Oristano
4 Dicembre 2015
Cari
amici,
La mia recente
partecipazione al corso di giornalismo “Impariamo
a comunicare”, messo in campo dal Settimanale L’Arborense, mi ha fatto
riflettere sullo stato attuale dell’informazione. Se ci fermiamo ad osservare
anche solo quello che è successo negli ultimi 50 anni, ci rendiamo conto che i
cambiamenti sono stati superiori a quelli dei precedenti 500 anni! Ormai tutto quello
che si muove, che avviene in ogni parte del mondo, viene percepito praticamente
“in tempo reale”: le notizie, che si tratti di un disastro o di
un’insurrezione, di un evento politico o mondano, sono tutti eventi che diventano
di pubblico dominio nello stesso istante in cui avvengono. Ormai gli strumenti
tecnologici in nostro possesso consentono di “sapere sempre tutto e subito”, quasi abitassimo in un unico
villaggio globale.
Questo incredibile, contemporaneo
“affollamento di notizie”, ha
modificato radicalmente il modo di fare informazione. Se prima il giornale
portava di primo mattino le “notizie
fresche”, ancora ai più sconosciute,
oggi che senso ha comprare il giornale per rivedere e rileggere le cose già
note? La prima impressione che comunemente si prova è che il giornale sia
diventato “obsoleto”, insomma uno strumento ormai da rottamare!
Eppure, se
riflettiamo appena, il problema non è così semplice, come ad un primo impatto può
apparire. I giornali, è vero, sono nati per “rendere di pubblico dominio” fatti
e avvenimenti che, nel periodo della loro prima diffusione (quando erano l’unico
mezzo di comunicazione), altrimenti sarebbero rimasti ignoti. Oggi invece il giornale
opera in un contesto ben diverso: è uno dei tanti mezzi di diffusione dell’informazione,
e neanche quello più rapido! Mezzo, dunque, superato o no? Riflettiamo bene
prima di rispondere.
Parto innanzitutto
da una considerazione importante: cosa vogliamo intendere per comunicazione-informazione. Faccio un
esempio. Se trasmetto un filmato da una zona di guerra, così come potrei trasmetterne
uno di un qualsiasi altro evento, commentando solo giorno, luogo, data e ora, sarebbe
sufficiente come informazione o ci vorrebbe dell’altro? Per me, se bastasse questo,
allora la professione di giornalista sarebbe davvero finita, tramontata!
Questa non è informazione nel vero senso della parola, in quanto il compito di
giornalista è ben diverso. Informare significa creare le condizioni per rendere
pienamente edotto il lettore del fatto, delle sue cause, delle sue implicazioni e delle
possibili conseguenze.
Essere veri
“Giornalisti”, (il termine, come sappiamo, è derivato dal primo mezzo di
comunicazione quale era il giornale) significa rendere l’informazione al lettore
in modo non casuale ma professionale: corretta, chiara e circostanziata, senza
essere di parte, verificata e controllata. L’informazione di oggi, invece, corre
spesso su binari ben diversi! Se sommassimo tutti i mezzi che contribuiscono a
creare l’immenso bombardamento mediatico che ogni giorno ci piove addosso, ci
renderemmo conto che l’informazione fornita da giornali e giornalisti (veri), si è drasticamente ridotta, tanto da diventare minoritaria.
A farla da padrone sono
sempre più gli altri mezzi di comunicazione che, quanto a professionalità, spesso
lasciano a desiderare. Oltre la radio e la TV, oggi sono i social network,
attraverso i computer, i tablet e i telefonini, a portarci, in maniera faziosa
e distorta, notizie spesso fuorvianti. Certo, nessuno può negare che la libertà
d’informazione è un bene prezioso, previsto e garantito dalla nostra
Costituzione, ma probabilmente qualche regola in più non guasterebbe. Utilizzare
un social network in maniera impropria può fare danno: avventurarsi in un
sentiero irto di pericoli come quello dell’informazione, potrebbe risultare
pericoloso per se e per gli altri.
Quanto sostengo può
constatarlo chiunque: anche entrando solo per curiosità su qualsiasi social
network, come Facebook o Twitter, è facile rendersi conto del pressapochismo
usato per parlare degli argomenti più disparati; “piazze” i virtuali, questi
“social”, che a differenza delle piazze reali di una volta sono popolate da
personaggi che, nascosti dietro lo schermo di un computer, possono, senza
ritegno, inventare le notizie, insultare, creare panico, protetti come sono dall’anonimato.
Tutto questo non fa altro che aumentare la confusione, in quanto in una babele
di notizie è difficile, poi, scremare il vero dal falso, la notizia seria dalla
bufala.
A questo punto le
domande che sorgono sono tante, tra cui una abbastanza importante: se tutti
scrivono, se tutti gettano nel grande calderone senza discernere, fare il
giornalista (quello vero, serio e corretto), ha ancora un senso? Può essere
ancora una professione praticabile, oppure possiamo dire che è in estinzione,
unitamente al giornale che fu anche il padre del termine che lo
contraddistingue? Io credo che la risposta la possiamo e dobbiamo dare noi
lettori, chiamati a scegliere: accettare l'informazione qualunquista o quella di qualità. Sta a
noi dare il difficile responso.
Una cosa è certa: il
giornalista di oggi dovrà essere molto diverso da quello di ieri, in quanto
è entrato in forte competizione con gli altri mezzi di comunicazione. Riflettendo
sulla mia recente partecipazione al corso di giornalismo “Impariamo a
comunicare” (che posso dire è stato per me di grande interesse), voglio
ricordare quanto detto da due voci autorevoli: da Francesco Birocchi,
Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna, e da Don Ivan Maffeis,
Direttore dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI.
Francesco Birocchi ha
detto che “In periodi di crisi come quelli attuali, può sopravvivere solo un
giornalismo di qualità”. Si, ha ribadito, la differenza la farà la
qualità! Don Ivan Maffeis, invece, ha detto che “Per fare vera comunicazione non
basta l’immediatezza: serve sicura e attenta riflessione, perché i fatti vanno
analizzati e metabolizzati; solo così gli eventi, buoni o cattivi che siano,
possono servire a trasmetterci il loro effettivo valore”.
Credo che questa sia la
via giusta da seguire.
Mario
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