mercoledì, settembre 21, 2016

BOSA E LA LUNGA STORIA DEL CASTELLO DI SERRAVALLE O DEI MALASPINA, TRA STORIA E LEGGENDA.



Oristano 21 Settembre 2016
Cari amici,
Bosa è una delle sette famose città regie del nostro passato che, in parte, ha mantenuto i segni di quel glorioso periodo. Furono sette, infatti, i centri urbani che ottennero il titolo di città durante il periodo della dominazione iberica in Sardegna, dal XIV al XVI secolo. Queste città sono: Iglesias, Cagliari, Sassari, Castelsardo, Oristano, Bosa e Alghero. Tutte, in modo più o meno visibile, mostrano ancora i tratti dell'architettura iberica del passato, segni che le rendono testimoni di un passato tanto glorioso e affascinante quanto travagliato.

A Bosa uno dei resti più importanti di questo periodo storico è il castello di Serravalle (nome derivato dall’omonimo colle) o dei Malaspina, dal nome della famiglia, proveniente dalla Lunigiana, che lo costruì. Il maniero, che domina Bosa dall’alto, si dice sia stato edificato nel 1112 dai “Malaspina dello Spino Secco”(data stabilita dal Fara ma recentemente contestata e spostata al XIII secolo), una nobile famiglia toscana trapiantata nell’isola alla metà dell’XI secolo.
Il cognome “Malaspina”, che identifica la grande famiglia toscana, pare abbia tratto origine da un fatto poco edificante (risalente al 540 d.C.), e che lascia presagire di che pasta fossero fatti i protagonisti di questo casato. Si racconta, infatti, che il giovane nobile Accino Marzio vendicò la morte del padre sorprendendo il re dei Franchi Teodeberto nel sonno e trafiggendolo alla gola con una spina. Il grido disperato del re “Ah! mala spina!” dette origine al cognome di questa famiglia, successivamente annoverata tra le più importanti dell’Italia del Medioevo.
Storia antica e tragica, quella vissuta all’interno di questo castello costruito in terra i Sardegna, che riporta, tra le altre, le vicende della giovane sposa del Marchese Malaspina, progenitore di quel Corrado che Dante Alighieri collocò nella valle dei principi dell’VIII° canto del Purgatorio (“Fui chiamato Currado Malaspina; non son l’antico, ma di lui discesi; a’ miei portai l’amor che qui raffina “); Dante nello scrivere la sua opera non dimenticò che fu la famiglia Malaspina ad offrirgli ospitalità durante l’esilio.
Dopo la costruzione del castello, gli abitanti della vecchia Bosa (Bosa Vetus), ubicata prima nei pressi della chiesa di San Pietro, trasferirono le proprie abitazioni poco sotto il maniero, acquisendo in questo modo maggiore sicurezza e protezione. Questa parte della città è oggi ancora viva, e costituisce il Rione Sa Costa. Nei secoli il castello subì numerose modifiche. Intorno al 1300 fu realizzata la torre maestra del mastio (ad opera di Giovanni Càpula), oltre ad un’ulteriore fortificazione sulle mura per una migliore difesa dagli aragonesi. Nel XV secolo, durante il regno di Alfonso il Magnanimo, venne recintato l’intero colle, edificate le due torri poligonali e costruita la chiesetta dedicata all’inizio a San Giovanni, in seguito a S. Andrea e più recentemente a Nostra Signora di Regnos Altos. Nella seconda metà del 1600 la Città Regia di Bosa risultava completamente protetta da robuste mura. Nel 1800 vi fu il primo restauro ad opera di Filippo Vivanet e di Dionigi Scano.
Tornando alla storia-leggenda che narra le vicende della giovane sposa del Marchese Malaspina, si racconta che il Marchese fosse uomo non solo di carattere collerico ma anche assai geloso della giovane moglie, al punto da cercare di evitare il più possibile che Ella fosse ammirata da altri. Accecato dalla gelosia si racconta che fece addirittura costruire un passaggio sotterraneo dal castello alla Cattedrale, in modo che la moglie potesse recarsi a messa senza incontrare nessuno. L’esistenza di questo tunnel, però, non è mai stata provata. La vicenda, infine, si tinse di rosso sangue: quando un giorno il Marchese, in uno dei suoi celebri attacchi d’ira, accecato dalla gelosia e convinto d’esser stato tradito, prese il coltello e tagliò di netto le dita di entrambe le mani della moglie, lasciandola esangue sul pavimento e portando via con se il macabro trofeo avvolto nel proprio fazzoletto.
Il diavolo, però, come dice il proverbio, “fa le pentole ma non i coperchi”; il Marchese, mentre girava per Bosa coi suoi amici, tolse dalla tasca il fazzoletto e le dita che vi erano custodite rotolarono per terra, davanti a tutti. La reazione popolare fu forte: la sollevazione della folla fu tale che il Marchese venne messo agli arresti. Quanto alla bella e dolce marchesa, vittima tragica della follia, si narra che non trovò mai pace: il suo spirito, mai rassegnato, continuò ad aleggiare ed a vagare proprio nei dintorni del castello dove si compì il terribile fatto che la portò alla tomba.
Oggi il castello, per i tanti turisti che affollano Bosa d’estate, è un monumento di notevole suggestione, che attira e piace non poco, unitamente alla bella Chiesa della Madonna di Regnos Altos (dove sono state scoperte delle meravigliose pitture sulle pareti interne). Cari amici, ho partecipato proprio di recente (il 10 di Settembre), con i Cavalieri dell’Ordine del S. S. di Gerusalemme a cui appartengo, ai festeggiamenti dedicati a questa Madonna, che prevedevano, dopo la S. messa al castello, una lunghissima processione che, snodandosi per i ripidi gradini che dal colle portano a valle, e attraversando l’antico rione Sa Costa, sapientemente addobbato a festa, raggiungeva dopo alcune ore la Cattedrale.
Credetemi, arrivare al castello dalla città adagiata sulle sponde del fiume Temo significava (e significa tutt’ora) farlo attraverso una nutrita serie di ripide scale: s’Iscala ‘e sa rosa e s’Iscala longa, due lunghe scalinate poste ad est e a ovest del borgo, oppure attraverso s’Iscala ‘e s’ainu, anche se oggi una stretta stradina è percorribile anche in auto. Noi, in processione, abbiamo fatto il percorso sugli scalini e vi dico che non è stata un’impresa semplice. Provare per credere!
Cari amici, Bosa è oggi una bellissima città, sicuramente, seppur piccola, fra le più belle della Sardegna; Bosa nel tempo è stata ben accorta: ha saputo conservare al meglio i resti ed il fascino del suo luminoso passato. Oristano, purtroppo, sotto questo profilo, non è riuscita a fare altrettanto!
A domani.
Mario

Nessun commento: