Oristano
12 Agosto 2016
Cari amici,
La natalità in Italia
continua a calare. L'Istat ha confermato, anche di recente, che risulta in
costante aumento il numero di donne senza figli, soprattutto al Nord e al
Centro Italia. Nel Mezzogiorno invece la situazione, pur procedendo sulla
stessa linea, appare decisamente più contenuta. Sono questi i dati rilevati da
un rapporto Istat su "Natalità e
fecondità della popolazione residente". L’escalation delle “donne
senza figli”, percentuale che risultava inferiore al 20% per le nate nel 1970 (il modello
con due figli e più rimane maggioritario al Sud con il 71%, per la generazione
delle nate nel 1970), è andato gradualmente aumentando in peggio col passare degli anni.
Secondo quanto evidenziato
nel rapporto, il numero medio di figli per donna, calcolato per generazione,
continua a decrescere nel nostro Paese, in modo allarmante. L'evoluzione è andata
dai 2,5 figli per le donne nate nei primissimi anni '20 (cioè subito dopo la
Grande Guerra), ai 2 figli per donna delle generazioni dell’immediato secondo
dopoguerra (anni 1945-49), fino a raggiungere il livello di 1,5 figli
per le donne della generazione del 1970.
Come illustra il rapporto, però, non c'è unifirmità; esistono due Italie: al massimo un figlio al
Centro Nord, due o più figli nel Mezzogiorno. La fecondità delle donne italiane
risulta relativamente più elevata nel Lazio (1,31), in Campania (1,31) e in
Sicilia (1,36 figli per donna); nel resto del Mezzogiorno, ad eccezione
dell’Abruzzo, la fecondità delle donne italiane è attualmente inferiore ai
livelli del 1995. In Sardegna nel 2014 il
dato evidenza la media di un solo figlio per donna, come nel 1995 (anno di
minimo della fecondità in Italia).
Con questi dati sorge
spontanea una domanda: perché oggi molte donne italiane evitano di fare figli?
Alla domanda, apparentemente semplice, la risposta, invece risulta complessa. Secondo la scienza, che in questa materia evidenzia delle differenze tra le donne che sono “Childfree” (senza figli per scelta) e “Childless” (senza figli per altre circostanze), alla base della decisione di avere o non avere figli vi sono dei processi mentali che scaturiscono da tutta una serie di circostanze: affettive, bisogno di indipendenza, esigenze economiche e molte altre ancora.
Alla domanda, apparentemente semplice, la risposta, invece risulta complessa. Secondo la scienza, che in questa materia evidenzia delle differenze tra le donne che sono “Childfree” (senza figli per scelta) e “Childless” (senza figli per altre circostanze), alla base della decisione di avere o non avere figli vi sono dei processi mentali che scaturiscono da tutta una serie di circostanze: affettive, bisogno di indipendenza, esigenze economiche e molte altre ancora.
Paola Leonardi,
sociologa e psicoterapeuta, nel suo libro “Perché non abbiamo avuto figli”, riporta le sue interviste a 13
donne “speciali” che hanno rinunciato alla maternità. “Se non sei madre sei una donna a
metà”, è il titolo dato al monologo di ciascuna di esse, che, parlando a
ruota libera, hanno cercato di spiegare i motivi della loro scelta che ancora
oggi ad alcuni appare strana, incomprensibile e quasi addirittura “scandalosa”.
“Le motivazioni sono
diverse – spiega Paola – ma un filo rosso le percorre:
c’è ben altro da fare nella vita. E non si tratta della professione, non è per
la carriera che queste donne non sono diventate madri, le due cose non erano in
alternativa”. È accaduto ad attrici famose come Piera Degli Esposti,
teologhe come Adriana Zarri, giornaliste come Natalia Aspesi e Ida Dominijanni,
scienziate come Elisabetta Donini e tante altre. “E’ successo anche a Rita Levi
Montalcini – aggiunge Paola – non era solo il bisogno di seguire la
propria ricerca, ma frutto di diverse altre considerazioni”.
In Italia è Milano la
capitale di questo “mondo al femminile” che evita la maternità. Milano è una
città dove lavora il 64,9% delle donne, dove risulta consolidato il modello di
coppia dual earners («si lavora in due»), dove il breadwinner (chi porta il
''pane'' a casa) non è sempre l’uomo. Roberto Cicciomessere, Lorenza Zanuso,
Anna Maria Ponzellini e Antonella Marsala, nell’ambito del progetto EQuIPE 2020, hanno effettuato, per
conto del Ministero del Lavoro, un’indagine specifica sul mercato del lavoro
femminile milanese, visto in un’ottica di genere,
raccontando uno stile di vita ‘unico’ nel panorama nazionale.
Il rapporto evidenzia
una Milano concettualmente avanzata, dove le donne risultano libere di scegliere in che ambito
lavorare. Dal dossier emerge uno stile di vista più “moderno” rispetto al resto
della penisola, sia per numero di donne impiegate che per i livelli di remunerazione
raggiunti nei più diversi ambiti professionali, ma tutto questo penalizzato da
una natalità sempre più scarsa. «Il tasso di natalità anche a Milano è
fermo al palo», spiega a Lettera43.it la sociologa Anna Maria
Ponzellini, co-autrice dell’indagine. «Qui moltissime donne lavorano, ma di
queste pochissime, meno della metà, hanno figli. In Italia il rapporto positivo
più attività/più fecondità nei Paesi del Nord Europa non funziona».
Ci chiediamo, allora: ome mai da noi no?
Le motivazioni, come
evidenzia il rapporto, sono diverse. «Si entra tardi nel mercato del lavoro,
perché il liceo dura un anno in più rispetto ad altri Paesi e i professori
universitari ancora credono che un percorso lungo di studio sia migliore», ribadisce
la Ponzellini. Se il lavoro che dà tranquillità si trova dopo i 30 anni,
diciamo che il primo figlio, quando proprio voluto, arriva non prima dei 32/35
anni, e nella fase di consolidamento nel lavoro gestirlo non è facile.
Immaginiamoci pensare poi ad un secondo figlio! Se poi ci aggiungiamo le difficoltà
di collocarlo (lavorando in due) nelle ore di lavoro (asili nido, e poi scuole,
palestra, etc.) la frittata è già fatta, anche senza pensare ai costi, tra l’altro
proibitivi.
Secondo la Ponzellini
«se le coppie milanesi avessero a disposizione asili nido gratuiti o voucher di
400 euro da spendere per la babysitter probabilmente i dati sarebbero diversi», e non solo a Milano. Insomma, per veder crescere il numero di nati bisognerebbe
offrire strutture e servizi di cura gratuiti o semi-gratuiti. Milano, purtroppo, non è una
città abbastanza children-friendly, figuriamoci, poi nel resto d’Italia! Ormai
la convinzione che una buona occupazione, importante e ben remunerata, sia
compatibile con la maternità, è solamente pura utopia.
Cari amici, condivido pienamente l’affermazione
che le “Donne senza figli, sono donne a
metà”, perché la maternità è importante: i figli sono il futuro della specie e,
continuando di questo passo, l’estinzione della nostra razza si avvicina sempre
di più. Anche senza pensare che la
scelta di non avere figli sia “scandalosa”, sono convinto che per ripristinare il giusto e quilibrio sia necessario
trovare le soluzioni più adeguate, come altre nazioni hanno fatto. Per trovarle
riflettiamo seriamente, senza indugio, sulle ragioni profonde per cui oggi in
Italia abbiamo uno dei tassi di natalità più bassi d’Europa!
A domani.
Mario
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