giovedì, ottobre 12, 2017

ATTENZIONE AI LIKE MESSI CON DISINVOLTURA SU FACEBOOK: DOPO LA SVIZZERA, A PROCESSO ANCHE IN ITALIA GLI AUTORI DEI “MI PIACE” POSTATI SUI COMMENTI RITENUTI OFFENSIVI.



Oristano 12 Ottobre 2017
Cari amici,
La diffamazione (in particolare quella a mezzo stampa) è sempre stata un reato da codice penale. Con l’avvento di Internet e la conseguente maggiore diffusione dei messaggi, si è aggiunta anche la diffamazione (con relative condanne) effettuata con questo moderno mezzo di comunicazione di massa. Oramai le Piazze fisiche, quelle delle città e dei paesi dove i venti della critica e della calunnia hanno imperversato fino a ieri, sono state sostituite con forza dalle Piazze virtuali, i Social, tra i quali predomina Facebook. Ebbene, a prescindere dalla ‘diffamazione diretta’, quella fatta dall’autore attraverso il nuovo strumento informatico, la corresponsabilità diffamatoria pare ora potersi estendere anche a chi, pur non essendo l’autore dell’atto, dichiara pubblicamente il proprio gradimento al contenuto messo in rete, avallandolo con l'espressione dai famosi “LIKE”.
La prima innovativa sentenza sui ‘Like’ inappropriati fu emessa dal Tribunale Distrettuale di Zurigo, che ne ha condannò l’autore. Il Magistrato giudicante, la signora Catherine Gerwig, per la prima volta in assoluto, sanzionò l'autore di quei Like con una multa di 4.000 franchi, circa 3.600 euro: era un 45enne reo di aver espresso, per ben 6 volte, il proprio gradimento, con il classico "Mi piace", a delle espressioni ingiuriose nei confronti, di un esponente animalista, Erwin Kessler. In sostanza il condannato aveva approvato le accuse di antisemitismo e razzismo, rivolte a Kessler da altri frequentatori di Facebook, cui aveva concesso la propria amicizia.
Ora anche in Italia, un gesto simile a quello condannato in Svizzera, potrebbe essere configurato come reato. Il prossimo Novembre, per la prima volta in Italia, davanti al Tribunale di Brindisi, andranno a processo sette persone accusate di diffamazione per aver messo un «like» a un post su Facebook considerato offensivo. Il fatto scatenante risale al 2014, quando su Facebook apparve un commento poco lusinghiero nei confronti dell’operato dell’allora sindaco di San Pietro Vernotico (Brindisi), Pasquale Russo, e di alcuni dipendenti municipali accusati di essere dei fannulloni e assenteisti.
Secondo il Procuratore aggiunto Nicolangelo Ghizzardi non solo l’autore del post incriminato ma anche gli apprezzamenti successivi espressi dai lettori che hanno cliccato il «like», configurano corresponsabilità per il reato di diffamazione aggravata. La notizia, dopo la condanna di Zurigo, sta facendo il giro del mondo, oltre a suscitare non poca preoccupazione tra i frequentatori assidui dei social network. «In effetti non mi risulta che in Italia ci siano precedenti di questo tipo», conferma Fulvio Sarzana avvocato e docente di Diritto della società digitale all’Università telematica di Nettuno.
Cari amici, riflettendo, pensate che si possa davvero configurare un’offesa all’onore, il semplice clic ‘mi piace’ su Facebook? «La Cassazione - dice ancora Sarzana - ha già stabilito che un messaggio offensivo sui social può far scattare la diffamazione. Ma sul semplice “like” personalmente nutro qualche perplessità: il reato presuppone il dolo, una volontà specifica che probabilmente manca in un gesto automatico. Comunque sia, anche in questo caso occorrerà attendere una pronuncia della Cassazione».
Certo che, se così fosse sancito dalla sentenza attesa, sarebbe un fatto davvero epocale!  Già ora la Polizia postale esamina ogni giorno tra le 100 e le 200 denunce ricevute da persone che si ritengono offese su Facebook; se a questo numero si aggiungessero anche quelle per i “mi piace”, gli uffici si intaserebbero al punto tale da rendere inefficaci le denunce stesse.
Diffamare una persona sui social network è una condotta più grave della semplice diffamazione localmente circonscritta, perché, secondo un orientamento ormai consolidato, chi mette alla berlina un altro soggetto su un social, lo fa come se fosse “in mezzo a una piazza” (in tale modo è stato considerato Facebook dalla stessa Cassazione). In questo caso scatta la diffamazione con l’aggravante del mezzo di pubblicità. Ora, in considerazione del fatto che i giudici hanno iniziato ad assumere un comportamento ancora più severo anche nei confronti di chi clicca “mi piace” ai commenti altrui, considerandoli corresponsabili della diffamazione, sarebbe auspicabile un maggior senso di responsabilità da parte di tutti gli utenti dei social.
Cari amici, credo che giocare a fare i galletti sui social network, sia diventato un gioco davvero molto pericoloso, ed è meglio convincersi che esso sia giustamente giunto a termine. Chi in tutti questi anni ha pensato di poter offendere e insultare il prossimo convinto di farlo impunemente, dovrà ora ricredersi e cercare di fare molta attenzione per il futuro. Quei gesti (i Like espressi d'impulso) che milioni di persone ogni giorno compiono senza stare troppo a pensarci, quasi per un riflesso automatico, è meglio che siano frenati e, prima di essere espressi, meditati, "ragionati".
La convinzione che i social network siano un Far West senza leggi, dove ognuno può sfogare la bestia nera che ha dentro, è meglio che sia giunta al tramontando; il rispetto, in qualsiasi contesto e situazione, non può e non deve mai mancare, per il bene di tutti!
Grazie, amici, a domani.
Mario


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