martedì, dicembre 17, 2019

TRA I 37 PAESI DELL’OCSE, QUANTO AL “PESO DELLE TASSE”, L’ITALIA SI COLLOCA AL 7° POSTO. UN MACIGNO SEMPRE PIÙ PESANTE, CON UN 42,1 PER CENTO!


Oristano 17 dicembre 2019

Cari amici,

Noi, in Italia, sulle cose negative facciamo sempre di tutto per essere ai primi posti! A leggere le ultime “Revenue Statistics” dell'Organizzazione OCSE, tra i 37 Paesi che ne fanno parte l'Italia si colloca al settimo posto per il peso del fisco. I dati relativi al 2018 evidenziano una pressione fiscale attestata al 42,1 per cento del Pil, contro la media dell'intera area che è pari al 34,3 per cento. La palma della vittoria spetta alla Francia, con un peso fiscale del 46 per cento. Il Paese con la pressione fiscale più contenuta, invece, risulta essere il Messico, con appena il 16 per cento.
L'OCSE, l’Organizzazione che ha sede a Parigi (è stata istituita con la Convenzione sull'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, firmata a Parigi il 14 dicembre 1960, e ha sostituito l'OECE, creata nel 1948 per gestire il "Piano Marshall" per la ricostruzione post-bellica dell'economia europea), conta attualmente 37 Paesi membri: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria.
Gli obiettivi di questo Organismo sono la promozione di politiche per:
• realizzare più alti livelli di crescita economica sostenibile e di occupazione nei Paesi membri, favorendo gli investimenti e la competitività e mantenendo la stabilità finanziaria;
• contribuire allo sviluppo dei Paesi non membri;
• contribuire all’espansione del commercio mondiale su base non discriminatoria in linea con gli obblighi internazionali.
Stante quanto indicato dalle statistiche, è plausibile e ben giustificabile il malcontento manifestato dagli italiani che vedono il proprio guadagno sempre più falcidiato dalle tasse; malcontento più che giustificato, considerato l’andamento fiscale e tributario di Paesi importanti quanto e più del nostro, con un’economia valida e produttiva, che tassano i cittadini in maniera ben più lieve. Proviamo allora a dare uno sguardo “fuori da casa nostra” e ci accorgeremo dell’enorme differenza.
Un primo esempio credo che possa essere addirittura illuminante. Sempre restando all’interno dell’Unione Europea (che dovrebbe avere un’unica pressione fiscale sui suoi cittadini), confrontando il peso delle tasse pagate in Italia e quelle pagate in Irlanda, rileveremo che da noi si paga il doppio: il 42,1 per cento, contro il 22,3 per cento. Ci consola poco anche il fatto che in Francia si paghino un po’ più di tasse che da noi (il 46 per cento), perché i nostri vicini di casa pagano sì un po’ di più, ma in cambio hanno uno stato che funziona decisamente meglio, con una scuola eccellente e un concreto sostegno dato alle famiglie numerose.
Le statistiche di cui stiamo parlando, entrando nei dettagli, evidenziano che solo quattro Paesi hanno percentuali superiori al 43 per cento ed altri quattro sono appena sopra il 40 per cento. Cinque Paesi dell'area sono invece sotto il 25 per cento del Pil. Per essere precisi, in seconda posizione dopo la Francia, con un peso del fisco pari al 44,9 per cento, si piazza la Danimarca, Paese dove storicamente la tassazione è al top delle graduatorie internazionali (ma in cambio con un’eccellente funzionamento dello Stato); seguono il Belgio (44,8 per cento), la Svezia (43,9 per cento), la Finlandia (42,7 per cento), e l'Austria (42,2 per cento) che per un solo decimale sorpassa l' Italia rispetto al 2017.
Il Lussemburgo è al 40 per cento, la Norvegia al 39 per cento, la Grecia e l'Olanda sono al 38,7 per cento, davanti alla Germania con il 38,2 per cento. Tra gli altri maggiori Paesi, la Spagna è al 34 per cento, il Regno Unito al 33,5 per cento, la Svizzera al 27,9 per cento e gli Stati Uniti, dove la riforma voluta da Donald Trump, ha portato la pressione fiscale al 24,3 per cento dal precedente 26,8 per cento. All'opposto della classifica, si piazza il Messico, al 16,1 per cento del Pil, preceduto da Cile (21 per cento) e Irlanda (22,3 per cento).
Cari amici, sono dati inconfutabili, che dimostrano che la nostra povera Italia con tassazione così esagerata non è proprio in salute e che poco o nulla appare all’orizzonte per migliorare, anche se lentamente, la situazione. Inoltre, voglio fare un’ulteriore precisazione, restringendo il campo alla sola Unione Europea. Non è assurdo che una formazione di Stati, che circa 70 anni fa cercava di unirsi per costituire un unico grande Stato, continui ad avere un fisco diverso per ogni Paese, una legislazione bancaria ugualmente frammentata, a fronte invece di una moneta unica che ha spodestato troppo in fretta le valute nazionali, creando situazioni di privilegio per alcuni Paesi e pesanti ripercussioni per altri?
Se oggi parliamo di differenziali di rendimento, di remunerazione dei capitali (leggi Spread), di tassazioni che in un Paese sono pari alla metà di quelle di un altro Paese dell’UE, allora vuol dire che c’è qualcosa che non va, o che non si vuole “far andare per il verso giusto”. Che dire, poi, della mancata politica comune di difesa delle frontiere, e di accordi (spesso di grande pericolosità) fatti da un singolo Stato anziché dall’Unione Europea di cui quello Stato fa parte?
Amici, un’Unione Europea che non affronta e risolve problemi così importanti è destinata a fallire con certezza!
A domani.
Mario

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