Oristano
26 Settembre 2016
Cari amici,
Chi mi conosce sa come
la penso: non c’è né presente né futuro senza il necessario collegamento al
passato. Tradotto in pratica, questo concetto significa che il cammino che noi oggi
percorriamo, così come quello che abbiamo in mente di percorrere
successivamente, deve essere strettamente legato al passato, in una lenta
trasformazione che sia un amalgama, una continuazione, senza strappi o
rotture. Trasportando questo concetto
nel campo dell’edilizia, potremmo sostenere che l’evoluzione costante di una
città non può distruggere, tout court, il suo passato radendo al suolo le “vecchie
strutture”, ma amalgamando vecchio e nuovo, in modo che l’uno possa essere ben
integrato con l’altro, in modo da “lasciare traccia” ai posteri di questa
evoluzione.
Trasportando questa equazione alla nostra città di Oristano, possiamo certamente affermare che dell'antica città, quella che
la vide capitale del Giudicato d’Arborea, poco o nulla resta in piedi, avendo
gli amministratori del passato, succubi e schiavi del Dio della modernità, deciso di radere praticamente al suolo quanto, invece, poteva essere conservato e tramandato ai posteri. Della gloriosa epoca giudicale in effetti non restano che piccoli scampoli: a
parte il simbolo della città, la torre di Mariano II, solo Portiscedda e qualche sbriciolato
spezzone delle antiche mura, perchè tutto il resto è stato letteralmente cancellato, per far posto ai simboli della modernità come il palazzo SOTICO.
Oristano, come ben
scrive Vitale Marongiu nei suoi post su Internet, nel periodo giudicale era posta all’interno di un
possente circuito murario (con un perimetro di oltre 2 chilometri), rafforzato
da torri merlate collocate in corrispondenza delle porte, costruite o rafforzate
durante il governo del Giudice Mariano II alla fine del XIII secolo; oltre le torri più importanti vi erano 28 torrette quadrilatere, poste a distanze irregolari, di
cui rimane qualche traccia (come quella posta nella Via Mazzini, oggi all’interno
di un cortile privato). La Oristano medioevale era compresa tra le attuali via
Mazzini, via Giò Maria Angioy, via Vittorio Emanuele, via Duomo e via De
Castro. La pianta più antica della città di cui si ha traccia fu quella
realizzata dall'architetto Rocco Cappellino, nel 1554. Su “Portu” (ovvero il
nucleo cittadino posto all'interno delle mura), era diviso in quartieri, la cui
denominazione era attribuita in riferimento all'edificio, civile o religioso
più rilevante, presente al suo interno.
I quartieri erano
originariamente 5, così distribuiti: Porta
Ponti (zona della torre di Mariano II o di San Cristoforo, via che porta
alla chiesa di Santa Chiara: attuali piazza Roma e via Garibaldi); Porta Mari (zona del palazzo giudicale
e della Porta Mari, piazza de Sa Majoria, odierna piazza Manno, e tutte le vie
che conducono alla Porta Mari: arruga de is cavalleris (attuale via Crispi); Sant'Antonio (che occupava il settore sud-est
della città: via Porta Mari, l'area attigua alla chiesa e all'ospedale di
Sant'Antonio, odierne piazza Manno, via Duomo e via Sant'Antonio); Sa ruga Noa (occupava un'area di nuova
acquisizione: s'ipotizza che fosse tutta l'area compresa tra il castello
giudicale e la porta a levante: attuale via Giò Maria Angioy); Santa Chiara (occupava il settore
nord-est della città: area attraversata dalle odierne via Santa Chiara, piazza
Martini, fino all'incrocio della via Crispi con la via Carmine).
La città era viva e
vegeta anche fuori dalle mura, dove aveva abitazione “il popolino” che
lavorava la campagna, e che, ovviamente, era al servizio della classe agiata cittadina dimorante intra Muros. Anche questi “borghi esterni”
erano in numero di 5: su Brugu de is Scarahjonis (attuali via Tharros e via
Tirso), su Brugu di Santu Lazaru (parte sud dell'attuale via Cagliari), su Suburbiolum
Noni (s'ipotizza l'odierna via Arborea), su Brugu de su putzu de su castellanu o de sa Maddalena (attuali via Doria, via Ricovero e via Masones); su
Brugu de is Congioargius (odierna via Figoli).
Quand’ero ragazzo (negli
anni 55/60) cadde sotto i colpi della ruspa l’antico mercato di Piazza Roma, demolito
per realizzare (fu un vero pugno nell’occhio) il pomposo, "moderno" palazzo
Sotico, a pochi passi dalla torre. Questo fu uno degli ultimi “atti vandalici”
perpetrati dai pubblici amministratori, che in precedenza avevano autorizzato
ben altro, come la demolizione della grandiosa “Port’a mari”, posta sulla cinta
muraria che si affacciava sull’antica Reggia degli Arborea in Pratza
de Sa Majoria (Piazza Mannu), dove nel Medioevo aveva sede il governo della città giudicale (struttura successivamente trasformata in luogo di pena recente dismesso).
Quello scempio,
autorizzato dal Consiglio Comunale di Oristano nel 1884, fu un vero e proprio scandalo: la
demolizione di "Porta a Mari" avvenne nel 1907, probabilmente su
pressioni delle lobby dell'epoca che intendevano ‘modernizzare’ Oristano con le nuove
costruzioni. Difficile, oggi, giustificare sia la delibera del Comune che il
successivo documento esecutivo che ne autorizzava la concreta demolizione, redatto in
data 27 Settembre del 1906, che inchioda molti illustri nomi del tempo sulle
responsabilità di quell’abbattimento affrettato, giustificato per realizzare un'ampia
piazza e lo sbocco diretto alla strada per Cagliari, collegamento tra l’altro già esistente
attraverso l’ampia porta giudicale.
Così Foiso Fois ci ricorda quella sciagurata
delibera “... per disposizione del Ministero della Pubblica Istruzione, di pugno
del Ministro che esprime il suo personale rammarico, secondo il parere
favorevole dell’allora Direttore del Museo Archeologico, prof A. Tarantelli,
del Direttore dell’Ufficio Regionale per la conservazione dei Monumenti ing.
Dionigi Scano, dell’Ing. Civico del Comune di Oristano Busacchi, del Prefetto
Onorato Germanico, del Sindaco Alberto Sanna, del Dott. Silvio Lippi, Direttore
dell’Archivio di Stato, dell’Ing. Mariello e dell’Avv. Ballero Ciarello,
concorde il senatore Parpaglia, veniva decretata la demolizione della “Porta a
Mari” ritenuta di nessun valore storico ed artistico…”.
Su questa incresciosa vicenda
anche l’indimenticato prete-scrittore Don Peppino Murtas scrisse ed inviò un articolo di
fuoco al quotidiano La Nuova Sardegna che lo pubblicò. Ecco l’incipit di quell’articolo,
di cui ho trovato traccia su Internet, e che Voi lettori potete “rileggere”,
apprendendo con quanta amarezza Don Peppino sfogava la sua rabbia. “Non
c’è dubbio che la demolizione più grave e definitiva della Oristano medioevale
sia stata quella di ‘Porta a mare’ e dei maestosi ruderi delle torri e del
castello-palazzo giudicale avvenuta nei primi anni del secolo. La seduta della
Giunta Municipale che ne aveva deliberato l’esecuzione era stata quella del 28
Maggio 1884, sotto la presidenza del Sindaco Solinas…”. A cui, come
detto prima, ben altro si aggiunse e tutto, nella più totale indifferenza, cadde sotto i colpi di piccone, vandalici
e distruttori.
Credo di non dover
aggiungere nient’altro…
A domani.
Mario
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