Oristano
22 Giugno 2016
Cari amici,
Nella ricerca del
“pareggio dei conti”, spesso è necessario ‘tirare la cinghia’, ovvero privarsi
di tutto ciò che non è indispensabile. Ma una cosa è cercare di conciliare il
bilancio economico eliminando il superfluo, altra è arrivare a creare situazioni
di precarietà assoluta. Si, perché c’è modo e modo di conciliare entrambe le
cose, senza arrivare al paradosso! Una vecchia ma sempre valida storiella, che
era in auge quand’ero ancora ragazzo, così raccontava una seria anche se ironica situazione. Un
malato grave era stato portato in ospedale per essere sottoposto ad una
difficile operazione. Al termine di questa il chirurgo che l'aveva operato venne interrogato dai familiari del
paziente che rispose loro che l’operazione era
andata benissimo, ma che il paziente, forse in quanto arrivato in condizioni
fisiche molto provate, non aveva superato lo shock operatorio, per cui era
deceduto.
Ecco, questa situazione
mi sembra abbastanza simile a quella che vivono oggi milioni di italiani:
mentre da un lato il Ministro dell’economia Pier Carlo Padoan afferma che
l'Italia continua a rispettare pienamente le “regole europee", dall’altra
la morsa della crisi economica prolungata ha provocato un forte aumento del
numero di famiglie cadute in povertà. A dirlo non sono le mie chiacchiere ma un
ufficio studi importante, quello della Confcommercio, secondo il quale le
famiglie assolutamente povere in Italia dal 2007 al 2014 sono quasi
raddoppiate. In questi terribili sette anni di recessione (+78,5%), gli
individui poveri assoluti hanno superato nel 2014 i 4 milioni, con un
incremento di quasi il 130% rispetto al 2007, arrivando a sfiorare quasi il 7%
della popolazione.
“Dati da terzo mondo,
indegni di un Paese civile” dice il Codacons,
secondo cui “il violento calo dei consumi registrato in Italia nel periodo della
crisi (2007-2014) ha costretto le famiglie a ridurre drasticamente gli
acquisti”. La Confcommercio non usa mezzi termini nel descrivere una
situazione davvero preoccupante per il nostro Paese. Il reddito disponibile
delle famiglie, misurato in termini di potere d’acquisto ai prezzi del 2015, si
è ridotto nei 7 anni di recessione di oltre il 10% e le famiglie quindi,
secondo quanto rileva nel suo studio la Confcommercio, hanno in qualche misura
cercato di non contrarre della stessa entità del reddito il proprio tenore di
vita, a scapito però del risparmio, i cui flussi si sono ridotti di quasi il
36%.
Dati, quelli esposti,
che pur nella loro crudezza evidenziano una situazione ai limiti del tollerabile.
Secondo l’Ufficio Studi della Confcommercio “Le principali funzioni di consumo
hanno evidenziato, tra il 2008 e il 2014, pesanti riduzioni, compresa la stessa
spesa alimentare che si è contratta in quantità di oltre il 12%, così come
fortemente penalizzati sono risultati gli acquisti di beni durevoli (-25%
circa), con punte superiori al 40% relativamente all’acquisto di mezzi di
trasporto. Complice di tutto questo il fatto che in Italia permane una
pressione fiscale da record. Il fisco italiano batte addirittura quello
tedesco: 43,6% del PIL contro il 39,5%, un primato che ha messo e continua a
mettere in ginocchio imprese e famiglie.
Se l'Italia infatti
avesse avuto la stessa pressione fiscale della Germania, nel 2014 ci sarebbero
stati 66 miliardi di euro in meno di prelievo fiscale, ''vale a dire 23
miliardi in meno di Irpef e altrettanti di imposte indirette, nonché 20
miliardi in meno di carico contributivo su imprese e lavoratori''. ''L'eccesso
di pressione fiscale in Italia presenta una connotazione strutturale per
l'incapacità di procedere a una seria revisione della spesa pubblica che riduca
eccessi e sprechi'' afferma l'Ufficio studi”; affermando anche che fino
ad oggi, ''gli unici tagli hanno riguardato la spesa in conto capitale, cioè di
fatto gli investimenti pubblici''.
Cari amici, faccio
questa mia riflessione proprio mentre i giornali commentano la recente incredibile
vittoria alle elezioni amministrative (in particolare Roma e Torino) del
Movimento 5 Stelle. Come spesso succede, il malessere popolare a lungo covato,
esplode all’improvviso senza assolvere nessuno. Il frutto di molti anni di
malgoverno, di ruberie, di affari lobbistici, di salvaguardia dei potenti,
fatta sempre a scapito dei più poveri, dei meno abbienti, si trasforma in una
condanna senza appello ai governanti, considerati inetti, incapaci di amministrare
con saggezza, soprattutto nei momenti di scarsità di risorse.
A questo punto credo
che il futuro della nostra Italia sia davvero in pericolo: le parole
quotidianamente somministrate attraverso tutti i Media da parte di chi ci
governa, per quanto apparentemente rassicuranti, non bastano più. C’è bisogno
di moralizzare davvero la vita pubblica, di ridurre gli sprechi, di rimboccarci,
tutti (ma proprio tutti) le maniche, senza se e senza ma. Sarà certo
difficile, ma, come in passato col sudore della fronte e con l’italica voglia
di cambiare le cose siamo riusciti a cambiarle, ad uscire da una guerra devastante,
anche oggi possiamo farcela! Mandando però a casa gli inetti e i corrotti, e scegliendo
con attenzione i nostri rappresentanti che dovranno riprendere a fare una
politica onesta e pulita. Lo dobbiamo fare, perché ne va del futuro dei nostri
figli e delle nuove generazioni.
A domani.
Mario
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