Oristano
5 Dicembre 2015
Cari amici,
che la scuola debba
essere una grande fucina di formazione, sempre equilibrata e “super partes”, senza
indottrinamenti se non quelli della cultura, è cosa non solo risaputa ma anche,
sotto molti aspetti, applicata e messa in atto. Sano principio questo: più
semplice, però, da applicare se si è in presenza di popolazioni amalgamate e
unite dalla stessa fede religiosa, ma sicuramente più difficile in un contesto
più complesso, quando la diversità, sia etnica che religiosa, può creare qualche
problema. Anche l’Italia negli ultimi 20-30 anni, con l’arrivo di molti
stranieri, ha modificato ampiamente la composizione della sua popolazione,
tanto da far affiorare problematiche prima inesistenti.
Molti di Voi
ricorderanno le prime prese di posizione di qualche tempo fa, sorte per la “scomoda”
presenza del crocefisso nelle aule scolastiche che, a dire di alcuni, avrebbe potuto
creare “patemi d’animo” nei ragazzi professanti altre fedi religiose. Ne conseguirono
reazioni talvolta scomposte, che hanno alimentato (e ancora alimentano)
polemiche a non finire. A questi primi “distinguo” oggi si aggiunge, però,
qualcosa di più sostanzioso della semplice presenza di una croce di legno nel
contesto di un’aula scolastica: la tentata proibizione della prosecuzione di riti
consolidati: come quello della celebrazione della S. Messa di Natale, del
Presepio o della visita pastorale
pre-natalizia di un Vescovo in una scuola, come è avvenuto di recente a Sassari.
L’atteggiamento assunto
da alcuni dirigenti scolatici, sulla presunta indebita ingerenza della Chiesa
nella scuola, quasi potesse essere messa in pericolo la sua “laicità”, è stato
motivato dalla possibile “discriminazione” nei confronti degli studenti di
altre fedi religiose, che si sarebbero potuti sentire turbati dalla presenza di
riti o di persone appartenenti ad altre fedi religiose. Personalmente quando ho
appreso la notizia, non condividendo in alcun modo, oltre che meravigliarmi non
poco, mi sono chiesto se fossi io ad avere errate convinzioni o gli altri.
Cari amici, nel mio
concetto di “Integrazione”, la
presenza, oltre la nostra, di altre culture e di altre fedi religiose presuppone
il massimo rispetto reciproco: sia chi accoglie che chi arriva deve dare e
ottenere sia il rispetto che l’accettazione l’uno dell’altro. Come, direte Voi,
in
che modo questa fantomatica integrazione può essere applicata a scuola e
come si potrebbe favorire? Accettando l’altro o proibendosi,
vicendevolmente, di esternare la propria fede? Proibendo la celebrazione di
manifestazioni consolidate nella popolazione accogliente si favorisce
l’integrazione, oppure si accentuano i conflitti? Io credo che integrazione significhi confronto e
accettazione, non proibizione!
Questi fatti, che mi
hanno toccato non poco, mi hanno riportato indietro a qualche tempo fa, quando
si stava predisponendo la “scrittura” della Costituzione Europea. Tante furono
le polemiche che contestavano la richiesta di indicare nella Costituzione
Europea l’origine delle “radici cristiane
dell’Europa”, in quanto avrebbe potuto
“offendere” l’identità dei non cristiani, oggi numerosi nel Vecchio
Continente. L’allora Cardinale Ratzinger in uno delle Sue dotte riflessioni
scrisse: "Chi verrebbe offeso? L'identità di chi viene minacciata? I
musulmani, che a tale riguardo spesso e volentieri vengono tirati in ballo, non
si sentono minacciati dalle nostre basi morali cristiane, ma dal cinismo di una
cultura secolarizzata che nega le proprie basi. E anche i nostri concittadini
ebrei non vengono offesi dal riferimento alle radici cristiane dell'Europa, in
quanto queste radici risalgono fino al monte Sinai: portano l'impronta della
voce che si fece sentire sul monte di Dio e ci uniscono nei grandi orientamenti
fondamentali che il decalogo ha donato all'umanità. Lo stesso vale per il
riferimento a Dio: non è la menzione di Dio che offende gli appartenenti ad
altre religioni, ma piuttosto il tentativo di costruire la comunità umana
assolutamente senza Dio".
Io penso che lo stesso
discorso valga oggi per l’Italia: la sua laicità implica la necessaria
possibile integrazione fra le diverse culture, oggi ben presenti anche da noi.
L’art. 8 della nostra Costituzione afferma che “tutte le confessioni religiose
sono ugualmente libere di fronte alla legge”, e questo è un sano
principio da rispettare. Significa soprattutto che compito dello Stato deve
essere quello di garantire la parità tra le diverse confessioni religiose.
Parità che significa rispetto, che certamente non si ottiene negando
l’esistente, ma riconoscendo anche agli altri quei diritti.
Nel recente caso di
Sassari, che ha coinvolto l’Arcivescovo Paolo Atzei, al quale è stato vietato
di effettuare la consueta visita pre natalizia in una scuola, la proibizione ha
scatenato roventi polemiche che sono finite su tutti i giornali dell’Isola,
scavalcando anche il mare. Intervistato Mons. Atzei ha detto, molto amareggiato,
che "A
scuola entra chiunque ma non la Chiesa: si accolgano tutte le religioni", facendo
capire che non bisognava negare l’esistente, ma aggiungere la presenza anche
degli altri. Al cronista che, dopo le sue affermazioni favorevoli alla presenza
anche dei responsabili delle altre fedi religiose, alla domanda: Lei
dice che nelle scuola pubblica devono poter entrare tutti i religiosi. Quindi
gli imam, i buddisti, gli induisti..., Padre Atzei ha risposto: “Tutti
coloro che possono fare cultura nella scuola”.
Cari amici, credo che
integrazione significhi proprio accettazione e non rifiuto! Accettazione, nel
mio personale concetto, significa rispettare l’altro, comprese tutte le sue
manifestazioni culturali e religiose, così come, nel segno della reciprocità,
anche l’altro deve avere nei miei confronti lo stesso identico rispetto.
Credetemi, personalmente
avrei visto, con molto rispetto e ammirazione, l’Iman o il Rabbino entrare in quella scuola che ha impedito a Mons
Atzei di parlare ai "suoi" ragazzi, e relazionarsi con i giovani delle altre fedi, senza proibizione alcuna.
Grazie, amici, a
domani.
Mario
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