Immagine dal film "Panas, la leggenda", di F. Trudu
Oristano 10 Ottobre 2017
Cari amici,
La Sardegna, terra
antica e carica di storia, si porta appresso anche una bella serie di leggende,
nate nei secoli e diligentemente tramandate fino ai nostri giorni. Diverse le
ho già riportate su questo blog, dalle Janas, alle Coghe, da Maria Puntaoru a
Maskinganna, da Mommoti a Sa Musca Macedda, fino ai riti scaramantici, messi in atto per
annullare il malocchio. Storie e leggende di una ricchezza unica, un patrimonio
che giustamente va conservato e trasmesso alle generazioni successive. Anche
tutto questo fa parte della nostra millenaria cultura.
Oggi la mia riflessioni
è dedicata ad una leggenda che ancora non ho avuto occasione di trattare e che riguarda le donne morte di parto: le PANAS. Queste mitiche figure femminili,
morte nell'atto di partorire un figlio, secondo la leggenda erano destinate a vagare per 7 lunghi anni sulla terra per
ritrovare, finalmente, quella pace che avevano perduto. Vediamola insieme questa antica leggenda,
curiosa ed interessante, ritenuta così suggestiva dal 46enne regista di Assemini Francesco Trudu, tanto
da convincerlo a realizzare un lungometraggio che a breve sarà al cinema (il
23, 24 e 25 Novembre, all’Uci Cinema di Piazza l’Unione Sarda a Cagliari).
Venivano chiamate PANAS, le anime-ombra delle donne morte
di parto. Conosciute anche come PANTAMAS,
erano destinatarie di una sorte tristissima. Si, dopo la morte il loro spettro era condannato a tornare sulla terra per espiare la loro
colpa, la loro incapacità a partorire il figlio. Queste donne, essendo morte in un momento particolare della loro
esistenza (considerato “impuro”), erano condannate ad un lungo periodo di
espiazione, che trascorrevano lavando i panni insanguinati della loro creatura, per un
tempo variabile tra i due e sette anni.
Le Panas, tornate
sulla terra per l'espiazione, mantenevano l’aspetto che avevano da vive e quindi potevano essere
scorte e riconosciute lungo i ruscelli posti ai crocevia, durante la notte o le
prime luci dell’alba; qui, chine sulla riva del fiume, lavavano i panni sporchi di sangue e cantavano una tristissima ninna-nanna. In
molti sono pronti a giurare di aver scorto delle Panas, fra l’una e le tre del
mattino, proprio mentre lavavano e con grande tristezza cantavano la nenia al loro bambino.
La leggenda racconta anche che la condanna
implicava l’assoluto divieto di parlare o di interrompere il lavoro: in
caso contrario esse dovevano ricominciare daccapo il tempo della penitenza loro assegnato.
Pertanto, se venivano disturbate da qualcuno mentre erano intente a lavare, le
Panas si vendicavano spruzzandogli addosso dell’acqua, che però sul corpo di
chi la riceveva bruciava come fuoco. La credenza popolare
attribuiva le macchie sul viso portate, per esempio, da giovani donne, ad una vendetta ricevuta da
parte delle Panas disturbate nella loro espiazione.
Forse anche per timore di questa credenza le
donne sarde non andavano mai a lavare i loro panni durante la notte. Le credenze popolari, infatti, col passare del tempo diventano abitudine e fanno parte del vivere quotidiano. Se la
morte di una giovane donna durante il parto colpiva una famiglia, i familiari per alleviare
la pena inflitta alla donna con un simile castigo, usavano mettere
nella bara della puerpera un paio di forbici, un pettine e un ciuffo di capelli
del marito: era l’occorrente loro necessario durante l'espiazione della pena. L’uso di mettere questi oggetti nella sepoltura è stato messo in
evidenza da vari Sinodi sardi, che sempre hanno vietato simili pratiche superstiziose. Ma la
consuetudine popolare è sempre risultata più forte, essendo così ben radicata tanto da non riuscire a cancellarla.
Gli oggetti messi nella
bara avevano un duplice scopo: da un lato trattenere la defunta nella tomba, evitandole di conseguenza la pena di vagare sulla terra per sette anni, come generalmente si
credeva, dall'altro perché si aveva paura che questi spiriti potessero
andare a molestare le altre puerpere, in quanto gelose dei loro bambini ai quali
avrebbero potuto tentare di nuocere. Invece, con il corredo prima indicato, avendo la
Pana un lavoro da eseguire, non sarebbe andata in giro durante la notte.
Provvista di questi oggetti la Pana avrebbe potuto rispondere alle compagne che
la invitavano ad andare lungo i corsi d’acqua insieme a loro: “Non posso perché
sto cucendo i panni del mio bambino”, oppure, “Non posso perché sto pettinando mio marito”. Per agevolare l’espiazione
i familiari della donna lavavano, in sua vece, per sette anni consecutivi un camicino o una
fascia di neonato e la mettevano ad asciugare, nella convinzione di alleviare
in tal modo la pena della defunta.
Cari amici, le credenze
popolari soni davvero difficili da cancellare, nonostante la Chiesa ci abbia ripetutamente provato. Le carte riferite ad un Sinodo di Ales e Terralba del 1566, lo provano in maniera evidente; un verbale sinodale risulta molto esplicito nei
confronti dei riti legati alle Panas o Pantamas: “Il rito superstizioso di ripulire (la casa)
dagli spettri che i Sardi chiamano Pantamas…sia proibito ed estirpato…e per
primo il superstiziosissimo rito che in sardo viene detto “de incresiari in
domo”, per cui la casa deve essere purificata dal sacerdote con una candela accesa
e con la recitazione dell’evangelo e deve essere cosparsa di acqua benedetta.
Di tale rito si abusa dovunque abbia partorito qualche donna, credendo alle
Pantamas del parto, cioè a certi spettri nocivi che appaiono e vagano nella
medesima casa e non si possono scacciare se non con quella purificazione,
restando ivi per sempre e procurando grandi molestie ai familiari”.
Cari amici, le antiche
leggende della nostra terra si perdono nella notte dei tempi. I ricercatori
delle nostre tradizioni, popolari ritengono addirittura che la leggenda delle
Panas si ricolleghi in qualche modo alla mitologia greco-romana. Alla mitica
Lamia, regina della Libia e amata da Zeus, alla quale Hera fece morire tutti i
figli. Lamia per il dolore impazzì e si moltiplicò in tanti spiriti che la
notte vagavano penetrando nelle case e succhiando il sangue dei neonati.
Che dire amici le
nostre leggende sono sempre tanto curiose e…interessanti! La Sardegna è sempre una terra leggendaria...
A domani.
Mario
Nessun commento:
Posta un commento