Oristano
21 Giugno 2016
Cari amici,
Franca Puggioni è una professoressa
che insegna a Sassari. Di recente, considerati inutili tutti i tentativi fatti per migliorare le situazioni di violenza esistenti a scuola, sempre più marcate,
la docente ha inviato una lettera alla Nuova Sardegna che l’ha pubblicata
integralmente. Una lettera che mi ha fatto riflettere molto, in quanto affronta
lucidamente il problema del bullismo e della crescente anarchia esistente nelle nuove generazioni, refrattarie ad ogni ipotesi di correzione. La professoressa nella lettera focalizza
la sua attenzione su un fatto recente, nel quale un personaggio,
Simone Niort, un giovane “bullo” idolatrato dal gruppo dei suoi coetanei, si è reso protagonista di un terrificante fatto di cronaca: ha quasi ammazzato la sua fidanzatina a
colpi di spranga.
Simone è un ragazzo di
19 anni, giudicato un “personaggio” di strada, refrattario ad ogni possibile
ordinario recupero sociale e didattico. Giovane palestrato, attivo sui social e
con codazzi di ragazzine ammaliate dal suo essere sregolato, vive nella Sassari
storica, quella della miseria, dei sottani sovraffollati, la cui popolazione
affoga nel vino le ripetitive giornate piene di tristezza e violenza.
Una Sassari, quella
descritta nella lettera, ancora da antico Far West, nella quale quando il marito torna a casa
ubriaco quasi ammazza di botte la moglie; analisi di un contesto sociale fatto di
emarginazione, povertà, violenza contro le donne e contro i bambini, prevaricazioni e addirittura incesti
consumati sotto le pareti domestiche, portati avanti dai violenti maschi
dominanti. Questo è il contesto sociale, la palestra di formazione di Simone,
cresciuto senza regole, osservando la prevaricazione come insegnamento e la
violenza come fatto quotidiano.
La professoressa
Puggioni con la sua lettera ha voluto mettere a nudo il tragico problema dell’emarginazione
giovanile, quel mondo di adolescenti che in gran parte provengono “da
situazioni familiari di estremo degrado, nelle quali la violenza nelle
relazioni padre/madre/, genitori/figli è l’unica modalità conosciuta”. Credo
che la professoressa Puggioni, nell’inviare la lettera alla Nuova Sardegna, volesse
esprimere con forza il suo grido di dolore, una sottintesa richiesta di aiuto,
per cercare di trovare soluzioni valide, che non portino sempre alla
reclusione, luogo dove si creano i grandi delinquenti di domani, dove il bullo
diventa balente e poi delinquente abituale.
La professoressa, conscia
del suo ruolo educativo, credo che con la sua lettera abbia voluto lanciare un 'sasso nello stagno', una provocazione capace di suscitare nuove proposte di soluzione ad una situazione apparentemente senza via d'uscita; insomma, una lettera-invito per la ricerca di un progetto in grado di rieducare quei ragazzini “razzisti, omofobi e violenti” e anche
quelle ragazzine ben descritte nell’articolo inviato “che vivono nella speranza
di essere le prescelte del bullo di turno”, per le quali “l’idea di una
relazione rispettosa, civile, matura è una faccenda per alieni”. La lucida
riflessione di Franca Puggioni, quando scrive che se anche condannassero il
diciannovenne Niort a dieci anni e li facesse tutti, “uscirebbe di galera
rafforzato nella sua visione violenta del mondo e avrebbe 29 anni, e una vita
davanti per fare altro danno”.
Cari amici, tutto questo sta
a significare che condannare semplicemente il ragazzo non risolve il problema,
che parte da molto più lontano. Per risolvere sul serio situazioni così incancrenite
bisognerebbe trovare degli strumenti nuovi, capaci di educare già in età infantile,
prima che i problemi si aggravino con il crescere: prima nell’adolescenza poi
nell’età adulta. Non è reprimendo a posteriori le malefatte che si risolve il
problema, ma prevenendo: investendo in servizi sociali, creando strutture educative
adeguate, assistendo le famiglie con gravi problematiche. Meglio prevenire che
curare, dice un saggio proverbio, ma di questi tempi il mio discorso è solo
utopia: si pensa alla spending review sul sociale, lasciando inalterati gli enormi
sprechi in altri settori.
In Sardegna, quanto
accaduto a Sassari è solo uno dei tanti fatti (spesso poco noti al grande
pubblico) che avvengono quotidianamente. La storia del fattaccio e del
successivo arresto di Simone, ricorda quella eclatante del ragazzo di Nule accusato di
essere l’omicida di Gianluca Monni, il giovane di Orune ucciso un anno fa alla
fermata del pullman. Analoga violenza quest’ultima, apparentemente derivata anch’essa da futili
motivi, effettuata solo per dimostrare la propria forza bruta, solo per
sfogare quella violenza che in modo animalesco cova dentro una gioventù senza
più regole. Se tutta la società sarda non prende coscienza nel suo complesso della
devastante emergenza educativa che la sta investendo, nessun intervento potrà
mai essere efficace. Spero che la lettera-appello, inviata dalla docente al
giornale serva a scuotere, almeno un po’ le coscienze di tutti. Ecco il testo integrale
della lettera.
***
A Sassari qualche giorno fa un diciannovenne, Simone Niort, quasi uccide la
fidanzata a sprangate. L’episodio è preceduto da una scenata in strada con
minaccia di accoltellamento per un passante che cerca di interporsi. I
carabinieri intervengono e nonostante la reazione scomposta del giovane, dopo
avergli sequestrato il coltello lo rilasciano. Lui, nel pomeriggio, quindi a mente
fredda, si arma di spranga, va a casa della fidanzata e la massacra. È viva,
malconcia, forse con qualche danno permanente ma insomma, se la caverà,
speriamo.
L’episodio provoca la solita ondata di indignazione, richiesta di
inasprimento delle pene, castrazioni, calci e schiaffi (gli stessi che Simone
Niort ha riservato alla sua donna), pena di morte, invocazioni a ministre e
istituzioni e così via. Lo dico subito, così togliamo di mezzo questo
argomentò: la via giudiziaria alla risoluzione dei problemi sociali mi fa
orrore.
Simone Niort ha 19 anni, se anche gli dessero dieci anni di carcere e li
scontasse tutti, uscirebbe di galera rafforzato nella sua visione violenta del
mondo e avrebbe 29 anni e una vita davanti per fare danno.
Che fare dunque? Io non lo so.
Però conosco un mondo, quello degli adolescenti che provengono dai
quartieri della nostra città, o dai paesi vicini, spesso da situazioni
familiari di estremo degrado, nelle quali la violenza nelle relazioni
padre/madre, genitori/figli è l’unica modalità conosciuta, che vivono nutriti
di Tv e poco altro. Questi ragazzi consumano alcol, droghe di varia natura,
praticano sesso senza grandi protezioni (il numero di gravidanze precoci è
impressionante), vivono senza regole e spesso non tornano a casa per giorni
senza che nessuno si preoccupi di loro, sono razzisti, omofobi, violenti.
E questo vale anche per le ragazze che vivono però nella speranza di essere
la prescelta del bullo di turno. Qualcuna di loro offre soldi, per comprare il
fumo, in cambio di un pomeriggio di sesso che credono, solo loro, amore.
Qualcuna in discoteca si presta a rapporti orali in cambio di un drink e una
pasticca. È una realtà nella quale l’idea di una relazione rispettosa, civile,
matura è, semplicemente, una faccenda per alieni.
Questi ragazzi, dei nostri discorsi su educazione al rispetto, campagne
anti-femminicidio, dichiarazioni di ministre e assessore, non sanno nulla e
nemmeno ne vogliono sapere. Per essere più esplicita penso che la lingua che
parliamo, noi emancipate e colte, sia per loro una lingua straniera ed
estranea.
Nel caso specifico Simone Niort aveva una storia personale e familiare che
le forze dell’ordine, servizi sociali, scuola, quartiere conoscevano benissimo.
È un ragazzo con disturbi patologici del comportamento, che non aveva nessun
autocontrollo, viveva tra palestra e la strada e purtroppo aveva una folta
schiera di ammiratrici tra ragazzine che hanno la sua stessa storia. Il
sollievo di sapere che non fosse una mia alunna mi consola ma non mi
alleggerisce dall’angoscia.
La famiglia di Simone, la scuola di Simone ha chiesto aiuto molte volte. La
scuola aveva chiesto un sostegno per tutta la durata dell’orario scolastico e
uno specifico percorso di “riabilitazione sociale alla convivenza”. Per questo
intervento non c’erano soldi, nemmeno per un percorso ridotto alla metà
dell’orario. È chiaro che l’esito inevitabile è stato la sua esclusione dal
percorso scolastico.
Nessuno può immaginare di tenere in una prima classe un ragazzo che passa
da momenti di tranquilla serenità a momenti di violenza incontrollata contro
compagni e insegnanti. Quello che è certo che i segnali di pericolo c’erano tutti,
in passato anche tragici segnali.
Penso però che se qualcosa vale la pena di fare, è quella di ripensare
radicalmente le politiche sociali, ci sono luoghi nelle nostre città dove
bisognerebbe entrare con strumenti nuovi, più efficaci, meno burocratici, penso
ad affiancamenti alle famiglie, sostegno alle scuole, operatori di strada per i
ragazzi. Invece, noi insegnanti, le madri e i padri, i ragazzi siamo soli, ci
parliamo con difficoltà, e restiamo poi muti davanti al sangue. Muti e
sgomenti.
Franca Puggioni
Insegnante
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Credo che questa
lettera faccia riflettere anche Voi…
A domani.
Mario
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