Oristano
25 Ottobre 2014
Cari amici,
proseguiamo oggi con la
storia della Globalizzazione.
Se all’inizio essa sembrava agevolare la nostra
vita, consentendoci di pagare meno i prodotti di cui avevamo bisogno, ci siamo
dovuti presto ricredere; se da un lato ci ha fatto comodo, per esempio,
comprare il prodotto cinese pagandolo meno della metà del prodotto italiano
corrispondente, dall’altro, abbiamo pagato caro l’effetto di rimbalzo: la
perdita di competitività del prodotto di casa nostra. Abbiamo, sbagliando,
visto l’utilità dell’uovo oggi, perdendo di vista la maggiore utilità della
gallina domani. In sintesi abbiamo sottovalutato le conseguenze di medio e
lungo periodo che l’apparente vantaggio
immediato avrebbe comportato.
La Globalizzazione dei
mercati mondiali, con conseguente liberalizzazione sia del mercato dei capitali
che del mercato del lavoro, ha portando all’unificazione (spesso traumatica) di
economie tanto diverse. L'affermazione, in costante crescita, del potere delle
imprese multinazionali nello scenario dell'economia mondiale, a scapito del
potere prima detenuto dai vari Stati nazionali, ha creato situazioni al limite
della catastrofe. La messa in atto di incredibili politiche di
deregolamentazione, liberalizzazione e privatizzazione, in poco tempo consentito
a numerose aziende di iniziare a delocalizzare le fabbriche, trasferendole in
Paesi dove la mano d’opera costava di meno; ci siamo così ritrovati con
migliaia di posti di lavoro “bruciati” dagli effetti della chiusura delle
fabbriche e dell’apertura di nuovi mercati più competitivi ma privi delle nostre
regole.
A questo punto sorge
spontaneo domandarsi: Ma la Globalizzazione non era stata pensata per una più
equa distribuzione della ricchezza? Per far diminuire le disuguaglianze, per
far sì che tutti vivessero un po’ meglio? Invece, guarda caso, è successo
proprio il contrario! In cosa abbiamo sbagliato e, soprattutto, ora cosa
possiamo e si deve fare? Se abbiamo sbagliato, dovremo mettere in atto i rimedi
tampone, capaci di correggere gli aspetti perversi che anziché migliorare hanno
peggiorato la situazione precedente. Ma quali rimedi? Su questo si sono
interrogati non pochi studiosi, cercando e proponendo possibili soluzioni. Uno
di questi è il Prof. Luciano Gallino, professore ordinario di Sociologia
all’Università di Torino. Globalizzazione
e disuguaglianze (Laterza) è il titolo del suo nuovo libro che sta
riscuotendo un enorme successo di vendite, al punto che dopo due mesi
dall'uscita è già alla seconda edizione.
Nel testo il sociologo cerca di esporre in modo chiaro cos’è
esattamente la globalizzazione e che conseguenze essa ha comportato nelle
economie dei vari Paesi. Innanzitutto, ha spiegato, la globalizzazione percorre
due strade ugualmente importanti: quella dell’economia reale e quella
finanziaria. La globalizzazione dell’economia reale è meno
avanzata rispetto a quella finanziaria che, tramite Internet, ha sicuramente
fatto passi da gigante negli ultimi anni. Entrambe, comunque, hanno modificato
radicalmente l’economia. Quello che si produce, come si produce, il prezzo al
quale si produce un determinato bene o servizio in un determinato Paese, hanno
riflessi e conseguenze immediate su moltissimi altri Paesi, anche lontanissimi.
Con conseguenze spesso disastrose.
La nefasta conseguenza,
considerate le varie velocità con cui si muovono economie diversissime, è sotto
gli occhi di tutti: la risultante è che il divario tra ricchi e poveri anziché
diminuire, come era stato auspicato da tanti, è aumentato. I dati ufficiali della
Banca Mondiale, delle Nazioni Unite, e di molte Istituzioni transnazionali
dicono che la disuguaglianza tra il 20% più ricco della popolazione del mondo -
in pratica prevalentemente la popolazione di Europa e Stati Uniti - e il 20%
della popolazione più povera - in gran parte concentrata tra Africa, India e
Sud-est asiatico - se negli Anni Sessanta era di trenta a uno, adesso sta
arrivando a novanta a uno. Questo significa che il 20% più ricco è novanta
volte più ricco del 20% più povero. Penso che ogni ulteriore commento sia superfluo.
Cari amici, ma se la
globalizzazione, anziché migliorare la status precedente ha realizzato, invece,
questi "effetti perversi", qualcosa bisognerà pur fare! Che rimedi
possono essere messi in campo per tentare di raddrizzare una barca che fa acqua
e rischia di affondare? Una risposta la troviamo nel libro prima citato del Prof.
Gallino. Il sociologo, nel proporre una soluzione, parte dal fatto che
spesso gli effetti perversi, quelli che
nessuno all’inizio aveva previsto, accadono perché non si è studiato con accuratezza
il fenomeno, prima di metterlo in atto. Prevenire è certamente meglio che
curare, ma una volta che il male è arrivato, è necessario comunque trovare il
giusto rimedio.
Quale quello da Lui
suggerito? Per non annoiarvi oltre per ora lo lascio in sospeso. Ve lo
racconterò domani, con la terza puntata, aggiungendovi le mie riflessioni. Vedremo
insieme quali accorgimenti sono stati ipotizzati dagli studiosi per imparare a
convivere con la globalizzazione, ormai giunta ad un punto di “non ritorno”,
per cui sarebbe impossibile – anche volendolo – tornare indietro. A domani!
Grazie a tutti
dell’attenzione.
Mario
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