Oristano
4 Settembre 2016
Cari amici,
Se da un lato l’uomo
cerca in tutti i modi di realizzare computer sempre più simili al cervello
umano, è anche vero che il nostro cervello, sotto molti aspetti, ha incredibili
potenzialità ancora poco conosciute, che ne fanno un vero e proprio strumento
informatico, come per esempio, per quanto possa apparire strano, essere dotato
di un sistema di controllo della memoria, una specie di “particolare antivirus”. La mia non è una semplice battura, ma frutto di
recenti studi che hanno voluto analizzare il fenomeno, mai concretamente
spiegato, del “Dejà vu”, che molti
di noi hanno potuto toccare con mano, come è capitato anche a me. Ma vediamo concretamente di che si
tratta.
La sensazione arriva
all'improvviso e stupisce ogni volta: quando, trovandoci in un posto per la prima volta, misteriosamente e inspiegabilmente
(anche in modo un po' inquietante), ci sembra di aver già vissuto quello stesso
identico momento. Chi ha vissuto il fenomeno del déjà vu, sa quanto sia davvero
strana la sensazione che si prova quando, arrivati in un posto nuovo, ci sembra invece che ci sia familiare: insomma ci sembra
proprio di essere già stati in quel posto! Il fenomeno, senz'altro curioso,
oltre che lasciarci interdetti, ci sollecita a spremere i nostri ricordi, ma senza
trovare una benché minima soluzione.
Sul fenomeno del 'déjà
vu' si sono interrogate generazioni di esperti della mente e l'ipotesi più
accreditata, almeno finora, era quella che si trattasse di un falso ricordo. Un inganno dei
neuroni, insomma. Ebbene, ora, ad offrire una nuova teoria capace di spiegare il fatto
ci ha pensato un team dell'Università scozzese di Sant'Andrews, guidato da
Akira O'Connor, che ha analizzato il nostro cervello ricavandone queste nuove
considerazioni. Secondo il professor O'Connor, la sensazione di cui siamo protagonisti
non è, come in precedenza presupposto, quella di “un falso ricordo”, ovvero un
errore del nostro cervello, ma è derivata da una sorta di verifica dei ricordi che
abbiamo già immagazzinato. Insomma si tratterebbe di una specie di riordino dei
dati, come può fare periodicamente un qualsiasi computer attivando l’antivirus.
Il tema del professor O’Connor,
che ha presentato lo studio alla Conferenza internazionale sulla memoria di
Budpest in Ungheria, e che è stato ripreso anche dal 'New Scientist', afferma
che il fenomeno altro non è che l’effetto causato dall’operatività di una sorta
di un 'antivirus' neurologico, messo in atto dal nostro cervello per mettere
ordine nei propri dati archiviati. Studiare scientificamente il fenomeno del
déjà vu non è stato agevole per gli scienziati, a causa della natura
imprevedibile del fenomeno che risulta peraltro di breve durata.
Per trovare soluzione i
ricercatori hanno utilizzato un ‘modo particolare’ per far vivere questa
sensazione anche in laboratorio; sono stati coinvolti ventuno volontari, ai
quali è stato fatto ascoltare un mix di parole, tutte in relazione fra di loro
(letto, cuscino, notte, ecc.), ma escludendo il termine chiave che serviva a collegarle tutte insieme: sonno. In
seguito alle persone è stato chiesto se avessero sentito una parola la cui
iniziale fosse la lettera "s", ma la risposta è stata negativa, così
come i partecipanti hanno conseguentemente negato di aver ascoltato il vocabolo
"sonno". Quest'ultimo termine però risultava familiare per i volontari,
creando una sorta di surrogato di déjà vu.
Per chiarire il mistero
è stata usata la risonanza magnetica funzionale (RMF), grazie alla quale si è
scoperto che durante l'esperimento erano attive le zone cerebrali legate al
processo decisionale e non quelle coinvolte nella memoria, come l'ippocampo. La
conclusione del team è stata che le regioni frontali del nostro cervello
stavano verificando i ricordi in memoria inviando un segnale proprio per
effettuare un check, a causa di una sorta di divergenza tra quello che si è
realmente vissuto e il ricordo invece presente.
Come il computer ogni
tanto fa una scansione della propria memoria, anche il corpo umano controlla il
proprio archivio e verifica che non nasconda errori o file danneggiati. Certo,
è incredibile scoprire che la mente ha un suo antivirus che si attiva al
bisogno! L'interpretazione del team di O'Connor è che durante il déjà vu si attivano quelle particolari aree
perché il cervello sta passando in rassegna i propri ricordi e invia un segnale
per indicare che ha trovato un errore: un conflitto fra ciò che abbiamo
realmente vissuto e quello che invece pensiamo soltanto di aver già
sperimentato. In conclusione, quando viviamo questo fenomeno anzichè
spaventarci dovremmo, invece, rassicurarci, perché è la 'spia' che il nostro
cervello è performante e in salute.
Se questi risultati
fossero confermati, sottolineano infatti gli autori, il déjà vu andrebbe visto
come il segnale che il sistema di controllo della memoria sta lavorando bene e
che è meno probabile incappare in falsi ricordi. Non a caso il fenomeno viene
riferito più frequentemente dai giovani, mentre si affievolisce in età più
anziana quando le capacità mnemoniche si riducono. Andando avanti negli anni,
precisa O'Connor, "può darsi che i sistemi di controllo peggiorino e che il cervello
diventi meno capace di individuare un ricordo sbagliato". I
ricercatori evidenziano anche che i soggetti che non hanno mai vissuto un déjà
vu non dovrebbero allarmarsi: può essere che la sua memoria funzioni talmente
bene da non aver bisogno di passare l'antivirus per ripulirla dagli errori!
Cari amici, per ora un’altra
teoria si aggiunge a quelle precedenti anche se la certezza ancora non l’abbiamo.
Stefan Köhler, altro ricercatore dell'università canadese del Western Ontario, sul fenomeno non si sbilancia
più di tanto: sostiene che al momento non è possibile dire se il déjà vu sia un
meccanismo vantaggioso o meno. "Potrebbe accadere che una simile
esperienza renda le persone più prudenti, ossia meno propense a fidarsi
ciecamente della propria memoria, osserva, ma al momento non abbiamo alcuna
prova".
Grazie, amici, a
domani.
Mario
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