Oristano
19 Ottobre 2017
Cari amici,
Il triste e deprecabile
episodio dei giorni scorsi, che ha visto un’insegnante finire in ospedale per
un pugno sferrato in una scuola del cagliaritano da un alunno quattordicenne,
credo sia un segnale molto grave, così deprecabile da evidenziare fuori da ogni dubbio, il
crescente malessere che imperversa nelle nostre scuole e che nessuno pare in grado
di fronteggiare. La grande diseducazione giovanile, che ha portato ad un
bullismo così contagioso da colpire anche i ragazzi che hanno meno di 14 anni,
la continua, crescente svalutazione del corpo insegnante, che, dopo essere
stato ridotto in miseria economica, patisce ora anche l’assenza di
considerazione da parte delle famiglie e il mancato riconoscimento di prestigio sociale, sono sintomi di una catastrofe formativa,
educativa e sociale senza precedenti.
A ben riflettere mi sono posto un interrogativo preoccupante: è a questi giovani arroganti,
privi di educazione e di senso morale, maleducati (o educati male?) e che
pretendono tutto e subito, che domani verrà affidata la guida della nostra
nazione? Credo che in tanti dovremmo davvero riflettere e pensare in che modo
arginare questo triste fenomeno di esuberanza che senza freni potrebbe davvero
portare a situazioni non più controllabili. Ma veniamo ai fatti, riportando l’increscioso episodio di cui ho parlato prima e che ha portato l'insegnante in ospedale.
In un’aula dell’Istituto
Alberghiero Gramsci di Monserrato, in provincia di Cagliari, una professoressa
tiene la sua lezione.
Uno degli alunni, 14 anni, continua ad usare il
cellulare, dimostrando poco attaccamento alla materia insegnata; la docente,
spazientita, rimprovera per l'ennesima volta il ragazzo per il continuo uso del cellulare, ma ricevendone in cambio una
reazione particolarmente forte: l’alunno la aggredisce sferrandole un pugno
in faccia a facendola cadere a terra. La caduta violenta fa perdere conoscenza
all’insegnante che viene subito portata in ospedale. Dopo la paura, la docente,
si è decisa a scrivere una sua lucida riflessione sull’accaduto, decidendo di
diffonderla attraverso i media; dalla 'lettera aperta' emerge tutta la sua terribile
delusione di donna e di educatrice.
Cari amici, ho letto
con attenzione la lucida analisi di questa donna delusa, che, nel riepilogare lo spiacevole
episodio vissuto, mette a fuoco le tristi condizioni generali in cui
versa la nostra scuola. Sono parole di rabbia, accuse precise, che contengono un’analisi
impietosa di una scuola in caduta libera, che sta per toccare il fondo. Credo
che tutti noi dovremmo meditare le sue parole. Per questa ragione ho deciso anchio di
riportare integralmente la lettera su questo blog: credo che possa essere anche per Voi motivo di severa e
lucida riflessione. Questo il testo
della lettera.
“Sono
entrata in aula. Io sono insegnante in un Istituto Alberghiero di Monserrato,
in provincia di Cagliari. Sono entrata in aula, già prostrata dal dolore in cui
la violenza aveva pervaso la mia Scuola. Prima una lite tra due studenti fuori
e dentro l’istituto, sedata solo dall’intervento dei Carabinieri. Per un’insegnante
vedere le forze dell’ordine entrare nella propria “casa”, ti fa capire che
proprio quei ragazzi in cui dovremo appoggiare le nostre speranze, sono già
perduti. Ho pensato molto, ho cercato di capire, e ho pensato che avrei fatto
sempre e comunque il mio dovere. Il mio dovere deve essere sempre rispettare al
massimo la mia professione.
La
mia professione e me lo ripeto ogni giorno, non è una missione, non è un
apostolato, non può essere un centro missionario per ragazzi che nel loro
passato e nel loro presente, usano la violenza come modus vivendi. E non è una
violenza nata con loro, ma con la loro storia e il loro passato. Quel giorno
sono entrata in classe, un mio studente di 14 anni stava utilizzando il
cellulare. In tutti i regolamenti scolastici l’uso del cellulare non è
consentito durante le ore di lezione. L’ho rimproverato. Però non mi aspettavo
quel pugno sul mio viso.
No,
non mi sarei mai aspettata che un mio allievo, un ragazzo che tante volte avevo
aiutato, compreso, capito, sferrasse su di me tutta la sua rabbia. Ho perso
l’equilibrio, sono caduta a terra e sono svenuta per alcuni secondi. Non mi
ricordo chi mi abbia aiutato. Ero a terra, in balia di un mondo che mi vomitava
addosso il suo malessere. È arrivata l’ambulanza, i Carabinieri e mi hanno
portata in ospedale. Nel tragitto ho pensato a tutto il mio passato, a tutto
quello che la Scuola è diventata.
Mi
sono resa conto che siamo in nelle mani di una società che partorisce violenza
senza pensare di arginarla. Un mondo che non capisce questi ragazzi. Vittime di
una collettività malata, infettata, contagiosa. Ragazzi figli di una classe
genitoriale troppo accondiscendente e permissiva. Ma la colpa non è solo della
famiglia. La vita ha colpito anche loro con i suoi tentacoli malati e squilibrati.
Mentre
ero in barella, non trovavo parole per l’imbarbarimento della società, e
nonostante il dolore aumentasse, provavo tristezza per quei genitori che
difendono a spada tratta i figli. Il significato della storia, della memoria e
del nostro futuro, risiede nell’educazione. Mentre il mio viso si gonfiava
pensavo che sono un pubblico ufficiale. Anche se la guancia mi faceva male mi
sono messa a ridere: “Ma quale pubblico e quale ufficiale?”. Noi siamo finiti
nel substrato di una cultura che non è più degna di questa parola. Siamo
diventati servi dell’ignoranza, dell’analfabetismo, dell’incompetenza. Penso
che avrò un processo, forse mi accuseranno, troveranno le colpe che non ho
commesso.
Perché
è così che succede. Ormai siamo colpevoli di ogni cosa, noi insegnanti. Ma la
colpa sovrana, è di essere insegnanti e soprattutto di esistere. Forza,
toglieteci di torno, tappateci la bocca, bendate i nostri occhi, riduceteci a
sordi, a malati mentali, a residui della società. Sono in barella e penso che
dovrò probabilmente avere un processo per aver fatto il mio dovere, ma il mio
dovere è anche andare avanti contro tutto.
Contro
una “Buona scuola” che ci ha assassinati come intellettuali, contro una legge
che vuole lo smartphone in classe, contro quei genitori che difendono a spada
tratta i figli. Ora sto arrivando all’ospedale e mentre il mio occhio pulsa, mi
rammento che negli anni ’60, ’70, ’80 se tornavi a casa con una nota, i
genitori prendevano sempre la parte dei professori e ora siamo arrivati alla
violenza fisica contro gli insegnanti. Forse perché anche noi ce la cerchiamo,
anche noi provochiamo, anche noi sfidiamo le tenebre di questa società. E così,
oggi, che mi trovo buttata su questa barella, coperta di lacrime di
umiliazione.
Mentre
arrivavo all’ospedale la mia mente vagava. Pensavo che oggi si guarda più al
buon nome della scuola che a salvaguardare un docente. Ecco, mi stanno
trasportando in Pronto Soccorso e penso: “Di cosa ci meravigliamo? I docenti
sono al centro di una campagna denigratoria: ruolo, autorevolezza, competenze e
modalità operative. Poi se uno studente tira un pugno all’insegnante, ci
meravigliamo? Tutto bene, non è successo nulla. È solo un insegnante.”
Adesso
sono stanca, non voglio pensare a nulla, non voglio pensare che la mia vita sia
questa. Ho un occhio nero, ma sono un’insegnante. Ho la mandibola che mi fa
male, ma sono un’insegnante. Ho il cuore spaccato. Ma sono solo un’insegnante”.
^^^^^^^^^^^
Credo proprio che non
ci sia bisogno di aggiungere altro, cari amici. Dobbiamo solo riflettere, meditare con
grande attenzione. Quella di oggi, lo tocchiamo con mano, non è proprio una “Buona Scuola”.
A domani.
Mario
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