugna, che a quanto pare offre un ambiente ospitale per le cellule''.
L'importante risultato
globale, ottenuto grazie agli studi del gruppo di Maurizio Prato
dell'Università di Trieste, in collaborazione con Maurizio De Crescenzi
dell'Università di Roma "Tor Vergata" e Laura Ballerini della Sissa di Trieste, è stato pubblicato
sulla prestigiosa rivista Science Advances, con il titolo "3D meshes of
carbon nanotubes guide functional reconnection of segregated spinal
explants". Il nuovo nano-materiale è stato riscontrato, infatti, in grado
di fungere da vera e propria autostrada metallica in grado di ricongiungere l’interrotta
comunicazione elettrica tra i neuroni.
Ma, per noi comuni
mortali, come possiamo immaginare queste “nano-spugne” capaci di riconnettere
le fibre nervose? «Dal punto di vista macroscopico il materiale appare come una matassa
di colore nero molto leggera capace di galleggiare sull’acqua (essendo molto
idrofobica), e di assorbire oli e inquinanti dell’acqua (metalli pesanti,
solventi organici) – spiega Manuela Scarselli, che si è occupata della
sintesi e preparazione di campioni di spugne adatti alla ricerca in oggetto, –
mentre la struttura interna nanoscopica può essere pensata come una matassa
tridimensionale formata da milioni di nano-tubi intrecciati dove circa il 90%
del suo volume è costituito dagli spazi vuoti tra i nano-tubi stessi. Il fatto
che questa struttura si autosostiene avendo una forma propria e mantenga
inalterate le proprietà uniche dei nano-tubi di cui è costituita, ha reso
possibile il suo utilizzo sia come elemento di sostegno per la crescita di
fibre nervose, sia come trasduttore di segnale elettrico tra porzioni staccate
di tessuto”.
«Questi materiali – spiega
Laura Ballerini della Sissa, coordinatrice dello studio appena pubblicato –
potrebbero essere molto utili per rivestire gli elettrodi che si usano nel
trattamento dei disordini motori, come ad esempio il tremore del Parkinson,
perché ben accettati dai tessuti».
Cari amici,
personalmente credo che questa che ho riportato oggi sia davvero una scoperta
straordinaria. Certo, è ancora troppo presto per parlare di possibili
applicazioni sull'uomo, ma la strada imboccata appare quella giusta. Come
sostiene la Dottoressa Ballerini, "non vogliamo creare false speranze, ma
di sicuro abbiamo aperto una nuova linea di ricerca. Nel prossimo futuro,
invece, potremmo provare questi materiali per ricoprire gli elettrodi
impiantati nel cervello per l'elettrostimolazione contro i disturbi del
movimento come il Parkinson, che ad oggi perdono efficienza nel tempo proprio
perché causano la formazione di tessuto cicatriziale intorno".
Il futuro, cari amici,
ci riserverà ancora molte grandi sorprese!
A domani.
Mario
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