Oristano
29 Dicembre 2015
Cari amici,
recentemente, in queste
belle giornate fuori stagione che quest’inverno ci sta regalando, ho osservato
con curiosa ironia due bambine che sedute su una delle panchine collocate nell’ampio
piazzale della Cattedrale di Oristano, smanettavano, con una competenza
straordinaria in relazione alla loro giovanissima età, un cellulare come se
fosse parte integrante delle loro mani. Seduto poco distante io potevo sentire
anche parte delle loro conversazioni con l’interlocutore (o l’interlocutrice):
l’argomento era la ricezione o meno di foto, messaggi e quant’altro che loro
avevano trasmesso forse poco prima.
La cosa curiosa era che
dopo pochi istanti alle due giovanissime protagoniste è arrivata un’altra
chiamata, con relativa discussione similare, e poi ancora un’altra, quasi senza
soluzione di continuità. Questa curiosa scenetta mi ha riportato indietro nel
tempo: la mia mente, con la sua capacità straordinaria di riaprire in un
istante il file dei ricordi, metteva a confronto la mia infanzia con quella dei
giovani di oggi. Quale abissale differenza, pensavo, rivedendomi ragazzetto pieno
di belle speranze che, correndo trafelato con altri compagni, spingeva un vecchio
cerchio di bicicletta fatto rotolare con un canna poggiata sulla scanalatura, cercando
di arrivare per primo!
Allora i telefonini
certo non esistevano, anzi mancava addirittura il telefono in casa (come
mancavano tante altre cose che noi oggi diamo per scontate), essendoci – quale unico
strumento di comunicazione – solo un telefono pubblico, ubicato presso il
negozio-tabacchino del mio Paese (parlo di Bauladu e della rivendita del signor
Raimondo Zoccheddu). Eppure, pensate, non stiamo parlando del Medioevo ma solo
di poco più di 50 anni fa, quando cercavamo di ricostruire un’Italia messa in
ginocchio da una terribile guerra!
Una differenza abissale,
cari amici, separa la vita di ieri da quella di oggi: con luci e ombre, come
sempre, anche se l’ieri, rispetto all’oggi, una sostanziale differenza in
positivo che spesso sfugge alla logica di molti, l’aveva eccome! La grande voglia di rimboccarsi
le maniche, di lottare per risalire la china, tutti animati da una grande speranza,
quella di migliorare il mondo e di migliorarsi, rimettendo insieme i cocci di una
nazione distrutta dalla guerra. Speranza e voglia di lottare che oggi, purtroppo,
pare non esserci.
Allora noi ragazzi
giocavamo per strada e, pur privi di giocattoli, ci sosteneva una grande fantasia
per stare insieme in buona armonia. Ho già raccontato, nei libri che ho
scritto, queste vicende giovanili, quando si trascorrevamo le ore del
pomeriggio (dopo aver fatto i compiti) nelle polverose strade del vicinato
divertendoci in mille modi: dai giochi con la trottola a quelli con i tappi,
dalle biglie a ‘luna monta’ o a “pirastias”, a testa o croce o a nascondino.
Tornando al telefono
pubblico di zio Raimondo, ecco la curiosa trafila che bisognava affrontare per
fare o ricevere una telefonata. Dopo aver fornito l’indirizzo della persona con
cui si voleva parlare, veniva, dal gestore del posto pubblico, chiamato il
centralino della SIP (ubicato ad Oristano il Piazza Eleonora, dove è ancora
presente (anche se vuoto) il palazzo dell’azienda dei telefoni) che, dopo aver
preso nota, chiamava il posto pubblico del Paese del destinatario, indicando il
nome e l’indirizzo della persona cercata e l’ora in cui si sarebbe dovuta
presentare per ricevere la telefonata.
All’ora stabilita la
centralinista richiamava il posto pubblico di Bauladu e, se la persona cercata
si era presentata, metteva in comunicazione “manualmente” i due telefoni “pubblici”
dei due Paesi. A raccontarlo oggi sembra una favola che fa sorridere non poco!
Stessa cosa, all’inverso, nel caso che fosse zio Raimondo a ricevere la richiesta
di chiamata di un abitante di Bauladu: mandava un ragazzo (spesso uno dei
figli) a convocare la persona indicando l’ora della presentazione. Pensate
esisteva persino un bigliettino di convocazione (fornito dalla SIP) che, compilato, veniva recapitato
alla persona cercata! Ci sembra di parlare della preistoria!
Per tornare al fatto
che Vi ho raccontato, dopo aver chiuso il file dei ricordi, ho continuato ad
osservare le due giovanissime protagoniste: queste, tra risate e chiacchiere,
essendosi avvicinata l’ora di pranzo, si mossero verso casa, ma sempre con il
cellulare attaccato all’orecchio! Insomma sembra incredibile ma di questo prezioso mezzo di comunicazione siamo diventati proprio “schiavi”,
praticamente telefono-dipendenti, senza possibilità di distacco.
Perché, Vi chiederete,
oggi ho voluto intrattenervi su quest’argomento che sono sicuro tormenta gran
parte delle famiglie di oggi? Perché a mio avviso ogni innovazione, anche la più utile, non può e non deve
diventare un’ossessione; per certi versi, su questo prezioso strumento di
comunicazione si è esagerato e si continua ad esagerare non poco. Le colpe,
credetemi, non sono solo da attribuire ai ragazzi (per i quali è un incredibile giocattolo) ma anche a noi genitori, sempre
più angosciati dal saperli fuori di casa, e già 5 minuti dopo che sono usciti cominciamo a chiamarli. Insomma,
cari amici, una sommatoria di colpe, nostre e loro, che non fanno bene a nessuno.
La risultante la
tocchiamo con mano tutti i giorni: giovani e meno giovani in strada, a tavola,
in poltrona o in macchina, hanno sempre il telefonino in mano. Se ci capita di
dimenticarlo da qualche parte, sembra che ci manchi il respiro, così come
inizia l’angoscia se entriamo in zona di non ricezione o se all’improvviso ce
lo ritroviamo scarico. Il cellulare oramai fa così parte di noi che siamo già
preda della sindrome dell’arto fantasma, se ci manca! Siamo ogni giorno di più pervasi
da una sensazione di irritabilità, di nervosismo e di spaesamento: la mancanza per
molte ore del telefono cellulare ci dà sintomi molto simili a quelli tipici
dell'astinenza, quasi una dipendenza da una specie di droga.
Cari amici, il
cellulare è senz’altro un grande strumento di comunicazione, ma riflettiamo
seriamente: dobbiamo essere noi i padroni oppure gli schiavi di questo
marchingegno? E’ vero che ha conquistato tutti e che ora non possiamo più farne
a meno e che è entrato a far parte della nostra vita, ma siamo sicuri che l’ha
migliorata? L’utilizzo delle nuove tecnologie, è vero, ha sempre creato vantaggi
e svantaggi, ha sempre avuto dei pro e dei contro, ma facciamone un uso corretto, "cum iudicio". E’ vero che il
telefonino ha semplificato notevolmente la nostra vita, che risulta utilissimo
in campo professionale e sociale, ma è altrettanto vero che in tempi brevi ne siamo
diventati schiavi. Schiavitù che ha già fatto coniare un termine nuovo: “Nomofobia”, un neologismo che lo
Zingarelli così descrive: “stato ansioso che si manifesta quando non è
possibile usare il telefono cellulare”. Pensate, già un numero sempre maggiore
di italiani sembra soffrirne.
Che dite: possiamo
pensare di tornare indietro? A noi di una certa età, forse, potrebbe anche risultare possibile,
ma non certo per i nativi digitali: per loro la tecnologia (sono nati in un mondo già
fortemente tecnologico) è diventata una patologia psicologica, impossibile da
eliminare, forse perché è già dentro il loro DNA. Loro sono nati “Internet-dipendenti”:
strumento capace di risolvere ogni problema, dare una soluzione facile e
immediata ad ogni loro domanda, anche se questo contribuisce a diminuire le
loro capacità intellettive. Questa facilità di accesso alle risposte, infatti, “stoppa
la memoria breve”: è accertato che nessuno è più in grado di ricordare i numeri telefonici degli amici a mente.
Tutto questo, però,
cari amici, è il loro mondo, non il nostro: ognuno è figlio del suo tempo! Loro non debbono sudare sette camicie per reperire in pochissimo tempo informazioni importanti che a noi invece un
tempo richiedevano lunghe ricerche enciclopediche, ma così va il mondo: si guadagna da una parte e si perde dall'altra. Il progresso tecnologico, a pensarci bene, non è né tutto giusto né tutto sbagliato: come in tutte le cose, la differenza sta
tutta nell’uso e non nell’abuso. Pensiamoci tutti
seriamente.
Grazie, amici, a
domani.
Mario
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