Oristano
26 Giugno 2016
Cari amici,
La notte di San
Giovanni (festività del 24 Giugno) è proprio una stupenda “festa di mezza estate”! Notte davvero particolare, intrisa di
magia, che vede nel cielo incontrarsi annualmente i grandi astri, Luna e Sole; momento
“matrimoniale” di vicinanza, prima che il grande astro della vita, il sole,
inizi il suo allontanarsi dalla sua luna, facendo rimpicciolire le giornate, che dal giorno
diventano sempre più corte. I festeggiamenti popolari relativi al Solstizio d’estate
sono un’antica tradizione che si perde nella notte dei tempi: in Sardegna lo
testimoniano la gran parte dei resti della civiltà nuragica (pozzi sacri,
nuraghi, Tombe di giganti, etc.), che evidenziano un tributo di sacralità, rivolto verso il il sole, l’acqua e il fuoco, vere divinità della vita, adorate e magnificate.
Le civiltà che
successivamente si sovrapposero (compresa quella cristiana) non rinnegarono i tradizionali antichi riti, ma li fusero con quelli cristiani, mantenendoli sempre vivi nelle
popolazioni, ancorché focalizzati non più su divinità fittizie ma su importanti figure appartenenti
alla cristianità. Il culto del solstizio d’estate, dunque, lo ritroviamo riversato nella
venerazione di San Giovanni Battista, Santo fra i più amati in Sardegna. Nella
notte magica del 24 Giugno ancora oggi la gran parte dei centri dell’isola è
rischiarata dai fuochi alimentati dalle particolari “erbe di San Giovanni”,
raccolte con speciali riti effettuati al chiaro di luna. È proprio in questa notte “magica”
che determinate erbe utili all'uomo raggiungono il massimo delle loro proprietà benefiche.
Il compito di raccoglierle è stato da sempre affidato alle donne: sono assenzio,
elicriso, iperico, lavanda, menta, rosmarino e timo, che vengono colti e preparati
con religiosa dedizione.
Quale, dunque, lo scopo
di questa certosina raccolta? La risposta è scontata: per motivi curativi e
salutari. Le erbe, dette di San Giovanni, durante l’anno costituivano una
necessaria scorta farmaceutica, custodita gelosamente nelle famiglie, da utilizzare non solo a scopo
terapeutico ma anche apotropaico (per combattere, quindi, malocchio e sfortuna); dettagliato
e particolare anche il metodo di utilizzo: i loro fiori, dovevano essere messi a
mollo in numero dispari, da parte di una donna, rimasta digiuna per un’intera
notte. La mattina l’acqua avrebbe lavato e impreziosito il viso. Un mazzetto,
invece, doveva essere appeso a porte e finestre per scacciare le invidie.
Le erbe così raccolte potevano
essere utilizzate per un anno intero; alla vigilia della successiva festa di San
Giovanni, però, sempre le donne, avrebbero provveduto al nuovo raccolto e tutti
i residui dell’anno precedente avrebbero dovuto bruciare e alimentare i rituali
falò. Falò scaramantici, oggi come ieri, ricchi di significato: dopo aver
osservato religiosamente il fuoco, non appena le fiamme abbassavano la loro
forza, coppie dello stesso sesso o di sesso opposto saltavano sul fuoco, sancendo
in questo modo “il Comparatico” (rinnovando così l’antico e forte legame tra
compari e comari), destinato come norma a durare per sempre; rito, in alcune
zone, addirittura impreziosito dallo scambio de su nenniri, particolare preparazione effettuata dalle donne su
pezzi di corteccia di sughero, dove il grano era stato portato a germinazione
al buio. Ma questa, cari amici, è solo una piccola parte, delle numerose attività
magiche da svolgere nella particolare festività del solstizio d’estate, oggi chiamata notte di San Giovanni.
L’antica tradizione,
che vede affidati alle donne riti molto importanti, ne annovera due
particolarmente affascinanti, entrambi da svolgere in questa magica notte:
uno è quello de Sas funtanas l’altro
quello de S’abba muda. A Bono, per esempio,
dopo la messa vespertina, al dodicesimo rintocco della campana, le donne si
recano in processione alla Chiesa del Santo e, poco prima di mezzanotte,
bussano alla porta dicendo: “Santu Juanne andende semus”; subito
dopo si dirigono a Sas funtanas, dove attingono l’acqua da esporre ai raggi della
luna e che sarà da utilizzare durante tutto l’anno a scopi terapeutici. In Gallura e
nel Sassarese, invece, le donne desiderose di una grazia attraversavano le vie
del paese con un recipiente d’acqua attinta a determinate fonti, che offrivano da
bere a chiunque incontrassero per la strada. È questo il rito detto de S’abba Muda, che però doveva avvenire in rigoroso silenzio: in caso
contrario, la donna doveva gettare via l’acqua e ricominciare da capo il
percorso, partendo nuovamente dalla fonte.
S’abba muda, dunque, “acqua
muta, silenziosa”, affidata a mani e bocche (per lo più) di donne, per
sciogliere voti, allontanare fantasmi, ricevere grazie. Tra i riti associati
alla notte di San Giovanni e ancora oggi praticati in alcuni angoli della
Sardegna, S’Abba Muda è tra i più
affascinanti e carichi di mistero. La sacralità del rito è sottolineata proprio
dal silenzio con cui questo viene svolto: secondo la tradizione infatti al rito
partecipano le anime dei defunti che non devono essere disturbate. Un segno di
rispetto per queste anime (che la tradizione considera ancora tra noi e che ci
accompagnano), è costituito anche dalle modalità di svolgimento: i partecipanti durante
il rito camminano ai bordi della strada, lasciando libero il centro; per una
notte, il centro delle vie è riservato alle anime dei defunti.
A S’abba Muda era
attribuito un grande potere taumaturgico: quello di guarire i mali del corpo e dell’anima, e per
la sua efficacia doveva essere attinta da una fonte particolare, che poteva
trovarsi anche fuori dal paese (A Cuglieri era quella denominata Tziu
Memmere, che prende il nome da un leggendario personaggio che tutti i
giorni pare intrattenesse le lavandaie con storie e canti, a Bono era quella de
delle Tres Funtanas (secondo alcuni, in antichità le fontane
erano sette) mentre a Milis era quella de Sa Funtana a intru.
La straordinaria magia
di questa particolare notte del Solstizio non si esauriva, però, solo con l’utilizzo
di erbe, acque terapeutiche e rinsaldando legami considerati indissolubili. Le
donne, vere protagoniste della festa, erano regine anche nei riti divinatori
collegati. Per esempio, l’usanza (diffusa in tutta l’isola) di trarre
pronostici dalle forme assunte dal piombo in una pentola d’acqua bollente, pare
fosse particolarmente praticata e ritenuta efficace; durante la raccolta delle
erbe, c’era anche chi segnava con un filo il verbasco (s’erba ‘e santu
Jubanne), l’elicriso o l’iperico per poter, poi, verificare all’alba la
presenza di qualche insetto sulla pianta; in caso positivo risultava garantito
l’eventuale matrimonio entro l’anno della persona per cui era stato studiato il responso.
Inoltre, a seconda dell’animaletto rinvenuto sullo stelo, poteva essere
addirittura indovinato il mestiere praticato dallo sposo!
Cari amici, storie
antiche, tradizioni millenarie tramandate e amalgamate nelle varie epoche:
credenze sovrapposte, stratificate cultura sopra cultura; trasformate da rito pagano in
rito cristiano, ma sempre con un unico e lucido fine: prendere atto, accettare
la nostra pochezza umana di fronte all’immensità dell’universo, alla grandezza
del creato. Era un modo semplice, da parte dell’uomo, di inchinarsi di fronte a
quell’Entità superiore (riconosciuta anche quando l’uomo ancora non conosceva
Dio), che certamente da sempre esisteva e che gli aveva dato la vita sulla terra!
Ora, maggiormente
consci di chi siamo e di Chi è il nostro Dio, dovremmo non solo onorare chi ci
ha dato tutto questo, ma soprattutto fare di tutto per conservarlo nel modo migliore,
per poterlo trasmettere integro alle generazioni future.
A domani.
Mario
Nessun commento:
Posta un commento