Oristano
2 Ottobre 2014
Cari amici,
pochi giorni fa ho
fatto qui con Voi una riflessione sul recente referendum scozzese, che si è
concluso con la risicata vittoria degli unionisti e la forte delusione degli
indipendentisti.
All’attenta lettura del risultato del referendum, non risulta
tanto importante l’esito (che tra l’altro ha messo in luce non solo l’ampia
partecipazione ma anche l’alta percentuale della popolazione favorevole al
distacco), quanto la constatazione di una crescente “voglia d’indipendenza”! E’
come osservare l’effetto di un grosso sasso lanciato in uno stagno: i piccoli
cerchi concentrici iniziali si allargano a dismisura, fino ad arrivare alla
riva . Sicuramente a monte sono molteplici le motivazioni alla base di un
simile comportamento collettivo, che, con forza crescente, ha iniziato un
percorso “controcorrente”, rispetto alle “aggregazioni” (a volte innaturali)
fatte nei secoli scorsi. Forse, alla base, c’è un rifiuto di fondo alla logica
della “globalizzazione”, che vorrebbe portare – almeno in teoria – alla
costruzione, oltre che di un unico mercato mondiale, anche ad di un’unica
cultura universale, quella del liberismo consumistico occidentale! Le odierne “richieste
di distacco”, in effetti, costituiscono il percorso inverso, rispetto al passato. Vediamo insieme, allora, di capire meglio i motivi di tale disaffezione,
partendo dal reale significato del suo principio-base: “l’Autodeterminazione” dei Popoli.
Il principio di
autodeterminazione dei Popoli (diritto inderogabile,
garantito dalle Norme Internazionali), stabilisce che un popolo, sottoposto a
dominazione straniera, può in qualsiasi momento chiedere e ottenere
l'indipendenza, e di scegliere autonomamente di autogovernarsi. Tale principio
costituisce una norma di diritto internazionale generale, cioè una norma che
produce effetti giuridici (diritti e obblighi) per tutta la Comunità degli
Stati. Inoltre, questo principio è anche una norma di ius cogens, cioè diritto inderogabile, un principio supremo e
irrinunciabile del diritto internazionale, per cui non può essere derogato neanche
da convenzioni internazionali. Come tutto il diritto internazionale, il diritto
di autodeterminazione viene ratificato dalle leggi interne dei vari Stati, come
è avvenuto in Italia con la L. n. 881/1977, che l’ha incluso come legge dello
Stato.
La prova lampante dell’esistenza
di questo diritto si è manifestata di recente in Scozia, dove la Gran Bretagna,
anche se mal sopportava l’idea che la Scozia si potesse staccare, ha considerato
legittimo il referendum proposto dagli scozzesi. La richiesta, dunque,
risultava pienamente giustificata, a prescindere dall’esito dalla consultazione.
Non così, invece, sta avvenendo in Spagna, dove il caso della Catalogna, che da
tempo domanda anch’essa un analogo referendum per la sua eventuale autonomia,
vede bocciata la sua richiesta. Pochi giorni fa, con sentenza della Corte
Costituzionale spagnola, il referendum indetto dalla Catalogna per il prossimo Novembre,
è stato considerato “incostituzionale”. La sentenza, che stride fortemente con
la norma sull’inderogabile autodeterminazione dei popoli, sta facendo discutere
tutta l’Europa.
"Il referendum in
Catalogna non si farà perché è incostituzionale",
ha detto il numero Due del governo di Madrid, Soraya Saenz De Santamaria, dopo che il Presidente catalano Artur
Mas ha convocato il voto sull'indipendenza per il 9 Novembre. "Nessuno
è al di sopra della volontà del popolo spagnolo", ha aggiunto De
Santamaria. Parole gravi, che comunque non fanno indietreggiare
di un passo il Presidente catalano Artur Mas i Gavarró, che senza mezzi termini ha
sostenuto che Lui andrà avanti comunque, anche se la Corte Costituzionale
spagnola, ignorando il diritto internazionale, ha sentenziato che il referendum
in Catalogna non si può fare.
La discussa sentenza,
che volutamente e arbitrariamente ha violato il “principio di autodeterminazione
dei popoli, appare foriera di tempesta. Nella sentenza si legge che – eccetto
quello spagnolo nella sua interezza – “nessun’altra parte di popolo può
attribuirsi la sovranità” e che “una Comunità autonoma non può convocare
unilateralmente un referendum di autodeterminazione”.
Eppure la
normativa internazionale appare chiara. I diritti umani e i
diritti dei popoli sono beni assolutamente irrinunciabili e debbono essere
garantiti con certezza. La stessa Carta delle Nazioni Unite stabilisce
all’art. 1 che il rispetto dei diritti umani e dell’autodeterminazione dei
popoli costituisce uno dei fini principali delle Nazioni Unite.
Il Segretario Generale
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), Ban Ki-Moon, è intervenuto ufficialmente sulla situazione creatasi
in Catalogna e ha detto che “le Nazioni Unite rispettano i processi di
autodeterminazione.” Ha anche
chiesto che il processo catalano venga risolto attraverso il dialogo e con mezzi
pacifici. “Tutte le questioni in sospeso tra i Paesi dovrebbero essere risolti
pacificamente e attraverso il dialogo, nel rispetto delle reali aspirazioni
delle persone interessate”, ha sottolineato il Segretario Generale
delle Nazioni Unite.
Cari amici, a
prescindere da come si risolverà la questione della Catalogna, la realtà è che
l’anelito di “indipendenza” appare sempre più ampio, diffondendosi come un
virus in tutta l’Europa, e non solo. Diversi altri popoli aspirano ad
autogovernarsi, come i Baschi ed i Corsi ad esempio. Il basco Izaskun Bilbao in
rappresentanza del “Partido Nacionalista Vasco” ha recentemente sostenuto che “la
nuova Europa dei popoli deve essere costruita dal basso”; il corso
François Alfonsi, del “Partitu di a Nazione Corsa”, afferma che “l’Europa
non deve preoccuparsi per questo processo (ndr: di indipendenza),
semmai dovrebbe cercare di essere più flessibile, in modo da essere in grado di
accogliere le istanze di un popolo, il quale esiste in quanto riesce ad
affermarsi democraticamente”.
L’Italia non resta immune
da questa voglia di “distacco”. Spesso la causa principale è da attribuirsi ad
un centralismo esagerato. Da tempo non pochi “rumors” fanno capire che
“qualcosa si sta muovendo” anche nel nostro Paese, dove sia al Nord (in Padania)
che al Sud (nella nostra Sardegna) si confrontano diversi movimenti che
vorrebbero portare la popolazione ad esprimersi in senso autonomistico-indipendente. Il Nord sembra più agguerrito e compatto, e
la Lega da tempo non fa che ribadire la necessità del referendum.
Meno compatto
appare il fronte sardo autonomista-indipendentista, composto da diverse anime
che, senza un progetto comune, difficilmente riusciranno a concretizzare il
loro sogno.
Analizzando le
motivazioni di tale disaffezione-insoddisfazione di popoli aggregati in passato,
nei confronti di Stati considerati “Patrigni” e prevaricatori dei loro diritti e
delle loro specificità, penso si possa sostenere che una delle ragioni debba
essere attribuita agli effetti della Globalizzazione. Dinanzi a una crisi
economica devastante, causata dalle “perverse” ripercussioni della
globalizzazione che ha annullato le economie e le culture locali per imporre un
mondialismo ed un centralismo costituito da ferree “Sovra-strutture”, come le Istituzioni
Europee, la reazione non può che essere di rifiuto.
Globalizzazione perversa
che ha messo in seria difficoltà anche i vecchi Stati nazionali, con la
conseguente necessità di far pagare ai più deboli il reale costo della
crisi. Questo potrebbe significare che il futuro dell’Europa, se riuscirà ad
uscire dalle secche ed a salvarsi, non sarà l’auspicata Europa delle Nazioni,
ma quella dei Popoli e delle Regioni! In questo caso anche la globalizzazione
attuale diverrebbe qualcosa di diverso che
lo studioso Zygmunt Bauman ha definito “Glocalizzazione” (termine
che coniuga Globale e Locale); in sintesi questo significherebbe che i Popoli, pur uniti
nella politica estera, nella difesa comune e nei grandi processi macroeconomici
transnazionali, rimarrebbero autonomi e indipendenti sia culturalmente che a livello di
microeconomia. Una via di mezzo: come dire: “In medio stat
virtus”.
Cari amici, le Nazioni,
come sono strutturate oggi, non hanno un grande futuro. Frutto di unioni
costruite in passato con la violenza e con la forza,
mettendo insieme popoli diversi (prevaricandone alcuni e privilegiandone
altri), sono destinate a disgregarsi.
La Spagna in questo momento ne è un
esempio eclatante: la radiografia fatta dagli analisti economici e finanziari ha
evidenziato il suo eccessivo centralismo, che implica grosse problematiche al
sistema finanziario del Paese, che privilegia alcuni e ne penalizza altri. Senza
cambiamenti radicali il futuro appare nebuloso: al pari dell’Italia, anche in Spagna a pagare il prezzo più alto
sono i più deboli. Il centralismo esagerato risulta disgregante: i ritardi nei
pagamenti della Pubblica Amministrazione, il mercato del lavoro in crescente crisi,
i rischi d’insolvibilità nell’erogazione delle pensioni e una limitata
sicurezza negli investimenti, fanno della Spagna un Paese debole e ad alto
rischio di esplosione.
Cari amici, difficile
dire oggi come andrà a finire. Personalmente sono convinto che tutte le
rivoluzioni lasciano sul campo morti e feriti, ma il cambiamento a volte non è solo
utile ma addirittura necessario, anzi indispensabile. Partendo da una granitica certezza:
l’autodeterminazione dei Popoli è un diritto sacrosanto, che nessuna forza,
nessuna violenza potrà mai riuscire a spegnere.
Ciao a tutti.
Mario
1 commento:
E IL TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE
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